[Fandom]
Pandora
Hearts
[Titolo] My fist, your mouth, her scars.
[Genere]
Generale; Introspettivo, romantico.
[Rating] Giallo.
[Avvertimenti] AU; What if?, shonen-ai.
[Personaggi] Gilbert Nightray, Oz Vessalius, Alice, Altri.
[Note]
Oneshot piuttosto lunghina e complicata – rinnoviamo
completamente la storia,
ribaltiamola come un calzino mantenendola intatta. Oz e il suo rapporto
complicato, esclusivo con Alice, Oz e l’affetto che lo lega a
Gilbert, Alice e
Gilbert, Gilbert. E Sharon, e Break, ed Emily, e il passato di tutti, e
ciò che
li unisce, e ciò che li tiene lontani gli uni dagli altri,
irraggiungibili se
non per brevi attimi di dolore.
Altro da dire, altro da dire... Odio i mirtilli XD, cameriere!Gilbert
è un
sogno erotico? del tutto personale *___*, ho
cercato di far aderire
quanti più elementi però ritengo impossibile,
almeno con le mie capacità, far
combaciare perfettamente le due storie. E poi non so, magari
aggiornerò queste
note XD.
Dio, giunta alla terza pagina di Word mi sono chiesta perché
stessi scrivendo
così tanto, quando probabilmente nessuno avrà mai
il coraggio di leggerla per
intero XD. Poi mi sono risposta che lo faccio perché amo
Gilbert e mi piace che
si faccia seghe mentali, perché Oz e Alice sono
splendidamente canon ma
nonostante questo io sosterrò il GilbertxOz,
perché la colonna sonora di Reborn
mi provoca le lacrime tanto è intensa: non so se lo avete
notato, però pace e rimpianto conservano lo stesso spartito,
eseguito con differente
cadenza e strumenti. Poesia.
Quando ho finito di scrivere ho guardato: quattro pagine e mezza. Di
rileggerla
non avevo mezza voglia XD, poi ho pensato a cos’avrei potuto
combinare a causa
del trasporto e, scossa dai brividi, ho cominciato a betare.
Sì, quegli stacchi
*meno il primo* avrebbero dovuto essere la divisione in capitoli,
però di
postare diviso proprio non mi andava. Pensavo di postare,
più in avanti,
qualche flash o qualcosa per riempire i “buchi”
– l’incontro di Oz e Alice, una
rielaborazione più profonda del compleanno di Oz, altre cose
a cui avevo pensato
e che non ricordo più XD, ... Ma poi sapete che razza di
lavativa sono à___à,
non sperateci neppure XD.
[EDIT: Porcaputtanallorca, non mi ero accorta di un'immensa incongruenza. Perdonate, ora ho corretto - comunque non pesava per nulla sulla storia. Perdonate, perdonate T___T]
Vorrei dedicare questa fan fiction alle mie Valentine, semplicemente
perché ho
voglia di farlo. Per ringraziarvi di ogni cosa, ogni più
piccola parola o gesto,
per ogni tag su faccialibro, solo
per
questo. *e siete in ordine alfabetico XD*
Alessia, Aliki,
Elisa, Federica,
Francesca (entrambe), Giada, Margherita,
Milena, Nicolle, Noemi.
Buona lettura a chiunque sia giunto fin qui ^___^, anche se so
benissimo che
nessuno legge le note prima XD.
«E
anche quest’anno non è
scappato di casa,» Oscar chiuse il suo discorso con la solita
battuta, la
stessa che faceva dal nono compleanno del nipote. Nel dirlo
attirò il
neo-quindicenne a sé e gli scompigliò i capelli
con fare affettuoso.
Con quel gesto e quelle parole, apparentemente lontane
dall’aria austera che
dominava il ricevimento – Oz si era visto circondato da tutto
meno che volti
amici – fu come se lo zio dichiarasse ufficialmente
“Ora sei di un anno più
vecchio, solo ora”.
