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Autore: Gillian Kami    19/02/2010    2 recensioni
“Anche se adesso ti senti tanto sfiduciato, dopo anni di totale deserto amoroso, non puoi permetterti di non credere nell'amore. Porta pazienza. Abbi fiducia ma non smettere di sperare. Quelli come te e me hanno una certa visione dell'amore e vivono attanagliati in una continua ricerca di realizzazione.” sospirò “Forse siamo dei perenni illusi ma è qualcosa che ci appartiene. Penso che sia meno doloroso continuare a vivere con questa consapevolezza piuttosto che privarsi di un sogno che ci contraddistingue. Ed se non riesci a vedere null'altro che il tuo presente io voglio dirti che hai il diritto e l'obbligo di essere ancora un sognatore. Quelli come noi sono creature in via d'estinzione...”
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Bill Kaulitz, Georg Listing, Gustav Schäfer, Nuovo personaggio, Tom Kaulitz
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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One day, in Tokyo...
 
Porta pazienza.
Devi avere fiducia.

 
Berlino.
14 Febbraio.
 
 
Era una di quelle giornate grigiastre ed insulse in cui era meglio starsene a casa assieme ai propri cani, mangiando molte schifezze ipercaloriche, e dimenticando che là fuori il mondo era bello che depresso.
Nascondersi era l'unica maniera per sfuggire al destino impietoso ma il lavoro era lavoro e come sempre veniva prima dei propri bisogni. Nella scaletta della giornata c'era ancora da registrare un programma televisivo per il canale Viva e di certo non avrebbe visto il letto ancora per ore.
A tutta quell'allegra prospettiva si associava poi un tempo invitante, ironicamente parlando. Il cielo antracite era nuvoloso e piangente, deprimeva a primo sguardo, ed era accompagnato dallo sferzante vento di un inverno che non si decideva a passare. Le gocce di quella pioggia noiosa, picchiettando contro il vetro del finestrino, si insinuavano nel suo sonno non sonno e facevano da sottofondo ad una stressante sensazione di scontento.
Bill non stava realmente dormendo ed era certo che quando avrebbe aperto gli occhi non avrebbe sentito altro che la stessa stanchezza di prima. Poteva quasi vederla, lì tra i suoi muscoli, come piccoli omuncoli che si divertivano ad infilzarlo con delle spade acuminate.
Ad un certo punto percepì la vettura fermarsi e in automatico aprì le palpebre.
Erano appena entrati negli studi berlinesi di Viva Tv, sospirò interiormente.
La sua voglia di interagire con il genere umano in quel momento rasentava il suolo ma se ne fece una ragione, a breve avrebbe dovuto indossare la sua perfetta maschera da cantante professionista ed elargire sorrisi affettati. Con gli anni, quando era di cattivo umore, quegli impegni lavorativi erano diventati un sorso di amaro che avrebbe preferito risparmiarsi.
In uno stato insofferente e totalmente disinteressato trascinò la sua carcassa dentro gli edifici televisivi e soltanto quando quattro spesse mura divisero loro dal resto del mondo Bill concesse al suo cervello di riattaccare la spina. Lì nel loro camerino privato si appropriò dell'angolo di un divanetto e prese a massaggiarsi le tempie, richiudendo ancora lo sguardo alla realtà circostante.
Molto probabilmente nella sua testa stava germinando un'emicrania.
“Sei proprio distrutto.” sentì il corpo di Tom che poco elegantemente cascava al suo fianco “Te lo avevo detto ieri sera di andare a letto presto ma non ascoltiamo il saggio fratello maggiore, vero?”
“Saggio fratello maggiore mi faresti il grandissimo piacere di cucirti la bocca? La tua saggia voce mi infastidisce come le unghie su una lavagna.” fu la risposta acida di Bill che non diede al gemello neanche l'onore di uno sguardo.
“Ultimamente sei proprio intrattabile. Sei sicuro che non vuoi parlarne? Sai che sono disposto ad ascoltare le tue seghe mentali da piccolo complessato.”
“Per poi ricevere delle risposte degne di un rozzo cavernicolo?” l'ironia di Georg giunse a loro con tutta la solita ondata di gaiezza dei suoi momenti migliori. Tom rispose a quell'intromissione alzando educatamente un dito medio mentre Bill concesse uno sforzato sorriso d'apprezzamento per la battuta.
“Fatti i cazzi tuoi, Hagen.”
“Se no che mi fai Tommolo? Mi picchierai?” Georg si portò le mani al viso e mimò una faccia spaventata “Oh cazzo sto morendo dalla paura!”
“Mi stai sfidando a romperti seriamente il naso? Se vuoi lo faccio così ti rifai i connotati gratuitamente e diventi più bello.”
“Debole, debole battuta Tommino. Con l'avanzare dell'età il tuo neurone sta lentamente tirando le cuoia. Presto dovremmo trovarci un nuovo chitarrista se va avanti così.”
“E dove lo andate a pescare uno strafigo della mia categoria che suona la chitarra così bene e vi fa guadagnare migliaia di euro all'anno? Lo sappiamo tutti che senza di me avreste già fallito.”
Georg gli andò vicino e gli diede una serie di pacche comprensive sulla spalla “Gli stupidi devono convincersi di non esserlo, vero? Mi dispiace sinceramente di non poterti aiutare per questi tuoi problemi Tombolino. Appena siamo liberi andiamo a cercarci uno specialista, ok? ”
In altre situazioni Bill avrebbe dato man forte a quella loro scenetta comica e si sarebbe divertito nell'ascoltare il crescendo di scemenze che Georg e Tom erano in grado di creare assieme. In altre situazioni, per l'appunto, ma in quel momento non era in vena.
E le radici del mal di testa preannunciato qualche minuto prima iniziarono ad intaccargli il cervello.
Quello era proprio un giorno negativo. L'ennesimo giorno negativo in cui essere Bill von Tokio Hotel era un ingombro scomodo e pesante. Da parecchio tempo riusciva solo a vedere i limiti di quella sua vita perfetta e lui, che le costrizioni non le aveva mai potute compatire, se ne sentiva asfissiato.
