Libri > Shakespeare, Varie
Ricorda la storia  |      
Autore: Gogol    19/02/2010    3 recensioni
L'ultima battaglia di Macbeth, il tormentato personaggio shakespeariano. Non pretendo ovviamente di eguagliare il Cigno di Stratford, ma critiche e recensioni sono più che gradite.
Genere: Drammatico, Guerra | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Incolla qui il testo.

 

Tomorrow, and tomorrow, and tomorrow

Creep in this petty  pace from day to day

To the last syllable in recorded times

And all our yesterdays are lighted fools

The way to dusty death.

[…]

It is a tale

Told by an idiot

Full of sound and fury –

Signifying nothing.

 

William Shakespeare, Macbeth – Atto V, Scena V.

 

 

 

 

 

Le campane di  Cawdor suonavano un canto stridente e sregolato.

Dong – bong – a – dling – don – bong – Allarmi,  allarmi, correte! Allarmi! Rimbombavano nel palazzo di pietra e nelle sale grigie, ossessive e fragorose. Ovunque, in città, fra case di paglia e legno e fango, nei porcili e nelle stalle – nella rocca stessa, dove si sbarravano porte, s’ammucchiavano barili agli ingressi, si distribuivano faretre colme di frecce – correvano uomini vestiti di cotte di maglia, sudati e freddi di terrore e ansia. << Arriva! Arriva! >> Urlavano. << Arriva il Martello! >>

 

Macbeth allora alzò la testa leonina e striata di bianco. La corona sul suo capo era un pezzo di ferro e acciaio pesante e fastidioso, la cotta di maglia aderiva alla pelle, scorticandola. Alzò il capo e i suoi occhi lampeggiarono di collera.

Era imbolsito, stanco, vuoto dentro, ma negli occhi grigi gli attendenti videro la forza antica e si ritrassero mentre il re afferrava la grande mazza da guerra, sollevandola al cielo. Giù, ai piedi dei bastioni, stava premuta l’umanità sudata e lacera dei suoi soldati, gli stendardi in alto.

<< Cosa significa questo? >> Sbraitò il re. Un rossore paonazzo risalì la faccia e si diffuse sulle guance cascanti. Il gigante di Cawdor si voltò verso gli attendenti.

<< Cosa significa! >>

La canizza dei soldati ammassati davanti le porte era immane ed indegna per il signore di Scozia. Soldati a piedi, fantaccini, straccioni reclutati fra il popolo e mercenari disposti a combattere per il migliore offerente. Gli attendenti balbettavano e si facevano piccoli e i soldati rumoreggiavano e imprecavano. Ovunque si voltasse Macbeth non v’era che caos e disordine.

 

<< Perché? >> Urlò il re e un anno prima, solo un anno prima il suo ruggito, sorto dai polmoni forti e sgorgato dalla gola come rombo di tuono, avrebbe azzittito diecimila uomini. Ora i soldati continuarono a lamentarsi, reclamare, urlare idiozie, e gli attendenti furono i soli ad arretrare. << Perché abbiamo così pochi cavalieri? Dov’è MacDonald e dove Cranberry? Dove sono gli armigeri della guardia? Dov’è Banquo? Dov’è Fleance? DOVE? >>

Gli attendenti ebbero paura. Tutti avevano paura, lo circondavano, lo assilavano, imbelli come neonati! Per il Signore Iddio, gli uomini! Uomini! Servono Uomini!

 

<< Ma mio signore >> Balbettò un attendente e Macbeth lo spintonò con forza, mandandolo a gambe levate, ma quello non smise di parlare, terrorizzato. << Mio signore, MacDonald ha portato le sue lance al servizio del nemico e Cranberry è morto, mio sire, è morto venti giorni fa sulle colline. E, mio signore, Banquo era traditore! Traditore! >>


Allora Macbeth s’arrestò. Negli occhi aveva genuina sorpresa. << Traditore? Banquo? Abbiamo combattuto insieme a Glamis! Come può essere, servo? >>

<< Mio signore, Cristosanto, lo avete ucciso voi! L’avete fatto ammazzare nel giardino, sgozzandolo come un maiale! E Fleance è fuggito e reclama per sé la corona di Scozia, mio re! >>

L’attendente era un fiume in piena. Forse pensava che il re fosse pazzo, lo pensava di sicuro!

Macbeth cercò di ruggire, ma dal ventre gli salì solo un rutto acido. Era stanco.

 

Stanco.

Oltre la cinta esterna di mura avanzava la foresta di lance e asce e spadoni, zoccoli di cavalli che martellavano la terra.

<< Mio signore? McDuff sta arrivando. C’è il conte Seymour e c’è MacDonald e c’è lord Peter, lo zio del re, e lord Crabb e lord Cyraine con cinquecento cavalieri pesanti ognuno. Mio signore? Mio signore! >>


E alla fine, che importava?

Gli dei forse sorridevano, guardando i loro giocattoli affannarsi. Sorridevano e forse facevano scommesse su chi avrebbe vinto, puntando una manciata di mondi sul loro concorrente.

