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Autore: ladyvonmark    19/02/2010    11 recensioni
-Scusa se prima t'ho aggredita-, disse, -è una giornataccia
veramente-.
-Fa nulla-, a parte le mie confessioni di peccatrice, ne stava valendo
la pena.
-Prima cosa volevi dirmi?-, chiese.
-Quando?-.
-Quando ti ho ficcato in mano quel foglietto... quando ti ho dato
l'autografo, insomma-.
-Oh-,
mi strinsi nelle spalle. Non sapevo bene cosa dirgli. Ma, in effetti,
non l'avevo saputo per tutto il tempo. Perciò non ci feci
caso. -Non lo
so. Ho pensato di dirti: "Hei, volevo vedere solo se sei vero".
A me stessa.
Genere: Commedia, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Vittoria, Londra. Ero a Londra.
Finalmente. E da sola.
In realtà la mia vacanza volgeva al termine, perchè l'indomani avrei preso un aereo per tornare a casa. Mi stavo godendo il mio ultimo giorno da neodiplomata italiana in Inghilterra. E, devo dirlo, quella era stata la miglior vacanza che io avessi fatto. L'indipendenza che avevo provato era impagabile e valeva tutti i soldi (tanti) spesi.
Come perfetto coronamento della mia permanenza londinese, ci fu un incontro che non avrei neanche potuto realmente sperare.
Lo vidi lì, per strada, con la testa su un altro pianeta e quella faccia da... da. Nessun bisogno di spiegazioni, no?
Era lì, Johnny, e le mie gambe si mossero da sole e lo raggiunsero, tremanti.
Cosa potevo dirgli?
-Excuse me...-, già stavo pensando alla faccia che avrebbe fatto quando avrebbe ascoltato la mia domanda (mi chiedevo: sorpresa, scocciata? O era abituato?), quando lui alzò la testa e partì in quarta.
-Cosa? Ah, sì. Sì, certo. Aspetta, hai una penna? Ah, no, ce l'ho, ce l'ho. Com'è che ti chiami? No, vabbè, non fa niente, lascia perdere, ecco-. Scarabocchiato qualcosa su un pezzo di carta, me lo ficco in mano e si allontanò in fretta e furia, borbottando chissà cosa.
Ci sono degli avvenimenti nella vita che succedono talmente in fretta che nel tempo che realizzi, sono già passati.
Il mio primo (e quasi certamente ultimo) incontro con Johnny Depp era avvenuto nel giro di venti secondi, forse trenta, in cui lui aveva blaterato qualcosa senza senso (almeno per me), senza guardarmi un momento, senza lasciarsi neanche guardare negli occhi, senza lasciarsi dire 'grazie'.
Mentre osservavo quel pezzetto di carta con uno scarabocchio senza senso (ma veramente senza senso), iniziai ad avere un battito cardiaco normale e pensai che l'occasione che aspettavo da diversi anni era arrivata e se n'era andata senza lasciarmi il tempo di reagire.
E non era neanche colpa mia!

