Doremì non ha avuto rimpianti quando ha scelto di abbandonare la Magia,
forse perché sapeva che la vita non ha bisogno di supporti
per essere magica. Leggete la mia ff è un po’
triste ma ho immaginato un finale un po’ meno magico e un po’ più reale per questa
magica bambina che ha avuto la possibilità di scegliere e ha scelto la vita.
Una difficile scelta
Era
l’ultimo anno di scuola, ci sarebbe stato l’esame, poi ognuno avrebbe preso strade diverse.
E fra i ragazzi della 3° b c’era una nuova intesa: tutti
sapevano che l’anno che stava per finire sarebbe stato l’ultimo, era come se
fosse gia accaduto, tutti erano intenti a programmare il dopo, era come se la
3° b non esistesse già più.
Tutti
sapevano esattamente ciò che li aspettava è ormai ciò
che stavano vivendo si mutava velocemente in un ricordo.
Sinfoni
avrebbe aperto un negozio di polpette, le avrebbe vendute pur di vedere le
persone sorridere, mentre mangiavano quella sua delizia; Melodi
avrebbe suonato il violino la sua musica avrebbe riempito i teatri del mondo
regalando emozioni; Lullabi avrebbe fatto l’attrice,
il suo viso sarebbe finito su tutti i teleschermi e i cartelloni tutti
avrebbero conosciuto il suo talento e infine Mindi
avrebbe aperto una pasticceria per regalare dolcezza a chi più ne ha bisogno. Tutti gia lo sapevano
ciò che avrebbero fatto, a nessuno sembrava importare che, per quello,
avrebbero perso la 3°b.
Per
loro quel portone, lo scalone e il cortile erano ormai un ricordo sempre più
sbiadito e lontano, come un lungo film in bianconero; ma io non ero pronta, non
avevo ancora niente per cui valeva la pena lasciarmi
alle spalle quella scuola e la magia. Per quanto mi sforzassi non riuscivo ad
immaginarmi lontana da quella scuola, mai più con la mia divisa di apprendista, avrei fatto volentieri un incantesimo per
poter ancora rifletterci su, ma sapevo benissimo che questo non sarebbe stato
possibile. Ci avevano dato l’ultimatum ed ora dovevamo decidere tra diventare
streghe o vivere per sempre senza magia. Perciò
cercavo di affezionarmi ad un’idea, di vedermi col camice bianco o seduto alla
scrivania del mio ufficio, ma più ci riflettevo più mi sembrava scontato,
banale, inadatto… Avevo sempre sognato di diventare una strega ma ora…
Successe
tutto un mercoledì di quelli, un’ uomo anziano con
barba e capelli bianchi e un’aria un po’ trasandata entrò in classe, manovrò
per una decina di minuti la sua attrezzatura: posizionò il cavalletto, cambiò
il rullino e poi regolò lo zoom e la messa a fuoco; le bianche ciocche di
capelli crescevano incolte sulla sua testa lasciando uno spazio proprio sulla
nuca e i suoi occhi azzurro acquoso scrutavano attraverso l’obbiettivo la
classe; tutti si avvicinarono e si misero in posa e in quel momento cosa avrei
dato per vederci da quello obbiettivo così: ancora uniti, poi la voce del
fotografo ci giunse un po’ schermata dalla macchina quando cominciò a contare
:uno…due…
Aspettavo
il tre con le braccia conserte e in quell’attimo quando tutto sembrava sospeso in attesa mi accorsi che c’era qualcosa che non andava,
l’equilibrio era incrinato, c’era una nota stonata. Guardai con la coda dell’occhio, Tezuya
era voltato verso quel grosso orologio giallo a muro che assomigliava a una patata bollita, era lui l’origine del disordine e in
quel attimo interminabile prima del tre mi venne una gran voglia di urlare e
fermare tutto, dire a quell’uomo e alla signorina Sekki
che il mio amico Tezuya non era pronto, che non si
poteva fare quella foto perché se no Tezuya sarebbe
rimasto voltato per sempre ed io non avrei più avuto la possibilità di vedere
il suo viso…
E sempre in quell’attimo, proprio un istante prima che il
dito del fotografo si abbassasse inesorabilmente, io sentii, più che capire,
una nuova emozione, il fascino di tutta quella faccenda: stava per avvenire
qualcosa che non si sarebbe mai ripetuto, nessuno avrebbe mai avuto la
possibilità di immortalare di nuovo quell’attimo, unico, mai in tutti i secoli
quella foto sarebbe stata possibile. Tezuya non si
sarebbe mai più voltato in quel modo con quei pensieri in testa, mentre io
l’osservavo con la coda dell’occhio, sarebbe rimasto tutto sulla pellicola, a
testimoniare una realtà durata pochissimo ma non per questo meno vera o
importante.
Così
capii, in quell’attimo presi la mia decisione, mi
sentii davvero felice, ora anch’io potevo lasciare quel portone, lo scalone e
il cortile per riempire gli anni che mi stavano davanti con la possibilità
creare ricordi, il potere di fermare il tempo.
E
tanti anni dopo in quello sporco acquitrino in Vietnam, quando ripensai che avrei potuto diventare una strega, non ebbi rimorsi,
ripensai che quella esperienza mi aveva regalato tante nuove amicizie ma tutto
ciò che mi aveva dato la mia vita da fotografa era stato ugualmente magnifico e
quando misi il piede sulla mina, risentii la voce di quel mio anziano collega
che diceva: uno…due…
E di nuovo in quell’attimo prima del tre, prima che il mio
corpo saltasse in aria, io fui un’altra volta felice.