FOGLIE D’ACERO COME BARCHE LUNGO IL FIUME
-LA NOSTRA FELICITA’-
-Shun, fermati, non scappare!
Ikki rincorreva il fratellino, sfuggito al suo
controllo dopo aver subito l’ennesima canzonatura dai compagni che lo avevano
eletto a vittima predestinata e prediletta.
Contrariamente al solito, neanche il fratello
maggiore, questa volta, era riuscito a consolarlo, l’offesa era stata troppo
grande e quel bambino emotivo, dalla sensibilità inconcepibile per i più, non
aveva retto.
Nel vedere il suo angioletto dagli occhi verdi
fuggire via in lacrime, Ikki non si era neanche soffermato, come avrebbe fatto
in altre occasioni, a dare una lezione ai crudeli responsabili, ritenendo più
urgente occuparsi del piccolo fuggitivo, per stringerlo a sé ed asciugare le
gocce del suo pianto.
Non avrebbe avuto difficoltà a raggiungerlo se non
ci fosse stata quella siepe, oltre la quale Shun aveva svoltato e che gli aveva
permesso di sottrarsi alla vista del fratello. Ikki la oltrepassò a propria
volta ma, quando fu dall’altra parte, del piccolo non vi era più alcuna
traccia.
Il parco che circondava Villa Kido era immenso,
ricco di angoli reconditi ed in gran parte sconosciuti ai piccoli ospiti sempre
così strettamente sorvegliati. Ikki si trovò in una zona folta del bosco,
popolato da piante di ogni tipo, dai caduchi alberi tinti dei colori autunnali
ai rigogliosi sempreverdi che allargavano sul terreno circostante le loro
fronde maestose.
Per un esserino minuscolo come Shun, scomparire in
quell’intrico era un’impresa facile. Ikki arrestò la propria corsa e procedette
a passetti circospetti e leggeri, guardandosi intorno con il volto corrucciato
ed ansioso. Per lui era facile atteggiarsi a duro, dimostrarsi più grande dei
suoi otto anni di età ma, quando era coinvolto in questioni che riguardavano il
suo dolce Shun, ogni maschera scompariva ed una tenerezza soffocante sgorgava
dal suo animo, facendolo sentire simile ad una chioccia con il suo prezioso e
fragile pulcino.
Il suo pensiero principale, al momento, era
ritrovarlo; sembrava che il bosco l’avesse rapito e fatto scomparire per
tenerlo sempre con sé.
-Forse per proteggerlo- si disse -Forse la natura sa
quale sarà il nostro destino ed anche lei pensa che, soprattutto per Shun, sia
terribilmente ingiusto.
Era meglio così, quindi? Sperare davvero che qualche
forza misteriosa si fosse impadronita di Shun per preservarlo dalla sofferenza
che la vita gli avrebbe riservato?
Scosse violentemente il capo: la situazione nella
quale si trovavano immersi lo portava a sragionare, la consapevolezza che, di
lì a poco, il fato, la crudeltà di un volere che non potevano gestire, li
avrebbe separati. Come pensarci senza impazzire?
Per questo Ikki chiudeva la mente e rifiutava di
proiettare la propria immaginazione sul futuro. Forse quello era il motivo per
cui Shun era più suscettibile del solito ed affrontava peggio che mai ogni
momento spiacevole.
Il suono inconfondibile d’acqua corrente raggiunse
le sue orecchie; sapeva che, all’interno di quel parco dai confini per lui
inesplorati, vi era un ruscello, ma non gli era mai capitato di spingersi fino
ad esso.
Scostò un cespuglio e lo vide, una stretta striscia
d’acqua che gorgogliava saltellando tra ciottoli e zolle, un canto d’allegria
che dava vita a un sofferto contrasto in quel paesaggio che i colori d’autunno
avevano tinto di malinconia. Ed il cuore di Ikki si strinse perché, parte
integrante di quel paesaggio, era il bambino mestamente accucciato sulla riva
del ruscello, la testolina bionda incassata tra le spalle in un atteggiamento
che trasmetteva tutta l’angoscia dell’innocenza ferita.
Il viso di Shun era rivolto al fiume e per Ikki
sarebbe stato facile avvicinarsi senza essere visto, se i suoi passi non
avessero fatto crepitare il manto di foglie secche sotto i suoi piedi.
Il piccolo seduto sussultò e si voltò di scatto, gli occhi grandi e lucidi intrisi di spavento; evidentemente, fino a quell’istante si era immerso in un suo mondo personale, dal quale ogni collegamento con la realtà era stato tagliato fuori.
