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Autore: PerseoeAndromeda    22/02/2010    4 recensioni
Ancora una fanfic tematica della mia mailing list. Il tema era: "Foglie d'acero come barche lungo il fiume" e io ho tirato fuori una oneshot su Ikki e Shun, tanto per non smentirmi. Un parallelo tra l'infanzia ed il post Hades. Buona lettura!
Genere: Malinconico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Andromeda Shun, Phoenix Ikki
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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FOGLIE D’ACERO COME BARCHE LUNGO IL FIUME

FOGLIE D’ACERO COME BARCHE LUNGO IL FIUME

 

-LA NOSTRA FELICITA’-

 

-Shun, fermati, non scappare!

Ikki rincorreva il fratellino, sfuggito al suo controllo dopo aver subito l’ennesima canzonatura dai compagni che lo avevano eletto a vittima predestinata e prediletta.

Contrariamente al solito, neanche il fratello maggiore, questa volta, era riuscito a consolarlo, l’offesa era stata troppo grande e quel bambino emotivo, dalla sensibilità inconcepibile per i più, non aveva retto.

Nel vedere il suo angioletto dagli occhi verdi fuggire via in lacrime, Ikki non si era neanche soffermato, come avrebbe fatto in altre occasioni, a dare una lezione ai crudeli responsabili, ritenendo più urgente occuparsi del piccolo fuggitivo, per stringerlo a sé ed asciugare le gocce del suo pianto.

Non avrebbe avuto difficoltà a raggiungerlo se non ci fosse stata quella siepe, oltre la quale Shun aveva svoltato e che gli aveva permesso di sottrarsi alla vista del fratello. Ikki la oltrepassò a propria volta ma, quando fu dall’altra parte, del piccolo non vi era più alcuna traccia.

Il parco che circondava Villa Kido era immenso, ricco di angoli reconditi ed in gran parte sconosciuti ai piccoli ospiti sempre così strettamente sorvegliati. Ikki si trovò in una zona folta del bosco, popolato da piante di ogni tipo, dai caduchi alberi tinti dei colori autunnali ai rigogliosi sempreverdi che allargavano sul terreno circostante le loro fronde maestose.

Per un esserino minuscolo come Shun, scomparire in quell’intrico era un’impresa facile. Ikki arrestò la propria corsa e procedette a passetti circospetti e leggeri, guardandosi intorno con il volto corrucciato ed ansioso. Per lui era facile atteggiarsi a duro, dimostrarsi più grande dei suoi otto anni di età ma, quando era coinvolto in questioni che riguardavano il suo dolce Shun, ogni maschera scompariva ed una tenerezza soffocante sgorgava dal suo animo, facendolo sentire simile ad una chioccia con il suo prezioso e fragile pulcino.

Il suo pensiero principale, al momento, era ritrovarlo; sembrava che il bosco l’avesse rapito e fatto scomparire per tenerlo sempre con sé.

-Forse per proteggerlo- si disse -Forse la natura sa quale sarà il nostro destino ed anche lei pensa che, soprattutto per Shun, sia terribilmente ingiusto.

Era meglio così, quindi? Sperare davvero che qualche forza misteriosa si fosse impadronita di Shun per preservarlo dalla sofferenza che la vita gli avrebbe riservato?

Scosse violentemente il capo: la situazione nella quale si trovavano immersi lo portava a sragionare, la consapevolezza che, di lì a poco, il fato, la crudeltà di un volere che non potevano gestire, li avrebbe separati. Come pensarci senza impazzire?

Per questo Ikki chiudeva la mente e rifiutava di proiettare la propria immaginazione sul futuro. Forse quello era il motivo per cui Shun era più suscettibile del solito ed affrontava peggio che mai ogni momento spiacevole.

Il suono inconfondibile d’acqua corrente raggiunse le sue orecchie; sapeva che, all’interno di quel parco dai confini per lui inesplorati, vi era un ruscello, ma non gli era mai capitato di spingersi fino ad esso.

