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Autore: Kourin    10/02/2010    2 recensioni
Mi fermo davanti ad una casa. E' piccola ed è abbandonata da tempo. I muri sono scrostati e ricoperti da un intreccio spoglio di piante rampicanti. Dietro ai vetri delle finestre, tende divenute sottili veli ingrigiti ondeggiano come spettri. La porta è aperta e mi invita ad entrare. Loro mi aspettano, come ogni giorno.
Genere: Triste, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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Zefiro

 

 

Lockon Stratos.”

Una nuvola di vapore sale dalle labbra e si dissolve nell'aria fredda ed immobile. La nebbia densa scende sulle lapidi ricoperte di neve.

Non ho mai sopportato la gravità terrestre, ma ora le permetto di mettermi in ginocchio e poi lascio che mi spinga giù fino a farmi cadere su un fianco.

Ma nemmeno da disteso riesco a capire. Dove finisce la terra. Dove inizia il cielo.

Il gelo punge la pelle delle mie guance. Che sensazione strana. Il formicolio si trasforma in dolore, il dolore raggiunge i miei occhi già trafitti da un biancore abbagliante e poi sparisce, perdendosi tra le pietre antiche insieme ai pensieri del passato.

Inizio a non sentire più il mio corpo. Provo a stringere le dita. I polpastrelli grattano il ghiaccio che copre il suolo dormiente. Mi sembra di sentire il suo lamento. Distendo il palmo della mano per accarezzare la terra nel punto in cui l'ho ferita.

La nebbia passa oltre, rivelando una croce bianca non ancora segnata dal tempo. S'innalza sicura, come per indicare con arroganza qualcosa che si trova al di là dello spesso strato di nuvole. Mi giro sulla schiena e levo un braccio verso l'alto, l'indice della mano teso a puntare quel qualcosa. Ma è troppo lontano, non si può afferrare. Lame gelide si piantano in mezzo alle mie vertebre finché non mi arrendo e lascio cadere il braccio, sfinito.

Nevica di nuovo. Cristalli leggeri si depositano sulle lenti degli occhiali. Non ho più bisogno della vista. Sto bene, mi sembra di essere tornato in sintonia con Veda. La mia casa. Il luogo dove mi era concesso di nascere. Il luogo dove mi era concesso di morire.

Invece sono qui, nella terra che è tua, dove la mia coscienza non trova nessun confine, nessun livello, nessuno scopo.

La neve impalpabile e pesante continua a posarsi su di me. Sprofondo nel sonno. Un sonno che non ha principio. E che non ha fine.

 

Non so quanto tempo sia trascorso. Potrebbe essere l'alba, oppure il tramonto.

Mi alzo in piedi e mi inoltro nel bosco di abeti avvolto nella nebbia. Conosco questi alberi uno ad uno perché ho percorso questa strada tante volte. So di essere in ritardo e inizio a correre, senza percepire il peso di alcuna fatica.

Mi fermo davanti ad una casa. E' piccola ed è abbandonata da tempo. I muri sono scrostati e ricoperti da un intreccio spoglio di piante rampicanti. Dietro ai vetri delle finestre, tende divenute sottili veli ingrigiti ondeggiano come spettri. La porta è aperta e mi invita ad entrare. Loro mi aspettano, come ogni giorno.

Quando varco la soglia, la polvere inizia a turbinare in tutta la stanza. Si solleva dagli scaffali di una libreria ancora pieni di oggetti, dalla stoffa sbiadita delle poltrone, dai giocattoli ammucchiati a caso in un angolo. Poi inizia ad adagiarsi lentamente sulle venature scure di un tavolo rettangolare. Intorno, disposte in ordine, ci sono cinque sedie.

Mi siedo al mio posto. Sono certo che è il mio, lo è sempre stato fin da quando ero piccolo. Da quanto non mangio? E' ora di cena, ma non sento la fame.

Davanti a me ci sono mio padre, mia madre e mia sorella. Chissà perché mio fratello non c'è. Si sarà offeso di nuovo? Manca solo lui, mi manca tanto, mi manca sempre.

Domani andremo tutti insieme al centro commerciale. Mia sorella è contenta: si fa promettere un gelato e prova a chiedere un videogioco. Io non ho voglia di andarci, sono sicuro che mi annoierò, ma non ho il coraggio di oppormi al loro entusiasmo. Mi chiedono di mio fratello. Io non so che cosa voglia fare, che cosa gli passi per la testa. Rispondo che farà il contrario di quello che farò io. Mia madre sorride e dice che ho ragione, però poi lancia uno sguardo preoccupato a mio padre. Mi giro verso la sedia vuota e mi sento in colpa. Sono il fratello maggiore, dopotutto.

 

Tieria.”

Una voce chiama Tieria. Che nome strano. Chi è Tieria? Un amico, forse? Chi sta pronunciando quel nome?

Mia madre spalanca occhi e labbra come per strillare. Mia sorella contorce la piccola bocca come per piangere. Mio padre si china per proteggerle, lo sguardo sbarrato dal terrore.

Fermo sulla soglia d'ingresso c'è bambino che imbraccia un fucile. I suoi occhi sono profondi, la sua pelle è bruciata dal sole, i suoi capelli sono scompigliati dal vento dell'estate. Il suo sguardo inquieto potrebbe essere quello di mio fratello più piccolo. Perché hanno paura di lui?

Tieria, torniamo.” Suoni di parole che non riconosco mi chiamano avanti. Alle mie spalle, grida mute mi risucchiano indietro.

Quel mondo non si può più cambiare,” dice il bambino mentre cresce trasformandosi in un ragazzo. La neve si scioglie. Gli arbusti che invadono il giardino incolto si ricoprono di gemme verdi che brillano nel tepore della nuova luce. Centinaia di piccoli fiori risalgono dal prato, alzano il capo e allargano i loro petali. Rose selvatiche sbocciano e si avvinghiano al fucile piantato nella terra che vuole rinascere.

Le ombre sospese nell'inverno svaniscono, e io mi dissolvo insieme a loro.

La mano del ragazzo si protende verso di me. La afferro. Il calore della stretta si propaga in tutto il mio corpo. Io ho un corpo, lo sento di nuovo. Il cuore inizia a pulsare, l'aria impregnata del profumo dolce dei fiori invade con forza i polmoni come se fosse il primo respiro.

Setsuna,” dico.

 



  
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