Ultimamente si chiedeva se valesse la pena vivere così male per la musica e quando azzardava una risposta si rendeva conto che anche se avesse avuto il coraggio di mollare tutto, di deludere i suoi compagni di band per egoismo, c'era da tenere conto dell'altro risvolto della medaglia. Anche se avesse smesso di essere Bill Kaulitz dei Tokio Hotel sarebbe riuscito veramente ad essere solamente Bill?
Ne dubitava. Ormai la normalità era come un'utopia e anche provandoci i media non gli avrebbero fatto sconti. Da anni quelle sanguisughe lo placcavano a vista e non avrebbero smesso solo perché di punto in bianco decideva di non essere più famoso. Era davvero una situazione fastidiosa.
Intanto che proseguiva con la mente lungo quei binari il duo al suo fianco aveva continuato battibeccare e ciò non giovò per niente al suo umore. Erano talmente rumorosi che avrebbero potuto fare concorrenza alle loro fans. A breve si sarebbe tolto la collana di catene che portava al collo e l'avrebbe usata per strangolarli. Forse se li avesse picchiati avrebbero capito che necessitava di un po' di silenzio.
“Volete smetterla di fare tutto questo rumore?” da un angolo dalla stanza la voce di Gustav prese controllo della situazione “Se non l'avete capito Bill ha mal di testa e il vostro vociare non fa altro che aumentarlo e, sinceramente, sta rompendo anche i miei coglioni. Sappiamo che non riuscite a trattenere il vostro grande amore quindi potreste lasciarvi andare alle effusioni un'altra volta. L'abbiamo capito che siete attratti l'uno dall'altro.”
Georg e Tom compresero la serietà dietro la cortina d'ironia di Gustav e si fecero tranquilli. 
Bill rivolse all'amico un sincero sorriso di gratitudine.
Grazie al cielo Gustav era la solita persona perspicace e sensibile.
Il gemello uscì poco dopo dalla stanza per poi tornare con in mano quello che sembrava un pacchetto di pillole e gliele porse “Prendine una per il mal di testa. Dunja dice che queste funzionano bene.”
Accettò e dopo averne affogata una in gola con dell'acqua lo ringraziò pacatamente.
“Non preoccuparti, Tom. Sono solo scazzato.” cercò di rassicurarlo “Vedrai che dopo il lavoro mi passerà.”
“Anche se non ti dovesse passare ti basta darmi un colpetto alla schiena, lo sai.”
“Sì, lo so.”
Proprio in quel momento la faccetta di Dunja si affacciò dalla porta con uno dei suoi sorrisi spensierati “Tutto bene? Tra un po' sarà il vostro turno quindi datevi una sistemata. Bill, vuoi che ti chiami Nathalie per qualche ritocco al make up?”
“No, grazie. Va bene così.”
“D'accordo. Allora vi spiegò cosa dovrete fare.” Entrò del tutto nel camerino e richiuse l'uscio alle spalle “È prevista un'esibizione live immediatamente dopo che vi avranno presentato e poi ci sarà un'intervista incentrata su di voi...” La solita roba pensarono tutti “... e questo riguardava la prima parte, nella seconda vi faranno sedere nuovamente coi presentatori e si aggiungerà a voi un altro ospite, la ragazza che vi ha preceduto e che sta finendo di registrare proprio in questo momento. È una scrittrice i cui libri ultimamente sono piuttosto popolari in Europa, si chiama Kari Kamiya, ma è improbabile che voi abbiate letto i suoi romanzi. Voi non leggete mai...”
“È gnocca l'ospite?” chiese Tom sotto il dettato di un impulso che gli era proprio e che purtroppo non passava mai attraverso le sinapsi. Dunja scosse la testa. 
“Allora è racchia?”
“La tua domanda non è degna di una mia risposta.” fece la loro assistente, ancora stentava a capire la totale ed inappropriata capacità di Tom di fare domande e dire cose fuori luogo.
Il chitarrista ammiccò a Georg “Allora è figa.”
“Sei proprio un vagina-pensante Tombino.”
“Perché quale uomo su questa terra non lo è? Io almeno non trattengo i miei istinti libidinosi spesso quanto fate voi.”
“Deve essere perché sei sprovvisto di un Super-Io.”
“Il mio che?”
Dunja li lasciò nella loro bambagia e proseguì con il suo discorso “Oggi è San Valentino, se non ve lo ricordate, quindi ci si concentrerà un po' su questa ricorrenza. Molto probabilmente vi chiederanno delle vostre opinioni al riguardo e cercheranno di estorcervi esperienze passate ma sono certa che saprete come comportarvi. Il programma andrà in onda questo pomeriggio sul tardi. Avete capito?”
Tom alzò una mano “Kamiya suona tanto giapponese, lo è?”
“No. Non so di preciso di che nazionalità sia ma di certo è orientale, comunque il suo è un pseudonimo.”
“E parla inglese?”
Georg rise “Perché tra le tue tecniche di adescamento esiste anche la fase parlare? Credevo che ti limitassi a rilasciare i tuoi ormoni da Sex-machine e che poi ti cadessero ai piedi.”
“Difatti funziona così ma certe volte non è male dare sfoggio della mia intelligenza.”
Gustav fece una faccia furbetta “Allora potresti farci questo onore ogni tanto, da quando ti conosco non ho ancora intravisto un barlume di questa tua fantomatica intelligenza.”
“Lascia perdere Tom, non sembra una delle tue solite conquiste che si fanno portare a letto a schiocco di dita. Ho l'impressione che se palesassi tali scopi ti tirerebbe un cartone in volto e tanti saluti.” intervenne nuovamente l'assistente.
“Mi stai sfidando Dunja? Allora ti dimostrerò che io posso tutto.”
Il suo viso sprizzò scetticismo “Fai come ti pare ma poi non venirmi a dire che non ti avevo avvertito. Quando ti sbatterà in faccia un bel rifiuto poi riderò.”
“Mi sbatterà in faccia qualcos'altro.”
Georg gli mollò un ceffone sul capo “Sei volgare, Tomtolo.”
In risposta Tom gli diede una gomitata e in pochi secondi, per somma di stupidità, si ritrovarono ad azzuffarsi per terra. Gustav, di fronte a loro, molto diplomaticamente annunciò che non avrebbe fatto l'infermiere di nessuno nel caso qualche schizzo di sangue fosse scappato fuori e un'allegria generale colse tutti, a parte Bill.
Lui si sentì invece trascinato ancor più giù nel fondo del pozzo. L'ultima cosa che gli ci voleva era dover fingere di entusiasmo nel fare discorsi su quanto era bello l'amore.
“Dunja posso andare a fare un giro? Giuro che non mi allontanerò troppo.”
Aveva bisogno di un minuto d'aria. 
“Va bene, ti chiamo appena devi tornare.”
“Sì, grazie. A dopo.”
 