Scostò un cespuglio e lo vide, una stretta striscia d’acqua che gorgogliava saltellando tra ciottoli e zolle, un canto d’allegria che dava vita a un sofferto contrasto in quel paesaggio che i colori d’autunno avevano tinto di malinconia. Ed il cuore di Ikki si strinse perché, parte integrante di quel paesaggio, era il bambino mestamente accucciato sulla riva del ruscello, la testolina bionda incassata tra le spalle in un atteggiamento che trasmetteva tutta l’angoscia dell’innocenza ferita.

Il viso di Shun era rivolto al fiume e per Ikki sarebbe stato facile avvicinarsi senza essere visto, se i suoi passi non avessero fatto crepitare il manto di foglie secche sotto i suoi piedi.

Il piccolo seduto sussultò e si voltò di scatto, gli occhi grandi e lucidi intrisi di spavento; evidentemente, fino a quell’istante si era immerso in un suo mondo personale, dal quale ogni collegamento con la realtà era stato tagliato fuori.

Quando riconobbe il fratello maggiore, le palpebre si strinsero un po’, un fiume di lacrime sgorgò ad aggiungersi alle altre che quelle pozze di smeraldo liquido avevano già pianto dal momento della fuga. Nel contempo, le braccine magre del bimbo si tesero verso il ragazzo più grande ed uno squittio tremolante uscì dalle labbra minuscole:

-Sc… scusami….

Ikki non sapeva se la fitta al cuore che sentì fu dovuta alla tenerezza, alla pena, al miscuglio di sensazioni accentuato dalla sua stessa sofferenza perché, da quando aveva saputo che si sarebbero dovuti separare, si sentiva smarrito e spaventato proprio come Shun. In quel momento vedeva nel fratellino un riflesso di se stesso, un riflesso che però era più libero di lasciarsi andare, nella sua struggente limpidezza, a ciò che il cuore gli suggeriva.

“Io non posso permettermelo. . . devo essere forte anche per lui…”

Sapeva, tuttavia, di mentire a se stesso: una parte di lui gli suggeriva che il più forte era proprio Shun, Shun che non trovava alibi per imbrigliare i propri sentimenti.

“E la mia forza è lui... solo lui” pensò mentre si inginocchiava accanto al fratellino, permettendogli di gettargli al collo quelle braccine tese e circondandolo con le proprie braccia, tanto più grandi e robuste, forse troppo per un bambino di nove anni quale lui era.

-Non hai niente per cui chiedere scusa, sciocchino.- La voce uscì un po’ stentata e lui raccolse tutto il proprio autocontrollo per nascondere la lieve incrinazione -Sono quei cretini dei nostri compagni che meriterebbero solo…

Prima che potesse concludere la frase intrisa  di ostilità, il viso di Shun si sollevò fulmineo e, con naturalezza estrema, il piccolo premette le labbra su quelle del fratello. In quel gesto non vi era traccia di alcuna morbosa ambiguità da parte di Shun e, nonostante l’istintivo imbarazzo, Ikki ne era consapevole. Non era la prima volta che Shun si lasciava andare a quel contatto intimo che, dal suo punto di vista, era unicamente un modo per sigillare l’esclusiva reciprocità del loro rapporto.

In quel caso, evidente desiderio del bambino era interrompere sul nascere un’esplosione d’ira del fratello maggiore, ricorrendo al potere che solo quell'esserino biondo dagli occhi verdi aveva su di lui.

Infatti, a quel fugace contatto, fece seguire una supplica:

- lascia perdere, Niisan, vorrei tanto non parlare di loro.

Il fratello maggiore annuì, perdendosi in quello sguardo intenso e bizzarramente saggio nella sua ingenuità, uno sguardo che era per lui come una calamita.

-Mi spiace solo che ti trattino così- aggiunse -non lo meriti.

Il piccolino scosse il capo, stringendosi nelle spalle:

-A me dispiace anche per loro… sono soli, dovranno andare come noi in posti pericolosi… Io almeno ho te… sono più fortunato.

Sull’ultima parola la voce si spense in un sussurro, soffocato da un flebile singhiozzo, come se il bambino si stesse sforzando di aggrapparsi a ciò che stava dicendo, per sopportare meglio le prospettive future.

Ad Ikki, che da sempre era in grado di trovare le parole giuste quando si trattava di rasserenare il fratellino, capitava ormai sempre più spesso di non sapere cosa dire, forse perché neanche lui intravvedeva alcuno spiraglio, per una volta non si sentiva in grado di proteggerlo dalle brutture del mondo.

