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Autore: Mikaeru    08/02/2010    4 recensioni
Trisha accompagnava il loro sonno con una tazza di camomilla e tanti baci: iniziava sulle guance, sul naso, e uno per palpebra, abbassandole con le labbra. Faceva una carezza ai loro pancini morbidissimi, spegneva le luci e mormorava i loro nomi pianissimo, salutandoli. Al lo sa perché erano più le volte che rimanevano svegli a leggere e parlare che quelle in cui si addormentavano davvero; ma quando lo facevano, passavano entrambi delle nottate splendide, tranquille.
{sempre per il meme di San Valentino!}
Genere: Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Alphonse Elric, Edward Elric
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Di tutto, ad Alphonse manca dormire perché gli manca tremendamente sognare. Sente nel profondo la mancanza di poter chiudere le palpebre e andare via, verso lidi sconosciuti, verso bellezze che non vedrà mai, verso situazioni migliori, più belle, forse perché la vita che ha ora è tutto fuorché bella – eccitante, avventurosa, ma altrettanto pesante e tremenda. Invidia suo fratello che può rifugiarsi in un mondo onirico in cui essere sereno, se felice è proprio impossibile.

Ricorda che sognava spesso, dopo la morte della mamma, di prendere suo fratello per mano; poteva essere in un campo di grano, un prato infinito, una montagna innevata, ma facevano sempre la stessa cosa, camminavano, camminavano, camminavano, e non si stancavano mai. Non si voltavano mai indietro, e il loro percorso sembrava infinito; e non ridevano, non parlavano, ma ogni tanto si guardavano negli occhi e sorridevano, e questo bastava a farlo svegliare contento e sereno e lasciarlo così per tutta la giornata.

“Ehi, niisan…

Non c’è luna, non c’è stella che illumini la stanza, solo un cielo annuvolato da cui passa un filo di luce debolissimo, piangente per non poter essere più utile al mondo. L’ombra si è mangiata suo fratello, il profilo dei suoi fianchi è quasi invisibile, sforzandosi può intravedere la parte più chiara delle gambe e della testa.

“Sì?”

“Riesci a darmi la buonanotte?”

La voce di Al, che esce da un’armatura, è monocorde e priva di qualsivoglia sentimento. Eppure Edward la avverte incrinata, sente distintamente il fantasma di suo fratello di carne aggrapparsi alla sua canottiera, stringerla sulla schiena, supplichevole.

“Al, a cosa ti serve la buonanotte, non puoi dormire.”

Non c’è altro suono nell’aria, Al accusa il colpo e come se avesse ricevuto una pallonata si tiene lo stomaco, stringendo forte.

“Niisan, non mi importa, ti prego, è una cosa stupida ma puoi farla…

I sospiri di Edward escono sempre carichi di rimprovero e stanchezza, e Al piangerebbe di rabbia, se potesse, non capisce perché essere il punto di sfogo del carattere di merda di suo fratello.

“Al, che diavolo vuol dire darti la buonanotte? Buonanotte, cosa devo fare?!”

La giornata è stata sfiancante; Ed si ritrova a pensare a quanto sia stupido a fare certe richieste, ma è facile farlo per lui, lui non avverte la stanchezza. Il minore è seduto nell’angolo, a cercare di capire.

“Niisan, non c’è nulla di difficile da capire, darmi la buonanotte, come faceva la mamma…

Trisha accompagnava il loro sonno con una tazza di camomilla e tanti baci: iniziava sulle guance, sul naso, e uno per palpebra, abbassandole con le labbra. Faceva una carezza ai loro pancini morbidissimi, spegneva le luci e mormorava i loro nomi pianissimo, salutandoli. Al lo sa perché erano più le volte che rimanevano svegli a leggere e parlare che quelle in cui si addormentavano davvero; ma quando lo facevano, passavano entrambi delle nottate splendide, tranquille.

“Al, non mi va, lasciami dormire in pace, cristo.”

Se Al non fosse troppo amareggiato e non fosse una pesante armatura d’acciaio, crede che lo avrebbe preso a schiaffi.

“… va bene, fa lo stesso, dormi e cancella quel che ho detto.”

E sa, Edward troppo orgoglioso per voltarsi e accontentarlo, almeno per ora, di essersi comportato come il più ignobile dei vermi della terra. Sa che suo fratello lo sta odiando, e nel momento stesso in cui pensa che, se avesse un cuore pulsante e un corpo di pelle e muscoli, avrebbe gli occhi pieni di lacrime perché, insomma, lui ha preso tanto dalla mamma, si odia tremendamente, perché Al è davvero l’unico in tutto il mondo che non si merita le sue sfuriate. (e perché Al è Al, suo fratello, la sua ragione d’esistenza. Non si tratta male la propria aria.)

Nel suo cervello dice scusa con un mormorio sottile e flebile, ma dalle sue labbra non esce che un borbottio antipatico.

“Niisan, ti prego, non infierire…” e per quanto la sua voce sia asettica, Edward ancora riesce a percepire l’astio e la sofferenza, nonostante le parole formino una banale supplica (questo perché non c’è nulla di più profondo del loro legame) che Al, in cuor suo, è sicuro che suo fratello non ascolterà, perché quando è isterico non c’è niente che lo possa rendere di buon umore.

“Non infierisco.”

Le molle del letto cigolano sotto il peso di Edward che si sposta dal materasso al pavimento, le assi di legno gelate si uniscono al concerto di rumori scricchiolando soprattutto sotto l’automail. Si gratta la testa, mentre si avvicina a suo fratello, con un senso di colpa grosso come un buco nero.

“Al, lo sai come sono fatto…

Sì, purtroppo lo sa, è per questo che evita di arrabbiarsi, perché tanto è inutile ed è sicuro che litigare con lui gli farebbe venire il più grosso mal di testa della storia, nonostante la sua testa sia costituita di metallo.

Al adesso non riesce assolutamente a vedere la figura di suo fratello, ma ne sente solo i passi – si fanno via via più vicini a lui, e non sa cosa pensare.

“Lo sai benissimo che…

Sa anche benissimo che non concluderà la frase, perché è troppo orgoglioso per ammettere i propri difetti – e non ammetterebbe neppure di non riuscire ad ammetterli.

“Sì, sì, niisan, lo so.”

Taglia corto perché non ha assolutamente voglia di discutere, né di sentire quelle frasi smangiucchiate che sente sempre quando discutono. I passi cessano, sente il respiro regolare di Ed, il senso di colpa che lo appesantisce. Quando il suo niisan si sente pesante, schiocca leggermente la lingua: ne sente il rumore.

Con lentezza, il rumore dell’automail che sfrega contro di lui.

“Niisan, che stai facendo?”

“Ti do la buonanotte, bambino che non sei altro.”

Ed si è arrampicato sul suo fratellino adorato, gli ha abbracciato l’enorme collo metallico, mettendosi a cavalcioni sulla sua gamba sinistra. Si vergogna come un matto ed è stanco, ma sa che non risolvendo la questione adesso non riuscirebbe a chiudere occhio, e di lasciare Alphonse amareggiato e triste non se ne parla proprio. Gli stringe il collo forte e protende le labbra; gli bacia gli occhi, gli sussurra buonanotte cercando di rimanere, nonostante tutto, il più duro possibile.

E Alphonse ride per quel palesare all’estremo il suo orgoglio anche in situazioni del genere. E sente (sì, sente, nonostante sia fisicamente impossibile, ma loro sono sempre andati contro certe banali leggi) così tanto caldo che ne porterà traccia anche quando riavrà il suo corpo.

  
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