Fu proprio dentro lo Starbucks che lo vidi, seduto ad un tavolino a borbottare contro un palmare. Johnny era lì e io stringevo ancora quel foglio con il suo autografo e mi sentivo bruciare d'umiliazione. Perciò agii d'istinto e marciai fino al tavolo e glielo poggiai lì, tornando poi al bancone ad aspettare il cappuccino.
Il locale era vuoto, perciò potei sentire forte e chiaro il suo: -E questo che vuol dire?-. Sollevai le sopracciglia e lo vidi che mi guardava con un'espressione arrabbiata.
-Che io il suo autografo non lo voglio-, spiegai tranquillamente. Il bicchiere mi venne piazzato davanti agli occhi e io rovistai alla ricerca di qualche pound nel portafogli. Naturalmente avevo le mani che tremavano e, se non avessi avuto una carnagione scura, sarei stata rosso fuoco. E la mia borsa in stile Mary Poppins non aiutava molto.
-Ah, certo, adesso neanche questo basta-, continuò lui, imperterrito. Mi voltai a guardarlo. -Cosa vuoi? Una foto? Una ciocca di capelli? Oppure, aspetta, mi taglio un momento e ti prendi un campione del mio sangue!-.
Pensai di avere le allucinazioni. Possibile che si stesse arrabbiando tanto perché una fan, una qualunque fan, gli aveva restituito un pezzo di carta con la sua firma? Cioè... davvero, arrabbiarsi per una sconosciuta?
-Mah, se lo dice lei-, alzai le spalle, presi il mio cappuccino e mi defilai.
Okay, analizzando la situazione: stavo davvero uscendo da Starbucks mentre Johnny Depp predicava non so cosa, parlando con me?
Chiaramente il tizio stava incazzato per i fatti suoi e veniva a prendersela con me solo per una mia azione inaspettata. Diciamo pure che si era fatto un film mentale in cui io, non avendo ricevuto da lui una dichiarazione d'amore, avevo intenzione di fargli fare la fine di John Lennon (pace all'anima sua). E dunque, con il mio spirito arguto avevo capito che era meglio battere in ritirata, chè tanto da lui non avrei ottenuto altro che rispostacce. Insomma, dovevo o non dovevo diventare membro del corpo diplomatico? Comunque quella scenetta si complicò ancora di più quando lo sentii uscire e corrermi dietro, ringhiando che: -Non ho ancora finito!-.
A quel punto mi voltai verso di lui e, con la mia migliore e pacifica faccia, gli chiesi: -Giornata storta?-.
Certo, un po' brusca, ma almeno lo misi a tacere. Intanto il mio cuore galoppava più di Spirit, cavallo selvaggio.
-Come?-.
Alzai le spalle.
-Non intendevo farla arrabbiare così tanto, eh. Se proprio le dà così fastidio, quel foglio me lo riprendo e lo butto-.
Tesi la mano per riprendermi quel dannato autografo. Cercavo, nella mia mente, di aggrapparmi all'idea che Johnny avesse una brutta (ma umana) giornata e che non fosse sempre così nevrotico e maleducato.
-Non era quello che intendevo!-, sbraitò ancora.
Se da un lato mi metteva in soggezione, la mia indole schietta trovò il momento migliore per farsi sentire (notare vena sarcastica), quando gli borbottai che stava facendo tutto da solo. Servì solo a farlo infuriare di più. Ma che palle!
-... tanto a voi fan non basta mai niente!-, riuscii a carpire in quel discorso sconnesso. E a quel punto non ci vidi più. Nonostante fossi imbarazzata, in soggezione a causa sua, mi lanciai in una delle sfuriate meglio riuscite della mia vita.
-Primo: fai silenzio! Secondo: sì, sono passata al tu, anche se tu non puoi sentirlo perché sto parlando inglese, ma nella mia mente sono passata al tu e se passo al tu vuol dire che sono veramente incazzata. Terzo: tu non mi conosci! Quarto: non sono una fan qualunque, anzi, non sai neanche se sono una fan! Quindi non permetterti mai più di aggredirmi in quel modo! E quinto...- abbassai lo sguardo - be', il quinto mi verrà in mente-.
Mi ricordai di essere a Londra, per strada, che urlavo contro uno dei miei attori preferiti. E pensai: se divento diplomatico io, qua scoppia la terza guerra mondiale.
-Sì, be', ciao-.
La mia fuga da manuale, però, non avvenne, perché lo sentii forte e chiaro.
-I'm sorry-.
E mica potevo andarmene così, no?