Quando riconobbe il fratello maggiore, le palpebre
si strinsero un po’, un fiume di lacrime sgorgò ad aggiungersi alle altre che
quelle pozze di smeraldo liquido avevano già pianto dal momento della fuga. Nel
contempo, le braccine magre del bimbo si tesero verso il ragazzo più grande ed
uno squittio tremolante uscì dalle labbra minuscole:
-Sc… scusami….
Ikki non sapeva se la fitta al cuore che sentì fu
dovuta alla tenerezza, alla pena, al miscuglio di sensazioni accentuato dalla
sua stessa sofferenza perché, da quando aveva saputo che si sarebbero dovuti
separare, si sentiva smarrito e spaventato proprio come Shun. In quel momento
vedeva nel fratellino un riflesso di se stesso, un riflesso che però era più
libero di lasciarsi andare, nella sua struggente limpidezza, a ciò che il cuore
gli suggeriva.
“Io non posso permettermelo. . . devo essere forte anche per lui…”
Sapeva, tuttavia, di mentire a se stesso: una parte
di lui gli suggeriva che il più forte era proprio Shun, Shun che non trovava
alibi per imbrigliare i propri sentimenti.
“E la mia forza è lui... solo lui” pensò mentre si
inginocchiava accanto al fratellino, permettendogli di gettargli al collo
quelle braccine tese e circondandolo con le proprie braccia, tanto più grandi e
robuste, forse troppo per un bambino di nove anni quale lui era.
-Non hai niente per cui chiedere scusa, sciocchino.-
La voce uscì un po’ stentata e lui raccolse tutto il proprio autocontrollo per
nascondere la lieve incrinazione -Sono quei cretini dei nostri compagni che
meriterebbero solo…
Prima che potesse concludere la frase intrisa di ostilità, il viso di Shun si sollevò
fulmineo e, con naturalezza estrema, il piccolo premette le labbra su quelle
del fratello. In quel gesto non vi era traccia di alcuna morbosa ambiguità da
parte di Shun e, nonostante l’istintivo imbarazzo, Ikki ne era consapevole. Non
era la prima volta che Shun si lasciava andare a quel contatto intimo che, dal
suo punto di vista, era unicamente un modo per sigillare l’esclusiva
reciprocità del loro rapporto.
In quel caso, evidente desiderio del bambino era
interrompere sul nascere un’esplosione d’ira del fratello maggiore, ricorrendo
al potere che solo quell'esserino biondo dagli occhi verdi aveva su di lui.
Infatti, a quel fugace contatto, fece seguire una
supplica:
- lascia perdere, Niisan, vorrei tanto non parlare
di loro.
Il fratello maggiore annuì, perdendosi in quello
sguardo intenso e bizzarramente saggio nella sua ingenuità, uno sguardo che era
per lui come una calamita.
-Mi spiace solo che ti trattino così- aggiunse -non
lo meriti.
Il piccolino scosse il capo, stringendosi nelle
spalle:
-A me dispiace anche per loro… sono soli, dovranno
andare come noi in posti pericolosi… Io almeno ho te… sono più fortunato.
Sull’ultima parola la voce si spense in un sussurro,
soffocato da un flebile singhiozzo, come se il bambino si stesse sforzando di
aggrapparsi a ciò che stava dicendo, per sopportare meglio le prospettive
future.
Ad Ikki, che da sempre era in grado di trovare le
parole giuste quando si trattava di rasserenare il fratellino, capitava ormai
sempre più spesso di non sapere cosa dire, forse perché neanche lui
intravvedeva alcuno spiraglio, per una volta non si sentiva in grado di
proteggerlo dalle brutture del mondo.
-Cosa facevi qui tutto solo?- chiese infine,
desideroso di portare il discorso su qualcosa che, sperava, sarebbe riuscito a
gestire meglio.
-È bello questo posto- rispose semplicemente il
bambino, separandosi dal fratello e risedendosi nella posizione che aveva
assunto in precedenza, riportando lo sguardo al torrente vivace –Mi piace il
rumore del ruscello, rende meno triste anche il cadere delle foglie, perché
l’acqua sembra abbracciarle quando si posano sul di lei, come tu hai fatto
adesso con me.
-Oh… Shun…
-Le foglie sono morte ma sono lo stesso belle… rosse
e gialle… non sembrano tristi, sembra che vogliano consolare noi con i loro
colori...
