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Autore: anglophilia    11/02/2010    0 recensioni
Cosa succederà a Matt ora che è finita con l'amore della sua vita? Apparentemente lui è rimasto lo stesso di sempre, ma cosa giace dietro quella maschera? La notizia della rottura con la sua compagna mi ha scossa nel profondo e questa storia è il frutto delle mie lunghe rimuginazioni in merito.
Genere: Malinconico, Drammatico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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«Dear River Thames,
Sail me down to the sea,
Where seagulls sing anthems,
And circle around free.
And there I shall rest,
Where the waters descend,
Dear River Thames,
For the ride, I must confide,
That you are my friend»

Londra non era mai stata bella come quella sera. Il profumo dell’aria era freddo e tagliente come un coltello d’argento e le luci flebili del traffico correvano via come sfere riflesse sulla lama dello stesso. Il rombo dei motori era rimbombava ovattato nei suoi condotti uditivi. Provò a socchiudere gli occhi, cercò di trasfigurarlo prima che l’impulso penetrasse dolorosamente nella sua mente e si sforzò di imprimergli un’intonazione più flautata, come quella della Breva di cui aveva amato riempirsi i polmoni in giorni più lieti. Purtroppo la realtà è un lampo impossibile da superare in velocità e l’immaginazione ha le gambe troppe corte per poter competere con essa: quella era Londra, non Moltrasio. Era lontano migliaia di chilometri da quell’idillio che aveva costituito il suo sogno bucolico di una vita normale che lo trascinava da quegli interminabili pomeriggi passati nascosto dietro la porta ad ascoltare le urla rabbiose dei suoi genitori. Lontano.

Eppure Londra quella sera non faceva male. Era diventata il suo rifugio. Aveva circoscritto il suo mondo entro le rive del Tamigi e considerava le sue acque luride la metafora della sua condizione. Masochisticamente adorava riempirsi di questa malinconica figura retorica. Il riflesso della sua esile cerea sagoma nelle acque grigie del fiume sembrava costituire lo spettro di un passato non troppo lontano, ma allo stesso tempo impossibile da riconquistare: infrangere la superficie con un semplice dito avrebbe costituito un tentativo inutile di aggrapparsi a una speranza ormai destinata a frantumarsi e mai ricomporsi. Eppure quel flusso inarrestabile, sebbene portatore di sudiciume e di segreti sordidi, non si fermava mai e continuava a fluire sotto i suoi piedi, mentre egli ne scrutava i riflessi e le lievi increspature dall’alto del Westminster Bridge: denso e melmoso era il suo letto, ma il suo procedere imperioso aveva una dignità così alta che non potè fare a meno di rimanerne colpito. Gli sembrava di cogliere per la prima volta lo spirito della città in cui aveva vissuto per anni da quando aveva coronato il suo sogno di fuga da Teignmouth. Stringendo le dita al cornicione verde, sentì una nuova energia penetrare il suo epitelio, raggiungendo con rapidità inusuale il suo cuore, il quale prese a battere come un metronomo impazzito. Come l’acqua del Tamigi, aveva cercato di nascondersi dietro luci ed effetti speciali, dietro risate e borbottii all’apparenza normali, ma la verità che giaceva al di là della sua sottile pelle lattiginosa era intrisa di profonda delusione e lacerata da una sofferenza che riversava il sangue delle sue ferite nelle sue lacrime. Ma quella condizione era destinata a morire.
Non gli rimaneva altro che allontanarsi dalla gelida sponda del fiume e darle definitivamente le spalle.
Era giunta per lui l’ora di aprire il cuore all’energia vitale di Londra e di tornare a respirare. Eppure il momento sembrava ancora troppo lontano.

È difficile dire addio a un sogno. Dopo otto anni di promesse, di lotte, di fughe, di aerei, di progetti di vita, di telefonate infinite per illudersi di non avere un oceano di mezzo, era stato difficile prendere tutto, appallottolarlo come un semplice foglio di carta e scagliarlo via dalla finestra. Dopo aver urlato a tutto il mondo l’amore che provava per lei, dopo aver abbandonato la sua patria natia per lei, dopo aver detto di no alle donne che avevano figurato nei suoi sogni erotici adolescenziali per lei, l’attesa aveva ceduto il passo all’impazienza e nel giro di pochi mesi la pace che aveva contraddistinto un rapporto dai tratti favolosi era precipitata in una guerra combattuta senza pietà a colpi di telefonate, di visite inaspettate e di ripicche infantili. Com’era possibile che una storia d’amore così forte e ruggente fosse finita in maniera così frivola, dietro il pretesto creato da un’incomprensione per un video postato su internet? Forse lui avrebbe dovuto rintanarsi nell’ansia scatenata da quella situazione invivibile, nascondersi agli occhi del mondo per non mostrare come si sentiva e isolarsi dai suoi stessi amici. Ma questi ultimi, essendo tali, non avevano voluto lasciarlo in balia della sua frustrazione e avevano tentato infinite volte di strappare via dai suoi occhi azzurri quel velo opaco che offuscava il suo sguardo e tirava il suo mento verso il petto. L’unica sera in cui vi erano riusciti era stata quella che aveva fatto precipitare le sorti del conflitto e non ancora riusciva a decidere se questo fosse stato un bene o un male.
Le mani tremavano di rabbia e freddo. Le prime gocce di pioggia iniziarono a graffiare lentamente le sue palpebre già umide di lacrime nervose. Era ottobre e l’aria di Londra era già carica di quell’aroma invernale che sapeva di camini accesi e tubi di scappamento bollenti. Quanti mesi erano passati? Provò a contarli, ma la mente era ancora ancorata alla visione delle torbide acque del Tamigi che ormai avevano perso ogni forma netta nel buio della sera. Dov’erano le sponde? Dove iniziava e dove finiva il flusso della corrente? Quelle che vedeva erano increspature della superficie o le sagome delle luci deformate dal pianto che non riusciva più a soffocare? Premette i polpastrelli sulle palpebre nel vano tentativo di spingere dentro la manifestazione di quel dolore dal quale non era mai riuscito davvero a evadere, ma fu tutto vano: fu come immergere la mano in un vaso colmo d’acqua.

