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Autore: Fiamma Drakon    12/02/2010    3 recensioni
1. Io dico San... tu rispondi...? {Shot di San Valentino}
- Break... si può sapere che diamine hai da fissare? -.
- Sai che giorno è oggi? -.

2. A little joke
- Come ti senti? -
- Uno schifo... -.

3. Malattia...
Starnutii, per l’ennesima volta, e tirai su col naso.
- Gil-kun, ti porto un’altra coperta ~? -.

[Rigorosamente BreakxGil (Gilbert side)]
[Possibili OOC]
[Dedicata with love alla mia onee-chan e alla mia yuujin ^^]
Genere: Romantico, Commedia, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Gilbert Nightray, Xerxes Break
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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1_Io dico San... tu rispondi..._
~ Io dico San... tu rispondi...? ~


Mi svegliai di soprassalto, la fronte madida di sudore, i capelli scompostamente sparsi sul viso e sugli occhi, ad indicare chiaramente che non ero rimasto poi tanto fermo durante il sonno.

Mi ritrovai a fissare l’oscurità che mi circondava, appena rischiarata da una grigia e tenue luce proveniente dall’altra parte delle tende a lato del letto.
Socchiusi gli occhi, mettendomi supino: mi sentivo uno schifo.
Presente la sensazione che provi dopo aver ingerito alcolici per tutta la sera e sei sul punto di vomitare?
Ecco, stessa cosa, solo che nel mio caso quella sensazione non era data da una sbronza serale, ma era indotta dal sonno inquieto dal quale mi ero appena ridestato.
Oltre a quel senso di nausea, la testa mi pulsava dolorosamente: segno inequivocabile che avevo dormito troppo poco e troppo male per essere in condizioni quantomeno accettabili.
Mi passai una mano sugli occhi e sulla fronte, allontanando da essi i capelli e tergendomi il sudore; contemporaneamente, allungai l’altra mano a cercare un corpo accanto a me.
- Break...? - chiamai stancamente.
Sentii la mia mano uscire dal rifugio che formavano le coperte e toccare il materasso vuoto e freddo di fianco a me.
Volsi appena la testa a controllare: sì, il posto era vuoto, la coperta divelta come se l’occupante dovesse ritornarci a breve.
Sospirai, mettendomi seduto, lasciando che la coperta si afflosciasse sul mio grembo, lasciando scoperto il mio torso completamente nudo.
Rassegnato, lanciai un’occhiata alla sveglia sul comodino: le lancette segnavano appena le sei e mezza.
Sollevai gli occhi al soffitto: quando mai Break aveva avuto orari ipoteticamente normali?
Mai.
Nonostante fossimo rimasti svegli fino a notte fonda a “giocare” sotto le coperte, lui non aveva comunque problemi a svegliarsi al canto del gallo.
Tutto il contrario di me: se non dormivo minimo sette ore non riuscivo a mettere in moto il cervello neppure volendo.
Ignorando il mal di testa, mi costrinsi a scivolare fin sul bordo del letto e alzarmi, sfuggendo al caldo rifugio che erano state le coperte.
Mi diressi verso la porta, lasciata socchiusa.
Quando l’aprii, impiegai qualche istante ad adattare la vista alla luce del soggiorno, decisamente troppo intensa rispetto a quella della mia camera.
Nell’aria carpii immediatamente l’odore tipico del thé misto a quello dei dolci, così andai verso la cucina, affacciandomi alla soglia: all’interno notai immediatamente la figura, già vestita di tutto punto, che stava almanaccando ai fornelli.
Mi appoggiai qualche istante allo stipite: la nausea mi era passata, forse perché ora ero un po’ più lucido e il mal di testa si era attenuato di molto, ma adesso mi sentivo estremamente stanco.
Rimpiansi di essermi alzato, perché già volevo tornarmene a letto.
- Gil-kun! Sei sveglio ♥! -.
L’esclamazione sorpresa e contenta al tempo stesso di Break attirò la mia attenzione su di lui: l’albino stava fermo vicino ai fornelli, ora spenti, con la teiera in mano, l’unico occhio visibile fisso su di me, accompagnato da un sorrisetto furbo che, nonostante il tempo trascorso insieme, trovavo ancora inquietante.
- Thé? - mi chiese, avvicinandosi al tavolo, che solo in quel momento notai essere occupato da un piccolo servizio da thé per due persone, completo anche di pasticcini.
Non annuii, per paura che il mal di testa ritornasse all’improvviso, ma mi diressi verso il tavolo e presi posto, mentre Xerxes mi versava un po’ di thé.