*** 

 
Era già stato in quei studi televisivi parecchie volte quindi aveva una vaga idea di dove avrebbe trovato un po' di calma e di silenzio. Con una certa sicurezza, senza sbagliare neanche una volta, giunse ad una porta anti-panico che dava su un ampio terrazzo. Lì, aveva imparato per esperienza, i dipendenti del canale si concedevano una sigaretta durante le pause.
Per fortuna aveva smesso di piovere, nella fretta di andarsene non aveva minimamente pensato a prendere con sé un ombrello. Appena fu a contatto con l'aria fredda Bill si sentì un po' meglio. Fece subito un profondo respiro e percepì del fresco pizzicargli i polmoni, ciò gli fece piacere. Aveva l'impressione di essere appena sfuggito per qualche minuto ad una nebbia soffocante, una specie di coltre assassina ricamata con tutte le bruttezze della sua vita, e che ora poteva smettere di ansimare.
Almeno per finta.
Passò qualche minuto appoggiato alla ringhiera che delimitava il terrazzo e con noncuranza guardò distrattamente il paesaggio circostante. Il silenzio era davvero un'ottima medicina anche se aveva i suoi lati negativi. Come il fatto che andasse così tanto d'accordo con la sua solitudine.
Ad un certo punto sentì nuovamente la porta anti-panico da cui era entrato sbattere. Era uscito qualcuno.
Sperò che non fosse nessuno di sua conoscenza perché aveva ancora voglia di non proferire parola con anima viva. Certe volte anche lui smetteva di essere logorroico.
Si voltò per vedere chi fosse e si trovò di fronte una giovane donna, di chiara origine orientale, incappottata  di rosso lampone che lo fissava come se avesse appena visto un u.f.o. scendere dal cielo. Appariva piuttosto sorpresa di averlo dinnanzi. La vide girare lievemente il capo sia a destra che a sinistra, come se dovesse controllare che non passassero macchine, dopo di che lanciare uno sguardo ai propri piedi prima di tornare e squadrarlo.
Bill rispose quindi a quell'occhiata con la stessa perplessità.
“Salve.” lo saluto, cautamente, in tedesco. Dallo sguardo di quei occhi così scuri Bill ebbe la sensazione di essere diventato uno di quegli animali con cui era meglio non fare mosse troppo brusche od azzardate.
“Ciao.” rispose lui, adattandosi, alla stessa cautela.
“Stai fumando?” se ne uscì la ragazza con tono ora accusatorio.
“No.” disse lui assecondando la constatazione dal tono rimproverante “Dovrei?”
“No, ovviamente.” agitò la mano come a dire che aveva fatto una domanda stupida “Hai intenzione di fumare?”
“Non penso, ho dimenticato le mie sigarette in camerino.”
Ma che diavolo voleva? Ci mancava solo una pazza che gli faceva il terzo grado per chissà quale ragione.
Dopo quella risposta la vide rilassarsi “Bene allora non dovrò andarmene.” affermò dopo una serie di silenziosi ragionamenti mentali.
La osservò mentre si avvicinava alla ringhiera e si appoggiava ad essa con la schiena, ad un metro da lui. Si aspettò che parlasse di nuovo ed invece lei si limitò ad infilare le mani dentro le tasche del suo lungo cappotto e guardare con concentrazione la porta verde da cui era entrata.
Bill non poté fare a meno di chiederle cosa fosse appena successo “Per pura curiosità mi spiegheresti che razza di discorso era quello?” era suo diritto avere una spiegazione visto come era stato trattato.
Lei reagì ancora in modo bizzarro perché prima di rispondergli prese un grosso respiro, forse aveva sperato che se ne stesse zitto. La sua fronte si riempì di qualche ruga riflessiva, sembrò proprio dibattersi sulla risposta migliore da dargli “Sono stata un po' brusca, vero?”
“Un pochetto...”
“E molto probabilmente starai pensando che sono pazza o qualcosa del genere.”
Bill trattenne la propria lingua. L'educazione prima di tutto. 
“Scusami ma lì per lì è stata la prima cosa a cui ho pensato. La mia lingua ha preso il controllo ed era già troppo tardi quando mi sono finalmente accorta di aver parlato.” strano modo di dare una spiegazione, pensò Bill.
“Io sono insofferente ad ogni cosa che assomigli vagamente a del fumo e le sigarette sono comprese nell'insieme di definizione quindi, poiché so che tu fumi e che questo sembra proprio essere uno spazio per fumatori ma volevo anche prendere aria proprio in questo dannato angolino, volevo solo sapere se avevi intenzione di fumare o meno.”
“Ah, certo, è un ragionamento molto liscio effettivamente.” fece sarcastico.
“Ma lo è se ci rifletti bene. Ho fiducia che tu possa arrivarci se ti applichi.”
“Sbaglio o hai appena sottinteso che sono un po' lento a comprendere?”
“No, come potrei dire una cosa del genere? Non ti conosco neanche.”
“Mi sembra proprio di sì e comunque un po' devi conoscermi, prima hai detto di sapere che fumo.”
“Esiste qualcuno in Germania che non sappia un minimo dei fattacci tuoi?” gli angoli delle sue labbra si arricciolarono un poco dal divertimento, di cosa Bill non poteva saperlo “Tu sei Kaiser Bill Kaulitz, infondo.”
“Kaiser?” Bill rise “Questo nomignolo mi suona nuovo. Conosco Diva, Principessa, quella cosa asessuata, donna mancata, lampione sexy, Bibbino, Bibi, alieno strangender e ammetto che non ho mai compreso il significato di quest'ultimo ma è la prima volta che mi sento chiamare Kaiser.”
“Credo che qualcuno abbia osato anche chiamarti Dio ma, comprendendo la blasfemia e la totale infondatezza di questo termine legato al tuo nome, non ha avuto fortuna e si è fermato alla progettazione.”
“L'hai fatto di nuovo.”
“Cosa?”
“Fare una battuta sarcastica tra le righe su di me.”
Inarcò un sopracciglio ed incrociò le braccia al petto “Mi stai dicendo che c'è qualche ragione per cui definirti Dio abbia davvero senso?”
“Non ho detto questo.”
“Bè, lo hai sottinteso.”
“Ti dico che non ho detto questo.”
“Uhm... e che cosa hai detto allora?”
“Che tu sei un'impertinente.”
“Nello stesso modo in cui tu sei narcisista.”
“Non è assolutamente vero!”
“No? Però prima quando ti ho chiamato Kaiser ho visto il luccichio compiaciuto che è passato nelle tue iridi e non venirmi a dire che non è così. Ne sono troppo sicura.”
“Oltre che impertinente sei pure saccente, direi che non è la maniera migliore per presentarti a qualcuno.”