L’uomo alzò poi il proprio calice, permettendo ai
festeggiamenti di riprendere;
il ragazzino approfittò di quell’attimo di
confusione per sgattaiolare sul
balcone, trascinandosi dietro Gilbert e la piccola Ada.
E fu un altro tipo di caos, furono altre le parole, i toni, fu un altro
silenzio di voci umane, mentre il fuoco urlava nella sala, conquistava
e faceva
propri marmo e sangue.
My
fist, your mouth, her scars.
Oggi Gilbert
è nervoso; sente una strana elettricità
circondarlo, come se avesse qualcosa da
aspettarsi da quella noiosa giornata. Sembra quasi di essere
all’interno di un déjà-vu ed è questo
ciò che più di tutto
gli fa fastidio.
Detesta questa
sensazione come detesta ogni cosa che sia estranea al
quotidiano: tutto quello che desidera è attenersi a quella
routine tranquilla, silenziosa,
pronto a ogni novità, pronto a detestare ogni novità.
Nel momento in cui
dichiara conclusi i preparativi e ritiene sia il momento di
uscire per recarsi al lavoro suona il campanello; l’uomo,
all’attimo di
prendere la giacca, si lascia sfuggire un sorriso esausto per poi
dirigersi
all’ingresso con l’indumento appeso al braccio.
La porta si apre e il
padrone di casa si trova un improvviso peso fra le
braccia – quando abbassa lo sguardo, colto alla sprovvista,
un lampo verde si
spegne dietro palpebre stanche.
«Aiuta... Alice...»
__________
Ed è con
fare sorpreso che osserva l’amico di una vita muoversi per la
sua
cucina, ancora non del tutto a proprio agio però conscio di
quello che sta
facendo, lo stesso Oz famoso per la sua incapacità di
mangiare le uova sode e
talento nella fuga dai compiti.
Tossisce un sorriso,
attirando l’attenzione dell’ospite.
«Oh,»
questi si volta d’improvviso, «Gill, hai
fame?»
«A dire il
vero ho appena fatto colazione, e anche tu».
«Preparavo
qualcosa da lasciare in camera per Alice, poi avevo intenzione di
mettermi alla ricerca di una libreria o qualcosa di simile –
mi prendo la
libertà di dirtelo: hai una casa piuttosto noiosa».
Gilbert ride senza
allontanare gli occhi dall’altro.
Il giorno
dell’incendio, distante ormai dieci anni e qualche paese, il
giovane Vessalius
è misteriosamente scomparso senza lasciare tracce di
sé, senza lasciare indizi
di vita o di morte.
«Oz!»
Il ragazzino si liberò dalla stretta del compagno,
gettandosi nella sala.
«Sento una voce!» gridò alle proprie
spalle, «Tornerò subito!»
Un brivido scuote le
spalle e il cuore di Nightray, mentre analizza il corpo,
il volto del ritrovato Oz. Pare quasi che non sia cambiato per nulla:
dieci
anni hanno portato qualche centimetro in più
d’altezza e lineamenti più affilati,
però resta lo stesso al quale è stato tanto
vicino durante l’infanzia – è
davvero ancora lui? Cos’ha
passato?
Chi è quella ragazza priva d’identità
che lo accompagna e cos’è quel marchio
che ha visto sul petto, sul cuore?
«Oz,»
il nome scivola fra le labbra con una facilità e un sollievo
che
sorprendono l’uomo.
«?»
torna a guardarlo.
Recupera
ciò che aveva da dire dall’inarrestabile filo di
pensieri che quasi lo
soffoca da una settimana, «Preferirei non uscissi da solo,
sarebbe un problema
se tu ti perdessi».
«Quindi...»
«Io
tornerò verso le quattro, per le cinque potrei portare
entrambi a fare un
giro, anche a piedi».
L’altro
sorride, annuendo.
Un’immagine
che Gilbert porta con sé per l’intero viaggio in
macchina e buona
parte della mattinata – non ha neppure da sforzarsi quando
deve ignorare le
richieste esorbitanti dei bambini e gli improvvisi cambi di idea da
parte di stormi di ragazzine o vecchie
sghignazzanti.