- Dormito male? - mi chiese poi, a bruciapelo, senza girarci tanto intorno: era fatto così, semplice e conciso.
Alzai gli occhi su di lui, cogliendone un movimento aggraziato ed elegante nel prender posto davanti a me, iniziando a sorseggiare il suo thé.
Il suo modo di bere mi ricordava molto quello delle signore aristocratiche che avevano consuetudine di prendere il thé alle cinque del pomeriggio insieme alle amiche per spettegolare.
Be’, lui non era una femmina e non spettegolava, ma l’atteggiamento, più o meno, era molto simile.
- Già... - mi limitai a rispondere a mezza voce, bevendo un sorso di thé.
Lo vidi allungare una mano a prendere un pasticcino, che osservò con finto interesse per qualche istante, prima di mangiarlo.
- Hai la classica brutta cera di chi ha dormito male, Gil-kun - esclamò, afferrando un altro pasticcino.
Poteva passare il fatto che avesse azzeccato alla prima che non avevo dormito bene, ma addirittura mettersi a fare osservazioni sul mio aspetto dopo una notte inquieta no: sapevo benissimo che avevo una cera orribile, non importava che me lo dicesse lui!
- E quelle occhiaie marcano in modo molto accentuato il tuo sguardo... - aggiunse ancora, come se fosse un complimento.
Dov’erano le pistole quando ne avevi bisogno?
In fondo all’armadio, ovvio.
- ... e sei molto, molto pallido... quasi quanto me ~! - ironizzò ancora, accompagnando l’appunto con una sincera risatina.
- Puoi smetterla di commentare? Ho dormito male e non sono in vena... -.
Mi decisi ad interromperlo con le buone, prima che quel poco di pazienza che avevo mi scappasse di mano.
Appoggiò un gomito sul tavolo, sorreggendosi con la mano il mento.
Lo vidi socchiudere gli occhi e stirare le labbra in quell’espressione che avevo imparato ad interpretare come maliziosa, e non volli neppure provare ad immaginare cosa gli stesse frullando per la testa.
Iniziò a dondolare impercettibilmente il capo sul suo supporto con fare infantile, continuando a fissarmi.
Era snervante oltremodo.
Nonostante non mi dispiacessero più di tanto le sue attenzioni, distolsi gli occhi dal suo e mi decisi a interrompere lo strano silenzio che era calato tra noi: - Break... si può sapere che diamine hai da fissare? -.
- Sai che giorno è oggi? - mi domandò invece, continuando a far dondolare il capo, portandosi alla bocca un altro pasticcino.
Lo guardai alcuni istanti, perplesso: era una data particolarmente importante?
Ripassai mentalmente tutte le date di compleanni e festività varie importanti per Break, ma nessuna corrispondeva alla data odierna.
L’albino sorrise al mio indirizzo nello stesso modo in cui si sorride ad un bambino confuso e spaesato, e ciò non mi piacque affatto: quel sorriso mi dava sempre la sensazione che per lui fossi solo un emerito idiota, e forse era proprio ciò che stava pensando di me in quel preciso momento.
O forse no.
Infine, Break si decise a parlare di nuovo: - Se io dico San... tu rispondi...? -.
Lo guardai ancora alcuni istanti, con tutta calma: era impazzito all’improvviso?
No, impossibile: era già abbastanza svitato da rientrare perfettamente nella categoria “pazzi”.
- ... Valentino? - conclusi poi, quasi d’istinto.
Il suo sorriso si allargò ulteriormente, l’occhio cremisi ancora fisso su di me.
Sguardo ambiguo: impossibile da decifrare.
Nel dubbio, meglio chiedere, ed è ciò che feci: - Ho azzeccato? -.
Per tutta risposta, Break prese la sua tazzina e la vuotò con un lungo e raffinato sorso.
Dondolò quindi la chicchera per il piccolo manico, osservandola con fanciullesco divertimento, quasi fosse un giocattolo.
Dire che in quello stato mi pareva un cretino era un eufemismo.
- Break...? - lo chiamai, incerto: iniziavo a temere seriamente per la sua sanità mentale, non che non sapessi che oramai era già da tempo compromessa.
- Andiamo fuori, Gil-kun? - chiese all’improvviso, senza distogliere l’attenzione dalla tazzina.
Possibile che non riuscisse ad intrattenere un discorso coerente?
Evidentemente no.
Ci riflettei su con calma: era San Valentino e Break mi aveva appena invitato ad uscire.
