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Autore: Eros and Thanatos    20/02/2010    0 recensioni
Scritto un giorno nero di pioggia sul banco di scuola, senza nemmeno una correzione, dettato direttamente dal cuore...
Genere: Poesia, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Non voglio più guardare il tramonto alla finestra
comunque la rigiri, la realtà è sempre la stessa.
Credevo che la libertà fosse la nostra conquista,
ma siamo prigionieri di una gabbia che non può esser vista.
Fa male sapere, a volte, la verità,
ma è meglio saper il vero che restare a guardar
un’architettata bugia
imposta, approvata, firmata da mano non mia.
Mi impongono il silenzio, non mi fanno più pensare,
l’uomo resta un bamboccio di prima elementare.
Sono accecato dalla luce di stelle non reali,
si può vivere felici anche con degli ideali?
Mi volto e fermo a ogni angolo, annegando in mie paure,
affogando in una vita, piena di brutture.
Non so più cosa fare,
non so più cosa guardare.
Non ho occhi, non ho testa, nelle orecchie mi rimbomba l’eco di un’utopia,
ma il mondo allor perfetto sembra esser sfumato via.
Un bavaglio premuto sulla bocca per non far parlare,
chi si ribella all’ingiustizia vien condannato criminale.
Corro avanti e indietro in un’eterna spola,
sempre lo stesso il cammino, fra casa e scuola.
Vivo in un mondo vuoto, fra i silenzi della gente,
si sbaglia, si erra, sempre volontariamente.
Vorrei gridare contro il cielo, tornare al mio passato,
alla convinzione che niente sia sbagliato.
E mi sbarrava vita e vista, quell’ostinato ottimismo,
non conoscevo i soprusi dei potenti, e il lor fanatico egoismo.
Ora vivo nella paura o speranza che arrivi un nuovo giorno,
di notte mi abbandono a un inquieto sonno,
e la mattina mi sveglio, fra sbadigli e cioccolato,
a goder della felicità che in realtà ho solo sognato.
Odo echi lontani, di impulsi di sopravvivenza,
nello statico mondo, di attivo solo una parvenza.
E voglio urlare, urlare ancora, gridar “non ho capito”,
questa società di merda in un universo ormai fallito.
Sento un vuoto e non so se è un vuoto dentro me,
e dentro quelli che ben si ostinano a non chiedere “Perché?”.
Mi stringo nel maglione, cercando un po’ di caldo,
nel freddo del timore di finire anch’io allo sbando.
Sono anch’io un fallito che non sa cosa fare?
È meglio subir e star zitti, o sapersi ribellare?
Sono pieno di domande, domande senza risposta,
solo la busta da lettera, censurata anche la posta.
Vedo sorgere punti di domanda senza base,
se vedono ideali mi cancellano la frase.
Mi sento imprigionato in uno strano me stesso,
mi guardo allo specchio e mi sento diverso;
eppure eccomi: stessi occhi, stessi capelli,
da grande contribuirò alla fuga di cervelli.
Ci dicon che noi siamo la società del futuro,
ma sprofondiamo negli abissi di sesso, droga e fumo.
Mi sento combattuto fra inettitudine alterna,
fra un assurdo fuori e la confusione interna.
Eppure io sorrido, mi fingo allegro un poco,
mi rassegno a fare buon viso a cattivo gioco.
Mi sento una porta, aperta e poi richiusa,
un pupazzo senza fili, si butta se non si usa.
Eppure spero ancora in un mondo migliore,
fatto di giustizia, amicizia e amore.
Quante volte, stanco, stufo, ho pensato a quella vita,
ma se questa fa schifo, perché non farla finita?
Ma poi ho considerato: il mondo può cambiare,
la società riscattata, la vita da giocare.
E ce l’abbiamo la possibilità di andare avanti,
lasciare alle spalle nero e grigio, i colori dei rimpianti.
E forse possiamo, render vero questo sorriso,
andare per le strade, portarlo stampato sul viso.
E stringere mani, senza truffe né inganni,
mangiare una pizza fra il calore dei compagni.
E tornare a casa, aprire le tende,
far entrare la luce che il Sole distende,
gettar in aria le scarpe, dormire un sonno vero,
fare sogni colorati, in quel mondo sincero.
E svegliarsi accarezzati da dita familiari
Pensare che è finita, son passati i preliminari.
E adesso mi aggrappo a questa stupida utopia,
vergognandomi un poco di tale strana fantasia.
Ma sapete che vi dico: me ne frego altamente,
se sono diverso dal grande mucchio di gente.
Sarò pessimista a volte, me lo potete biasimare,
ma ho ancora molti anni per vivere e cambiare.
E mi stupisco di provare una nuova emozione,
penna in mano, perso, nella bizzarra equazione
chè mi nasce il dubbio, se il mio nome è un numero,
se sono solo un problema, o esisto per davvero.
E anche questo, penso, si potrebbe cambiare,
forse ho rotto, e romperò ancora, ma lasciatemi sognare…
   
 
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