“Non è importante l'impressione che ti sto facendo adesso, quando sarà finita la registrazione ti sarai già dimenticato di me. È la legge delle probabilità, infatti sono sicura che soltanto il cinque percento delle persone che incontriamo nella vita significheranno davvero qualcosa e saranno comprese nel gruppo di quelle a cui teniamo veramente, la restante parte con cui ci scontriamo riempirà ricordi sfuocati, scenografie indistinte di esperienze vissute, memorie simpatiche ed alcuni saranno solo ingombranti o imbarazzanti eventi che trasporteremo nell'inconscio. Le probabilità che al primo incontro una persona si dimostri capace di entrare in intimità con noi sono davvero poche. Tieni conto poi che per aumentare queste probabilità ci dovrebbero essere in seguito almeno tre o cinque conversazioni di minimo mezz'ora per relazionarsi veramente e noi due abbiamo solo questo metà mattinata. È indubbio quindi che non ci sia nessuna ragione per cui non esternare tutta la mia stranezza, alla fine non ci perderò niente se dimostro di essere particolare.”
Bill restò a bocca semi-aperta e cercò di ricapitolare il discorso più lungo che avesse udito da qualcuno che non fosse lui. Non aveva detto poi una cosa così sbagliata, infatti erano anni che non gli capitava di conoscere qualcuno in maniera intima e trovava ormai molto difficile riuscirci. Sentì poi qualcos'altro prendersi dello spazio.
Era qualcosa di soffice come una piuma che gli solleticava il naso, poteva darsi il principio di una risata.
Girò la testa dall'altra parte e le sue spalle iniziarono a sussultare da sole, era scoppiato davvero a ridere, venne seguito poco dopo dalla ragazza.
“Ai tuoi lettori devi proprio piacere per questa tua capacità di fare certi discorsi, ammetto che hanno il loro fascino.”
“Sai chi sono?” questa volta fu lei a stupirsi.
“So fare due più due se mi ci metto, la mia assistente mi aveva informato che avremmo registrato con una scrittrice di origine orientale. Tu sei Kari Kamiya.”
“Per un attimo ho quasi creduto che mi conoscessi di fama, peccato. Significa che non sono ancora riuscita a conquistare il pubblico che non legge abitualmente, davvero un peccato.”
“Tu invece sembri sapere un mucchio di cose su di me...”
La vide sorridere e ridersela da sola “Dai! Non l'hai ancora capito?”
“Cosa?”
“Prova a fare quattro più quattro ora. Dovresti arrivarci e l'opzione - possiede poteri paranormali- non è contemplabile.”
Bill rifletté e giunse alla conclusione che gli pareva meno plausibile “Sei una fan dei Tokio Hotel.”
Kari annuì “Sei deluso?”  chiese vedendolo sbattere rapidamente le palpebre.
“Oh, sì. Sarebbe stato molto più divertente scoprire che eri dotata di poteri paranormali, effettivamente. Comunque sono sorpreso. Non hai proprio il tipico comportamento di una mia fan che si trova a parlare finalmente con me.”
“Perché appena ti ho visto non mi sono messa a rotolare urlando frasi sconnesse su quanto sei figo e via dicendo? O è perché non subisco il tuo fascino?”
“Tutti subiscono il mio fascino.” lo disse come se fosse la cosa più ovvia del mondo “Mi hai guardato bene? Non ti viene voglia di saltarmi addosso?” e le riservò un'occhiata piena di tutta la potente e deleteria capacità che lui possedeva nel rendere uno sguardo in grado di seccare la gola, ipnotizzare l'attenzione ed inibire la volontà. Kari l'aveva pensato innumerevoli volte che quegli occhi (tenendo conto di quel sopracciglio con il percing) erano un invito a nozze nella terra dei pensieri lascivi e ne ebbe una conferma proprio in quel momento.
Non vacillò, però, come avrebbe fatto anni addietro e mantenne lo stesso impeccabile controllo “No, anche perché se ci facessimo una sveltina finirei per prendermi una bella bronco-polmonite, con tanto di febbre e raffreddore. La salute prima di tutto e tu non vali la mia salute.”
Scoppiarono nuovamente a ridere come due idioti e Bill dovette aggiungere un'altra tacca alla stranezza di quella ragazza. Era davvero comica e a lui non erano mai dispiaciute le persone capaci di farlo ridere.
“Hai frainteso, comunque, non volevo dire che non sembri una mia fan per il fatto che non possiedi nessun istinto carnale nei miei confronti. Volevo dire che sei talmente controllata quando parli con me, non hai un minimo di insicurezza.”
Kari si arrossò di un tono poco inferiore al lampone del suo cappotto “Ammetto che nel lato oscuro della mia anima io sono stata e sono, un poco, ancora adesso una vostra ammiratrice sfegatata ma tranquillo ho ventiquattro anni e sono molto più matura di quando ne avevo diciassette. Ora mi limito ad ascoltare i vostri album e venire quando posso ai vostri concerti. L'isterismo ormonale mi è passato. È la vostra musica che adoro davvero.”
“Grazie.” gli venne spontaneo da dirle.
“E di che? Non hai idea di quante volte le vostre canzoni mi abbiano aiutato per superare momenti di noia o di tristezza. A volte si dimentica proprio che sapete suonare e bisogna darvi merito che è la vostra musica e non le vostre facce a fare di voi una buona band. Sono contenta che non abbiate mollato tutto anche se molti media continuano a concentrarsi sulla vostra apparenza.”
La ragazza si imporporò ancora una volta. Chissà quanto coraggio aveva dovuto tirare fuori per dirgli quella cosa. Doveva essersi appena concessa una confessione troppo intima e piena di lodi su di loro, anche perché aveva l'impressione che Kari fosse il tipo che non ammetteva di fare complimenti a quelli come lui. No, anzi, non sembrava intenzionata a concederne proprio a lui.
Bill cambiò discorso “Ventiquattro anni? Hai solo un anno in meno di me? Non l'avrei mai detto.”
E lei riprese il botta e risposta con lo stesso entusiasmo di prima “Non è educato da parte tua dire che sembro più vecchia.”
“Conclusione ancora errata, invece stavo pensando che mi sembravi più piccola. Te ne do venti al massimo.”
“Non è educato neanche darmi della mocciosa, tieni conto che poi neanche tu sembri il venticinquenne che sei.”
“Potresti semplicemente ringraziare per il mio complimento.”
“Lo era?”
“Qualunque altra donna l'avrebbe pensato e poi non è da tutti riuscire a strappare un complimento da questo meraviglioso cantante glam-rock dalla bellezza androgina. Pensa che chiunque altra avrebbe venduto un organo per sentirselo dire dalla mia bocca.”
“Io non sono qualunque altra e anche se sei vagamente sexy non per questo ogni essere di sesso femminile del globo deve per forza sbavarti dietro. Te l'ho detto che ho già attraversato a piedi pari la fase dell'adolescente innamorata persa della vostra immagine.”
