Storie originali > Commedia
Ricorda la storia  |      
Autore: Melanto    06/02/2010    4 recensioni
«Ma quale camomilla! Cosa vuoi che se ne faccia?!». Piero detto Pippi, testimone della sposa, gay dichiarato, in completo grigio e cravatta salmone, corresse ampiamente il caffè che porse a Gaia, ovvero la Sposa Mancata, che continuava a guardarsi attorno spaesata e svuotata.
Genere: Commedia, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Documento senza titolo

Scritta per il “Carnevale di Fanworld” indetto da “Fanworld.it”.
Tabella: “Carnevale di Venezia” | Prompt: #2 – Sposa

 

La vida es un Carnaval

Dopo litri di lacrime, in un infinito inseguirsi di singhiozzi e “Non ci credo! Non può essere”, realizzò quella che era la semplice e, proprio per questo, distruttiva verità: l’aveva mollata il giorno del matrimonio.
L’aveva mollata davanti la Chiesa, col suo bellissimo abito da sposa candido e pieno di volant e tulle e nastrini e paiette che l’aveva fatta sentire, per la prima e unica volta in vita sua, una Vera Principessa. L’aveva mollata senza nemmeno presentarsi per dirle: “Ehi, cretina, non ti voglio più sposare perché blablabla”, dove al ‘blablabla’ si sarebbe potuto inserire un motivo a piacere. L’aveva mollata davanti a tutti i suoi parenti: madre piangente, padre furente, zia svenuta, nonna rincoglionita, sorella sconvolta, testimone strillante. L’aveva mollata senza mandarle nemmeno uno che sia stato uno dei suoi di parenti serpenti e fratelli coltelli a dirle: “Ehi, cretina, non si svolgerà nessun matrimonio.”.
L’aveva mollata davanti ad un prete pirla che continuava a borbottare: “Ma questi giovani d’oggi! Quanto tempo fanno perdere! Io ho altre funzioni da espletare!”
L’aveva mollata.
E lei era scoppiata a piangere, cadendo al suolo col tulle che si era gonfiato come un palloncino, sommergendola fino alla testa. Qualcuno aveva cercato di consolarla, prima che delle braccia l’avessero sollevata costringendola a camminare verso la macchina che, dopotutto, era stata noleggiata e sarebbe stato uno spreco non usare. Qualcun altro l’aveva aiutata a scendere dal mezzo, a salire le scale del palazzo, mentre lei continuava a piangere come un idrante rotto e quando era riuscita ad essere di nuovo in grado di formulare pensieri coerenti come: “Chi sono? Dove sono? Dove sto andando?” si era ritrovata nel salotto di quello che avrebbe dovuto essere il suo Nido D’amore Dall’Infinito Mutuo, seduta sul divano, con una marea di fazzolettini attorno e con il vestito ancora indosso che le impediva parte della visuale.
Dei suoi parenti non era rimasto nessuno. Solo Gea, sua sorella, continuava a restarle seduta accanto.
«Ma’?» domandò in un singhiozzo.
«A casa, a farsi prendere dagli scompensi in tutta tranquillità.»
«Pa’?»
«Incazzato come un toporagno neo-zelandese, starà cercando di mettersi in contatto con i tuoi quasi-ma-già-ex-suoceri. Lo sai che gli stronzi non si fanno trovare al telefono? Zio Domenico ha fatto i diavoli a quattro per cercare di tener buono il babbo che voleva andarli a prendere con lo schioppo fin sotto casa.»
«Pippi
«Sono qui.» sospirò una voce maschile, comparendo dalla cucina con un vassoio sul quale erano appoggiate tre tazze di caffè ed una bottiglia di Cointreau.
Gea gli abbaiò contro. «Ma che hai portato?! Ci voleva una camomilla!»
«Ma quale camomilla! Cosa vuoi che se ne faccia?!». Piero detto Pippi, testimone della sposa, gay dichiarato, in completo grigio e cravatta salmone, corresse ampiamente il caffè che porse a Gaia, ovvero la Sposa Mancata, che continuava a guardarsi attorno spaesata e svuotata.
Mentre Pippi e Gea seguitavano a battibeccare sul fatto se fosse opportuno o meno darle qualcosa di forte, lei afferrò la tazzina fissando il liquido, caldo ma non troppo, senza nemmeno vederlo.
«Mi ha mollata.» esalò, zittendo i due litiganti.
«Sì tesoro, esattamente da…» Pippi guardò l’orologio «…cinque ore.»
Gaia tracannò il caffè d’un sol sorso, avvertendo il forte del Cointreau bruciarle la gola e che le fece emettere un roco verso da scaricatore di porto. «Fottuto figlio di puttana.» concluse, lasciando cadere la tazzina sul vassoio con malagrazia e facendola ribaltare. Il fondo del caffè si riversò sulla plastica.