Quelle parole così struggenti e profonde, in bocca
ad un bambino di sette anni, fecero pensare ad Ikki che tutto il mondo fosse
piccolo piccolo confrontato al suo Shun dal cuore immenso: alcune volte pareva
esserci qualcosa di più in lui, qualcosa che lo distingueva da ogni essere
umano. Ikki non riusciva a spiegarsi tali sensazioni ma era pronto a giurare
che non si trattasse solo di una suggestione dovuta al suo amore per lui.
-Sono foglie d’acero- spiegò, sentendosi banale e
fuori luogo perché, in realtà, la sua puntualizzazione non aveva proprio
importanza nella totalità del discorso portato avanti da Shun. Quest’ultimo,
invece, la accolse con interesse, la sua testolina sveglia ed attiva amava
cogliere al volo ogni possibilità di imparare qualcosa di nuovo: Ikki si trovò
a rendersi conto una volta di più quanto il suo fratellino fosse sottovalutato,
perché la sua timidezza, a volte, lo faceva apparire goffo e poco reattivo alle
percezioni altrui.
-Acero- ripeterono le sue labbra delicate e il viso
si sollevò a cercare i rami sopra di sé –Quindi, questi intorno al ruscello,
sono aceri.
-La maggior parte sì- confermò Ikki.
-Quante cose sai, Niisan!
Nessuna gratificazione avrebbe potuto fare ad Ikki
il medesimo effetto di quel sorriso ammirato e colmo di fiducia tutto per lui;
si strinse nelle spalle, ricambiandolo:
-Ho il vago ricordo di un libro illustrato sulle
piante che sfogliavamo insieme a mamma e papà. Poi loro ci spiegavano sempre
tutto quando ci portavano a passeggiare in mezzo alla natura.
Il sorriso di Shun si mutò in un broncio tremolante,
che annunciava una nuova ondata di pianto:
-Perché io non lo ricordo?
-Cucciolo- tentò di confortarlo Ikki, carezzandogli
vivacemente le ciocche d’oro scuro –Eri tanto piccolo…
-Lo eri anche tu… eppure ricordi…
-Avevo due anni più di te e i miei ricordi sono
comunque confusi.
Shun distolse lo sguardo e, immergendo le dita,
resistendo ai brividi che l’acqua gelida trasmise al suo corpo, sollevò dallo
specchio danzante due foglie, una rossa e l’altra gialla; ma erano così bagnate
che si sfaldarono appena le strinse un poco, mutandosi in una poltiglia
bicolore. Il piccolo si lasciò sfuggire un gemito e sul suo volto si dipinse la
disperazione di chi si era convinto di avere appena commesso un imperdonabile
sacrilegio quasi avesse dato, proprio lui, il colpo di grazia alle due foglie,
ponendo bruscamente fine al loro ultimo, amorevole viaggio.
Ikki lo conosceva troppo bene per non rendersi conto
di quel nuovo stato emotivo, così si lambiccò il cervello al fine di trovare,
in pochi secondi, una soluzione. Lanciò uno sguardo ai coriandoli di foglie nel
palmo di Shun, quindi sorrise, prese la manina del fratello nella sua tanto più
grande e richiamò la sua attenzione:
-Questo miscuglio di colori ricorda tanto le
sfumature dei tuoi capelli.
Nel frattempo, con l’altra mano, prese una ciocca
del bimbo, lisciandola tra le proprie dita e si stupì nel pensare quanto fosse
vero: i capelli di Shun avevano i colori dell’autunno, come dell’autunno
sembrava figlia la sua anima. D’altronde, il piccolo era nato nei primi giorni
di settembre, quando la natura subisce il passaggio tra la fine dell’estate e
l’inizio di quell’esplosione di colori che comunica emozioni tanto
contrastanti. L’anima di Shun era infatti limpida e solare come quella
dell’estate, ma intrisa al contempo della dolce malinconia tipica dell’autunno
che non dimentica mai di lasciare integra la speranza della futura rinascita.
