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Autore: Ste_exLagu    16/02/2010    5 recensioni
Un'intervista anni dopo la morte di Kaede.
Protagonista Hanamichi.
La reazione al suicidio di Kaede.
Fa parte della serie Tutta la vita in un secondo. Nella linea Temporale si posiziona come sequel di un secondo. L'intervista viene fatta dopo la scrittura delle lettere presenti in Baka Dohao, ma prima che vengano lette le stesse.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi, Slash | Personaggi: Hanamichi Sakuragi
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Tutta la vita in un Secondo'
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Dunk

«Mi chiamo Hanamichi Sakuragi e sono il Dio del Basket.»

Un inglese strano con un accento straniero appartiene ad un giovane uomo dai capelli rossi lunghi i lineamenti decisi ed un fisico scolpito dallo sport, atletico e robusto. Un centro come se ne vedono pochi, elevazione e precisione a rimbalzo. La disperazione di ogni giocatore che prova a sfondarne il muro. La voce roca profonda, che gratta, non una voce limpida, una voce di quelle da blues. Sorride, mentre continua con tono deciso: : «Suona bene per iniziare questa intervista, non crede?».

L'intervistatrice è una giovane americana dai lunghi capelli biondi raccolti in un comodo chignon da cui sfuggono un paio di ciuffi che le incorniciano l'ovale perfetto, così come il suo trucco e il vestiario, sembra quasi fuori luogo in quella grande palestra, un palasport di quelli con gli spalti a gradoni. Insieme a lei un cameraman vestito con abiti comodi e scarpe da ginnastica con la telecamera poggiata sulla spalla con una lucina già accesa: «Sa non dovrebbe usare quelle scarpe su parquet» continua lui non dandole la possibilità di rispondere alla domanda precedente. La donna sorride infastidita: «Non le sembra un po' megalomane come affermazione? Avevamo accordato per l'intervista e pensavo la potessimo fare nell'ufficio adiacente alla palestra così sarebbe stato comodo anche per il cameraman. «Signora è semplice lei si sente a suo agio con quella puntata addosso, io no, sono solo un giocatore di Basket, e sono a casa.» sorridono entrambi lui sorride malinconicamente mentre lo sguardo si perde nel vuoto, lei sorride accondiscendente come se stesse ascoltando un matto.

«Bene signor Sakuragi» lui scuote la testa: «Sakuraghi signora» la corregge interrompendone la domanda. La donna si infastidisce ulteriormente cominciando a dare segni di impazienza mentre lui fa roteare un pallone sulla punta del dito. «Venga andiamo a sederci là» la invita indicando una delle panchine. Lui si siede a cavallo della panca mentre lei si siede compostamente, lui non si è ancora staccato dal pallone, come se fosse una sua appendice. «Possiamo cominciare allora?» evita di annunciare al proprio ospite che stanno andando in diretta sul canale televisivo per il quale lavora: «certo signora» annuisce socchiudendo gli occhi nocciola ed inclinando la testa da un lato. «Dicevo signor Sakuragi, quando ha iniziato a giocare a Basket e cosa l'ha spinta verso questo sport».

La risata dell'uomo è argentina, quasi infantile: «Di sicuro non per il più nobile dei motivi, e sicuramente non in maniera convenzionale.» si lecca le labbra lentamente come se prendesse tempo: «Era il giorno del mio compleanno, il mio quindicesimo compleanno ed era il primo giorno dell'anno scolastico. Il primo aprile, come ogni anno in Giappone inizia la scuola, ero nella nuova scuola con il mio record di 50 scaricamenti da parte di ragazze, in realtà odiavo il basket senza nemmeno sapere cosa fosse perché una delle mie fiamme mi aveva scaricato per un giocatore, stavo cercando i miei amici nei corridoi del liceo e mi imbatto in una ragazzina, tipica giapponese, piccolina capelli scuri occhi scuri, un viso molto carino, e me ne innamoro, o almeno ne sono stato convinto per anni» sospira: «insomma mi ferma chiedendomi se fossi un giocatore di basket e non potevo sfigurare, non le pare, le dissi di si aggiungendo non ricordo quali sbruffonate, tra cui anche quella: «Tensai» il genio ma lei era innamorata della Kitsune, un ragazzo di una bellezza stupefacente, pelle candida, occhi grandi e blu capelli neri, ed ecco la mia nemesi il volpino, la volpe, come lo chiamavo, lui mi chiamava Do'hao, che vuol dire scemo e ogni insulto simile.» la donna lo blocca: «Un triangolo dunque?» l'uomo sembra stranamente nostalgico: «un triangolo complicato in realtà perché io amavo lei, lei amava Kitsune, e lui amava me, anche se a quel tempo ancora non lo sapevo.»

Si morde il labbro inferiore cercando di celare l'imbarazzo. «La kitsune oltre ad essere bellissimo era anche un portentoso giocatore di basket, io mi dichiaravo il genio ogni volta e finivamo ad insultarci e a picchiarci nonostante fossimo compagni di squadra. Ci siamo passati la palla solo una volta, una palla decisiva alla partita più entusiasmante del campionato nazionale di quell'anno. Io sono riuscito a ritagliarmi un posto in una squadra di teppisti. Nessuno di noi poteva dirsi santo, tutti eravamo delle teste calde, e dei testardi, e menomale» un ennesimo sorriso malinconico. «Un anno dopo la vittoria del campionato, lui, lui si è ucciso nello spogliatoio, e abbiamo dovuto fare il faccia a faccia con la morte a sedici anni, e abbiamo tirato fuori gli attributi, mancava il nostro silenzioso trascinatore, quello che grazie alla sua bravura ed ai suoi insulti mi ha portato a fare degli sforzi immani, grazie a lui mi sono ripreso da un infortunio alla schiena, lui era stato convocato nella nazionale Juniores Giapponese e veniva con la maglietta a correre sulla spiaggia vicino alla clinica ogni giorno schernendomi. Gioco grazie a Lui» una lacrima involontaria scende dagli occhi color nocciola.