«Oh,»
commenta Xarxes, «oggi il signor corvo è di
buonumore,» parla in
direzione di Emily, la piccola bambola seduta sulla cassa.
“Pandora”
è il nome della piccola diner, un vaso che racchiude al
proprio
interno i mali e i vizi.
Gola, civetteria, associazione a delinquere...
Quello di Raven, Break ed Eques non è un compito poi molto
complicato: devono
tenere d’occhio che le diversi componenti
entrino a contatto le une con le altre, come gli ingranaggi di un
orologio; pronti
a intervenire nel caso gli ingranaggi non si incastrino alla perfezione
fra di
loro, o se un granello di polvere di troppo si posa sul quadrante.
__________
«Muoviti,
servitore! Non ho intenzione di restare qui ad aspettarti ancora a
lungo».
La voce decisa di
Alice s’impone sul discreto chiasso: Gill la osserva correre
avanti e indietro guidata da una curiosità infantile,
seguita da Oz paziente e
divertito. Studia come entrambi siano apparentemente stupiti da tutto
– ogni
dettaglio fuori dal comune, ogni individuo eccentrico, ogni articolo
insolito,
a frugare nell’aria come cani da caccia o roditori.
“Già,”
elabora, “Alice sembra proprio un coniglio,” sempre
pronta a percepire
novità con i sensi e fiondarcisi addosso. “Un
pericoloso coniglio mutante
assassino,” aggiunge con sarcasmo mentre la nota in estasi di
fronte a una
rosticceria.
«Volete
prendere qualcosa per la cena?» domanda, attirando la loro
attenzione.
«Carne!»
esclama la ragazza, improvvisamente gentile, «Carne di ogni
tipo,
carne al sangue, carne ben cotta!»
«Non
chiedevo a te,» ribatte di fronte al silenzio di Oz.
«Tu desideri
qualcosa?»
«A me va
bene quel che vuole lei,» la risposta tranquilla.
Vessalius preferisce
trascorrere la serata come uno spettatore: pensieroso, soddisfatto, assiste agli occasionali
battibecchi fra i compagni, intervenendo quando richiestogli, restando
in
silenzio per la maggior parte del tempo.
Un leggero sorriso e
la felicità gli colorano il viso, cancellano gli ultimi
residui di fuliggine rimasta sui vestiti il Giorno da Dimenticare.
Concluso il pasto,
spediti gli ospiti in salotto e rassettata la cucina,
Gilbert ricorda di aver quasi finito le sigarette.
«Esco per un
quarto d’ora,» li avverte mentre recupera il
cappello di lana dal
tavolo della sala. I due sono a proprio agio sul divano, le gambe
avvinghiate
sotto la coperta, Oz appoggiato al bracciolo con cuffie nelle orecchie
e libro
in grembo e Alice telecomando alla mano.
«Prometto di
non scappare con la cassaforte,» mugugna lei senza staccare
gli
occhi dalla televisione.
«Ci
conto,» sospira fingendosi esasperato. Mentre con la mano
controlla di
avere il portafoglio nella tasca dei pantaloni getta
un’occhiata inquieta
all’amico, il quale sembra assorbito dalla lettura.
Il freddo lo sorprende
appena fuori dal portone, in agguato, pronto a pungergli
le guance e inumidirgli gli occhi. Con il calare del sole si
è fatto ancora più
intenso, ‘sì che chi ha intenzione di sfidare la
sera è costretto a coprirsi il
più possibile, anche calare il cappello fino a impedirsi
quasi del tutto di
vedere.
I pugni stringono la
stoffa interna delle tasche, l’aria gelida attraversa i
vestiti e trafigge con mille aghi il corpo caldo
d’appartamento e prima
digestione.
“Devo
sbrigarmi se non voglio beccarmi una congestione,” borbotta
fra sé.
Il tabaccaio si trova
in fondo alla strada in cui vive e non è troppo
frequentato – insomma, incontrare un vecchio conoscente e
restare intrappolato
per quarantasei minuti a parlare di passato e donne è
precisamente una botta di
culo che avrebbe preferito evitarsi.
