SECRETS
Cadeva,
agile e repentina, assassina sul terreno spoglio.
Tagliava
l’aere tutt’intorno, lacerava ogni resistenza, sminuzzava ogni barriera.
Ogni
goccia era come una lama indistruttibile.
Pioveva…come
sempre del resto.
Fredde
figlie iridescenti di luce propria, glaciali fanciulle dalla vita di qualche
frazione di secondo solcavano il cielo osservando il mondo circostante:la sua
bellezza è oramai sfiorita, il sole non oltrepassa il folto manto di nubi con i
suoi caldi raggi donatori di vita.
Fiumi,
laghi, oceani di profonde acque scure dall’apparente aria serena, ingannevoli
flutti maligni, liquidi ingannatori di ingenui temerari.
Assassini
composti di sangue e lacrime.
Foreste e
selve denudati dal loro vigore smeraldino. Flora arida, grezza, ruvida
rivestita di un pungente odore di desolazione.
Terreni
deserti e colli sublimi di ceneri sparse dal vento seduttore.
Un mondo
morto già in partenza, questo osservavano le figlie del cielo discendendo come
Valchirie.
Urla
sorde.
Alcune si
infransero sulla sterile terra genitrice, sulla vegetazione spenta, sulle case
di anime erranti; altre finirono di inumidire una bagnata chioma corvina,
scendendo sul viso puntinandolo di minuscoli punti trasparenti. Camminava sotto
l’acqua, infreddolito, il respiro si condensava una volta emanato. La testa
bassa, i vestiti sporchi di sangue trascinandosi sugli zoccoli come portasse un
peso invisibile.
Si
guardava intorno con la coda dell’occhio, alla ricerca di un solido riparo,
quando si accorse che in quella solitaria strada sdrucciolosa e sabbiosa, vi
era solo lui.
Il mondo
girava, viveva, ma nessuno era con lui.
Quanto
aveva camminato? Dove era diretto?
Non lo
sapeva nemmeno lui, ma continuò a proseguire. Non riuscì a finire un passo, che
un grido metallico e lancinante divise lo spazio, trafiggendogli l’udito.
Tintinnii
crescenti, simili a gemiti si spargevano tutt’intorno, come gli stesse una
presenza accanto.
Girò la
testa di scatto in varie direzioni, muovendosi su se stesso costruendo
semicerchi sul terreno spoglio. Gli occhi aperti e spaventati, il ritmo
cardiaco accelerato. Non vi era nessuno, era solo.
Silenzio.
Il dolore
sembrava cessato.
Percepiva:
il vento seduttore sibilargli in un orecchio accarezzandolo col delicato tocco
di un’amante, distante e veloce, avvolgendolo in un freddo abbraccio.
Sentiva: l’umido dell’acqua insipida sulle labbra.
Annusava:
le polveri sparse per l’aria, pesanti e granose riempirgli i polmoni.
Ascoltava:
un live tintinnio metallico crescente, simile ad un lamento.
Camminò
in direzione del suono, affascinato, spaventato, ma notevolmente attratto, come
un magnete verso il suo opposto.
Davanti a
lui, nascosta dietro una rupe, si nascondeva una caverna dalle grigie pietre
spesse. Non riusciva a vederne la fine, risucchiata in un nero oblio. Deglutì
rumorosamente pensando a quale mossa fare: tornare indietro e continuare verso
una meta ignota o proseguire verso quel meraviglioso e straziante suono?
Si voltò
indietro osservando ogni particolare. I rami marci e spogli degli alberi, la pioggia
battente, il vento gelido che faceva danzare le foglie secche, la fanghiglia
appiccicosa sotto i piedi.
Aveva
vissuto lì per tutto quel tempo, con quale risultato? Era sempre stato lui a
correre per quel mondo, ma non era mai stato ripagato. Guardò l’interno della
grotta e silenzioso, prese coraggio entrandovi, verso quel suono così seducente
e misterioso. Ad ogni passo sentiva il battito del metallo su altro metallo
sempre più intenso come un cuore pulsante e vivo e delicatamente l’oscurità
della caverna andava diradandosi.
Una calda
e tiepida luce avanzava rapida e chiara avvolgendo la cavità della caverna
dalla quale era sprigionata. Non era un chiarore fortissimo, ma nella tetra
caverna, anche una lucciola sarebbe sembrata il sole.
Avanzava
sempre più affascinato, abbandonandosi al chiarore ed avvicinandosi sempre più
audacemente. Sentiva il rimbombo del metallo battuto sempre più forte e deciso,
impassibile ed inevitabile.
La luce
si stava facendo sempre più vicina e la cavità sempre più stretta. I piedi rallentarono
il passo, strusciando lievemente tra i sassi, la mano sinistra poggiava sul
muro, graffiandosi mentre accompagnava lievemente il movimento delle gambe.
Si fermò
davanti ad una fornace in pietra, scavata a mo di nicchia, dalla quale come
fosse una fontanella sgorgava fuoco ed un’intensa rosata lava. Batteva
incessantemente in ginocchio al di sotto della
nicchia rialzata rispetto il terreno grullo, un vecchio gobbo e rattrappito,
coperto solo con uno straccio consumato e sporco al livello dell’inguine.