L’osservazione fu accolta dal bambino più piccolo
con un’espressione di stupore che mutò il suo visetto in un adorabile punto
interrogativo, irresistibile per il fratello il quale, osservandolo, accentuò
il proprio sorriso e infuse maggior convinzione nelle proprie carezze:
-La natura che ci circonda ha voluto donarti queste
due foglie per farci notare questo… a te ed a me…
Gli zigomi di Shun si tinsero di un colorito roseo
un poco più intenso del naturale pallore che lo caratterizzava. In preda ad un
evidente imbarazzo, distolse lo sguardo riportandolo sull’impasto di foglie
che, questa volta, anziché trasmettergli tristezza, sembrò ammiccare luccicando
in una perla d’acqua di commozione gioiosa. E Shun emise un lieve risolino che
scese nel cuore di Ikki, a portargli via una piccola parte del senso di
oppressione gravante sul suo petto. In un impeto dettato dalla spontaneità che
solo nei confronti di Shun sapeva esprimere, lo afferrò con foga, strappandogli
un piccolo gemito di sorpresa e se lo strinse al petto, nascondendo il volto
nella folta chioma del suo tesoro. Lo strinse così forte che, improvvisamente,
fu colto dal timore di sentirlo andare in pezzi tra le sue braccia, tanto la
consistenza di quel bambino risultava fragile al tocco.
Eppure Shun non si lamentò, accolse anzi quel gesto
con un abbandono totale, strofinando il capo contro il fratello; in quel modo,
i capelli morbidi solleticarono le narici del ragazzo più grande, che si staccò
con una leggera risatina, passandosi il dito indice sotto il naso.
La manina di Shun si era stretta sulle due foglie ed
Ikki si accorse che il freddo dell’acqua aveva conferito alla sua pelle un
colorito bluastro; intorno a loro soffiava un’aria gelida che anticipava
l’inverno.
Raccolse quella mano tra le sue, mentre il bambino
si ostinava a tenere le dita serrate sulle foglie ormai riconosciute come un
tesoro da custodire.
-Sei gelato- mormorò Ikki massaggiandogli la pelle
con energia mista ad altrettanta delicatezza.
-Non ho mai freddo se mi stai vicino.
Il cuore di Ikki, per l’ennesima volta, fece un
balzo doloroso, prevedendo come quel discorso ne implicava e forse
preannunciava un altro, molto più amaro e duro da sopportare.
-Tatsumi ha detto che sull’Isola di Andromeda fa
tanto freddo di notte… mi spaventa più del calore del giorno… perché ho paura
della notte e…
Come Ikki aveva previsto, Shun aveva dato via libera
alle sue angosce sul futuro; il più grande interruppe quel filo di parole,
pronunciate tanto a dirotto da risultare difficilmente distinguibili,
stringendolo forte a sé, soffocandole sul suo petto. La verità era che stava
prendendo tempo, cercando con ansia febbrile il modo migliore per rispondere,
per confortarlo, era difficile, perché egli stesso aveva tanta paura che la
nuova situazione avrebbe condotto Shun alla morte. Il solo pensare quella
parola, collegarla al fratellino, gli procurava capogiri incontrollabili
prossimi ad autentici attacchi di panico.
Eppure non poteva finire tutto in quel modo, la
terra non poteva ancora rinunciare a Shun; non era solo l’affetto a provocare
in lui un simile ragionamento. Una creatura così speciale doveva trovare un
senso al proprio percorso nel mondo, lo sapeva perché…
***
…perché la loro stessa mamma l’aveva intuito, un pomeriggio, nel mezzo della fioritura dei ciliegi, in un’atmosfera impregnata di profezia, mentre Shun, ancora troppo piccolo per poterli ascoltare, dormiva con un gatto acciambellato su di lui, quasi a vegliarlo.
-Tuo fratello è speciale, Ikki…
Il ragazzo aprì gli occhi con quella frase,
pronunciata da voce di donna a lui sacra, che accarezzava il suo risveglio.
Aprì gli occhi in un giorno d’autunno, il suo primo risveglio realmente
consapevole dopo il ritorno dall’Ade, il respiro che uscì sottoforma di parole:
-Mamma… Shun…
Il sospiro di un ragazzino di sedici anni sfuggito
miracolosamente alla morte in un’impresa al di fuori di ogni credibilità ma,
soprattutto, che aveva rischiato, per l’ennesima volta, di perdere quanto aveva
di più prezioso nonché l’unica ragione che gli restava per vivere.
Riconobbe, intorno a sé, la sua stanza di Villa
Kido.
In realtà il suo primo risveglio risaliva a qualche
giorno prima, all’ospedale privato della fondazione ma, da allora, aveva vagato
come un’anima in pena e senza reale consapevolezza di sé, un po’ come i suoi
compagni, con i quali non aveva scambiato molte parole, fuggendo ogni contatto.