«Quando te lo dicevamo noi non ci davi retta!» sbuffò la sorella incrociando le braccia al petto, ma pentendosi subito di aver assunto quel tono da saputella. «Scusa.»
«Hai ragione, Gè. Avevate ragione tutti e due.» convenne Gaia, poi sbuffò un ghignetto. «Questo matrimonio doveva chiudersi proprio in una farsa. Oggi è pure Carnevale!»
Pippi cominciò ad agitare l’indice. «Di Venere e di Marte non si sposa, non si parte né si dà principio all’arte! Tu non hai voluto credermi quando dicevo che portava sfortuna!»
«Sapete cos’è che mi manda in bestia più di tutto?» la Sposa balzò in piedi, tenendosi su l’ampia gonna e cercando di non inciamparci dentro. «Che quel verme non abbia avuto nemmeno le palle di presentarsi e dirmelo in faccia! Fino a ieri era tutto ‘oh, amore, tesoro’ ed oggi… oggi…» il suo sguardo cadde sull’orrendo vaso in simil porcellana di Capodimonte che le aveva sempre fatto schifo, ma che, ehi!, era un regalo della suocera, guai a non tenerlo in bella vista. Ridacchiò con fare psicotico, tanto che Gea si fece più vicino a Piero per sussurrargli quel: «Te l’avevo detto di darle una camomilla.»
Gaia nemmeno li udì, afferrò il vaso, lo guardò un’ultima volta con un sorriso spaventoso, guardò la sorella ed il testimone e poi lo lanciò al suolo con tutta la forza che aveva, facendone centinaia di pezzi.
«Te lo do io l’amore-tesoro, MOSTRO!» ed afferrò un altro oggetto, mandandolo a schiantarsi assieme ai resti del vaso.
Gea e Pippi balzarono dal divano per correre a bloccarla.
«Oddio, fermala! È passata alla crisi isterica!» sbottò Piero, prendendola per le braccia, mentre la sorella l’afferrava per i piedi che cominciavano a scalciare come forsennati, ma la cui forza veniva attutita dal tulle della gonna.
«Voglio cavargli gli occhi! Voglio strappargli le palle e giocarci a carambola! Voglio sodomizzarlo con il suo stesso microbico ucc-…»
«Sì, ok, abbiamo capito, basta così!» tentò di arginarla Gea.
«Ti odio! Ti odio, mi hai rovinato la vita! Ti odio!»
«Piantala! Non ti ha rovinato nulla solo per un pelo!» le urlò Piero mentre lei continuava a dimenarsi «Pensa se l’avessi sposato! Allora sì che t’avrebbe rovinato per sempre!» e quelle parole seppero sortire l’effetto voluto. Infatti, Gaia cominciò ad acquietarsi con buona pace di Pippi e Gea che la lasciarono andare, respirando col fiatone.
Lei, invece, sembrò come realizzare qualcosa di assurdamente meraviglioso. «E’ vero.»
Piero si passò una mano sul viso. «Sta dando i numeri. Da quando è diventata astemia, tua sorella, Gè?»
«Capiscila, è stata con Marcello per quasi cinque anni. E’ come se le avessero fatto l’elettroshock continuato!»
«E’ VERO!» intanto Gaia continuava a strillare come impazzita «Sono libera! Potrò comprarmi quello che voglio senza sentire i suoi patetici consigli! Potrò mandare a fare in culo il calcio la domenica pomeriggio e non esser costretta a stare tutto il tempo sul divano con lui che bestemmia contro la sua squadra del cazzo! Potrò andarmene in vacanza dove più mi piace e non per forza alla casa al mare dei suoi che, sinceramente, mi fa schifo!» con foga s’alzò la gonna, correndo nel bagno ed uscendone con tutte le cianfrusaglie che Marcello aveva lasciato da lei – spazzolino, pettine, gel puzzolente, dopobarba – e le gettò nel bidoncino della cucina. «Potrò vivere! Vivere di nuovo! Vivere davvero! Come non ho più fatto da quando ci siamo fidanzati!» gli occhi che le brillavano, le mani che tremavano dalla frenesia. «Io non ho perso, io ho ritrovato: la mia libertà! E me la comincerò a godere fin da subito!». Senza aggiungere altro, caricò la porta dell’appartamento, spalancandola di scatto e cominciando a scendere le scale.
«Ma dove vuoi andare conciata così?!» le urlò Pippi con le mani nei capelli, correndole dietro e fermandosi sull’uscio.
Lei si volse a metà scalinata, le signore degli altri piani che si affacciarono incuriosite dal trambusto che quel giorno sembrava essere di moda nel palazzo; quando la videro con ancora indosso l’abito da sposa rimasero ammutolite e con un sopracciglio inarcato.
«Vado a riprendermi la mia vita!» fu la risposta di Gaia e scomparve nella sua nuvola di tulle.