-Cosa facevi qui tutto solo?- chiese infine, desideroso di portare il discorso su qualcosa che, sperava, sarebbe riuscito a gestire meglio.

-È bello questo posto- rispose semplicemente il bambino, separandosi dal fratello e risedendosi nella posizione che aveva assunto in precedenza, riportando lo sguardo al torrente vivace –Mi piace il rumore del ruscello, rende meno triste anche il cadere delle foglie, perché l’acqua sembra abbracciarle quando si posano sul di lei, come tu hai fatto adesso con me.

-Oh… Shun…

-Le foglie sono morte ma sono lo stesso belle… rosse e gialle… non sembrano tristi, sembra che vogliano consolare noi con i loro colori...

Quelle parole così struggenti e profonde, in bocca ad un bambino di sette anni, fecero pensare ad Ikki che tutto il mondo fosse piccolo piccolo confrontato al suo Shun dal cuore immenso: alcune volte pareva esserci qualcosa di più in lui, qualcosa che lo distingueva da ogni essere umano. Ikki non riusciva a spiegarsi tali sensazioni ma era pronto a giurare che non si trattasse solo di una suggestione dovuta al suo amore per lui.

-Sono foglie d’acero- spiegò, sentendosi banale e fuori luogo perché, in realtà, la sua puntualizzazione non aveva proprio importanza nella totalità del discorso portato avanti da Shun. Quest’ultimo, invece, la accolse con interesse, la sua testolina sveglia ed attiva amava cogliere al volo ogni possibilità di imparare qualcosa di nuovo: Ikki si trovò a rendersi conto una volta di più quanto il suo fratellino fosse sottovalutato, perché la sua timidezza, a volte, lo faceva apparire goffo e poco reattivo alle percezioni altrui.

-Acero- ripeterono le sue labbra delicate e il viso si sollevò a cercare i rami sopra di sé –Quindi, questi intorno al ruscello, sono aceri.

-La maggior parte sì- confermò Ikki.

-Quante cose sai, Niisan!

Nessuna gratificazione avrebbe potuto fare ad Ikki il medesimo effetto di quel sorriso ammirato e colmo di fiducia tutto per lui; si strinse nelle spalle, ricambiandolo:

-Ho il vago ricordo di un libro illustrato sulle piante che sfogliavamo insieme a mamma e papà. Poi loro ci spiegavano sempre tutto quando ci portavano a passeggiare in mezzo alla natura.

Il sorriso di Shun si mutò in un broncio tremolante, che annunciava una nuova ondata di pianto:

-Perché io non lo ricordo?

-Cucciolo- tentò di confortarlo Ikki, carezzandogli vivacemente le ciocche d’oro scuro –Eri tanto piccolo…

-Lo eri anche tu… eppure ricordi…

-Avevo due anni più di te e i miei ricordi sono comunque confusi.

Shun distolse lo sguardo e, immergendo le dita, resistendo ai brividi che l’acqua gelida trasmise al suo corpo, sollevò dallo specchio danzante due foglie, una rossa e l’altra gialla; ma erano così bagnate che si sfaldarono appena le strinse un poco, mutandosi in una poltiglia bicolore. Il piccolo si lasciò sfuggire un gemito e sul suo volto si dipinse la disperazione di chi si era convinto di avere appena commesso un imperdonabile sacrilegio quasi avesse dato, proprio lui, il colpo di grazia alle due foglie, ponendo bruscamente fine al loro ultimo, amorevole viaggio.

Ikki lo conosceva troppo bene per non rendersi conto di quel nuovo stato emotivo, così si lambiccò il cervello al fine di trovare, in pochi secondi, una soluzione. Lanciò uno sguardo ai coriandoli di foglie nel palmo di Shun, quindi sorrise, prese la manina del fratello nella sua tanto più grande e richiamò la sua attenzione:

-Questo miscuglio di colori ricorda tanto le sfumature dei tuoi capelli.