Quel mattino era diverso: aveva terminato la fase di rielaborazione, aveva
razionalizzato e rimesso in ordine la propria mente confusa e si era reso
finalmente conto di essere tornato nel mondo reale, quello della vita, quello
in cui, forse, avrebbe dovuto impegnarsi a mettere a posto i cocci della sua
esistenza, condotta fino a quel momento al di fuori di ogni concezione umana.
E da cosa intraprendere un tale percorso, se non da
quello che di questi frammenti era il più prezioso, quello realmente
fondamentale, che inglobava tutti gli altri e che dava un senso al suo
desiderio di ricominciare?
Si alzò, andò a tirare le tende della finestra;
nessuno aveva chiuso le persiane la sera prima, perché ormai aveva lasciato
comprendere quanto malessere gli causasse il buio completo, quanto il sentirsi
chiuso, senza uno spiraglio, gli provocasse un forte senso di soffocamento.
Non aveva mai amato serrarsi tra quattro mura, ma
l’esperienza dell’Ade aveva accentuato la sua claustrofobia.
Spalancò le finestre, accogliendo con gratitudine le
ventate d’aria gelida che colpirono la sua pelle nuda. Per quanto il suo potere
si fosse plasmato nel fuoco, sopportava bene, fino ad amarla, ogni
manifestazione del disagio cui la natura sottoponeva gli esseri viventi, fosse
l’estrema calura di Death Queen o il rigido clima di perenne inverno che
caratterizzava le terre di Asgard. Era stato abituato a crescere temprando il
proprio corpo e la bambagia, le situazioni confortevoli, non facevano per lui,
nonostante avrebbe voluto donarle a qualcuno che non era mai riuscito a
proteggere in maniera efficace, per quanto avrebbe desiderato avvolgerlo nel
suo abbraccio e raccogliere su di sé le sofferenze di entrambi. Invece era proprio
il suo Shun che assorbiva ogni dolore del mondo, interiorizzandolo fino ad
infliggere uno strazio continuo al suo nobile cuore.
Sospirò, richiuse la finestra e cercò intorno a sé
gli abiti che si era tolto la sera prima, infilandosi sotto le coperte senza
preoccuparsi di indossare il pigiama.
Dopo pochi istanti era fuori, sperando di trovare
nei paraggi una persona, l’unica che, realmente, avrebbe desiderato incontrare;
invece incrociò diversi membri della servitù, tra cui Tatsumi, colui che meno
di tutti avrebbe desiderato trovare sul proprio cammino.
Girò al largo, fingendo di non accorgersi di lui;
non voleva neanche chiedergli se avesse visto Shun, preferiva trovarlo da solo
piuttosto che intrattenere un barlume di rapporto sgradito.
Perlustrò ogni angolo dell’immenso palazzo, senza
risultato, quindi rivolse le proprie attenzioni al parco, impresa altrettanto
difficile; quella tenuta era come una piccola città nella città e, a meno di
non affidarsi al cosmo che collegava tra loro i sacri guerrieri, avrebbe potuto
rivelarsi una ricerca di ore. D’altronde non gli sembrava il caso di ricorrere
a certi sotterfugi anche nella quotidianità, così si rassegnò, sperando nella
comunione di anime e cuore, del tutto indipendente da ogni dono cosmico, che
condivideva con Shun.
L’aria autunnale portava con sé un freddo precoce,
sbuffi di vento raccoglievano polvere, terra e foglie in vortici ballerini;
sembravano trottole mosse da minuscoli folletti invisibili che giocavano
facendo dispetti agli uomini. Ikki si lasciò sfuggire un sorriso, riflettendo
sul fatto che una simile osservazione fosse più degna di Shun: evidentemente
l’influsso del suo fratellino si faceva sentire a tratti, anche in uno spirito
cinico e chiuso ad ogni sprazzo di poesia come il suo. Dopotutto, Shun
arricchiva tutto ciò che sfiorava con la sola malia del suo sguardo incantato.
“Resistere al suo potere è impossibile” pensò Ikki chiudendo gli
occhi e scotendo il capo con una risatina “E, in fin dei conti, chi vuole
resistergli?”
Sollevò il viso e riaprì gli occhi, in tempo per scorgere una foglia che gli si posava, lieve, sul naso. La raccolse tra le dita: si trattava di una foglia d’acero tinta di rosso e quella vista bastò a strappargli un nuovo sorriso. Improvvisamente indovinò dove poteva trovarsi Shun, uno strano scherzo del destino e della memoria.