Che avesse in mente qualcosa?
Probabile.
Be’, uscire con lui non mi sembrava un’idea tanto sbagliata, in fin dei conti: se non ci fossimo tenuti per mano in mezzo alla strada, avremmo potuto passare per dei semplici amici, quindi... che male c’era?
Bastava non dare a vedere che eravamo in qualche modo legati profondamente e ne saremmo entrambi usciti indenni.
Mi strinsi nelle spalle.
- Va bene... ma niente manifestazioni di omosessualità in pubblico, chiaro?! Non voglio essere trattato come un lebbroso! - lo avvisai, serio.
Per un istante, il sorriso di Break vacillò.
- Perché pensi a loro, Gil-kun? Non bastiamo noi? Di che ti preoccupi? - chiese.
Era nella sua classica ottica del mondo, di che dovevo stupirmi?
Per lui esisteva solo l’utile e il necessario.
Il resto era inesistente.
E con “il resto”, intendeva tutto quello che non comprendeva me e lui.
- Perché fuori di qui, nel resto del mondo, io e te siamo sbagliati insieme -
- E allora? Importa qualcosa? -.
Abbassai lo sguardo su ciò che rimaneva del mio thé, a disagio: perché non capiva?
- Non possiamo confinarci qui dentro, dobbiamo uscire e affrontare il mondo. Ma il mondo può diventare cattivo, se non sei come dovresti... e non voglio complicazioni... -.
Mi sembrò d’essermi espresso male, tuttavia era così che stavano le cose: nel mondo di fuori, o sei etero o sei un discriminato.
Il mondo andava avanti su quella regola basilare.
Terminai silenziosamente il mio thé, gli occhi bassi.
Mi sentivo il suo sguardo addosso, ma avevo timore di incrociarlo: non volevo vedere cosa c’era.
Uffa, ma perché i discorsi cattivi toccavano sempre a me?!
Mi facevano sembrare noioso e paranoico.
Appena ebbi finito, mi alzai e finalmente portai lo sguardo su Break: questo stava studiando con finto interesse un pasticcino.
- Break? - lo chiamai.
Mi lanciò un’occhiata dal basso, a metà tra l’inquieto e l’offeso.
- Dai, andiamo... - continuai.
Lo vidi illuminarsi un poco, intuendo probabilmente a cosa alludevo.
- Sì...? -
- Sì. Ma prima sistemiamo in cucina -.
Lui saltò su, sorridendo in modo inquietante, quasi maniacale, quindi prese la teiera e i piattini che, lo notai solo in quel momento, aveva svuotato del contenuto, e se li mise in bilico sulla testa, mentre raccoglieva il resto.
Era il suo modo di sparecchiare: strano, molto strano, ma estremamente utile e rapido, difatti dopo appena dieci minuti avevamo già finito.
Lui andò a prendere il bastone in camera, quindi uscì e si sedette sul divano ad aspettare, mentre io mi vestivo: nonostante fossimo amanti e dormissimo nello stesso letto, il più delle volte seminudi, un briciolo di privacy c’era ancora, almeno quando si trattava di vestirsi.
Aprii l’armadio, presi il mio solito completo, mi sbrigai ad indossarlo e completai il tutto col mio solito cappello nero, quindi uscii.
Mi volsi verso il divano e lo trovai vuoto: Break era già alla porta, ancora quel sorriso inquietante stampato in faccia.
Gli andai affianco e lui mi aprì galantemente la porta per farmi uscire.
- Niente smancerie in strada... ricordalo - gli ripetei un’ultima volta.
Lui assentì vigorosamente col capo, quindi mi posò un bacio sulla guancia.
Lo osservai, perplesso, e lui si limitò a dire: - In strada non posso, ma qui sì -.
Lo interpretai come una sorta di “ultimo bacio”, perciò gli sorrisi appena di rimando, precedendolo fuori.

In città faceva caldo e il sole batteva senza tregua, illuminando tutto quanto di una luce allegra che trasformava tutto in qualcosa di felice.
Almeno era una bella giornata: sotto la pioggia non sarei uscito neppure se obbligato.
Break mi camminava al fianco, lanciandomi di tanto in tanto occhiate e sorrisini.
Con “niente smancerie” includevo anche “niente sorrisini allusivi”, ma forse avrei dovuto esplicitare il divieto in modo più diretto, invece di lasciarlo sottinteso, perché evidentemente lui non l’aveva colto.