Nel frattempo, con l’altra mano, prese una ciocca del bimbo, lisciandola tra le proprie dita e si stupì nel pensare quanto fosse vero: i capelli di Shun avevano i colori dell’autunno, come dell’autunno sembrava figlia la sua anima. D’altronde, il piccolo era nato nei primi giorni di settembre, quando la natura subisce il passaggio tra la fine dell’estate e l’inizio di quell’esplosione di colori che comunica emozioni tanto contrastanti. L’anima di Shun era infatti limpida e solare come quella dell’estate, ma intrisa al contempo della dolce malinconia tipica dell’autunno che non dimentica mai di lasciare integra la speranza della futura rinascita.

L’osservazione fu accolta dal bambino più piccolo con un’espressione di stupore che mutò il suo visetto in un adorabile punto interrogativo, irresistibile per il fratello il quale, osservandolo, accentuò il proprio sorriso e infuse maggior convinzione nelle proprie carezze:

-La natura che ci circonda ha voluto donarti queste due foglie per farci notare questo… a te ed a me…

Gli zigomi di Shun si tinsero di un colorito roseo un poco più intenso del naturale pallore che lo caratterizzava. In preda ad un evidente imbarazzo, distolse lo sguardo riportandolo sull’impasto di foglie che, questa volta, anziché trasmettergli tristezza, sembrò ammiccare luccicando in una perla d’acqua di commozione gioiosa. E Shun emise un lieve risolino che scese nel cuore di Ikki, a portargli via una piccola parte del senso di oppressione gravante sul suo petto. In un impeto dettato dalla spontaneità che solo nei confronti di Shun sapeva esprimere, lo afferrò con foga, strappandogli un piccolo gemito di sorpresa e se lo strinse al petto, nascondendo il volto nella folta chioma del suo tesoro. Lo strinse così forte che, improvvisamente, fu colto dal timore di sentirlo andare in pezzi tra le sue braccia, tanto la consistenza di quel bambino risultava fragile al tocco.

Eppure Shun non si lamentò, accolse anzi quel gesto con un abbandono totale, strofinando il capo contro il fratello; in quel modo, i capelli morbidi solleticarono le narici del ragazzo più grande, che si staccò con una leggera risatina, passandosi il dito indice sotto il naso.

La manina di Shun si era stretta sulle due foglie ed Ikki si accorse che il freddo dell’acqua aveva conferito alla sua pelle un colorito bluastro; intorno a loro soffiava un’aria gelida che anticipava l’inverno.

Raccolse quella mano tra le sue, mentre il bambino si ostinava a tenere le dita serrate sulle foglie ormai riconosciute come un tesoro da custodire.

-Sei gelato- mormorò Ikki massaggiandogli la pelle con energia mista ad altrettanta delicatezza.

-Non ho mai freddo se mi stai vicino.

Il cuore di Ikki, per l’ennesima volta, fece un balzo doloroso, prevedendo come quel discorso ne implicava e forse preannunciava un altro, molto più amaro e duro da sopportare.

-Tatsumi ha detto che sull’Isola di Andromeda fa tanto freddo di notte… mi spaventa più del calore del giorno… perché ho paura della notte e…

Come Ikki aveva previsto, Shun aveva dato via libera alle sue angosce sul futuro; il più grande interruppe quel filo di parole, pronunciate tanto a dirotto da risultare difficilmente distinguibili, stringendolo forte a sé, soffocandole sul suo petto. La verità era che stava prendendo tempo, cercando con ansia febbrile il modo migliore per rispondere, per confortarlo, era difficile, perché egli stesso aveva tanta paura che la nuova situazione avrebbe condotto Shun alla morte. Il solo pensare quella parola, collegarla al fratellino, gli procurava capogiri incontrollabili prossimi ad autentici attacchi di panico.

Eppure non poteva finire tutto in quel modo, la terra non poteva ancora rinunciare a Shun; non era solo l’affetto a provocare in lui un simile ragionamento. Una creatura così speciale doveva trovare un senso al proprio percorso nel mondo, lo sapeva perché…

 

 

***

 

…perché la loro stessa mamma l’aveva intuito, un pomeriggio, nel mezzo della fioritura dei ciliegi, in un’atmosfera impregnata di profezia, mentre Shun, ancora troppo piccolo per poterli ascoltare, dormiva con un gatto acciambellato su di lui, quasi a vegliarlo.