Dopo pochi minuti giunse a destinazione, svoltò oltre un cespuglio e il suo cuore esultò nello scorgere proprio ciò che si era aspettato di trovare: una figura umana, dall’apparenza esile, ma dal corpo armonico e ben modellato sotto le vesti, gli dava le spalle, avvolto in un cappotto pesante, le braccia strette al petto, il volto basso a scrutare qualcosa.
Fece qualche passo, le foglie scricchiolarono sotto i suoi piedi ed il ragazzo davanti a lui si voltò, incerto; Ikki gli sorrise:
-Ti faccio sempre spaventare… anche anni fa… ricordi?
Gli rispose un altro sorriso, tanto disarmante e puro che il santo della Fenice ebbe un brivido.
-Stavo proprio pensando a quando siamo stati qui insieme… sembrano secoli…
La voce di Shun tremava, come tutta la sua persona. Ikki sospirò; nessuno di loro era riuscito a mettere da parte i traumi e Shun li interiorizzava troppo, anche se non si lamentava mai. Leggeva ancora tanta sofferenza, tanta paura nei suoi occhi, la stessa paura che in essi abitava quando suo fratello era ancora un bimbo ignaro dell’orribile futuro che lo attendeva. Quel timore nello sguardo c’era sempre, ma più consapevole e maturo, amalgamato con un’innocenza che non accennava a sciogliersi, tanto da avere l’effetto di una pugnalata al cuore per chi riusciva a scorgere tale alchimia.
-Secoli in cui non sono riuscito a renderti felice- mormorò Ikki, come tra sé, quasi senza rendersi conto che sarebbe stato udito.
Il volto di Shun si erse con uno scatto a fissarlo, gli occhi si fecero più immensi:
-Sono io che non sono riuscito a rendere felice te, Niisan!
Il fratello maggiore fece un passo verso il piccolo, allungò una mano e gli sfiorò una guancia:
-La mia felicità è qui, davanti a me, Otooto…
Un sussulto fu l’unica risposta che il ragazzino riuscì a concedergli, prima di stringere le labbra per soffocare un singhiozzo e gettarsi tra le sue braccia, nascondendo il volto sul petto del fratello.
-Tutto ciò che potrebbe darmi la felicità- riprese con calma Ikki, il naso e la bocca affondate nei capelli del suo tesoro –L’unica fonte della mia felicità… solo in te mi è possibile trovarla, mio Shun… quindi, l’averti ancora qui, concreto, vivo… e salvo… è la sola motivazione che ho per accettare questo mondo schifoso.
-Non dire cose così tristi- protestò il ragazzino ritrovando la parola, e la sfumatura di indignazione che Ikki percepì in quella voce melodiosa, in qualche modo lo divertì.
Shun si staccò da lui, allargò le braccia, fece un giro su se stesso, come a voler raccogliere in quel gesto tutto il mondo che lo circondava:
-Guardati intorno, Niisan! Non ti sembra offensivo verso questo straordinario universo, quello che hai appena detto? La natura è così bella anche nella sua tristezza… in questa morte che preannuncia la prossima rinascita!
Era maturato rispetto al bambino che, nella malinconia dell’autunno, aveva rischiato di scorgere solo la morte; in qualche modo era paradossale, pensò Ikki, più Shun soffriva, più imparava a scorgere in ogni cosa la vita, la speranza, la luce.
-Ma come ci riesci?- sussurrò in un sospiro.
Le braccia del ragazzino ricaddero, la sua espressione si fece più che mai ingenua:
-A fare cosa?
Ikki ridacchiò, scosse il capo, si riavvicinò a lui e lo oltrepassò, portando la propria attenzione al torrente:
-Cosa stavi guardando, prima, con tanto interesse?
Shun lo affiancò, volgendo gli occhi nella medesima direzione:
-Le foglie che danzano con l’acqua; stavo… sognando ad occhi aperti diciamo… la musica intonata dalla corrente, le foglie d’acero che avanzano l’una accanto all’altra compiendo evoluzioni fantasiose… come gli ospiti di un ballo a corte.
Il fratello maggiore lo studiò con attenzione:
-Quand’eri piccolo osservavi questa stessa scena tutto triste per le foglie che facevano il loro ultimo viaggio, ricordi? E adesso proietti in loro questa fantasia spensierata… un giorno forse riuscirò a capire come funziona la tua testolina.
Accompagnò le ultime parole con una carezza affettuosa tra i riccioli biondi.