Sviando domande e
proposte, riesce a salvarsi con una promessa vuota e
piuttosto banale, liberandosi il necessario per potersi avviare a casa.
«Mi
raccomando, musone, fatti sentire!» gli urla dietro
l’amico un po’ brillo.
Evita deliberatamente di rispondergli, cercando di celare al vento le
orecchie
infreddolite.
Il sapore del fumo in
bocca è un’amara vittoria; si costringe a buttare
via la
sigaretta quando ancora manca qualche tiro, rammentando le lamentele di
quel
pomeriggio a riguardo dell’odore che permane dopo aver
soddisfatto quel poco
salutare bisogno.
Non essendo a
conoscenza della condizione degli ospiti, quando entra non
annuncia il proprio ritorno: appende la giacca e si strofina il viso
contro il
cappello caldo, prima di appoggiare anche questo.
__________
Nel momento in cui fa
il proprio ingresso nel salotto, oltre al metro e mezzo
d’inutile corridoio, fa giusto in tempo a vedere la mano di
Alice che lo saluta
mentre entra nella camera degli ospiti e chiude a chiave la porta. Oz,
ancora
sul divano, stordito dal sonno, ha la testa abbandonata in avanti e il
libro
aperto sulla prima pagina del quarto capitolo.
Gilbert sorride mentre
ricorda quanto quello stesso ragazzo odiasse leggere,
quando erano piccoli.
Apprezzava il modo in
cui racconti di ogni genere sapessero portarlo in un
altro mondo, fra altre mura e altre sensazioni, però il
fatto di poter solo
seguire lo svolgimenti della storia, quasi inerte, talvolta lo sviliva
un poco.
Preso da un moto di
tenerezza, Gill si china per baciare la tempia di lui;
delicatamente gli allontana i capelli dal volto, restando a osservarlo
per qualche
momento – fino a quando non alza gli occhi assonnati.
«Ehi,»
gli sussurra, «vuoi che ti porti a letto?»
Il modo in cui Oz si
stropiccia gli occhi e annuisce sono portatori di
un’innocenza tale che è impossibile dar retta al
doppio senso. «Vieni,» lo
invita mentre gli toglie la coperta di dosso e ricicla come segnalibro
una
busta da lettere vuota individuata su una mensola vicina.
Lo tiene delicatamente
per il braccio, mentre lo guida verso la propria camera:
ha ceduto il letto all’amico con immenso piacere, tanta era
la sorpresa per
l’inatteso, insperato incontro.
È come un
bambino che ha tentato con tutte le forze di restare sveglio il
più a
lungo possibile – l’uomo lo aiuta a togliere i
jeans e la camicia per indossare
il pigiama chiaro che gli ha prestato. Nel farlo controlla lo stato del
terribile marchio a fuoco, ormai cicatrizzato però a rischio
d’infezione, che
ha scoperto sul suo petto quel primo giorno.
«Alice...»
parla all’improvviso, quasi un riflesso nel sonno. Nightray
s’irrigidisce, colpito da quell’improvvisa uscita:
non riesce a spiegarsi il
sollievo che lo pervade, quando gli occhi di Oz si aprono, lucidi di
sonno.
«Alice dice
che somiglio a Jack,» mormora a voce tanto bassa da risultare
quasi
inudibile. «Non lo dice, però lo pensa, lo pensa
ogni giorno quando appena
sveglia trova me al posto suo».
Ogni parola
è pregna di una malinconia e una rassegnazione
indescrivibili,
pugnalate al cuore di Gilbert accompagnate da grida di dolore e
giubilo. Si
china per accarezzare Oz in un tentativo silenzioso di consolarlo,
trovandosi
trascinato debolmente sul materasso; non avrebbe bisogno di molta forza
per
allontanarsi da quella stretta, però l’ultima cosa
che desidera è abbandonare
l’amico in un simile stato.
«Se lei ha
bisogno di avere al proprio fianco Jack per lei sarò
Jack,» i fonemi
si susseguono con difficoltà, la lingua impastata rallenta
il lavoro di un
cervello [decisamente] instancabile.
