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Autore: _Pulse_    17/02/2010    3 recensioni
Guardai con più interesse i due ragazzi, piegando la testa leggermente di lato e alzando un’orecchia, divertito dai loro battibecchi da bambini, nonostante non lo fossero più. Erano davvero simpatici, sì.
«Guarda quello, Tomi! È bellissimo!»
«Ma che ci vuoi fare con quello, Bill?! È un coso minuscolo, rischierei di pestarlo!»
«Non essere cattivo!»
Genere: Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Sorpresa
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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NdA: Buongiorno a tutti! ^______^ Sì, in questo periodo vanno le one-shot xD Ma non vi preoccupate, sto scrivendo e mandando avanti anche le altre ff, non le ho abbandonate!
Spero che questa storia vi piaccia, anche se non è niente di ché. Ma è molto particolare e ci ho provato (:
Ci sentiamo alla prossima! Buona lettura! *-*

_Pulse_

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Deserve

Sono fortunato.
Sì, lo sono davvero e c’è chi lo sa, ma solo io posso capire quanto lo sia in realtà.

Conosco diversi amici che sono stati maltrattati, trascurati, abbandonati sul ciglio della strada…
L’elenco delle cose brutte è molto lungo, ma per fortuna ci sono anche tante cose belle.
Bisogna solo essere molto fortunati. Come me.

A volte mi chiedo se me lo merito, perché sono stato scelto proprio io fra tanti altri.
Tutte le domande che nelle notti mi assillano, con una carezza affettuosa sulla testa svaniscono.

Non posso di certo lamentarmi, devo solo ringraziare la sorte e poi, è scontato… devo ringraziare loro.

Ricordo benissimo quel giorno, uno fra i tanti chiuso in quella specie di cella che mi metteva sempre una tristezza infinita addosso. Mi sentivo soffocato, avevo voglia di correre in mezzo ad un prato verde, di seguire chi mi avrebbe reso di nuovo libero e felice…

La porta si aprì dopo diversi giri di chiave e rizzai le orecchie come il mio vicino, Black – chiamato così per il colore del suo pelo – che si avvicinò alle sbarre e incastrò il muso fra di esse, negli occhi un velo di speranza.

Lui era lì ormai da tre anni.
Dopo essere stato abbandonato in autostrada dal suo precedente padrone, aveva fatto il vagabondo per un po’ di tempo, era stato al fianco di un barbone e aveva persino rischiato di morire a causa di un incidente stradale, quando una signora lo aveva accolto in casa sua, lo aveva medicato, nutrito e il giorno seguente lo aveva portato in quel canile perché non poteva occuparsi di lui.

“Che succede?”, chiesi annoiato, senza sollevare nemmeno il muso dalle zampe.

“Sono arrivati due ragazzi. Magari è la volta buona che me ne vado da qui!” Iniziò ad abbaiare per attirare l’attenzione dei due, come stavano facendo più o meno tutti gli altri coinquilini.
Io mi avvicinai soltanto alle sbarre perché incuriosito.

«Gran parte di questi cani sono stati abbandonati dai loro padroni, sono stai trovati da persone che li hanno portati qui oppure erano dei randagi», spiegò la donna che si occupava di noi alla mattina.

«Come si fa ad abbandonare dei cani?», bofonchiò il ragazzo con i rasta biondi, le mani dentro le tasche degli enormi pantaloni, sotto una maglietta che sembrava più una tenda.

«Bisogna essere davvero crudeli», disse invece l’altro, con i capelli neri e lisci sulle spalle, magro e con gli occhi truccati di nero.

“Che strani che sono”, dissi a bassa voce a Black, ridacchiando.

“È vero, ma sembrano simpatici.”

“Sicuro”, scodinzolai. “Spero ti prendano, amico.”

“Lo spero anch’io, sono stufo di stare qui! Tu no?”

“Non puoi immaginare quanto…Però…”, abbassai il muso, grattando il pavimento con le unghie.

“Vedrai che ce la farai”, mi rassicurò.

“Come fai ad esserne sicuro?”

“A volte l’amore degli esseri umani sa essere davvero un’ottima cura, te lo assicuro.”

Stirai un sorriso e mossi la testa acconsentendo, ma chissà se era davvero così.
Non ero mai stato con degli umani, ero nato in strada e ci avevo sempre vissuto, con la mia compagna che purtroppo non ce l’aveva fatta a sopravvivere.
Ero stato parecchio male dopo la sua morte, piangevo sempre, ma poi avevo ripreso a respirare arrivato qui. Ma era stata una pace temporanea, perché quando capii che non sarei più uscito da lì fin quando qualcuno non mi avesse preso con sé, tutto era tornato grigio ai miei occhi.

Guardai con più interesse i due ragazzi, piegando la testa leggermente di lato e alzando un’orecchia, divertito dai loro battibecchi da bambini, nonostante non lo fossero più. Erano davvero simpatici, sì.

«Guarda quello, Tomi! È bellissimo!»

«Ma che ci vuoi fare con quello, Bill?! È un coso minuscolo, rischierei di pestarlo!»

«Non essere cattivo!»

«I cani piccoli lo sai che non mi piacciono tanto!»

Mi girai verso Black e gli dissi: “È il tuo momento, bestia!”, ridacchiando e rotolandomi a terra, mentre lui faceva una smorfia e riprendeva ad abbaiare, riuscendo finalmente ad attirare la loro attenzione.

«Guarda questo, Tom! Ti piace?» Il ragazzo dai capelli corvini indicò Black con il dito e l’altro, Tom, si girò e si portò una mano sul mento, pensieroso.