“Oh cavolo! Se hai il ragazzo mi chiedo come fa a sopportarti.” la trovava davvero bizzarra, una ragazza davvero inusuale. Prima di tutto parlava troppo, era un filino supponente e soprattutto desiderava avere l'ultima parola su di lui ad ogni costo. Era divertente, però, e alla mano dopo tutto.
Kari si imbronciò “Non parliamo di fidanzati. Questo è l'ennesimo San Valentino che non riesco a passare come vorrei ma grazie al cielo c'è il lavoro a distrarmi. La mia casa editrice tedesca mi ha praticamente sequestrato per il resto del mese e non ho tempo di respirare. C'è tutta la promozione del nuovo romanzo da portare avanti.”
“Naturalmente.” Pensò “Ha il ragazzo.”
“Poco male, comunque io non ho mai sopportato San Valentino.”
“Idem.” Bill parlò nuovamente sentendosi un po' meno allegro di qualche secondo prima “San Valentino è una festa ridicola a mio parere, è nata solo per aumentare i guadagni delle aziende dolciarie, dei produttori di peluches e dei fiorai.”
“Non dimenticare i ristoranti, i produttori di biglietti d'auguri glitterati e i venditori autorizzati di palloncini a forma di cuore terribilmente kitsch.”
“Hai ragione! I venditori dei cuori volanti sono i più bastardi, quando ti vendono il palloncino è tutto bello luccicante ma dopo qualche giorno si affloscia e sembra quasi dirti che il tuo amore farà la stessa fine. Sarebbe meglio che nessuno regalasse niente di così mal augurante.” 
“Come mai detesti così tanto San Valentino?”
“Lo detesto perché è una festa che vende l'amore. Qualcuno ha deciso che proprio in questo giorno bisognasse dimostrare ciò che si prova alla persona che si ama ma se ami davvero lo fai ogni giorno, sinceramente, senza imposizione. Quando sei davvero innamorato non c'è bisogno di un giorno ideale, lo ricordi ogni secondo e minuto. San Valentino è deprimente per questo, è solo una costrizione. L'amore non può essere ridotto a così poco, non può vivere un giorno soltanto. Suona tanto finto.”
“E  tu detesti la finzione, vero?”
“Sì. Ne vedo già così tanta a causa del mio lavoro, perché dovrei sopportare di vederla anche nell'amore? La situazione fa già talmente schifo per me, San Valentino e la sua carica di ipocrisia gratuita mi altera alquanto l'umore.”
Kari comprese che quello appena detto era un piccolo spiraglio buio dell'anima di Bill, un cantuccio segreto in cui quel giovane uomo custodiva il sintomo di una malattia cancerogena, per questo rispettò quella confidenza piena di significato e non commentò immediatamente.
Li aveva seguiti per talmente tanti anni e se c'era una cosa che aveva notato svilupparsi, a poco a poco, in Bill era la lenta discesa nella disillusione. Da tempo Kari aveva il sospetto che lui stesse rinunciando a credere in un'ideale che, fin da quando aveva scoperto i Tokio Hotel, li aveva accomunati. 
Quando la sua agente l'aveva informata di quell'appuntamento era stata veramente felice e aveva pensato che avrebbe potuto finalmente conoscere quelle persone che, indirettamente, l'avevano aiutata ad arrivare dove era ora e magari ringraziarle in qualche modo (che lo capissero o meno) per quel sostegno da loro ricevuto.
Kari non si aspettava di doverlo vedere così triste, così cupo oltre la sua maschera da scintillante alieno osannato dalle masse. Le dispiaceva immensamente non poterlo aiutare come avrebbe fatto se non fosse stata un'estranea e se avesse avuto più tempo. 
“San Valentino mi ricorda che sono ancora solo.” aggiunse Bill amaramente.
Stava dicendo quelle cose ad una perfetta sconosciuta per il solo fatto che non lo avrebbe giudicato per questo e non avrebbe cercato di dargli consigli o consolato. Era più facile.
“Ora ti sei messo a fare la diva tragica.” lo canzonò con leggerezza, provando a tenere il tenore della discussione su livelli più semplici. Peccato che lei appariva capace di intuire i pensieri al di sotto della superficie. Dopotutto era una scrittrice e solitamente questi possedevano una sensibilità differente dagli altri.
Un po' come dei cani, Kari però dava più la sensazione di essere un gatto. Già, un felino che ti si affianca silenziosamente e legge tutto di te solo fissandoti. Stava pensando un mucchio di idiozie. Rise di se stesso.
Si guardarono e lui scorse chiaramente tra i riflessi bruni degli occhi di Kari qualcosa di importante che lei voleva dirgli, il silenzio era carico di attesa e Bill chissà perché si chiese se lei riservasse a chiunque quello sguardo acuto ed intenso.
Al fidanzato poteva darsi? Che persona terribilmente fortunata doveva essere. Chiunque a cui venisse concesso uno sguardo così attento doveva esserlo per forza. Che invidia.
“Bill...”
“Sì?”
“Ti sta vibrando il cellulare.”
Si accorse solo allora che la vibrazione del suo Iphone era in pieno moto e si udiva chiaramente provenire dalla tasca dei suoi pantaloni. Alla fine si deve sempre tornare nel mondo reale.
“Credo che ora mi tocchi andare giù, deve essere il mio turno di registrare.”
“Il lavoro è lavoro.”
“Naturalmente. Senza di me quei tre idioti non saprebbero fare niente.”
“Davvero? Io ho sempre pensato che l'unico che lavorasse veramente tra voi quattro fosse Gustav.”
“Gustav? È uno scansafatiche.”
Kari sorrise “Ci vediamo dopo, allora?”
“Non vieni con me?”
“Scendo più tardi, ho voglia di restare ancora un po' qua sopra a prendere aria. La nostra intervista combinata verrà fatta dopo la vostra singola. Ho ancora del tempo.”
Bill annuì distrattamente e si incamminò verso l'uscita, prima di aprire la porta le rivolse un ultimo saluto “Grazie mille per la chiacchierata e perdonami se ti ho annoiata con i miei fatti noiosi, verso la fine.”
“Tranquillo, niente noia e ti assicuro che domani non ci saranno articoli di questa nostra conversazione segreta sui giornali. Non è il mio stile.”
“Figurati, per quel che vale la confessione di un vittimista depresso.”
“È stato un piacere, davvero, la parte tokiohotellosa di me ti deve uno dei momenti più emozionanti che abbia mai vissuto nella sua lunga esistenza di fan.”
“E la parte che è -solo Kari-?”
“È contenta anche lei. Come intuiva sei una personcina interessante, sotto gli strati di trucco pesante e quella zazzera di capelli neri. Non sembri l'escort di alto borgo che vuoi apparire.” risero ma il cellulare di Bill vibrò nuovamente.
“Qualcuno è nei guai.”
Ad un piede fuori dalla porta la salutò ancora “Ciao, Kari.”
“Ciao, Bill.” E mentre lui se ne andava Kari alzò il capo verso il cielo e si sentì leggera.
Si sentì più leggera perché aveva aspettato di incontrarlo da tanto tempo. 
 

