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Autore: Shu    13/07/2005    7 recensioni
Suggestioni da X 1, 5 e 18 per un piccolo racconto di un istante, un istante tinto di rosso e di bianco che cambierà la vita di una ragazza dai capelli neri...
Genere: Drammatico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Arashi Kishu, Sorata Arisugawa
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Le rouge et le blanc

 

 

 

 

Aprì gli occhi perché i raggi del sole si erano insinuati fra le sue ciglia, avevano bussato con gentilezza alle sue palpebre e avevano fatto annegare il suo sguardo appena sveglio in un oceano di luce. Aprì gli occhi con voluttuosa lentezza, come timorosa d’interrompere quella sensazione calda di pace che l’avvolgeva, ma insieme impaziente, con il cuore che martellava la sua emozione immaginando quello che avrebbe trovato al risveglio, quella mattina. Aprì gli occhi e si trovò contro il petto caldo di lui, stretta senza timore né pudore al suo corpo vivo, abbandonata tra braccia a loro volta abbandonate su di lei. Il sole illuminava ormai completamente l’ambiente, svelando ogni piccolo particolare di quella stanza di ospedale, quella camera così normale, normale, mentre lei… Si tirò su di scatto, le guance colte da un improvviso rossore, gli occhi per un attimo disorientati. Ma il viso rischiarato dal sole del ragazzo addormentato accanto a lei la fermò. Quel volto ancora immerso nel sonno, così abbandonato, così limpido, così ignaro e senza difese, le riportò con naturalezza nel cuore la calma e la pace.

Lente, e subito ansiose ondate di ricordi l’assalivano e si riversavano dentro di lei, visioni, percezioni, la paura, e, mescolata ad essa, l’oscura, meravigliosa  attrazione della fisicità di una presenza, della presenza. Poteva ancora avvertire intorno a sé la sensazione tiepida e vellutata del contatto, come se un’ombra delle braccia di lui continuasse impercettibilmente ad imprigionare la sua schiena. Non aveva mai provato la percezione della presenza in modo così intenso e compatto prima di allora, ma in quel momento pensò che quel sentore, quel fantasma di abbraccio avrebbe rivestito la sua pelle per sempre, sempre.

E adesso nessun rossore le infiammava più le sue guance, tutto si posava su di lei con morbidezza, piano, senza rumore, ma allo stesso tempo con una delizia che quasi le faceva perdere i sensi. La luce del giorno, il candore delle pareti, delle lenzuola, del cuscino, delle bende slacciate tra i capelli di lui e sulla mano che ancora la stringeva lievemente alla vita, tutto quel bianco se lo sentiva adesso dilagare dentro, e annegarla in un’accecante dolcezza. E sorrise. Sorrise spontaneamente, semplicemente perché era felice, e non le sembrava di esserlo stata mai fino ad allora. Sorrise perché tutto era così facile, e leggero, e caldo, e perché lui le appariva così bello con i capelli spettinati e sparsi sul cuscino, con quel suo ampio petto nel quale aveva riposato ubriaca di dolcezza. Adesso non provava altro che tenerezza, e amore, si sentiva traboccare solo di gratitudine, e gioia, perché sapeva che anche lui, ora, nei suoi sogni, stava provando la stessa cosa.

E, d’istinto, si chinò a sfiorargli la fronte con un bacio. Stringendosi il lenzuolo intorno al corpo, mescolando i suoi lunghi capelli neri a quelli di lui, toccò con le labbra il suo viso con fervore, con desiderio vibrante, con amore.

Ma quando le labbra di lei si staccarono dalla fronte del ragazzo, tutto era già cambiato. Un brivido le percorse la schiena, e lei si tirò a sedere sul letto, coprendosi col lenzuolo leggero, colta da un inatteso timore. Come se una nuvola fosse passata ad oscurare, per un istante, il sole, un angosciante sospetto le aveva attraversato la mente. Guardò il ragazzo. Poi tese la sinistra davanti a sé. E allora capì. I suoi occhi divennero vuoti come le sue vene, niente esisteva più. Era già tutto finito.

Solo si strinse la mano al petto, piegata su se stessa per difendersi, invano, da quel freddo che le penetrava nelle membra, che nessun altro corpo avrebbe più potuto scacciare.

Si rivestì con gesti silenziosi e stanchi, privi di senso. Non guardò verso il letto mentre si annodava intorno al collo il foulard della divisa, non gettò indietro nessuno sguardo quando aprì la porta, non lasciò che gli occhi scivolassero un’ultima volta sul corpo dell’uomo reclinato e inconsapevole mentre la chiudeva senza rumore.

Fuori, il sole spandeva la sua luce nera su un mondo già morto.

 

Era di nuovo notte, e lei aveva già dimenticato. Aveva già dimenticato il sangue che aveva intriso i soliti vestiti sportivi di lui, l’abisso di folle terrore che le si era spalancato sotto i piedi, aveva già dimenticato la mano salita ad asciugarle le lacrime dal viso, e la stretta traboccante di desiderio e di sole che aveva occupato totalmente il suo petto, e quelle labbra gentili, quelle braccia impazienti, quel battito turbinoso del cuore di lui contro il suo orecchio… Tutto era già morto e affogato dentro il vuoto di una mano senza forze, senza più scopo e senza perché.

Semplicemente non poteva pensare di vivere se da allora in poi avrebbe dovuto soltanto stare a guardare, a guardare il mondo che moriva intorno a lei senza poter fare niente, a guardare gli amici che non poteva proteggere, ad aspettare chiusa in una stanza buia e vuota mentre il telefono suonava a distesa senza il coraggio di rispondere perché avrebbe potuto essere la notizia che lui… Non poteva più vivere.