-Forse dovrei prima capirlo io- rispose il fanciullo gentile con un sorriso malinconico e una scrollata di spalle –Il fatto è che… queste fantasticherie assurde un po’ me le impongo… o impazzirei se mi concentrassi sulla crudeltà insita nei meccanismi del mondo… ma le mie sono illusioni… patetici sogni con i quali tento disperatamente di difendermi…
Ikki si morse le labbra:
-Non era mia intenzione rovinare tutto in questo modo. Tieniteli stretti i tuoi sogni, ti prego, cucciolo… così aiuti a sognare anche tutti noi che ti amiamo. Per quanto potrà sembrarti duro a volte, quando sentirai che stai per precipitare nel baratro, ricomincia a sognare e a sperare… fallo per me…perché se tu ti spegnessi, senza la tua luce mi spegnerei definitivamente anche io.
I due occhi di smeraldo si specchiarono seri, composti, in quelli di Ikki:
-Per te… potrei riuscire a fare qualunque cosa, sai?
Lo disse come se avesse espresso la verità suprema, con una sorta di sacralità e il fratello maggiore non seppe se sentirsi commosso, intenerito o divertito.
In quel momento due foglie d’acero, una gialla e una rossa, giunte da chissà dove, trasportate da una folata di vento particolarmente forte che spinse Shun a raccogliersi maggiormente su se stesso, interruppero il loro volo tra i ricci del ragazzino, fondendosi con quel particolare amalgama di rame e d’oro che li caratterizzava. Ikki sorrise per l’ennesima volta, sfiorato da un nuovo ricordo; allungò una mano ma, anziché toglierle, le sfiorò con le dita.
-Si intonano perfettamente- sogghignò. Poi, con tono più riflessivo, aggiunse:
-E la natura continua a corteggiarti, come già fece quel giorno.
-Oh, Niisan, che dici- si schernì il ragazzino con un risolino timido, le guance lievemente imporporate, gli occhi che rifuggirono, abbassandosi.
Tra loro cadde qualche istante di imbarazzato silenzio; Ikki, che si era guadagnato una fama di cinico ed insensibile, si era reso conto di avere esternato osservazioni fin troppo svenevoli. Per sdrammatizzare, portò una mano a massaggiarsi la nuca e rise:
-Solo tu sei capace di tirare fuori la parte più sdolcinata di me!
-E’ una cosa così negativa?- brontolò il ragazzino imbronciato, togliendosi le foglie dai capelli e rigirandole tra le dita, distrattamente in apparenza, ma in realtà contemplandole, come a cercare in esse una qualche misteriosa ispirazione.
-Non ho detto questo, ti sei offeso?
-Per nulla!
Shun infarcì la risposta con una linguaccia monella che sarebbe stata degna di Seiya, osservò Ikki.
-Ma guardati, non so quanto ti faccia bene passare troppo tempo in compagnia del nostro Pegasus.
Si studiarono l’un l’altro, quindi esplosero in un’unanime risata che li fece sentire vicini e in sincronia.
-Tutto sommato- riprese poi Shun –credo che questa sia una giornata migliore rispetto a quella che ci vide entrambi qui per la prima volta.
-Tu credi?- borbottò Ikki dubbioso.
Shun si strinse nelle spalle e distolse nuovamente lo sguardo: questa volta il suo sorriso era malinconico, troppo struggente perché Ikki potesse sopportarlo senza sentire male al cuore:
-All’epoca non capivamo… sapevamo soltanto che saremmo stati separati, che avremmo rischiato le nostre vite e nessuno ci spiegava perché. Eravamo bambini terrorizzati che stavano per fare un salto nel buio… ora sappiamo… i motivi li abbiamo interiorizzati…
-E questo affievolisce la crudeltà e la tristezza della nostra situazione, secondo te?
-Non ti so rispondere… ma siamo stati liberi di accettare… la primavera seguirà ancora all’autunno perché non abbiamo permesso agli dei di distruggere la Terra… Non riusciremo mai a smettere di soffrire, di rimpiangere quanto abbiamo perduto, non ci lasceremo mai alle spalle l’incubo di perdere tutto ciò che ci resta. Ma in un certo senso, aver preservato il ciclo della vita, è una ricompensa.