Era terribilmente triste e terribilmente buffo assieme.

Ma salverò l’onore, pensò Macbeth, e ruggì il ruggito del leone.

 

Era un leone stanco, un leone grasso e canuto, ma le iene del suo seguito questa volta lo sentirono e tacquero, uggiolando il perdono, spaventati dalla furia rossa del leone di Scozia, debole, vecchio, ma ancora regale nella sua ira.

 

<< Taci, idiota! Tacete TUTTI! Tacete! Tacete, o avrò le vostre teste incatramate su una picca! Figli di puttana, perché sbarrate le porte come topi in trappola? Noi oggi usciremo dalla rocca e sprofonderemo MacDuff nel fango da cui proviene! >>

Il re percorse a passo di carica i camminamenti, si appoggiò ai merli, tornò indietro ansimando come un mantice, continuando ad urlare senza nessuna interruzione.

 

<< Mio signore! >> L’affanno di uno degli attendenti. << Gli uomini di MacDuff ci superano di dieci a uno! Uscire in campo aperto... è una follia! >>

Macbeth girò su se stesso e si trovò faccia a faccia con l’attendente, puzzolente di terrore e paura. Provò disprezzo, infinito disprezzo.

 

<< Allora armate anche tutte le donne e tutti i bambini dai dodici anni in su! Che si portino dietro i loro cani da guardia e le loro zappe e falci e falcetti! E che ognuno di voi bastardi abbatta venti uomini prima che il più imbelle e inetto di voi cada! No, armate i bambini dai sei anni in su! Bambini e bambine, che impugnino coltelli da cucina e castrino i nostri nemici! Mobilitate il presidio della rocca! Oggi, uomini, combattete per la vostra miserabile vita! Potete guarnire la rocca, ma se là fuori perderemo, loro stupreranno le vostre donne e prenderanno dal didietro quelle troppo vecchie, come fanno i cani! Affogherete nel vostro sangue e nella vostra merda... oppure vincerete, e la Scozia sarà vostra! Vincerete e ricaccerete i cani di Seymour in Inghilterra, e poi via dall’Inghilterra stessa! Combattete per la Scozia e per la VITA, uomini! Preparatevi! >>

 

E fu un boato più forte del grido di Macbeth, un battere di scudi contro lame, un tambureggiare entusiastico di incitamenti. << Attendenti, strappate i paesani fuori dalle case! Si va a combattere per la VITTORIA! >>

 

Il castello fermentava. Macbeth alzò la mazza da guerra perché tutti la vedessero, ruggendo, splendido nel mantello color porpora e l’armatura luccicante al sole d’estate.

 

Così il re sorrise, perché sapeva di andare alla morte e voleva mietere molte vite prima di rovinare; rovinare a terra, nel fango, espulso dai recessi di quella vulva secca e slabbrata che è la Storia.

 

 

*

 

Al tramonto il campo di Cawdor era imbevuto di sangue. Lo avevano irrorato i cavalli che azzoppati crollavano su altri cavalli e uomini e lance trascinando con sé i propri cavalieri; i contadini che crollavano bocconi vomitando sangue; lo scontro fragoroso e immane di martelli su scudi e lance su spade e asce su ossa e carne messe a nudo nella luce e nel caldo che già arrostiva e prosciugava dei liquidi i morti stesi nella loro stessa merda, sventrati, decapitati, mutilati.

 

Macbeth era inarrestabile. A ogni colpo inferto rideva, perché sapeva che avrebbero composto saghe epiche su quella battaglia, qualunque ne fosse stato l’esito, e che avrebbero cantato senza sapere la guerra, senza conoscere i corpi sudati e premuti in un muro di scudi l’uno contro l’altro, i movimenti scoordinati dei fanti bruciati vivi nelle armature, quelli dei cavalieri imbottigliati in armature tanto pesanti da costringere gli scudieri a sollevare i loro padroni sulla groppa con pulegge e carrucole, come bambini piccoli incapaci di camminare. E lord orgogliosi che si pisciavano addosso ancora prima dell’impatto, e che imploravano, imploravano, imploravano. E piangevano forte.

 

Il conte Seymour moriva sdraiato sull’erba schiacciata. Un colpo di spada lo aveva aperto dalla gola fino al pube, facendo sgorgare fuori le budella che ora lo aggrovigliavano in intrichi osceni. Singhiozzava, voltando debolmente la testa da una parte e dall’altra. Il combattimento si rarefaceva, sempre più soldati gemevano e si afflosciavano come bambole rotte, morti di fatica. Cavalli non ce n’eran quasi più. << Mio ‘ord, mi a’endo... mi do ... ‘ono tuo ‘hiiigionhieeee’oo.... >> Macbeth notò che gli angoli della bocca di Seymour erano incrostati di sangue e vomito. << Mi a’eendo... >>

 

<< Ti arrendi >>  Concordò Macbeth e gli fracassò il cranio, ponendo fine alle sue sofferenze.