E allora sapeva quello che doveva fare. La notte la stringeva ma niente ormai poteva più farle del male, tutto si confondeva nel baratro deserto che le si era aperto nell’anima, non riusciva più a provare niente, niente. Si sentiva solo un inutile peso, un essere senza perché, privata di tutto quello di cui aveva vissuto fino ad allora. Perché non riusciva a provare più niente, niente, nemmeno la disperazione, l’ultimo dei sentimenti umani. Sola sull’immenso tetto di un immenso grattacelo di cemento e vetro, volgeva il viso al cielo nero come per chiedere un respiro. E quel respiro le si fermò in gola.

“Ho deciso che sarai tu…”

“Ho deciso che sarai tu… la persona a cui donerò la mia vita.”

Lui…

Lui le aveva detto quelle parole… Quelle parole terribili che aveva pronunciato con un sorriso disincantato e accattivante, con il viso seminascosto dai giochi di luce del sole fra i rami, in quella giornata aperta e chiara dove non sembrava possibile credere a nessuna profezia di morte, fra il profumo delle foglie e il suono di piombo di quella frase… Lui quelle parole le aveva accettate come fossero semplicemente parte necessaria della sua esistenza, così, con un sorriso, e con altrettanta semplicità le aveva donate a lei, con quella spontaneità con la quale percorreva ogni giorno la vita. E d’improvviso sentì che quella profezia stava alle sue spalle per seguirla ad ogni passo, che se la sarebbe trascinata dietro, nell’ombra, per sempre, e capì che erano quelle parole a impregnare di rosso le bende di lui, a far scivolare quel rivolo di sangue sulla sua pelle abbronzata, a non far aprire i suoi occhi in mezzo a tutto quel terribile bianco di una stanza d’ospedale.

“…sarai tu…la persona a cui donerò…la mia vita…”

No, no, non voleva, non voleva che succedesse, non voleva che nessuno morisse per lei… Eppure quelle parole così terribili…erano anche parole così colme d’amore, solo il preludio di tutte le altre dolcissime cose che lui le aveva detto tante e tante volte, che le aveva sussurrato mentre la serrava fra le braccia solo una notte prima… solo l’altra notte…

Lui era disposto a morire per lei…

Si strinse nelle spalle, affondò le unghie nei vestiti e nella pelle, nel tentativo ancora vano di respingere quel brivido strisciante, quel gelo che le si rovesciava addosso togliendole il respiro. Sapeva cosa doveva fare. Non poteva piangere, no, doveva trattenere le lacrime, non avrebbe pianto…

E non pianse.

Quelle gocce di cristallo non avrebbero più rischiarato nessuna notte.

 

Lui la stava ancora sognando. Sognava il volto di lei in controluce e il suo sorriso timido, i suoi occhi fuggevoli sopra le guance un po’ rosse. No, non voleva che spostasse lo sguardo, non voleva che si allontanasse, no… Toccarla… Voleva allungare una mano e toccare quella pelle resa dorata dai raggi del sole, voleva trattenerla, ma non sentiva abbastanza forze.

Ma lei si fermò. Aveva capito. Il suo sorriso rifletteva adesso la vastità di un cielo fatto solo di dolcezza, fatto solo per lui, e quella mano lo dissetava di una carezza che aspettava da troppo tempo. Ecco, ora era immobile nella luce che la inondava alle spalle, solo di luce vestita, luce ella stessa, adesso non sarebbe più andata via, e lui non sarebbe mai stato solo. Lei restava lì, si lasciava finalmente contemplare, toccare, abbracciare, perché non desiderava più volare via altrove, ne era certo.Vedeva i suoi occhi avvicinarsi sempre di più e poi socchiudersi con lentezza, poteva sentire i suoi capelli accarezzargli le guance, spargersi sul suo viso, così, e poi avvertire due labbra di cristallo cercare le sue, per seguire desideri che adesso erano di entrambi. Il tempo non esisteva più. Tutto sarebbe durato per sempre.

Il distacco fu leggero. Lei si tirò su lentamente, mentre lui si attardava con le dita tra i suoi capelli. Quando anche l’ultima ciocca gli fu scivolata via dalla mano, lei fu in piedi. Per un attimo, la sua pelle rifulse sotto i raggi, poi lei si coprì col lenzuolo in un delizioso gesto pudico. Quanta tenerezza gli faceva… Adesso che lei gli voltava le spalle, poteva piangere, per una volta. Vide ancora la sua figura sfuocata attraverso il velo delle lacrime drappeggiarsi di nuovo addosso, con gesti più ampi, la stoffa bianca… bianca…

E d’un tratto, lei voltò il viso. E solo allora lui si accorse, con orrore, che il drappo candido che la ricopriva era macchiato di rosso. Di… sangue. Sangue che scivolava denso e imbeveva la stoffa sospesa al suo braccio, sangue che uccideva il candore immacolato, sangue che avvolgeva di rubino e di bianco la sua esile figura. Nessun sole brillava più dall’alta finestra. Solo una sottile falce di luna si rifletteva adesso nello sguardo di nuovo impassibile di lei: una falce sottile e affilata. Ma mai tagliente quanto il sorriso crudele che si aprì sul volto di lei, mentre la stanza spariva vorticando in un turbine di piume nere, precipitava in un abisso oscuro senza fondo dove poteva sentire solo il suo stesso grido disperato, infinito.

Si svegliò in un bagno di sudore. E il suo letto era vuoto.

 

 

 

 

 

 

 

 

--------------

 

 

 

----- dedico questo piccolo racconto a Harriet, con un immenso GRAZIE… nonché a tutti quelli che, come me, adorano la dolcissima coppia Sorata-Arashi, ei il mondo di X! Grazie di aver letto, e spero che avrete qualche consiglio o commento da lasciarmi…

   
 
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