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Autore: Mapi D Flourite    05/02/2010    2 recensioni
[Sawyer/Juliet]
James non riuscì a non sorridere. Gli sembrava quasi che le lancette del pendolo in soggiorno cominciassero a rallentare, sempre di più, fino a congelarsi in quell’istante per lasciarli lì, in cucina, tra i piatti sporchi e un sapore casereccio nell’aria. Non si sarebbe lamentato degli scherzi del tempo, questa volta.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Juliet, Sawyer
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Titolo:  Forever's gonna start tonight
Pairing: Sawyer/Juliet
Rating: PG-13
Conteggio  Parole: 2036
Warnings: Nessuno
Spoiler: 5x08 LaFleur

Note: Scritta per la challenge Meme di San Valentino indetta da Michiru-kaiou7 con il prompt "L'universo si ferma un istante / perché vuole ammirarti".
Il prompt della challenge cade a pennello, avevo voglia di scrivere questa fanfic da un’infinità di tempo. Amo questi due, credo che siano ben poche le coppie canon che mi piacciano quanto James e Juliet.

Disclaimer: Lost appartiene a J.J. Abrams, Damon Lindelof, Jeffrey Lieber e alla ABC, che ne detengono tutti i diritti. Non è scritta a scopo di lucro, ma di ludo, esclusivamente principalmente il mio. Il titolo è un verso della canzone "Total eclipse of the heart" di Bonnie Tyler.