La donna boccheggia mentre si guarda intorno, l'uomo comincia a palleggiare: «sa i fondamentali per me erano inutili non capivo, ma poi vedevo la sua grazia, il suo felino giocare, e mi rendevo conto che lui doveva aver fatto quei movimenti miliardi di volte. Mi ha spronato anche dopo. Tutto questo è dedicato a lui, nonostante io lo abbia ferito al punto di essere la causa scatenante del suicidio. Era depresso e inappetente, ed io l'ho fatto scattare. Nel Bene e nel Male, purtroppo anche nel male» sospira ancora mentre il palleggio è lento e ritmato perfettamente intonato al parlare di lui che guarda verso la donna: «involontariamente ero diventato la sua ancora di salvezza, ma sono stato anche il carnefice del suo cuore malandato. Lo schernivo pesantemente, gli ho detto di tutto, tra cui che nessuno avrebbe sentito la sua mancanza, quanto mi sbagliavo.» la donna è imbarazzata: «questa la taglia vero?» chiede con un filo di voce l'uomo: «insomma sono stato un idiota integrale, visto che solo dopo, molto dopo ho messo in ordine la mia vita. Ero troppo arrabbiato con il mondo. Troppo alla ricerca dell'affetto che mio padre non poteva più darmi. Mi ero fissato sulle ragazze materne, quelle che ti coccolano, non come lei, lei è così sicura di se. Quelle dolci insomma. Ma era tutto qui» si tocca la testa. «Ma nel cuore c'era solo la voragine della morte, e solo una seconda quella di Kaede e solo anni dopo ha messo tutto nelle giuste posizioni. Come nei puzzle. Non si direbbe ma li ho sempre amati, anche quando andavo a giro per Kanagawa a suonarle di santa ragione ai mie coetanei o a quelli più grandi. Avere i capelli rossi in Giappone è come avere tre occhi o quattro braccia, sei un caso raro, e non sempre attiri le simpatie.» sospira alzandosi in piedi e provando a tirare da quella posizione. La palla fa una parabola perfetta staccandosi dalle mani grandi dell'uomo, la palla entra nell'anello senza toccare le superfici continuando a rimbalzare stancamente. La donna sembra interdetta: «scusi ma, non ho capito, cosa è andato a posto?» sembra meno impaziente rispetto all'inizio trasmissione: «non è stato facile, ho dovuto accettarmi completamente, senza riserve e sono dovuto maturare parecchio prima di rendermi conto di fingere anche con me stesso. Cinquantuno scaricamenti da ragazze molto femminili, figure quasi materne, dovevano far pensare. Non mi impegnavo.» Fa vedere la mano alla donna, una piccola fedina d'oro bianco circonda l'anulare del giovane, una fascetta incisa, un tribale disegnato sopra, lo stesso tribale che gli incornicia l'orecchio scendendo sul collo. «Ora ho capito, avevo bisogno di un mio pari, di qualcuno che mi amasse come sono, non come mi sarebbe piaciuto essere. Ho perso molti amici, o presunti tali quando ho confessato la mia omosessualità. Sto con un giovane ed avvenente uomo, uno che riesce a tenermi testa. Io sono un malpelo dopo tutto» la donna sbarra gli occhi, gossip sul giocatore emergente dell'anno ce ne era stato tanto, anche sulla sua presunta omosessualità ma non avrebbe mai pensato ad una tale franchezza: «Un malpelo?» chiede incuriosita. «Sa il mio Koi, koi sta per koibito, fidanzato appunto, ha studiato letteratura occidentale, ed ha scovato un racconto italiano, sui capelli rossi, e c'è appunto questa storia in cui si afferma che le persone coi capelli rossi sono l'incarnazione del male» scrolla le spalle: «non so molto altro solo che mi chiama malpelo.» si lecca le labbra lentamente. «Senta, lei è sicura di montare questa cosa? Sto straparlando» arrossisce mentre la donna ride: «siamo in diretta» il giovane sbianca: «cioè ecco... Kami sama» chiede aiuto agli dei: «ok, allora che ne dice? Un ragazzino che dopo soli sei anni di gavetta gioca in NBA come centro contro Shaquille O'Neal e in maniera decente, un ragazzino gay, giapponese non ci avrebbe scommesso nessuno, ma ho doppia forza, la mia e la sua, quella di Kaede, per Keade.». La donna annuisce: «non ha fatto una scenata, pensavo spaccasse tutto» la risata argentina risuona mentre il ragazzo recupera il pallone cominciando a correre per il campo schivando giocatori immaginari. Salta e con una specie di ruggito fa uno slam dunk di potenza. Un'esplosione di violenza liberatoria.

«Ma io ho spaccato tutto», risponde scendendo, lasciando l'anello metallico: «vede basta incanalare bene le proprie forze, è questo che Kaede mi ha insegnato, e ora la saluto che la squadra sta per arrivare». Si allontana verso gli spogliatoi non voltandosi più. La donna chiude facendo sfumare al cameraman l'inquadratura. Buio. Alla fine rimane solo Buio.



Note: Ho messo un po' di spazi e basta. Il mio intento adesso è dare forma alle parti nebulose di questi due racconti. Ne ho preventivati altri due. Pensavo un pov di Kaede, mentre per l'altro pensavo un pov alternato.

  
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