Mentre camminava a passo di carica per le vie cittadine, pensò che avesse fatto bene a comprare anche la stola di pelliccia da mettere sulle spalle, per quanto fosse quantomeno ironico, quel pensiero, e futile. Era un Febbraio piuttosto freddo, ma Gaia continuava a ridacchiare indomita, attirandosi gli sguardi di tutti che non sapevano se fosse vestita in maschera o fosse davvero una sposa.
L’acconciatura era andata a puttane, il trucco si era sbavato alla grande ed il vento continuava a schiaffeggiarla come se niente fosse. La giovane s’appuntò che avrebbe dovuto stilare un bel conto per il parrucchiere, l’estetista ed il noleggio dell’auto andati a vuoto da presentare a Marcello. Sempre se lo stronzo non fosse scappato alle isole Cayman, nel frattempo.
Camminò per le strade che portavano al corso, dove poteva già sentire la banda della sfilata suonare musiche allegre.
Dei bambini le lanciarono addosso un pugno di coriandoli e sgattaiolarono via intonando la marcia nuziale. Le venne da piangere, ma si sforzò di ridere.
Era uscita con l’intento di riprendersi tutto quello che aveva perduto dietro quel pantofolaio egocentrico e scroccone e le lacrime non erano contemplate, visto che ne aveva già versate a secchi.
Di lontano, vide la sfilata passare sul corso principale e s’affrettò a raggiungerla. I canti e le risa la fecero calare adagio e con allegria nella vivacità della festa. La gente intorno, tra Arlecchini e Pierrot, le sorrise, le tese la mano e la trascinò nel vortice del Carnevale che impazzava per le via della città. Qualcuno le passò un cappellino di carta che lei indossò, un vecchietto le fece l’inchino e la trascinò in un ballo improvvisato. Lei piroettò e danzò come se lo stesse facendo a quello che avrebbe dovuto essere il suo banchetto nuziale. Il vecchietto divenne un papà in prestito a cui concedere di aprire le danze. Poi l’omino andò via, per dedicarsi ad un’altra dama, e lei continuò a cantare e ridere e sentirsi ugualmente una Principessa tra altre decine di Principesse. Lanciò coriandoli nel corteo, che sfilava racchiuso tra i due carri, srotolò stelle filanti e le usò per abbellirsi l’acconciatura ormai sfatta. Pensò che, in fondo, non era successo nulla, non aveva perso l’uomo della sua vita perché Marcello, sotto sotto, non lo era  mai stato. Era stato il miraggio della stabilità di una vita tranquilla e l’abitudine di un rapporto durato per anni; era stato il genero che tanto piaceva a sua madre e che rendeva soddisfatto e sereno suo padre. Ma era sempre stato un vero coglione ricoperto di belle parole ed illusioni. E lei vi aveva creduto, scoprendo a poco a poco cosa invece si celasse sotto la patina lucida e finta. Troppo tardi, però, ed aveva cercato di convincersi che sarebbe stato bello lo stesso; se non meraviglioso, almeno normale.
Peccato che nel culo l’avesse preso solo lei. Che a ritrovarsi come una cretina davanti la Chiesa e senza lo sposo fosse stata solo lei. Che a restare illusa e sola, sola, sola, adesso, fosse esclusivamente lei.
E tutto quello, quel ridere, ballare, cantare, piroettare, ostentato come se fosse davvero ciò che stesse provando, era nient’altro che patetico perché non riusciva ad accettare di sentirsi triste e fallita come mai in vita sua.
Adagio si fermò, mentre tutti le passavano attorno ed erano davvero felici e si stavano davvero divertendo, ma lei non più. E la sua seconda illusione, quella della rivalsa, del ‘finalmente libera’, si era esaurita ben prima di quanto avesse sperato, lasciandole il retrogusto amaro della solitudine e dell’abbandono.