-:-:-

Quando James entrò dalla porta fu accolto dalla ormai familiare vista dei mobili anni settanta che componevano il suo soggiorno e da un inaspettato, penetrante e delizioso profumo di cioccolato.
Aggrottò le sopracciglia e si chiuse la porta alle spalle, avanzando poi con cautela fino alla cucina dove, china a lavorare sui fornelli davanti ad un numero indicibile di recipienti stracolmi di cioccolato fuso, c’era una biondina con indosso un paio di jeans e un grembiule chiaro su quella che sembrava una delle sue camicie.
Si appoggiò contro una colonnina e tossì, per palesare la sua presenza. Juliet scattò d’impulso, spaventata e quasi rovesciò il cioccolato che stava rimestando sul fuoco. Si voltò a guardarlo: «James! Mi hai spaventata.»
Lui sorrise, sollevando le mani in segno di resa. «Scusa, scusami. Pensavo mi avessi sentito.»
Lei rilassò le spalle e si passò il dorso di una mano che ancora stringeva il mestolo sulla fronte per allontanare una ciocca di capelli e lasciandosi una striscia leggera di cioccolato su una tempia. «No, ero così presa che non ho fatto caso a nulla,» sorrise. «Sarebbero potuti entrare i ladri e non me ne sarei accorta.»
James rispose al suo sorriso e chinò la testa di lato, per vedere che cosa stesse combinando. Ora che ci faceva attenzione c’era soltanto un pentolino sul fuoco, gli altri erano stampi o basi ricolmi fino all’orlo di cioccolata scura; inarcò le sopracciglia. «Che fai?»
Juliet seguì il suo sguardo e si strinse nelle spalle. «Cioccolatini.»
«Cioccolatini?»
Lei annuì. «Per i bambini,» spiegò. «Se ne sarebbe occupata Beth, ma non si è sentita molto bene questo pomeriggio, così mi ha chiesto se potevo darle una mano.»
James fece schioccare la lingua. «E perché Beth doveva preparare tutto questo cioccolato?»
Juliet ridacchiò, versando il contenuto del padellino in una serie si stampi a forma di cuoricino. «Perché sembra che anche ai bambini piaccia festeggiare San Valentino.»
Lui la guardò ammutolito e poi gettò una rapida occhiata al calendario appeso alla parete al suo fianco. «Ma va?» disse, stampandosi un sorriso ironico in faccia. «Si festeggiava San Valentino anche nel settantaquattro?»
Juliet rise, sistemando la sbavatura di uno stampino con la punta di un dito. «Direi,» esclamò pulendosi il dito con la lingua e sistemando gli stampi nel frigo.
James seguì i suoi movimento con lo sguardo, mentre si toglieva la tuta la lavoro e la lanciava su una poltrona. «Allora,» disse, infilandosi le mani in tasca, «qual è il mio?»
«Il tuo?»
«Sì. Non mi dirai che non mi hai preparato neanche un po’ di cioccolata, vero?»
Lei si appoggiò le mani sui fianchi e si guardò intorno, fermandosi sul pentolino dove rimanevano alcuni residui di crema scura. «Ecco,» dichiarò, indicando con il pollice, «quello è il tuo.»
«Oh, ma dai! Neanche uno piccolo? Non puoi costringermi a rubarne uno dei bambini…» fece un passo avanti per poter sbirciare se, effettivamente, non ci fosse un dolcetto lasciato in disparte per lui, ma Juliet fu più svelta e chiuse l’anta, mettendosi tra lui e il frigorifero.
James si irrigidì, quando si accorse di aver violato il suo spazio personale e di trovarsi ad un solo fiato da lei.
Per un solo istante gli sembrò che l’espressione della donna cambiasse, ma non riuscì a stabilire che cosa fosse, perché sparì immediatamente, sgusciando via di lato.
James la guardò togliersi il grembiule e, quando cercò di pulirsi il viso da una macchiolina di cioccolato lui le prese la mano nella sua e l’attirò a sé, cingendole la vita con un braccio.
Era così vicina che riusciva a sentire il suo respiro caldo e regolare sul viso e chiuse gli occhi, stringendola di più a sé, godendosi la sensazione di avere il suo corpo appoggiato contro il petto e il profumo di cioccolato che le era rimasto addosso; le accarezzò la schiena con i palmi aperti, lentamente, mentre le braccia di lei gli stringevano a sua volta i fianchi.
James non riuscì a non sorridere. Gli sembrava quasi che le lancette del pendolo in soggiorno cominciassero a rallentare, sempre di più, fino a congelarsi in quell’istante per lasciarli lì, in cucina, tra i piatti sporchi e un sapore casereccio nell’aria. Non si sarebbe lamentato degli scherzi del tempo, questa volta.
Si allontanò da lei di mezzo passo, per continuare a sentire il suo calore e le accarezzò le spalle, il collo sotto i capelli biondi e le afferrò il viso con entrambe le mani sollevandole il mento per poterla guardare negli occhi.
Era bella, più bella di quanto ricordasse, ancora più bella dell’istante appena trascorso, e le accarezzò il viso lentamente, le labbra socchiuse, chiedendosi come mai ci avesse messo così tanto per vederla.
Juliet strinse tra le dita i lembi della sua camicia e gli sorrise e James sentì la terra scivolargli via da sotto i piedi mentre la sua testa si svuotava di qualsiasi pensiero che non fosse lei, il bisogno che aveva di starle accanto, la forza straordinaria che gli muoveva il passo ogni volta che sapeva che c’era lei a guardargli le spalle.
Si chinò verso di lei e toccò le sue labbra lentamente, con nessun’altra paura se non quella di perdere un solo istante. Le accarezzò il viso e i capelli biondi ad occhi chiusi e lei fece scivolare le braccia attorno alle sue spalle, alzandosi in punta di piedi quanto bastava per potersi stringere a lui.
James seguì con le dita la linea del mento, le spalle e l’afferrò per i fianchi, scostandosi da lei di appena qualche centimetro per poter condividere anche l’aria che respiravano.
Juliet gli sorrise, accarezzandogli il viso. «James,» disse e lui sentì il petto gonfiarsi fino a fargli male, mentre si riempiva del calore delle sue mani e del suo respiro che era sempre troppo lontano.
La baciò di nuovo, abbracciandola e lei si lasciò quasi sollevare da terra aggrappandosi a lui e lo baciò a sua volta, le labbra aperte, affondando le dita tra i suoi capelli biondi. Si staccarono di nuovo, i visi arrossati e lui le prese una mano nella sua, stringendola forte.
Per la prima volta in vita sua, non sapeva che cosa dire. Tutte le parole diventavano troppo per quel concetto, quel pensiero che gli occupava prepotentemente il cervello. Le accarezzò il dorso della mano col pollice e soffiò il suo nome tra i respiri, osservandola ad occhi spalancati mentre il suo sorriso diventava ancora più luminoso.
Mosse un passo, stringendole la mano e lei lo seguì, fino in camera da letto. La porta si chiuse leggera alle loro spalle e James si voltò nuovamente a guardarla, come se non potesse stare senza averla sotto gli occhi e posò le dita sul suo sorriso, quasi per provare a se stesso che fosse autentico, che fosse lì, ed imprimerselo nella memoria per sempre.
Lei gli appoggiò le mani sul petto, spingendosi contro di lui, e gli baciò una guancia, dolcemente, prima di tornare a guardarlo negli occhi. «James,» sussurrò e gli prese il viso tra le mani, guidandolo nuovamente verso la sua bocca.
Il suo bacio era caldo, profondo, struggente. James le strinse i fianchi affondando tra le sue labbra con tutto il suo essere, lasciandosi assorbire completamente da quella bocca che, nonostante avesse il sapore di cioccolato, fragole e frutta secca, sapeva sempre e soltanto di Juliet.
Sollevò le mani, e si lasciò guidare da lei mentre le faceva scivolare la vecchia camicia oltre la testa e indugiava a sfiorarle la pelle calda del seno con le dita; Juliet sollevò i lembi della sua maglietta e gliela tolse, lasciandola cadere accanto ai loro piedi.
James si mosse un passo indietro e la portò con sé, lasciandola cadere dolcemente sul letto e sistemandosi sopra di lei, accarezzandole il viso. La baciò sulle labbra e lei gli strinse le braccia dietro alla nuca, premendosi contro di lui, stringendogli i capelli biondi e le spalle tra le dita, trattenendolo sempre un istante di più, lasciando che il mondo si allontanasse, ancora un poco e li lasciasse soli, almeno quella notte.
E stringendola a sé con tutta la forza che aveva in corpo e facendo l’amore con lei, lentamente, assaporandosi ogni sospiro, ogni sussurro e ogni parola che nasceva direttamente dal suo petto, James si chiese se fosse stato mai veramente felice in tutta la sua vita.
Perché non c’era solo il caldo, la necessità, il desiderio di prendere quel corpo steso sotto il suo; c’era forza, e bisogno di dare, dare ogni cosa che scorreva nel suo sangue a quella donna che era in grado di farlo sentire in armonia col mondo e, per una volta, in pace con se stesso.
Stendendosi accanto a lei e stringendosela contro il petto per impedire al suo calore di essere rubato dalla notte, lui decise che, qualsiasi cosa sarebbe accaduta domani, questo sarebbe stato solo l’inizio.