L’uomo aveva abituato i suoi occhi a quel chiarore, seppure con fatica e
scorgeva da quella figura le ossa delle esili braccia sorreggere un martello
più grande e pesante di lui, nero e feroce ed a ogni battito prendeva fiato
mostrando le costole sotto la pelle olivastra bruciacchiata. Era calvo e rughe
profonde sul viso, che gli dipingevano una continua smorfia mista di dolore,
odio e rassegnazione.
- Non col dardo ferirla, ma colpirla, colpirla, colpirla.- ripeteva fra sé e sé stentatamente,
come a trasmettere al suo operato un che di magico ed arcano.
L’uomo osservava
stupito il fragile vecchio forgiare con una gran forza di volontà e maestria
una lama nera e spenta come carbone. Non era ferro, né un metallo conosciuto.
Non rifletteva la luce, né sussultava ad ogni rintocco dell’aguzzino sulla sua
figura, bensì urlava muta facendo proprio il silenzio e cercava qualcosa,
annaspando.
L’uomo era
incantato da quell’oggetto così misterioso e grezzo allo stesso tempo da
sentire l’inaspettato desiderio di stringerlo fra le mani e farlo proprio,
possederlo e mostrarlo a quel mondo così lontano da lui per renderlo oggetto di
invidia: era cosa tanto bella da non essere degna di esistere.
- Cosa forgi vecchio?- si rivolse all’anziano
senza staccare gli occhi scuri e luccicanti dalla lastra spenta. La poteva
sentire, viva e desiderosa di vivere, ma sofferente nella sua prigionia.
- Cieco! A te che sembra?- gli rispose scontroso
senza degnarlo di uno sguardo. Con una pinza prese la lama, stranamente non
incandescente e la intinse in un secchio arrugginito colmo d’acqua, nascosto
tra varie ombre.
Dall’acqua uscì inspiegabilmente
del vapore.
- Una…lama?- sussurrò insicuro il giovane
domandandosi come potesse uscire del fumo da una lama teoricamente non
incandescente immersa in un liquido. Se non fosse stata incandescente non si
sarebbe potuta forgiare, ma erano tanti i misteri che erano intorno
quell’oggetto.
Il vecchietto lo
guardò storto prelevando la lamina scura dall’acqua. Quella era ancora atona e
spenta. Non emanava più nulla, né grida, né attrazione.
Come fosse morta.
- E’ una spada bello mio.- spiegò il
vecchio esaminando la sua opera alla luce del fuoco. – La vedi così, perché non ha ancora trovato un compagno che sappia
portarla.- ridacchiò.
- Io sono un guerriero.- altezzoso il
ragazzo si riempì di arie.
- E perché non porti nessuna spada al tuo
fianco?- il vecchio parlava senza guardarlo, come se già fosse a conoscenza
delle risposte. Lustrava il frutto del suo lavoro, adornandola e rifinendola.
Era una lama spoglia e grezza, ma tra le sue mani sembrava una bellissima dama
adorna di eleganza o ancora meglio, non apparteneva a quel mondo terreno, bensì
poteva essere figlia di un dio.
- Un guerriero non ha bisogno di una spada per
combattere. Un guerriero se forte combatte da solo. Un guerriero muore da solo.
Una spada è un oggetto, non può aiutarlo.- ma le sue parole non
corrispondevano a verità. Continuava a fissare l’arma come incantato.
- Io non credo caro ragazzo. Una lama è come
una donna, solo una è quella giusta. Un guerriero che non impugna la sua spada
non è da considerarsi tale ed una lama che non ha un guerriero è solo un
ammasso di metallo. Vedi la mia creazione, ad esempio. Ora è vuota, priva di
vita eppure tu sei qui. Forse è stato il destino, chissà, ma una lama è
un’amica, una compagna, con cui dividere ostacoli ed emozioni. Credi in lei,
amala e rispettala. Lei non ti tradirà. Non fuggire dietro i tuoi pugni.-
detto questo il vecchio posò la lama a terra e rimase nell’ombra in silenzio.
Il
guerriero la guardò e sentì una forte adrenalina crescere in lui. Non era amore,
passione, mistero o altro… una nuova sensazione si faceva strada nel suo essere
più recondito e segreto. Qualcosa di simile alla fiducia ed il rispetto, ma più
forte e trascendente.
Prese la
lama in mano e quella gli diede un’impugnatura per non ferirlo e brillò, più del
sole e delle alte stelle.
- Ora cosa farai?- gli domandò il vecchio.
- Continuerò il mio cammino. Non sono più
solo.-
E come se
n’era venuto se ne andò.
Lui prima
portava con sé segreti.
Ci sono tre tipi
di segreti:
I segreti che teniamo ben nascosti per proteggere
il nostro cuore.
I segreti che vorremmo rivelare, ma siamo
obbligati a non farlo.
I segreti che teniamo nascosti nella speranza che
qualcuno ci chieda di parlarne.
Gettate le
barriere. Se qualcuno è importante per voi fidatevi e pogiatevici con tutto voi
stessi.
Non siete soli.