Finimmo per passeggiare insieme. Nella mia testa c'era l'insistente domanda: ma come fanno a non riconoscerlo? Però davvero la gente non sembrava accorgersi che era lui, quel lui clamoroso e eclatante.
-Non ho capito una cosa-, disse e mi voltai a guardarlo, ignorando il tremore alle gambe. Oh, era pur sempre lui! -Se non volevi un autografo... oh, va bene, visto che non volevi un autografo-, si corresse alzando gli occhi al cielo, -come mai sei venuta a parlarmi?-.
-Oh, sì. Già-. Avvampai. Faceva caldo davvero, eh. E adesso che gli dico?, pensai. -E' un po' complicato-.
Non ero mica tanto illusa da credere che lasciasse perdere. Non lo ero. Lo ero?
-Parla-.
Non lo ero.
-E' che... non lo so bene neanch'io. Non volevo niente di preciso da te. Tutti continuano a ripetermi che dovrei smetterla di starti dietro... non so se riesco a spiegarmi-.
-Mh, credo di no-, incurvò le labbra in una specie di sorriso. Ma cos'era tutta quella confidenza?
 -Vedi, io sono una sognatrice. Mi detesto per questa cosa. Cioè... mi detesto per tante cose, ma questa proprio la odio. Solo che non posso farci nulla, sono sognatrice e basta. E quindi perdo tempo a sognare di te, dei tuoi colleghi, delle vostre vite, di come sarebbe parlarti. E sono sogni, capisci? L'ultima volta che mi è stato ripetuto è stato prima di venire qui a Londra, me l'ha detto mia cugina! Io parlo con te e tento di convincermi che questa è la realtà, perchè queste cose non succedono! E lo so che non succedono! Lo so, non sono stupida! Ecco perchè m'incazzo quando mi dicono che questa non è la realtà! Perchè lo so! La mia realtà mi fa schifo, ci devo combattere, e i sogni sono le poche cose belle che... sì, lo so che sono melodrammatica, taci, ma che ti devo dire? La mia vita, in questo momento, mi fa vomitare. E mi fa paura. Devo crescere. Quindi è normale che io abbia paura. E ho una serie di problemi personali, perciò mi fa schifo. Perciò, sì, sono melodrammatica e, sì, mi aggrappo a questi dannati sogni. E m'incazzo se cercano di togliermeli-.
Finalmente smisi di parlare.
C'è un numero massimo di sfuriate giornaliere? Io ero già a due.
-Posso parlare?-, chiese.
-Certo-, borbottai, desiderando sparire. Pure le figuracce con Johnny ci mancavano.
-Mai pensato ad uno strizzacervelli?-, suggerì sorridendo sfacciatamente. Alzai le sopracciglia.
-Già ci vado-.
-Magari non è brav... ahia!-. Che esagerato, lo schiaffetto sul braccio era leggero!
-Mai. Insultare. Ramo(*)-, ringhiai.
-Okay, okay. Cercherò di essere serio-, fece una pausa, -quello che non capisco è: perchè io sarei uno dei tuoi sogni? Sì, certo, la risposta scontata sarebbe che io sono io e tutto il resto... ma è scontata davvero e dopo tanto parlare da parte tua, mi sembra impossibile-.
Mi preparai alla successiva e penosa confessione. Già che c'ero, preferivo sputtanarmi completamene.
-C'è un tuo amico... amico, collega, non lo so. Lui è stato il primo. Un giorno guardavo un film e ho visto qualcosa di bello. Di magico. Poi ho guardato te. Ho guardato qualcuno dei tuoi film, ho guardato Chocolat: non vedevo quella stessa cosa. Un giorno, però, ho visto Neverland. Ed era lì. E tu eri così... così... ho pensato che era il film, che era Peter Pan, che sei un ottimo attore... e poi ho visto i Pirati e l'ho ritrovato. E poi ho visto una tua intervista, in compagnia di Tim. Quella con la giornalista scema...-
-Quella delle dieci decadi(**)?-, chiese sorridendo.
-Sì, quella. Ti ho visto ridere. In quel momento ho capito che eri tu, che era quello che riuscivi a trasmettermi-.

-Scusa se prima t'ho aggredita-, disse, -è una giornataccia veramente-.
-Fa nulla-, a parte le mie confessioni di peccatrice, ne stava valendo la pena.
-Prima cosa volevi dirmi?-, chiese.
-Quando?-.
-Quando ti ho ficcato in mano quel foglietto... quando ti ho dato l'autografo, insomma-.
-Oh-, mi strinsi nelle spalle. Non sapevo bene cosa dirgli. Ma, in effetti, non l'avevo saputo per tutto il tempo. Perciò non ci feci caso. -Non lo so. Ho pensato di dirti: "Hei, volevo vedere solo se sei vero". Dall'altro volevo fare tipo Tarzan e urlare: "Zio Joh!"-.
Ridacchiai e pensai alla faccia che avrebbe fatto se l'avessi gridato davvero.
-Zio?-, chiese la sua voce confusa. Ops. Pressai la mano sulla bocca, diventando della temperatura di un'aragosta bollita. Inutile dire che balbettai qualcosa di sconnesso e lui, senza motivo, rise per un bel po', soprattutto per la mia faccia.
Volevo sotterrarmi.
-E'... è così che ti chiamiamo io e delle amiche...-.
-Che cosa originale-, commentò sorridendo.
-E non hai sentito gli altri...-, mormorai ringraziando il cielo per questa grazia.
-Cosa?-.
-Niente, niente!-, feci una risatina acuta.
Scosse la testa poco convinto, ma lasciò perdere.
-E di cosa parli con le tue amiche? Riguardo me, intendo-, chiese, ma con un'aria talmente innocente che non riuscii a mentirgli. Non riuscii neanche a dirgli la verità, ovvio. Quindi optai per un "vuoi davvero saperlo?". E lui capì che non eravamo così sognatrici. Io almeno non lo ero.
Mi parve sconfortato.
-Oh, non fare così!-, cercai di consolarlo. -Parliamo anche di altro... insomma... parliamo... dei film... della tua faccia... parliamo... della squadretta!-, conclusi azzardandomi a toccargli il naso. Avevo la mano che sembrava in preda agli spasmi per quanto tremava. Dannata emotività.
-La squadretta?-, si toccò il naso.
-Sì, non so se l'ho detto bene in inglese... comunque intendo il triangolo rettangolo che ti ritrovi al posto del naso, quello su cui studierei volentieri trigonometria-.
Lui sbattè le palpebre e ripetè: -la squadretta...-.
Poi rise, scuotendo la testa.
-Se cercavi di convincermi dell'essenza platonica del tuo amore per me, stai davvero fallendo-, disse. Risi, ignorando l'imbarazzo. E il calore alle guance. Meno male che avevo la carnagione scura, meno male! -E stai pure arrossendo-.
Quasi mi strozzai.
-Cosa? Io non arrossisco!-, protestai.
-Sei rossa!-.
-E tu sei daltonico!-.
Si avvicinò di scatto e pericolosamente. E non ressi, con il cuore assordante nei timpani. Non l'avevo mai sentito così forte, non era una frase fatta.
-Visto?-, disse ridendo, vittorioso.
Dannato Zio.