Lentamente s’allontanò dal corteo, trascinandosi di nuovo per le strade della città fino a fermarsi davanti ad una delle Chiese del centro storico. Le porte erano aperte, ma non aveva la minima voglia di entrare. Che cazzo, non era nemmeno credente! E già aveva calpestato per l’ennesima volta i suoi principi facendosi la cresima, perché quella vacca della sua ex-fanculo-suocera era una bigotta schifosa e viscida e “Oh, Cielo! Vi dovete sposare assolutamente in Chiesa! Marcellino-mio è cattolico praticante!”.
- No, stronza, Marcellino-tuo di praticante fa solo il coglione! – pensò con rabbia, mentre si lasciava cadere sui gradini; il viso affondato nelle mani ed il vestito, dall’orlo ormai ingrigito per la terra che aveva raccattato per strada, che le si era gonfiato attorno nel sedersi.
Si mise a piangere senza nemmeno rendersene conto.
«Ehi, che fai? Piangi nell’unico giorno in cui si dovrebbe ridere?»
Gaia sbuffò, tirando su col naso; il simpaticone dell’ultimo minuto davvero le mancava. Si volse, pronta ad azzannarlo a suon di parolacce, quando si accorse che era un prete. Probabilmente uscito dalla Chiesa alle sue spalle. Oh, no! Le mancava solo la predica!
«E chi l’ha detto che oggi si dovrebbe solo ridere?»
L’ecclesiastico, che era giovane e dal sorriso cordiale e contagioso, si sedette accanto a lei. «Beh, è Carnevale. La festa delle burle e degli scherzi e poi… le spose non piangono, se non di gioia, ma tu non sembri affatto felice.»
Gaia lo guardò meglio. Aveva i capelli corti, compostamente pettinati con la riga al lato, gli occhialetti rotondi ed un viso pulito, vivace e carino.
«Se la sposa viene piantata sull’altare, credo che abbia tutti i motivi per non piangere di letizia. Lei che dice?»
Il ragazzo si accigliò. «Oh, decisamente spiacevole.»
«Padre, secondo lei: se gli bucassi le ruote della macchina, gli spaccassi i vetri di casa e gli riversassi la spazzatura in giardino, crede che riuscirei a trovare un po’ di conforto interiore o finirei solo all’Inferno senza alcun senso di appagamento e rivalsa?»
Il prete rise divertito e Gaia trovò che anche la sua risata fosse contagiosa, tanto che accennò ad un verso ilare, ma c’era troppa amarezza nel suo cuore e alla fine ricominciò a piangere, cercando un conforto nell’abbraccio del giovane che non glielo negò, avvolgendole le spalle.
«Tutto questo è ingiusto! Io non ho fatto niente di male per meritarmelo!» si sfogò.
«Lo amavi davvero?» l’ecclesiastico glielo chiese mentre le accarezzava i capelli scuri, togliendole il cappellino di carta e le buffe stelle filanti con cui se li era abbelliti e che spuntavano sfilacciate.
Lei dovette ammettere con sé stessa che no, da tempo, ormai, non lo amava più. Scosse il capo, singhiozzando.
«E allora non c’è niente di ingiusto in questo dolore passeggero.» le disse, costringendola ad alzare il capo «Perché di questo si tratta. Per quanto male possa fare ora, col tempo passerà. Un momento di felicità l’avresti pagato con l’infelicità di una vita intera. Non credi che sia meglio che sia andata così?» concluse lui, pescando dei fazzoletti dalla tasca dell’abito nero e porgendoglieli.
Gaia cercò di asciugarsi gli occhi, ed il trucco finì di sbavarsi e, a pensarci bene, doveva essere, non orribile: di più! Il mostro di Lochness al confronto sarebbe risultato Mister Universo.
«La vita è così, è come il Carnevale, troppo breve per consumarla nelle lacrime di momenti tristi che non dureranno per sempre.». Continuò il giovane che si alzò e le sorrise ancora. «E’ meglio dedicare il nostro tempo, le nostre energie e, sì, anche il nostro dolore, a ciò per cui valga davvero la pena e a chi vogliamo bene, non a chi ci vuole male. Tutto il resto sono coriandoli da lanciare nel vento, ci penserà lui a portarseli via.»