«Per me
sarai Oz»: Gill non riesce e non vuole trattenere quel che ha
dire,
mentre lo avvolge in un abbraccio e lo stringe a sé.
L’altro
sorride, poi non parla più.
__________
È trascorso
quasi un mese dalla comparsa di Oz e Alice, eppure le domande senza
risposta sul passato di entrambi sono innumerevoli. Non che le
occasioni di
parlarne siano mancate – molte sono state le volte in cui il
discorso e stato
aperto, altrettante le battute saccenti o gli imprevisti che hanno
allontanato
ogni proposito a riguardo.
Ogni volta che la
ragazza dice qualcosa di oscuro o d’improvviso pare triste e
pensierosa il padrone di casa drizza le orecchie e, senza che la coppia
di
ragazzi se ne renda conto, presta più attenzione ai loro
discorsi: qualche
volta ha sentito di mocciose scappate da case pericolosamente abbienti e rifugiate da dei Nessuno
poi scomparsi
nel nulla.
La vicinanza di lei e
Oz di sicuro non è qualcosa che aiuta Gilbert nelle sue
ricerche.
Ha paura che lui si
arrabbi per un’eccessiva invadenza, prendendola come
un’aggressione
alla persona alla quale è tanto legato; quando si prepone di
proteggere o
salvare qualcuno nulla può intervenire, nessuno può mettere una
parola
fra lui e il suo obbiettivo. Questo è forse ciò
che lo indispettisce
maggiormente.
«Gill?»
Alza gli occhi dalla
padella che ha di fronte per rivolgersi frettolosamente a
Oz; «Dimmi pure,» gli sorride per un attimo mentre
con il capo gli fa cenno di
allontanarsi dai fornelli. «Attento agli schizzi,»
lo avvisa.
«Sì,»
obbedisce prendendo uno sgabello e sistemandosi spalle alla finestra,
appena fuori dal raggio d’azione.
Attendono qualche
attimo, poi il padrone di casa domanda «Prima,
cosa—»
«Oh,»
lo interrompe ridendo, «non farci caso, a volte parlo senza
pensare,
ormai dovresti saperlo».
Con
l’ausilio di una presina prende il coperchio e lo posa sul
tegame insieme
al cucchiaio di legno, poi si volta in direzione di Vessalius.
«A me invece
sembra che in questi giorni tu abbia pensato anche troppo,»
si
appoggia al piano della cucina e incrocia le braccia sul petto,
«Mi sfugge
invece cosa possa renderti così: vuoi dirmi
cos’hai? Non ti costringerò a
rispondere... per ora,» aggiunge in un tentativo di fare
dell’ironia.
Oz inspira ed espira,
chiudendo gli occhi e lasciando la testa a ciondoloni.
«Non preoccuparti,» mormora con la voce resa strana
dalla posizione.
L’uomo muove
un paio di passi in direzione del compagno, mettendogli le mani
sulle spalle per richiamare la sua attenzione: «Permettimi di
aiutarti, Oz,»
scandisce guardandolo dritto in faccia.
Ha bisogno, bisogno di sentire di
poter ancora fare qualcosa per quel ragazzo, prima di perderlo
irrimediabilmente. Perché se n’è
accorto, se n’è accorto e ne soffre moltissimo
– si trovano di fronte a un punto di non ritorno, impossibile
recuperare i
discorsi che tentavano di risultare seri dell’infanzia.
Una strada a senso
unico.
Oz è
più giovane di qualche mese, eppure in quel momento a
Gilbert sembra di
essere un inerte bambino il quale, adorante, è in ginocchio
di fronte a un
padre vecchio e stanco.
Osserva, sangue del
suo sangue, come chini la testa di lato per poi sorridere
malinconico. Le dita, rese fredde dal prolungato contatto con il vetro,
disegnano tragitti umidi sulle sue guance, sugli zigomi.
«Gill,»
lo chiama in un sussurro che pare non essere mai esistito.