«Esci immediatamente di qui»
La voce calda e squillante di Dominic rimbombò nella semioscurità della stanza. Lui non riuscì ad aprire gli occhi: il peso dell’sms ricevuto appena un’ora prima gravava su di lui come uno spettro soffocante e aveva paura di girarsi sulla schiena per affrontare di nuovo il ricordo di quelle parole taglienti. Il bianco soffice del cuscino sembrava aver catturato come carta assorbente il nero della sua cupa frustrazione e godeva della sensazione di fresco pulito che lo circondava. Lo faceva sentire come un bambino che, dopo aver pianto a lungo, aveva trovato la pace nell’abbraccio della propria madre. Anche quando il comando imperioso era scoppiato all’improvviso nei suoi timpani non era riuscito a convincere i suoi muscoli a scollarsi da quel candido abbraccio e non rispose neanche alla cuscinata che gli levò il respiro per qualche istante. Si scrollò di dosso il lieve dolore e riprese a respirare, immobile.
«Tu non sei più tu» gracchiò l’uomo abbassandosi a riprendere il cuscino. «È ancora lei, vero? Cos’ha questa volta? Ti sta accusando per aver lasciato una scatola aperta prima di partire? Ti sta rinfacciando di non averla chiamata cinque minuti prima del concerto? Eh? Alzati, cazzo. Siamo a Las Vegas. Non vedi le luci fuori dalla finestra?» Corse alla finestra e spinse via le tende.
Qualcosa si affacciò agli occhi dell’uomo. In un primo momento si manifestò come un’unica chiazza bianca molesta. Quando lo ebbe messo a fuoco, il fascio di luce si scompose e si spezzò in segmenti colorati dalla tonalità vivida e quasi dolorosa. Lentamente, stizzito dall’invasione di quelle macchie, si tirò su a sedere e alzò gli occhi alla ricerca della sorgente del disturbo. Accompagnata da un lieve ronzio, un’insegna della Coca Cola lampeggiava sorridente a pochi metri dai vetri della finestra e invadeva la stanza di lampi rossi, gialli e bianchi. Lo sguardo di Dominic apparve duro e impietrito e neanche per un attimo raddolcito dalla falsa sfumatura calda del cartellone pubblicitario. «Oh sì cazzo, sapevo che saresti stato dei nostri!» Morgan ruggì nella folla e le sue parole lottarono nell’aria con la musica che faceva sobbalzare l’amplificatore nei pressi del quale stava ballando tenendo in mano una bottiglia colorata, molto probabilmente contenente qualche forte alcolico che aveva diluito nel giro di poco i suoi freni inibitori. Lui, timido musicista che durante i concerti orchestrava gli accompagnamenti della band nella parte del palco più lontana dalla folla, in quel momento si muoveva fluidamente al ritmo di un vecchio successo dance e a momenti sembrava fondersi nella massa scatenata che ondeggiava tra i fasci luminosi dei fari. Qualcosa di gelido e umido sfiorò il palmo della sua mano.
«Manda giù e non fare storie» Vodka alla menta. Alzò gli occhi sul diavolo tentatore che voleva trascinarlo dolcemente nel divino inferno del divertimento alcolico e riconobbe nella penombra del locale il sorriso a trentadue denti del loro millenario compagno di scorribande Tom. In un istante, in un solo piccolo e appuntito istante precipitò in un conflitto esistenziale: lasciarsi andare o rintanarsi nel dolore? Se avesse seguito i suoi amici nel delirio lasvegasiano di quella notte avrebbe inevitabilmente mancato di rispetto a quella situazione tesa che lo aveva fatto affondare tra le coperte quella sera. Ma valeva la pena di mandare all’aria l’unica volta in cui era riuscito a riemergere dall’oceano ghiacciato di quel dolore soffocante per uno stupido rimorso?
Una ragazza si stava avvicinando sinuosamente a lui dall’altra parte del locale. Lo cercava, i suoi occhi pesantemente truccati si erano ancorati su di lui dal momento stesso in cui si era affacciato nella folla che ballava scatenata. ‘Who fuckin’ tonight? Who fuckin tonight? Oh! Oh! Stop playin’, keep it movin’! Stop playin’, keep it movin’!’ Fece precipitare in gola l’ultimo sorso di vodka e, momentaneamente, si lasciò alle spalle il fantasma.

Si ritrovò a battere il ritmo di quel brano sul cornicione. La lieve pioggerellina si era trasformata in un temporale torrenziale e i tuoni iniziavano a rombare in lontananza, illuminando a giorno la città. Era ora di rientrare. Finalmente riuscì a distogliere lo sguardo dalla corrente e fissò l’oscurità che aleggiava davanti a lui. Il buio doveva smettere di far paura. Era ora di liberarsi di quello spettro maligno e di tornare a vivere. La forza sembrava solo un mero ricordo lontano, eppure quella scossa elettrica che Londra trasmetteva nelle sue fibre nervose diventava sempre meno trascurabile, non poteva essere un caso.
Matthew lasciò che la pioggia lavasse via le lacrime e si avviò.

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Westminster Bridge: 1 - 2
Richard Digence - Dear River Thames
Fatman Scoop - Be Faithful
  
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