Gaia sorrise e questa volta per davvero, con sincerità e senza ironia. Sollevò gli occhi nocciola sul parroco che restava in piedi davanti a lei e pensò che avesse ragione, che il tempo fosse sul serio quello che era e che, in fondo, nella sfortuna aveva trovato la fortuna di liberarsi della persona sbagliata. Pensò anche che voleva tornare da Pippi e Gea i quali, sicuramente, dovevano essere preoccupati per lei, e lasciare che loro la coccolassero ancora per un po’ e poi… e poi boh, avrebbe mandato la nota spese a Marcello perché, vaffanculo!, gliel’avrebbe fatta scontare con tutti i sacramenti prima di eradicarlo per sempre dalla sua esistenza, per poi ricominciare.
«Grazie, Padre. Fossero tutti così simpatici, i preti, credo che sarei stata una parrocchiana più diligente.» ridacchiò, vergognandosi appena per la sfacciataggine, ma il ragazzo rise ancora più divertito di lei, scuotendo il capo.
«Ti arrabbi se ti dico che non sono un prete?» le domandò lo sconosciuto, inginocchiandosi e togliendosi gli occhiali che, solo allora, Gaia si accorse essere finti. «Mi chiamo Teo. E questo è l’abito di mio zio, il vero prete è lui, io gliel’ho… preso in prestito per Carnevale e, anzi, appena lo scoprirà, manderà a quel paese la Divina Misericordia per dirmele di tutti i colori.»
Lei lo fissò con iniziale sorpresa, mentre lo vedeva passarsi con imbarazzo una mano sui capelli, anche quelli sicuramente acconciati in stile retrò solo per la festa. «Ehm, scusa se non te l’ho confessato subito, però… quello che ti ho detto lo penso davvero. La vita è davvero troppo breve per lasciarsi sopraffare dalle avversità.»
In quel momento, Gaia realizzò la situazione arrossendo fino alla punta dei capelli, con gli occhi fissi in quelli di Teo-l’abito-non-fa-il-monaco, e si portò le mani al viso. «Oddio! Ma che figura!»
L’altro rise. «Ma no, dai, non dire così! Mi dispiace per quello che ti è accaduto e spero che tu possa trovare presto la felicità che meriti.» le augurò, allungandole la mano per aiutarla ad alzarsi e lei la strinse, dandosi una spinta e cercando di non inciampare nel marasma del tulle.
«Gaia!» la voce allarmata di Pippi la raggiunse con quel tipico tono ultrasonico di cui, il suo migliore amico, sapeva essere capace. «Oh, eccola! Grazie a Dio è viva e sta bene!»
«Certo che sta bene, Piero! Eri tu l’unico a pensare male!» protestò Gea al suo fianco, mentre insieme la raggiungevano in rapidi passi.
Piero prese la mani del giovane parroco, quasi con le lacrime agli occhi. «Oh, grazie Padre! Meno male che c’era lei!» poi rivolse un’occhiataccia a Gaia. «Disgraziata! Ero convinto di dover venire a ripescare il tuo cadavere nel fiume!»
«Ma che diavolo stai dicendo!» sbottò l’interpellata, prima di stringere sua sorella in un abbraccio affettuoso.
«Ah, sta’ zitta! Lo so io di cosa sei capace! Padre, grazie! Grazie mille!» e Gaia stava quasi per rivelare la verità su Teo, che cercava di trattenere una risata, quando quest’ultimo fece un solenne segno della Croce, benedicendoli tutti e tre.
«Che la pace sia con te, Gaia. E sii lieta di nome e di fatto.» le sorrise, inforcando gli occhiali finti, mentre la ragazza pensava che il suo nome, detto da lui, non suonasse affatto male. Poi lo vide allontanarsi, con Pippi che si portava una mano al mento assumendo un piglio indagatore.
«Ma io non me lo ricordavo mica un prete così giovane e carino da queste parti. E tu, Gè?»
«No, nemmeno io.» si strinse nelle spalle l’altra, ma Gaia prese ambedue sotto braccio, rivolgendo loro un solare sorriso.
«Torniamo a casa, ho voglia di un caffè corretto.»
«No, per carità!» sbottarono Pippi e Gea all’unisono, mentre lei rideva e pensava che, dopotutto, la città non fosse tanto grande e che di preti non ce n’erano poi molti: quanti potevano avere un nipote carino di nome Teo?