-Tuo fratello è speciale, Ikki…

Il ragazzo aprì gli occhi con quella frase, pronunciata da voce di donna a lui sacra, che accarezzava il suo risveglio. Aprì gli occhi in un giorno d’autunno, il suo primo risveglio realmente consapevole dopo il ritorno dall’Ade, il respiro che uscì sottoforma di parole:

-Mamma… Shun…

Il sospiro di un ragazzino di sedici anni sfuggito miracolosamente alla morte in un’impresa al di fuori di ogni credibilità ma, soprattutto, che aveva rischiato, per l’ennesima volta, di perdere quanto aveva di più prezioso nonché l’unica ragione che gli restava per vivere.

Riconobbe, intorno a sé, la sua stanza di Villa Kido.

In realtà il suo primo risveglio risaliva a qualche giorno prima, all’ospedale privato della fondazione ma, da allora, aveva vagato come un’anima in pena e senza reale consapevolezza di sé, un po’ come i suoi compagni, con i quali non aveva scambiato molte parole, fuggendo ogni contatto. Quel mattino era diverso: aveva terminato la fase di rielaborazione, aveva razionalizzato e rimesso in ordine la propria mente confusa e si era reso finalmente conto di essere tornato nel mondo reale, quello della vita, quello in cui, forse, avrebbe dovuto impegnarsi a mettere a posto i cocci della sua esistenza, condotta fino a quel momento al di fuori di ogni concezione umana.

E da cosa intraprendere un tale percorso, se non da quello che di questi frammenti era il più prezioso, quello realmente fondamentale, che inglobava tutti gli altri e che dava un senso al suo desiderio di ricominciare?

Si alzò, andò a tirare le tende della finestra; nessuno aveva chiuso le persiane la sera prima, perché ormai aveva lasciato comprendere quanto malessere gli causasse il buio completo, quanto il sentirsi chiuso, senza uno spiraglio, gli provocasse un forte senso di soffocamento.

Non aveva mai amato serrarsi tra quattro mura, ma l’esperienza dell’Ade aveva accentuato la sua claustrofobia.

Spalancò le finestre, accogliendo con gratitudine le ventate d’aria gelida che colpirono la sua pelle nuda. Per quanto il suo potere si fosse plasmato nel fuoco, sopportava bene, fino ad amarla, ogni manifestazione del disagio cui la natura sottoponeva gli esseri viventi, fosse l’estrema calura di Death Queen o il rigido clima di perenne inverno che caratterizzava le terre di Asgard. Era stato abituato a crescere temprando il proprio corpo e la bambagia, le situazioni confortevoli, non facevano per lui, nonostante avrebbe voluto donarle a qualcuno che non era mai riuscito a proteggere in maniera efficace, per quanto avrebbe desiderato avvolgerlo nel suo abbraccio e raccogliere su di sé le sofferenze di entrambi. Invece era proprio il suo Shun che assorbiva ogni dolore del mondo, interiorizzandolo fino ad infliggere uno strazio continuo al suo nobile cuore.

Sospirò, richiuse la finestra e cercò intorno a sé gli abiti che si era tolto la sera prima, infilandosi sotto le coperte senza preoccuparsi di indossare il pigiama.

Dopo pochi istanti era fuori, sperando di trovare nei paraggi una persona, l’unica che, realmente, avrebbe desiderato incontrare; invece incrociò diversi membri della servitù, tra cui Tatsumi, colui che meno di tutti avrebbe desiderato trovare sul proprio cammino.

Girò al largo, fingendo di non accorgersi di lui; non voleva neanche chiedergli se avesse visto Shun, preferiva trovarlo da solo piuttosto che intrattenere un barlume di rapporto sgradito.

Perlustrò ogni angolo dell’immenso palazzo, senza risultato, quindi rivolse le proprie attenzioni al parco, impresa altrettanto difficile; quella tenuta era come una piccola città nella città e, a meno di non affidarsi al cosmo che collegava tra loro i sacri guerrieri, avrebbe potuto rivelarsi una ricerca di ore. D’altronde non gli sembrava il caso di ricorrere a certi sotterfugi anche nella quotidianità, così si rassegnò, sperando nella comunione di anime e cuore, del tutto indipendente da ogni dono cosmico, che condivideva con Shun.