Nascoste dietro a
occhi che brillano d’incertezza, nel buio e nel silenzio,
molte voci gridano d’essere liberate; è per
metterle a tacere, per eliminare
ogni segreto e inganno anche solo per un secondo, che mentre si alza in
punta
di piedi attira a sé l’altro.
Gli posa un bacio
lieve sulle labbra, lento e agitato come solo chi non è
stato
abituato a simili gesti, e trema in maniera irripetibile quando Gilbert
risponde alla dimostrazione.
«Oz,
fermati! Oz, Oz, Oz!»
Fuori dalla villa
urlò per ore tenendo le palpebre serrate per non lasciare
libere le lacrime e con le braccia rigide lungo i fianchi; uniche
tracce
dell’incendio erano l’odore di bruciato
nell’aria e la devastazione di quella
sala, grande, nella quale uomini sconosciuti si muovevano in cerca di
tracce
dell’origine del disastro.
A qualche metro da
lui, un paio di Vigili del Fuoco parlavano fra loro.
«Ci sono
morti?» s’informò il secondo, quando il
primo lo raggiunse dal breve
incontro tenuto con i paramedici.
«Qualche
intossicato e una ragazzina sotto shock, però
sopravvivranno»: a
quelle parole il più giovane sospirò, prendendo
poi un pacchetto di sigarette
dalla tasca.
«E del
moccioso disperso? A momenti Erik si perdeva le palle per
lui».
«Nel posto
c’era un’uscita utilizzata dai camerieri
– potrebbe esser passato di
là ed essersi nascosto in qualche ripostiglio,
salterà fuori entro domani sera».
Rise fumo.
«Dannati ricconi...»
__________
Parole lasciano le labbra di Gilbert l’una dopo
l’altra, compongono frasi,
entrano ordinatamente a far parte di quel monologo che lui ha passato
giorni a
elaborare: la festa di compleanno, il senso di colpa per non essere
riuscito a
impedirgli di tornare nella sala, l’addio a tutti,
l’arrivo alla tenuta dei
Nightray, l’incontro con Xarxes e Sharon, la fuga. Sono
immagini che si
dipingono nitide dietro le sue palpebre, sono sensazioni che cerca di
trasmettere
con ogni vocabolo che ha a disposizione.
Gli occhi di Oz nei propri e il cuore in mano, fa del proprio meglio
per
metterlo a corrente di quel che è successo durante la sua
misteriosa assenza.
Al tardo pomeriggio si sostituisce presto la sera, e Alice ancora non
sembra
voler tornare dalla propria passeggiata. “Pioveva e mi sono
ritirata dai servi,”
spiega di volersi trattenere
per cena da Break e dalla giovane compagna con un sms; Gill improvvisa
qualcosa
per sé e Vessalius, lasciando perdere le zucchine ormai
immangiabili.
E continua a parlare mentre fruga nel frigorifero con lo sguardo, parla
seduto
al fianco di Oz quando questo si offre di lavare i piatti e il
televisore racconta
l’aria, a volume basso, un sottofondo continuo.
Uno parla, l’altro ascolta in silenzio, si ciba di ogni
fonema e lo digerisce.
Trattiene commenti, scuse, lacrime – il protagonista
è Gilbert e deve
rimanerlo.
Alla fine del resoconto sorride.
Dopo aver spostato per un attimo gli occhi sullo schermo televisivo,
torna a
rivolgersi all’altro.
«Io farò tutto il necessario per rendere felice
Alice, come ho fatto da quando
l’ho incontrata».
L’uomo lo attira a sé con un sospiro contrariato,
poi parla fra i suoi capelli.
«E tu?»
«Io sarò felice così,» si
separa quel che basta per poter tornare a guardare in
viso Gill. «Io sono felice così».
Un bacio.
Per ogni parola persa nell’aria, per ogni respiro lontano,
per ogni dolore e
lacrima, per ogni gomito sbucciato contro il muro lo abbraccia forte
come se
stesse per perderlo – come se sapesse già di non
averlo suo, deciso a godere di
ogni momento in sua compagnia prima di perderlo definitivamente.
«Stupido».