***

 
Alla fine delle registrazioni del programma Kari Kamiya si era volatilizzata più velocemente di un fulmine in un cielo di tempesta e per quanto avesse cercato nello studio Bill non la scorse da nessuna parte. Era scappata prima che lui potesse salutarla e ciò non gli fece piacere, anche perché aveva avuto la seria intenzione di darle il suo numero di cellulare. Kari si era presa prepotentemente la scena delle telecamere ad aveva risposto in maniera tanto logorroica e complicata ad ogni domanda fatta riguardo a San Valentino e l'amore che quando i presentatori arrivavano a Bill lo pregavano con lo sguardo di essere più breve di lei.
Bill allora aveva capito che doveva lasciarle la possibilità di contattarlo, perché quel comportamento durante l’intervista lo aveva tenuto solo per lui. L'aveva voluto aiutare, almeno era ciò che credeva.
“Bill, ci sei?” lo chiamo Tom mentre tutti e quattro erano davanti l'ascensore.
“Sì...” disse continuando però a scandagliare ogni angolo degli studi. Voleva trovarla.
Doveva perché era da tanto tempo che non conosceva qualcuno che si comportava in maniera così disinteressata nei suoi confronti. C'erano alte probabilità che avesse trovato una persona disposta a diventare sua amica.
“Stai cercando la gnocca giapponese?”
“Non è giapponese.”
“Ok, mi correggo: stai cercando quella gnocca?”
“Ha un nome ed è una persona.”
“Ok, mi ripeto ancora una volta: stai cercando quella gnocca di Kari Kamiya?”
Bill si girò verso il gemello e lo trafisse con un eloquente sguardo di sbieco, a sorpresa poi, con tutta la grazia di cui era in possesso, gli mollò un pugno in pieno stomaco. Tom si piegò in due.
Non sembrava ma il fratello sapeva dare dei ganci che non mettevano di certo in dubbio che fosse un maschio, anzi. Oltretutto portava sempre quei anelli letali, se usati come armi. 
“Finiscila di fare domande retoriche. A volte sei davvero una piaga insopportabile. La mamma avrebbe fatto bene a sopprimerti quando eravamo piccoli! Mi sarei risparmiato di ascoltare il tuo vociare insistente”
“Bill! Ma va un po' a fanculo!” fu la delicata replica di Tom.
Georg naturalmente trovò il tutto comico all'ennesima potenza “Questa doveva essere filmata, ma perché non ci filmano mai nei momenti davvero memorabili? Perché? Ho diritto di vedere queste cose una volta che sarò vecchio.”
Gustav invece schiacciò nuovamente il pulsante dell'ascensore, sperando che arrivasse in fretta. Era molto stanco e aveva bisogno di allontanarsi da quel manipolo di pazzi maniaci che aveva per amici. A volte si chiedeva se non fosse una punizione divina essere il batterista dei Tokio Hotel.
Le porte dell'elevatore si aprirono e dietro a queste comparve proprio Kari.
“Oh! Grazie al cielo sei ancora qui Bill!” e sorrise raggiante mentre gli andava incontro, ma fu per poco vedendo lo strano modo in cui la fissavano Gustav, Tom e Georg. Perché sembravano sul punto di scoppiare a ridere?
“Che c'è?” chiese lei girovagando con gli occhi alla ricerca di una spiegazione.
“Niente, sono solo un branco di scimmie.” rispose Bill.
“Parla per quei due, io so di essere capace di intendere e volere.” disse Gustav entrando dentro l'abitacolo dell'ascensore, ridacchiava. Georg lo seguì, la medesima espressione smaliziata in volto “No, riformuliamo un attimo il concetto: l'unica scimmia non evoluta tra noi è Tom.”
Tom superò Bill e Kari, scuotendo la testa e borbottando quelle che sembravano ingiurie poco trattenute, e si mise in mezzo agli altri due “Andate tutti a cagare! Non meritate di avermi!”
“Se le presa, poverino...” Gustav gli diede una serie si pacche allo stomaco e Tom mancò poco dal ringhiare come un cane contro di lui.
“Ti aspettiamo giù.” fece poi Georg con un sorriso inquietante. Dopo lo avrebbero certo tempestato di domande.
“Sì, ciao!” li liquidò.
Una volta che sparirono Bill sospirò di sollievo “Credevo che te ne fossi già andata.”
“No, ero scappata nel mio camerino a prendere una cosa il più fretta possibile ma ho scoperto di averla dimenticata in macchina, quindi sono scesa. Avevo paura di non riuscire più a beccarti e dopo sarebbe stato un vero problema contattarti. Tieni.” gli porse un grande sacchetto rosso rubino.
Bill lo prese in mano e ne sbirciò il contenuto, c'erano quattro pacchetti color panna decorati da un fiocco cremisi all'interno. Davano tanto l'idea di essere dei regali. 
“Cosa sono?”
“Cioccolato di San Valentino.”
Bill inarcò un sopracciglio “Cioccolato di San Valentino per me?”
“Non permettere al tuo egocentrismo di pavoneggiarsi adesso.” Kari si guardò le proprie mani, imbarazzata “Forse è meglio che ti spieghi, potresti pensare erroneamente che questa sia la dichiarazione idiota di una tua fan.”
“Non penso niente del genere di te, a dir la verità ho capito che non devo pensare niente di te a priori.”
“Almeno hai capito che sono strana.”
“Questa era l'unica cosa evidente.”
“Ora sei tu a fare battute sarcastiche.”
Kari rifletté sulle parole da usare e optò per essere totalmente sincera, sperava che capisse al volo “In Giappone, il giorno di San Valentino, le ragazze regalano il cioccolato ai ragazzi per dimostrare a loro che sono interessate ma il cioccolato viene regalato anche ai propri cari per dimostrare affetto o anche solo per ringraziarli di esserci. Ho pensato di poter fare la stessa cosa oggi, per voi.”