In molte vetrine erano esposti cuori rossi e rosa, le pasticcerie, che non mancarono d’attirare l’allegra attenzione di Break, esponevano scatole di cioccolatini delle più varie dimensioni, ma tutte quante rigorosamente a forma di cuore; i fioristi erano ben felici di esporre meravigliose composizioni dei fiori di San Valentino per eccellenza, primi tra tutte le rose rosse.
Per le strade, inoltre, non potei fare a meno di notare che c’erano tante coppie, tutte rigorosamente etero.
Mi sentivo a disagio, pensando di essere in “territorio nemico”, dove un’azione sbagliata poteva essere male interpretata con facilità impressionante.
- Gil-kun, andiamo in quella pasticceria? - mi chiese Break, distraendomi dai miei pensieri.
Lo vidi indicare una pasticceria poco lontana e sospirai.
- Non ti sei ancora stufato? - chiesi, esasperato: se avessi saputo prima che aveva intenzione di girare tutte le pasticcerie della città me ne sarei rimasto a casa.
Quella era già la terza.
Sospirai, quindi decisi di accontentarlo, di nuovo: non sapevo dove altro andare, dato che di solito, se uscivo da casa, era per fare commissioni e non per bighellonare.
Quando uscimmo, pochi minuti dopo, Break si stava gustando l’ennesima confezione di pasticcini.
- Vorrei sapere come fai a mangiare tanti dolci... sei impressionante... - mormorai, lanciandogli un’occhiata, tuttavia notai che la sua attenzione era rivolta da tutt’altra parte.
Mi sporsi appena e notai che stava fissando un vicolo.
Che cosa ci fosse di così interessante, davvero non lo sapevo.
- Ehi, Break, che hai? - chiesi.
Lui tacque, mandò giù un altro pasticcino, quindi si rivolse a me: - Niente... -.
Mi pareva turbato, o più che altro pensoso.
- Sicuro? -
- Ehi, Gil-kun, è tardi, sono quasi le due! Perché non andiamo a cercare un posto dove pranzare? - domandò in risposta.
Non mi lambiccai più di tanto sul suo atteggiamento strano di poco prima, attirato dalla sua affermazione: possibile che fossero già quasi le due?
Guardai l’orologio: evidentemente era possibile, dato che le lancette segnavano le due meno un quarto.
Incredibile come vola il tempo quando ci si diverte, o quando si gira per la città senza una meta effettiva.
- Dai, andiamo ~! - esclamò l’albino, trascinandomi per la manica per qualche metro.
Mi trascinò quindi in un locale in centro, ben illuminato, areato e, soprattutto, pieno di gente.
Mangiammo in silenzio e, almeno per quanto riguardava me, senza guardarlo.
Quando uscimmo dal locale, Break insistette per andare ancora in giro.
Così girammo altre pasticcerie e stavolta pure i fiorai e negozi di vario genere: peggio di un pomeriggio a fare shopping.
Non seppi perché, ma Break, quando oramai era quasi il tramonto, insistette per andare da solo in un negozio di fiori.
Non obiettai: mi limitai ad osservarlo con perplessità mentre entrava.
Quando uscì, notai che non aveva comperato niente, ma sembrava stranamente troppo contento, e ciò mi fece pensare subito che la sua mente non precisamente sana stesse macchinando qualcosa.
- Be’, adesso? Torniamo a casa? - domandai, guardandolo.
Lui mi sorrise in quel suo particolarissimo modo inquietante, quindi mi venne incontro e mi afferrò di nuovo per la giacca.
- A casa no! Non ancora! Ceniamo fuori? -.
Già mi stava trascinando lungo la strada, senza che io neppure avessi risposto: era evidente che ci teneva in modo particolare.
Stranamente, mi riportò fino al vicolo scuro che aveva osservato quella stessa mattina, uscendo da una pasticceria che, notai, a quell’ora era ormai chiusa.
- Qui? - domandai, perplesso, guardandomi attorno - Ma qui non ci sono ristoranti... -.
Lui si limitò a mandarmi un’occhiata di sbieco e ridacchiare, quindi continuò a condurmi verso il vicolo.
Solo quando fui dinanzi all’imboccatura notai che non era un vicolo buio: un lampione, posto vicino alla parete di fondo, gettava luce sul terreno all’intorno e ombra sull’angolo formato dalla parete e un lato dell’edificio destro, nel quale mi parve di scorgere la sagoma di un uscio chiuso.
Intuii la destinazione verso cui l’albino mi aveva trascinato e lo seguii senza oppormi, tuttavia era lecito domandare, e fu quel che feci: - Break, che posto è quello? -.