 

Arrivò poi MacDuff.

 

Il barone di Cawdor e Glamis, nonché re di Scozia per grazia di dio e del pugnale che aveva sgozzato il vecchio Duncan, sbuffò come un toro pronto alla carica. Aveva perso cappa e schinieri. Sul volto di animale sanguinavano lente diverse ferite triviali.  MacDuff era ferito a una guancia, uomo grosso e tarchiato in cui s’intuiva la saldezza, due mustacchi folti afflosciati per il sangue e le botte prese. Dieci dei cavalieri sopravvissuti lo accompagnavano.

MacDuff aveva ancora la lama sporca del sangue di un contadino di Cawdor.

 << Macbeth >>.

<< MacDuff >>.

<< Hai trasformato una resa indolore in un bagno di sangue. Ho perso quasi tremilacinqueceno uomini. Hai fatto combattere delle donne e dei bambini... uno di loro ha pugnalato il cavallo di Sir Drake sotto il ventre e ne è rimasto schiantato sotto. Credo sia morto soffocato. >>

Macbeth, impolverato e sanguinante, riusciva però a sorridere. Ecco che finisce, pensò. Ecco che finisce questa facezia, quest’idiozia cantata da un idiota, piena di rumore e furia... senza significato. Poniamo fine alla farsa, comunque debba essa concludersi.

 

<< Morto come lo sarai tu presto, MacDuff. >>

Il vassallo d’Inghilterra sembrò stupirsene e i suoi lineamenti grezzi e duri si rilassarono per un istante. << Morto? Macbeth, hai perso. Hai combattuto e ora sei solo. Non hai che cadaveri... hai combattuto con valore, te lo concedo. Se ti sottometti ora, la tua fine sarà privata e senza disonore. Il boia reale se il fatto suo. >>

 

Aveva perso, Macbeth se ne rese conto distrattamente. Ponete fine rimbalzò una voce nella sua mente e la voce era quella delle Tre Parche che avevano guidato la sua ascesa e la sua caduta... o era quella di sua moglie suicida, le quattro vene dei polsi squarciate, l’occhio vitreo di pesce?

 

Non lo sapeva né gli importava. Sapeva solo che la dannata voce aveva ragione, bisognava porre fine e porre fine subito, porre fine porre fine porre fine.

 

Accennò un sorriso stanco. << Non puoi uccidermi, MacDuff. Hai mosso la foresta sul colle di Dunsinane, ma solo un uomo non nato da donna può uccidermi. Macbeth di Glamis non cadrà mai in tutti i secoli che verranno! >>

 

Le sue vuote parole furono raccolte dal vento, risuonarono, poi svanirono. MacDuff scese da cavallo, deciso.

<< Sei uno sciocco, Macbeth! Io fui nel ventre di una donna, ma ne fui strappato! Strappato via dal ventre di mia madre morta... dunque MacDuff è nato anzitempo, mai passato attraverso il giardino di una donna. E tu morirai! >>

 

Si lanciarono l’uno contro l’altro senza altri indugi, spada contro mazza, forza di uomo contro forza di uomo. Macbeth abbatté su MacDuff una gragnola di colpi, scintille si alzavano in fontane dagli spallacci ammaccati dagli schianti. MacDuff arretrò, fintò, intercettò la mazza di Macbeth e sangue schizzò dal viso del re.

 

Poi Macbeth fu colpito alla coscia e rovinò in ginocchio. Il fiato corto ne spezzava le parole e gli tingeva la vista di rosso. Sangue del mio sangue, sangue di MacDuff, sangue di terra e di re. Terra e sangue.

 

<< Arrenditi. >> Ansimò MacDuff, sudato, sbuffante come un mantice. << Arrenditi, Macbeth... è finita! Finita! >>

 

<< Non è finita >> Ribatté Macbeth. << Non è finita finché uno dei due non sarà morto. E anche allora... non sarà mai finita. La storia si ripeterà. Si ripeterà sempre, MacDuff... sempre! Sempre! >>

<< Sei pazzo, Macbeth. >>

<< Probabilmente. E adesso, muori >>.

Macbeth di Glamis fece perno sulla gamba ferita e si scagliò come un orso, mulinando la mazza e MacDuff arretrò d’istinto e la spada lampeggiò nelle ombre del tramonto. Colpì Macbeth fra la giugulare e le clavicole. La gola del re esplose in una fontana carminio inondando MacDuff di sangue caldo e torrenziale.

 

Macbeth superò MacDuff, mentre la testa coronata del re roteava in cielo come una palla di volano troppo peante per poi cadere con un suono umido e rotolare nell’erba bagnata. Il cadavere del re percorse un altro metro, scosso dagli spasmi nervosi, la mazza stretta in mano. Poi le dita si aprirono, l’arma cadde e Macbeth si afflosciò e rimase inerte.

 

A Cawdor, le campane della rocca e della Storia suonavano a lutto.

  
Leggi le 3 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Shakespeare, Varie / Vai alla pagina dell'autore: Gogol