“Allora questo è cioccolato di ringraziamento?”
“Sì!” esclamò sollevata “Sono quattro pacchetti. Ne ho preso uno per ciascuno, se dopo li dessi anche a Gustav, Georg e Tom mi faresti un piacere enorme.”
“Ti ringrazio già da parte loro ma non ci meritiamo questa tua gentilezza.”
“Sì, invece che ve la meritate. Vedi, ho aspettato tantissimo tempo per avere la possibilità di incontrarvi e speravo che prima o poi, a causa dei nostri lavori, ci sarebbe stata un'occasione in cui accadesse. Quando sono stata informata che ci saremmo incrociati proprio a San Valentino mi sono detta che potevo fare come se fossimo in Giappone.”
Ancora una volta si guardarono in silenzio e nella medesima maniera di quando erano stati sul terrazzo. Quella cosa che sembrava che Kari volesse dirgli ora Bill l'avrebbe saputa.
“Ci sarebbero tante cose da dirti ma non si può di certo sfidare la probabilità e molto semplicemente non si può di certo combattere contro il tempo. Ho immaginato tante volte di potervi vedere in carne e ossa e questo perché nel profondo di me so di avere un grande debito nei vostri confronti. Le vostre canzoni mi hanno sostenuto ed ispirato, moltissime volte, e da parecchi anni ho accumulato il desiderio di ringraziarvi perché una piccola parte di ciò che ho adesso l'ho ottenuto credendo nei vostri messaggi, nelle tue parole.” riprese fiato.
Ora veniva la parte difficile, quella che le sarebbe costato un azzardo non indifferente, dopotutto era pur sempre un'estranea “Dopo quel nostro discorso sul terrazzo ho avuto conferma di una cosa che sospettavo da tempo.”
Bill inghiottì l'aria nella sua gola “Cosa sarebbe?”
“Tu stai smettendo di credere nell'amore, non è così?” e prima che Bill parlasse aggiunse “Cioè, tu stai smettendo di credere che esisterà mai per te quel tipo di amore che tanto traspare da ogni tuo verso.”
Fu delicata, pensò immediatamente Bill, poiché dal modo in cui lo disse e con il dispiacere sincero negli occhi non poteva pensare diversamente del suo comportamento. Kari fu delicata con la sua tristezza.
“Sei davvero brava a capire, credo proprio che ti sei appena trovato un nuovo lettore. Magari nei tuoi libri troverò questa tua capacità di entrare nei sentimenti delle persone.”
Kari sorrise di vera felicità, era innegabile che quel complimento le aveva fatto piacere più di ogni critica entusiasta le fosse stata dedicata fino a quel momento.
“Bill, prima che me ne vada, c'è solo una cosa che voglio dirti legata a questo tuo problema. Dopo avrai il diritto di mandarmi a quel paese se vorrai.”
“Non potrei mai, mi hai già comprato a vita con il cioccolato.”
Kari si avvicinò un poco e lo afferrò per un avambraccio. Ci fu qualcosa di molto tenero nel modo in cui fece quel gesto, a Bill appariva come trattenuta dalla volontà ma allo stesso modo spinta da un desiderio.
“Anche se adesso ti senti tanto sfiduciato, dopo anni di totale deserto amoroso, non puoi permetterti di non credere nell'amore. Porta pazienza. Devi avere fiducia e non smettere di sperare. Quelli come te e me hanno una certa visione dell'amore e vivono attanagliati in una continua ricerca di realizzazione.” sospirò “Forse siamo dei perenni illusi ma è qualcosa che ci appartiene. Penso che sia meno doloroso continuare a vivere con questa consapevolezza piuttosto che privarsi di un sogno che ci contraddistingue. E se non riesci a vedere null'altro che il tuo presente io voglio dirti che hai il diritto e l'obbligo di essere ancora un sognatore. Quelli come noi sono creature in via d'estinzione…”
Lo colpì, non c'era nient'altro da dire.
Lo aveva colpito ed anche se il suo strato di cinismo non gli permise di apprezzare immediatamente quelle parole, un giorno avrebbe concesso loro lo spazio necessario per vivere. Per adesso erano solo state seminate.
“E sarebbe scortese da parte mia lasciarti da sola, non è così?”
“Esatto. Ricordati del cioccolato.”
Bill rise di cuore “Il cioccolato è un legame potente.”
“Quanto un giuramento di sangue.”
“Allora deve essere davvero buono.”
“Certo, è cioccolato italiano, il migliore.”
Bill scosse la testa e prima che potesse protestare la strinse in un abbraccio disinteressato e dolce.
“Sono proprio pessimo. Consolato come un bambino da una perfetta sconosciuta. Quanto devo essere patetico?” la sentì irrigidirsi a dimostrazione di quanto la stesse imbarazzando, la lasciò andare. Kari era diventata rossa fuoco e venne colta da una tachicardia anormale.
“Un giorno, sono sicura, che vivrai anche tu il tuo San Valentino a Tokyo.” disse una volta ripresa dalla confusione emozionale in cui l'aveva fatta precipitare.
“Tokyo?”
“Sì! Per me San Valentino, per quanto lo detesti, è una meta da raggiungere. Mi immagino che quando avrò un fidanzato e sarò innamorata veramente passerò almeno un quattordici Febbraio nel mio luogo preferito. L'amore vero per me sarà realizzato quando potrò lamentarmi di San Valentino, con il mio ragazzo, a Tokyo. Dici che è un po' strana come fantasia?”
“Decisamente.” poi Bill si rese conto di un dettaglio “Ma tu non lo hai già il fidanzato?”
“No. Ho mai detto di averlo?”
“Ma prima non hai detto...”
“Cosa?”
Bill rifletté tra sé “Quindi tu sei sola?”
“E di cosa ho parlato fino ad ora secondo te?” Kari non capì ma non poté chiedere spiegazioni perché Bill si piegò in due.
Si era messo a ridere sguaiatamente. Ed ora cosa c'era di tanto divertente?
 