-Vorrei avere la tua forza e la tua determinazione nel pensarlo, Otooto…
-Il fatto è che non ricordi! Me l’hai insegnato tu!- Shun si era voltato verso il fratello, gli occhi sgranati, i pugni stretti, disperatamente, a cercare di infondere una propria convinzione in chi faticava a credere ancora in qualcosa –Tutte le volte che in battaglia stavo per crollare, per perdere ogni speranza, per mollare tutto ed abbandonarmi alla morte, ogni volta che tutto mi sembrava ingiusto ed inutile, è giunta la tua voce a sostenermi, a darmi coraggio, a dirmi che dovevo credere, che dovevo aggrapparmi alla speranza di Giustizia… mi dicevi che siamo solo gocce disperse nel nulla, ma che tante gocce possono formare un oceano! E solo per questo anche io tornavo a credere, solo per questo mi rialzavo e continuavo a combattere, non puoi avere rinnegato tutto!
Il fratello maggiore, colto alla sprovvista da un simile sfogo, non trovava un modo efficace per ribattere; il suo sguardo incredulo si limitava a fissare il ragazzino più piccolo. Poi abbassò il capo e finalmente riuscì a sussurrare qualcosa:
-Ho rischiato di perderti così tante volte, ho assistito impotente alle tue sofferenze e alle tue angosce, ho visto altri guerrieri colpirti ripetutamente perseguendo unicamente il loro compito senza guardare in faccia nessuno, ho visto il tuo sangue sgorgare da ferite orribili… ho tentato ogni volta di aggrapparmi alla fede in Athena e al nostro scopo per spronarti… non solo in nome della causa, ma perché volevo che ti salvassi. Ma quando io stesso ti ho quasi ucciso in Ade, quando ho versato il tuo sangue, quando ho dovuto sopportare quell’ennesimo abuso cui gli dei ti hanno sottoposto fin quasi a privarti della tua stessa identità, a quel punto ho definitivamente compreso che non ce la faccio più, che non lo potrei sopportare ancora, che non posso accettare di vederti soffrire ancora in quel modo!
Si portò una mano agli occhi, nel vano tentativo di soffocare un singhiozzo, mentre le mani di Shun si abbandonavano lungo i fianchi ed egli guardava il fratello, perdendosi nelle parole che aveva udito, senza poter trattenere le lacrime che ormai gli solcavano le guance pallide.
Dopo un attimo di incertezza, il più piccolo fece un passo avanti, allungò le mani lasciando cadere le foglie che ancora teneva, prese le mani di Ikki:
-E alla tua sofferenza, Niisan, non ci pensi mai? Eravamo tutti nella stessa situazione, siamo tutti nella stessa situazione, non possiamo fare altro che andare avanti come sempre, ma più uniti ancora di prima, questa è la nostra forza e anche la nostra gioia, nessuno ci toglierà mai ciò che ci lega l’un l’altro, nessuno ci toglierà mai la dignità, l’onore che ci rende sacri guerrieri di Athena. Devi smetterla di stare così male per me, perché io non chiedo altro dalla vita se non di essere degno del mio ruolo e di avervi sempre tutti accanto in questa comunione di intenti, di essere amato da voi e dalla nostra Dea!
Una volta ancora Ikki lo guardò con un vago senso di smarrimento, profondamente colpito dalla saggezza che il suo sensibile angelo sapeva dimostrare in ogni frangente; Shun lanciò un’occhiata intorno a sé:
-Io vedo tutto questo e non posso fare a meno di pensare che la felicità esiste finché esiste la vita, pur con tutte le sue contraddizioni. Il mio desiderio più grande è che riesca a crederlo anche tu e allora mi sentirei davvero completo.
Ikki annuì e sorrise:
-Tocca a me affidarmi alle tue parole e non posso fare altro che concederti la fiducia che un tempo hai concesso a me… voglio credere in ciò in cui tu credi… come tu hai creduto in me durante le battaglie… e in un certo senso, per me, anche questa è una battaglia: accettare la nostra esistenza ed il mondo per quello che sono… forse la più dura delle battaglie.
-Lo so- mormorò Shun e, sollevandosi in punta di piedi, posò le labbra su quelle del fratello, con la medesima innocenza che infondeva in quel gesto quando erano bambini ma, forse, con un livello di consapevolezza maggiore, con la certezza che un bacio simile non avrebbe potuto concederlo a nessun altro.
Una folata di vento agitò i capelli dei due ragazzi così uniti e rapì le due foglie, quella gialla e quella rossa, trascinandole con sé in una danza gioiosa, fino a posarle tra le acque del ruscello che le condusse nel loro viaggio di speranza.