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Autore: Red S i n n e r    15/02/2010    5 recensioni
Si stupì quando si ritrovò a pensare che, benché quel sole fosse così bello, piangesse in modo così disperato.
Kagome temperava, e il cielo sporco rideva mentre il sole piangeva.
[...]
E in un quaderno dimenticato imbrattato di polvere e nostalgia ancora s’affacciavano, timidi e un poco abbozzati, mille soli che cercavano d’imitare un solo paio d’occhi gialli – che non aveva ancora mai visto -, e il loro muto urlo - che nessuno aveva mai sentito – cercando di curare centinaia di solchi invisibili nati dalla paura impalpabile d’esser diverso.
{Kagome POV; nonsense.}
Genere: Malinconico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Inuyasha, Kagome
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Mille soli - Crying light.

 

Mani paffute reggevano con fermezza il pastello, il viso puerile era tutto concentrato nell’arduo compito di non infrangere il margine del disegno prestampato, uno sbuffo insoddisfatto sfuggì dalle labbra ora imbronciate: l’arduo compito era andato a farsi benedire e uno sbavo di colore verde ora macchiava quello che sarebbe dovuto essere il cielo.

Con studiata nonchalance la bambina si strinse nelle spalle, afferrando poi il successivo pastello, di un bel color giallo accesso, nella speranza che sarebbe andata meglio.

Con calma e con la lingua stretta tra le labbra, la bambina tracciò i confini del grosso sole che campeggiava nel suo cielo appena un po’ più verde del solito poi calcò il pastello ben bene perché, aveva deciso, che il suo sole dov’essere veramente giallo, profondamente giallo.

Dopo cinque minuti di accurato lavoro, e dopo aver rischiato di bucare il foglio nell’eccessiva foga, il suo sole faceva da padrone in quel paesaggio semplificato e sorrideva beato – di un giallo che suscitava invidia – al cielo macchiato di verde che gli faceva da sfondo.

Kagome lo osservò a lungo sorridendo felice.  Il suo sole perfetto, sembravano gridare i suoi occhi scuri e, senza una ragione ben precisa, si ritrovò a pensare che una persona con quel sole al posto degli occhi sarebbe stata bellissima.

Provò ad immaginarsi un ragazzo con quegli occhi, avrebbe dovuto essere davvero bello e, probabilmente, avrebbe suscitato invidia; la stessa invidia che provava il cielo macchiato di verde.

Kagome imbronciò le labbra accarezzando il suo sole con gli occhi, Eri le aveva detto che i principi azzurri, di giallo, avevano solo i capelli, gli occhi li avevano azzurri, azzurri come il cielo che lei aveva sporcato.

Ma il sole rideva nel cielo imperfetto e Kagome lo guardò con orgoglio, accarezzando il foglio con la punta delle dita e si stupì quando notò che la superficie di quel sole era solcata da linee invisibili che ne avevano alterato la forma: aveva premuto quel pastello decisamente troppo forte.

Si stupì quando si ritrovò a pensare che, benché quel sole fosse così bello, piangesse in modo così disperato.

 

 

Osservando occhi che non avrebbe mai immaginato di vedere Kagome sorrise felice, quel giallo così bello, quel sole così perfetto, era incastonato in quegli occhi per davvero!

Ricordando l’uso spropositato che faceva del pastello giallo, sorrise, e ripensò a tutte le volte che con cura lo aveva temperato. La punta doveva essere bella acuminata perché il sole necessitava di un trattamento importante, doveva illuminare il foglio. E non le importava nulla delle macchie di verde nell’azzurro del cielo e viceversa, non le importava nemmeno della sua amica Eri quando le diceva che i principi azzurri avevano gli occhi celesti.

Il giallo era un bellissimo colore, il suo preferito, e per quel che la riguardava continuava a pensare che un ragazzo con gli occhi color del sole sarebbe stato bellissimo.

Temperava quel pastello molto spesso e s’intristiva ogni volta che lo vedeva accorciarsi tra le sue mani: il legno veniva mangiato da quella lama affamata,  la mina colorata volava via in polvere sottile ed era come pianto muto.

Il giallo piangeva e Kagome non poteva fare a meno di pensare a ogni suo sole, che portava su di sé incancellabili solchi, come lacrime impalpabili.

 Kagome temperava, e il cielo sporco rideva mentre il sole piangeva.

 

 

Kagome osservava quegli occhi, standogli accanto senza mai avere il coraggio di comparare il loro colore unico a quello dei soli che riempivano i suoi sogni di bambina.

Chissà perché poi. Forse aveva paura d’ammettere che, no, quei colori non si assomigliavano nemmeno un po’ o forse aveva paura di ammettere che, al pari dei solchi d’invisibili lacrime che i mille soli portavano su di loro, anche i suoi occhi erano tracciati e sfibrati da qualcosa che li deteriorava. Forse aveva paura d’ammettere che, a modo loro, anche quegli occhi piangevano disperati.

La prima volta che li vide lesse qualcosa come polvere di dolore in quegli occhi così splendidamente gialli, la prima volta che li vide l’ambra d’arroganza cercava di nascondere, quei solchi di rimpianto, che tracciavano le sue iridi anormali.

Si ritrovò a pensare che forse era proprio questa anormalità ad uccidere occhi così belli, forse erano gli sguardi cupi e orribili di gente che non capiva, ma che con le dita accusava il suo intero essere di una colpa mai commessa, o forse così grande da non poter essere descritta: quella d’esser nato.

E allora il cielo non era invidioso del suo giallo perfetto e il prato non era amareggiato per la sua tinta splendente, semplicemente lo accusavano, e in quegli che parevano vivi qualcosa moriva tremando un po’.

Ripensando alle sue convinzioni di bambina s’accorse che parecchie erano morte con la sua infanzia; forse solo una era rimasta intatta: un ragazzo con gli occhi belli come soli era davvero bellissimo a sua volta.

“InuYasha?”

“Mh?”

“Mi piacciono i tuoi occhi.” E sorrise.

Sorrise della polvere rossa che aveva colorato le guance del mezzo demone, brillando in quegli occhi che erano soli morenti, e che conservavano in essi tutta la pacata malinconia di un tramonto.

 

E in un quaderno dimenticato imbrattato di polvere e nostalgia ancora s’affacciavano, timidi e un poco abbozzati, mille soli che cercavano d’imitare un solo paio d’occhi gialli – che non aveva ancora mai visto -,  e il loro muto urlo - che nessuno aveva mai sentito – cercando di curare centinaia di solchi invisibili nati dalla paura impalpabile d’esser diverso.

“Sai, mi piacciano i tuoi occhi, InuYasha. Mi piacciono tanto.”

E sorride.

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E'... senza senso, credo. Anzi, togliano il 'credo', è senza senso e basta. XD
Però, boh, la volevo scrivere. Spero vi piaccia.

Red. 

   
 
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