 

Todo aquel que piense
Que la vida es desigual
Tiene que saber que no es asì
Que la vida es un hermosura
Hay que vivirla

Todo aquel que piense
Que està solo y que està mal
Tiene que saber que no es asì
Que en la vida no hay nadie solo
Y siempre hay algie


Ay, no hay que llorar,
Que la vida es un carnaval
Y es mas bello vivir cantando
Oh, oh, oh, ay, no hay que llorar
Que la vida es un carnaval
Y las penas se van cantando

Todo aquel que piense
Que la vida siempre es cruel
Tiene que saber que no es asì
Que tan solo ay momentos malos
Y todo pasa

Todo aquel que piense
que esto nunca va a cambiar
tiene que saber que no es asi
que al mal tiempo buena cara
y todo cambia

Ay, no hay que llorar,
Que la vida es un carnaval
Y es mas bello vivir cantando
Oh, oh, oh, ay, no hay que llorar
Que la vida es un carnaval
Y las penas se van cantando

Para aquellos que se quejan tanto
Para aquellos que solo critican
Para aquellos que usan las arman
Para quellos que nos contaminen
Para aquellos que hacen la guerra
Para aquellos que viven pecando
Para aquellos que nos maltratan
Para aquellos que nos contagian

Victor Daniel, interpretata da Celia Cruz – La Vida es un Carnaval

Fine

E’ davvero una storiella senza pretese e un po’ stupidotta, in verità. XD Speravo venisse meglio. Però Pippi e Gea sono carini! **
Qualche curiosità scema:
- Lo Schioppo è, ovviamente, il fucile XD.
- Gaia e Gea erano i nomi che io e mia sorella avevamo dato a due cagnoline che avevano abbandonato per strada e che mia sorella aveva raccolto. Ce ne siamo prese cura fino a che non abbiamo trovato loro dei padroni. Ed io le adoravo tanto. (L)

QUI per sentire la canzone **/

Ribadisco, XD la storiella è proprio scemina.
Grazie, Fanwy **v, anche se mi fai scrivere storie sceme XD

   
 
Leggi le 4 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Commedia / Vai alla pagina dell'autore: Melanto