- Gil-kun, non farmi rovinare la sorpresa...! - mi ammonì bonariamente, un sorrisetto stampato in faccia.
Mi introdusse nel locale ed io rimasi sull’uscio, impalato, sbattendo ripetutamente le palpebre, come abbagliato: all’interno c’erano solo tavoli per due persone e tutti quelli già occupati erano occupati da coppie di maschi.
Le uniche donne del posto erano le cameriere, che giravano tra i tavoli in succinte uniformi nere con il grembiulino e la tiarina bianchi.
- Non dici niente, ne ~? - cantilenò Break, soddisfatto, probabilmente dell’aria ebete e stupefatta che avevo assunto.
Fissai e rifissai il locale, cercando di capire se quello che vedevo era effettivamente reale o no.
Alla fine, mi convinsi.
- Sono... è quello che penso? - domandai, in cerca di ulteriori conferme.
Un sorriso da orecchio a orecchio si aprì sul viso di Xerxes.
- Questo è l’unico locale omo di tutta la città... - replicò, allegro.
Ero certo che si sarebbe messo a ballare per la felicità.
- E... come fai a conoscerlo? - chiesi: non mi pareva proprio il tipo da “bassi fondi”.
Si strinse innocentemente nelle spalle.
- Ho le mie conoscenze... - mormorò, e lo notai lanciare un’occhiata ad una cameriera che si era voltata a guardarlo, rossa in viso.
Decisi di non chiedere altro in quel senso: qualsiasi risposta sapevo che non mi sarebbe piaciuta.
- Oh, Mr. Break! - esclamò una donna in smoking, avvicinandosi all’albino, che le rivolse un sorriso.
- Cassidy, è sempre un piacere vederti - la salutò cordialmente, chinando brevemente il capo.
Non le fece il baciamano, e gliene fui grato: mi avrebbe dato fastidio.
- Avevo prenotato un tavolo per stasera - continuò l’albino.
- Oh, certo! Da questa parte -
- Gil-kun, vieni! -.
Mi ero dimenticato di essere fisicamente lì, con un corpo proprio al quale dovevo impartire ordini affinché potessi seguire Break.
Mi mossi, in silenzio, gli occhi incollati alle caviglie di lui, che mi precedeva, poco distante.
Cassidy ci portò in una saletta appartata, stranamente non ancora riempita di coppie: l’unico tavolo occupato era il nostro, e di ciò ringraziai sentitamente la misericordia celeste.
La confusione non mi aggradava particolarmente.
Ci sedemmo e Cassidy sparì di nuovo oltre la soglia.
Break, come suo solito, appoggiò i gomiti sul tavolo, reggendosi il capo con le mani, fissandomi intensamente.
- Allora, Gil-kun, ti piace? - mi chiese, il tono stranamente cadenzato, come se fosse brillo.
Ero a disagio, dato che il posto era nuovo per me, comunque annuii.
- Carino... - aggiunsi, senza dargli altre soddisfazioni.
Cassidy tornò con un menù ed ordinammo, quindi rimanemmo di nuovo soli.
Notai che Break si agitava sulla sedia, irrequieto.
Evidentemente incrociò il mio sguardo interrogativo, perché ridusse le labbra ad una linea piatta e assunse un’aria falsamente innocente.
Lo vidi infilare una mano sotto il tavolo, quindi, a sorpresa, mi porse una rosa rossa.
Ne dedussi che quello doveva senza dubbio essere l’acquisto fatto in gran segreto prima di portarmi lì.
La presi, attento a non graffiarmi con le spine, quindi la fissai: i petali erano lievemente sgualciti, colorati d’un rosso intenso che ero solito associare alla passione.
La stessa che univa me a lui: mi sorpresi di un pensiero tanto intenso e profondo.
- Niente da dire? - mi domandò in tono quasi offeso, il viso atteggiato a broncio tipicamente infantile.
Che c’era da dire?
- Grazie... - mi limitai a replicare.
Mi parve di capire dalla sua espressione che non fosse sufficiente, così mi accostai a lui, gli spostai alcuni ciuffi dalla fronte e gli posai un bacetto sulla pelle candida.
Lui mi prese delicatamente il mento e mi abbassò il viso, catturando le mie labbra con le sue, in un bacio profondo ma stranamente casto.
Quando mi allontanò di nuovo, mi sussurrò all’orecchio: - Buon San Valentino -.
In risposta, io gli sorrisi timidamente.
   
 
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