«Non so, non mi convince…»

“Come non ti convince, idiota!”, gridai forte, muovendo la coda nervoso. “È uno dei migliori cani che ci sia qui dentro! Se lo merita di uscire!”

«Perché non questo qui?», mi indicò Tom entusiasta, avvicinandosi e chinandosi proprio di fronte a me, dall’altra parte delle sbarre.

“Ma sta dicendo a me?”, chiesi a Black, che annuiva con un sorriso rassegnato sul volto.

Una sensazione di disagio mi avvolse lo stomaco a quello sguardo, come se mi sentissi in colpa, e guardai gli occhi di quel ragazzo, sorridenti e pieni di vita, chiedendomi perché avesse scelto me e non Black. Lui… lui doveva uscire prima di me! Lui se lo meritava, io…

«Quello?», chiese Bill, scrutandomi per qualche secondo, per poi aprirsi in un sorriso felice. «Sì, mi piace!»

«Ciao cucciolone», mormorò Tom, avvicinando la mano al mio muso.
D’istinto arretrai, poi mi avvicinai lentamente e annusai le dita, fino a quando non crollai a delle piacevolissime carezze sulla testa e sulla gola.

«È deciso, prendiamo questo», disse, sorridendo alla donna.

“Sii felice”, sussurrò Black rivolgendomi uno dei suoi sguardi più caldi. Chiuse gli splendidi occhi gialli e si accucciò nell’ombra della celletta, dandomi le spalle.

Da quel giorno ho pensato molto a lui, a come sia stato un semplice caso il fatto che abbiano scelto me e non Black. È stata pura casualità, anche se a volte mi sento ancora in colpa.
Chissà ora dov’è, se anche lui ha trovato dei padroni buoni che finalmente gli danno solo ciò che ogni cane desidera: un po’ d’amore.

«Ehi cucciolo, che ci fai qui da solo?»

Riconobbi la voce di Bill e tirai subito fuori la lingua, scodinzolando felice, quando si chinò per farmi un po’ di coccole.

Io sono stato davvero fortunato, perché Bill e Tom sono davvero dei padroni perfetti, anche se viaggiano molto per lavoro. Quando sono a casa, però, non ci fanno mai mancare nulla.
Dico ci perché non sono solo: la mia famiglia, la mia nuova famiglia, è composta da altri tre cani che al mio arrivo mi hanno accolto felici, come se ci conoscessimo da sempre.
Forse è vero quel proverbio umano che dice che i cani somigliano ai propri padroni.

Strusciai il muso contro la gamba magra di Bill e mi portai sulle zampe posteriori, quelle anteriori appoggiate al suo petto e lo sguardo rivolto verso suo viso, abbaiando tutta la mia gioia di essere lì.

Se solo potessi parlare il linguaggio degli umani non potrei far altro che ringraziarli, dalla mattina alla sera, perché loro mi hanno riportato alla vita. Sono stati capaci di farmi ricominciare, ho potuto essere di nuovo felice… Mi hanno dato una famiglia, senza la quale ora mi sentirei perso.

«Dai, vieni con noi in studio oggi, va bene?», mi chiese sorridente, conducendomi in salotto, dove c’era anche Tom, seduto sul divano, che coccolava quello che era diventato presto il mio compagno di giochi.

Mi avvicinai trottando e saltai sul divano, dall’altra parte del mio padrone, e sorrisi iniziando a leccargli la faccia, abbaiando contento.

«Ehi!», ridacchiò accarezzandomi il collo con entrambe le mani. «Ti ho già detto di non leccarmi la faccia, sei appiccicaticcio!»

“Ecco, lascialo stare”, sghignazzò il mio amico, dandomi dei colpetti con il muso sulla pancia, facendomi il solletico.

«Dai Tom, dobbiamo andare!», lo chiamò Bill, infilandosi la giacca.

«Sì, andiamo.» Mi diede una pacca sul dorso e scesimo insieme dal divano.

Vidi Scotty accucciato alla fine della rampa di scale e mi soffermai a guardarlo: era grande, con due profondi occhi scuri e mi ricordava tantissimo Black con la sua tranquillità e la sua semplice saggezza. Era il più anziano fra noi quattro, il primo che avevano preso Bill e Tom.

Aprì un occhio e mi guardò, facendo un sorrisino, non alzando il muso dalle zampe anteriori: “Perché mi guardi così, ti sei innamorato per caso?”

“No, sei matto?”, mi avvicinai e gli diedi una leccata sulla testa scherzosamente. “Vado con Bill e Tom in studio oggi.”

“Divertiti”, sbadigliò e richiuse l’occhio.

“Che c’è, sei geloso?”

“Perché dovrei essere geloso di te?”

“Non lo so…”

“Bill e Tom ci vogliono bene a tutti allo stesso modo. E se scelgono te piuttosto che me o gli altri, oggi, c’è un motivo.”

“Ossia?”, chiesi incuriosito, la testa di lato.

Te lo meriti.

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NdA: Il protagonista di questa storia è proprio il bel cagnolone che vediamo nel video di Lass uns laufen/World behind my wall, sì *-*
Ovviamente la storia di questo cane non la conosco, è tutta opera del mio neurone u.u
E nemmeno Bill e Tom mi appartengono, ahimè, e questa storia non è scritta a scopo di lucro!!

Mi raccomando, non abbandonate mai i cani e amate tutti gli animali in generale, perché loro non si meritano di soffrire per colpa nostra!

   
 
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