Eravamo di fronte ai Kensington.
Gli sorrisi, riconoscente.
E anche lui sorrise. Inaspettatamente mi abbracciò.
Tremavo. Lui rise. Non ci feci caso e lo strinsi, per quanto potevo, inspirando profondamente il suo profumo.
-Grazie, grazie di tutto. Spero di averti fatto capire quanto questa cosa sia importante per me-, gli sussurrai, con le labbra tremule.
-Un po' ci sei riuscita-, rispose.
Ci staccammo e io mi asciugai gli occhi che, ovviamente, mi bruciavano per le lacrime. Io che piangevo pure per i Pokèmon, che pretendevo?
Lui mi fece una carezza leggera e sorrise.
-Ciao, Vittoria, stai bene-.
-Ciao, Zio Joh-.

{Quattro giorni dopo...}
-Dai, dai, venite!-, feci entusiasta, trascinando mia cugina e il suo ragazzo sul divano di casa. Corsi al televisore e feci partire il dvd.
-Okay, calmati, eh-, disse Giulia, seccata. Sorrisi, ignorandola.
-Che dvd è?-, chiese lui, meno antipatico. Sorrisi ancora di più.
-Hei, mi rispondi?-, ripetè Giulia.
Continuai a tacere.
Sullo schermo c'ero io, in una giornata di sole, che tenevo la telecamera e mi riprendevo da sola. Intorno a me c'erano i meravigliosi Kensington Gardens.
-Ehilà! Sono io, Vittoria, come potete ben vedere. E vedete anche che sono in un parco. Di preciso sono ai Kensington. Quando ci sono venuta l'anno scorso, c'era un metro di neve. Comunque...-.
Giulia cercava di tradurre e di guardare il video in contemporanea. Il suo ragazzo non era molto bravo in inglese.
-Comunque sono qui e sono felicissima. E adoro i Kensington. E adoro Londra. Voglio vivere qui! Okay, la finisco. Bene, ecco, volevo presentarvi una persona e... EHI! RID... ridammi la telecamera!-.
Ci furono degli scossoni, il video venne mosso, ribaltato, destabilizzato. E poi apparve lui.
-Sì, sì, certo. Taci, Vittoria, per favore-.
Giulia aveva smesso di tradurre. Era a occhi spalancati.
-Ciao, Italia, come state? Qui fa davvero caldo... e... ma che rompipalle che sei...-.

Inquadrai la statua.
-Eccola-.
Johnny lesse ad alta voce l'incisione: -Peter Pan, the boy who would not grow up. This bronze, a gift of Sir James Barrie-.
-E'... per me è importante-, dissi.
Lui si voltò e mi guardò.
-I know. I know-.


_________________
(*) Ramo esiste davvero. Ed è il mio psicologo adorato.
(**) il video è Dieci decadi.
Mi ha fatta morire.
Le parti sottolineate sono quelle parlate in italiano.

Una shot che non vedevo l'ora di scrivere.
Ce l'ho in testa da ieri, perchè davvero mi dicono che dovrei pensare alle persone reali.
In parte è stata letta da qualcuno *qualcunoacaso*, che dice che è bellissima. Non lo so.
So solo che ha significato.
Stavolta è per me. Solo per me.

Federica.
  
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