****

 
Tokyo.
14 Febbraio.
 
Trovò il biglietto sopra al tavolino della sala da pranzo.
Era in bella vista accanto ad un vassoio di vivande dalla natura non identificata, che fosse la sua colazione?
Si avvicinò e sbirciò immediatamente dentro ad una delle ciotole di ceramica laccata di bianco e decorata da rami di prugno. Aveva ormai imparato che tutta quella esposizione di deliziosa arte giapponese nascondeva delle insidie per lo stomaco di chi, come lui, non si sarebbe mai abituato neanche lontanamente alla cucina locale. Perciò non provò nessun sollievo nel constatare che, invece di una tazza di normalissimi cereali, c'era una porzione di Miso accompagnata da, guardò negli altri piatti, tofu vegetariano, pesce e riso in bianco.
Se lo poteva scordare, pensò immediatamente, avrebbe fatto portare via quella roba e si sarebbe concesso un po' di sacrosanto caffè e delle semplicissime brioches ripiene di marmellata.
Infondo la nippofila era lei e per quanto, ora, apprezzasse la cultura del Sol Levante non aveva voglia di provare proprio ogni più piccolo aspetto del Giappone. Dopo aver chiamato il servizio in camera per cambiare l'ordinazione decise che poteva prestare attenzione al messaggio che gli aveva lasciato.
Erano le otto del mattino, constatò guardando l'orologio, dove accidenti si era cacciata ad un'ora così precoce? Se non la teneva d'occhio quella sarebbe finita chissà dove nell'abnorme capitale nipponica. Presa come era dal suo entusiasmo privo di inibizioni avrebbe potuto combinare una moltitudine di sciocchezze, giustificandosi con il fatto che non poteva controllarla proprio in uno dei  suoi luoghi preferiti nell'intero universo conosciuto, alternativo ed esistente.
Cosa aveva trovato di romantico nell'idea di regalarle quel soggiorno a Tokyo?
Difatti tra la città e lui la preferenza di lei cadeva naturalmente sulla città. Sospirò interiormente ma si sentì anche divertito: l'amore era anche una questione di pazienza e comunque renderla felice era stato fin dall'inizio il suo obbiettivo, poco male se gli venivano dedicate poche attenzioni. Non poteva essere geloso di una metropoli, sarebbe stato da pazzi.
Aprì la busta e tirò fuori un foglietto di carta leggera color tè verde, lesse velocemente il suo contenuto.
 
14 Febbraio dell'anno del Coniglio.
 
Ieri parlando un po' con uno dei kannushi del tempio che abbiamo visitato ho scoperto che questo era l'anno del coniglio e ciò mi ha reso terribilmente entusiasta. Quindi, secondo la mia logica, questo sarebbe l'anno di Momiji Soma! Hai presente uno dei miei personaggi preferiti di Fruit Basket? Il manga di Natsuki Takaya? Fare quella scoperta mi ha portato a fare un viaggio di pensieri non indifferente.
Riflettendo, mentre ti guardavo dormire, ho osato pensare che  tutto questo sia proprio destino: essere nella città che ho sempre sognato di visitare da quando avevo dieci anni, con la persona di cui sono totalmente innamorata e da cui sono così fortunatamente ricambiata, nell'anno del coniglio per giunta ha proprio il suono di qualcosa di fatale.
E ora non ridere, ti prego.
Sai che il Giappone mi ha fuso completamente il cervello e comunque queste sono tutte chiacchiere di una logorroica estremamente felice. Oggi è il 14 Febbraio, San Valentino. Ti ricorda qualcosa? Sì, sono sicura di sì.
Mi piacerebbe vedere che espressione ha assunto adesso la tua faccia, magari stai sorridendo in quella maniera dolcissima che mi piace tanto, o forse scuoti la testa pensando che sono una fuori di testa, in ogni caso spero di aver fatto germogliare in te un po' di sano buon umore.
Lo spero con tutto il cuore perché così potrei ripagarti un poco di tutte le volte che lo hai fatto tu per me.
Cosa accidenti vorrò dirti con questo discorso sconclusionato senza capo, ne coda?
Nulla di particolare, difatti questo doveva essere un biglietto per spiegarti dove sono andata senza di te (sono andata a comprarti dei Tayaki) ma la penna ha finito per fare di testa sua ed eccoti questo tripudio di nosense.
Alla fine, in mezzo a tutta questa confusionaria esposizione di parole, c'è solo una cosa che dovevi sapere: tornerò tra poco.
Un Bacio.
Ti amo.
 
Ps: Ti ho ordinato la colazione ma molto probabilmente la farai cambiare. A te manca proprio l'istinto giapponese, vero?
 

Ripose nuovamente la lettera nella busta e con sguardo addolcito guardò lo spettacolo della città di Tokyo che si estendeva verso l'orizzonte, là, oltre il vetro delle porte-finestre che davano sul balcone.
Già, era San Valentino. Ovviamente lo ricordava perfettamente.
L'aveva sempre trovata una ricorrenza inutile e commerciale, ancora adesso a dir la verità, ma ormai aveva le sue ragioni per festeggiare quel 14 Febbraio con sincero piacere. La più bella ragione che avesse ricevuto dalla vita, anche se c'era voluto tempo prima che la trovasse.
Per fortuna che non aveva smesso di crederci.
Per fortuna che aveva trovato un altro sognatore.
Per fortuna che ora aveva il suo San Valentino a Tokyo.
Per fortuna che Kari l'aveva trovato.

 
 
 
   
 
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