Per la prima volta da quando lui e gli altri si erano stabiliti tra i ranghi del Progetto Dharma, James non fu svegliato dal trillo della sveglia o da una voce squillante che entrava dalla porta accompagnata dal profumo di caffè a ricordargli che doveva far presto e svegliarsi per andare al lavoro.
Aprì gli occhi lentamente, accompagnato dal respiro regolare della donna ancora addormentata al suo fianco. Guardò il soffitto ancora immerso nel buio e girò gli occhi verso la sveglia che ticchettava, veloce e regolare, segnando che mancavano una manciata di minuti alle sette.
Sbadigliò, piano, per non far rumore e si girò, con delicatezza, a guardare il viso rilassato di Juliet premuto contro il cuscino. Sorrise, facendo scorrere un dito sulla sua guancia vellutata e scostando una ciocca di capelli biondi che le portò dietro all’orecchio. Si tirò indietro, facendo scricchiolare le molle del letto e si appoggiò con il gomito contro il cuscino per poterla guardare.
Era bella, quando dormiva, forse ancora più bella del solito, con la fronte distesa e le labbra curvate appena in quello che sembrava essere un sorriso appena accennato. James sospirò e si rese conto che, anche se se ne rimaneva lì a guardarla imbambolato, non riusciva a sentirsi come un moccioso alla prima cotta.
Non sapeva esattamente descrivere quel calore, quella calma, quella sicurezza in se stesso che iniziavano a nascere dentro di lui, sapeva soltanto che era tutta colpa di quella bellissima donna che aveva convinto a rimanergli accanto. Le sfiorò la punta del naso e, dietro di lui, sentì la molla scattare e la sveglia iniziare a suonare.
Scattò su dal letto come una molla e si rigirò tra le coperte cercando di spegnerla il più velocemente possibile. Schiacciò il pulsante con stizza e si voltò di nuovo, sperando che l’allarme – e i suoi movimenti non esattamente felini – non l’avessero svegliata.
Juliet, dietro di lui, lo accolse con un sorriso e una luce divertita negli occhi.
James si sbatté una mano in faccia. «Scusa,» rise, «ho cercato di fare piano.»
«Ho notato.»
I due rimasero per un istante a guardarsi in silenzio e poi lui le sfiorò una guancia con le nocche. «Buongiorno,» disse, tornando a stendersi sul cuscino.
Juliet raccolse il lenzuolo attorno al seno e si stese meglio su un fianco. «Buongiorno,» disse, con una nota divertita nella voce.
James inarcò un sopracciglio: «Che c’è?»
«Niente. Mi sento bene.»
«Già, anche io.»
Juliet si scostò i capelli che le erano caduti sul viso e si mise a sedere, tirandosi la pelle della schiena. James le afferrò un braccio e la strattonò, costringendola a tornare giù, accanto a lui. «James!»
«Oi, oi, oi, dove credi di andare, biondina?»
Lei rise, accarezzandogli il viso. «È suonata la sveglia, dobbiamo alzarci.»
«Ma neanche per idea, noi non andiamo proprio da nessuna parte. Vieni qui,» le passò un braccio attorno alla vita e se la strinse al petto, affondando il viso nei suoi capelli. Juliet sbuffò, ma non si oppose, sistemandosi contro di lui. «Dobbiamo andare al lavoro.»
James le accarezzò la schiena pigramente, facendo schioccare la lingua. «No, no. Tu e io ce ne restiamo qui e se qualcuno osa anche solo dire una parola, gli diremo che ci siamo presi un paio d’ore per festeggiare.»
Juliet rise. «Festeggiare cosa?»
«Come cosa? San Valentino, mi sembra ovvio. Non ti sembrerà mica che ci conosciamo da troppo poco tempo?»
Lei sollevò il viso e lo guardò in faccia, sperando di trovare sulla sua espressione un qualche indizio che indicasse che stava scherzando. «Parli sul serio?»
«Direi di sì,» disse, e la tirò nuovamente contro di sé, baciandola.
Fanculo il lavoro, la Dharma e pure il mondo intero. Per quella mattina, avrebbero aspettato.


  
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