L’aria autunnale portava con sé un freddo precoce, sbuffi di vento raccoglievano polvere, terra e foglie in vortici ballerini; sembravano trottole mosse da minuscoli folletti invisibili che giocavano facendo dispetti agli uomini. Ikki si lasciò sfuggire un sorriso, riflettendo sul fatto che una simile osservazione fosse più degna di Shun: evidentemente l’influsso del suo fratellino si faceva sentire a tratti, anche in uno spirito cinico e chiuso ad ogni sprazzo di poesia come il suo. Dopotutto, Shun arricchiva tutto ciò che sfiorava con la sola malia del suo sguardo incantato.

“Resistere al suo potere è impossibile” pensò Ikki chiudendo gli occhi e scotendo il capo con una risatina “E, in fin dei conti, chi vuole resistergli?”

Sollevò il viso e riaprì gli occhi, in tempo per scorgere una foglia che gli si posava, lieve, sul naso. La raccolse tra le dita: si trattava di una foglia d’acero tinta di rosso e quella vista bastò a strappargli un nuovo sorriso. Improvvisamente indovinò dove poteva trovarsi Shun, uno strano scherzo del destino e della memoria.

Dopo pochi minuti giunse a destinazione, svoltò oltre un cespuglio e il suo cuore esultò nello scorgere proprio ciò che si era aspettato di trovare: una figura umana, dall’apparenza esile, ma dal corpo armonico e ben modellato sotto le vesti, gli dava le spalle, avvolto in un cappotto pesante, le braccia strette al petto, il volto basso a scrutare qualcosa.

Fece qualche passo, le foglie scricchiolarono sotto i suoi piedi ed il ragazzo davanti a lui si voltò, incerto; Ikki gli sorrise:

-Ti faccio sempre spaventare… anche anni fa… ricordi?

Gli rispose un altro sorriso, tanto disarmante e puro che il santo della Fenice ebbe un brivido.

-Stavo proprio pensando a quando siamo stati qui insieme… sembrano secoli…

La voce di Shun tremava, come tutta la sua persona. Ikki sospirò; nessuno di loro era riuscito a mettere da parte i traumi e Shun li interiorizzava troppo, anche se non si lamentava mai. Leggeva ancora tanta sofferenza, tanta paura nei suoi occhi, la stessa paura che in essi abitava quando suo fratello era ancora un bimbo ignaro dell’orribile futuro che lo attendeva. Quel timore nello sguardo c’era sempre, ma più consapevole e maturo, amalgamato con un’innocenza che non accennava a sciogliersi, tanto da avere l’effetto di una pugnalata al cuore per chi riusciva a scorgere tale alchimia.

-Secoli in cui non sono riuscito a renderti felice- mormorò Ikki, come tra sé, quasi senza rendersi conto che sarebbe stato udito.

Il volto di Shun si erse con uno scatto a fissarlo, gli occhi si fecero più immensi:

-Sono io che non sono riuscito a rendere felice te, Niisan!

Il fratello maggiore fece un passo verso il piccolo, allungò una mano e gli sfiorò una guancia:

-La mia felicità è qui, davanti a me, Otooto…

Un sussulto fu l’unica risposta che il ragazzino riuscì a concedergli, prima di stringere le labbra per soffocare un singhiozzo e gettarsi tra le sue braccia, nascondendo il volto sul petto del fratello.

-Tutto ciò che potrebbe darmi la felicità- riprese con calma Ikki, il naso e la bocca affondate nei capelli del suo tesoro –L’unica fonte della mia felicità… solo in te mi è possibile trovarla, mio Shun… quindi, l’averti ancora qui, concreto, vivo… e salvo… è la sola motivazione che ho per accettare questo mondo schifoso.

-Non dire cose così tristi- protestò il ragazzino ritrovando la parola, e la sfumatura di indignazione che Ikki percepì in quella voce melodiosa, in qualche modo lo divertì.

Shun si staccò da lui, allargò le braccia, fece un giro su se stesso, come a voler raccogliere in quel gesto tutto il mondo che lo circondava:

-Guardati intorno, Niisan! Non ti sembra offensivo verso questo straordinario universo, quello che hai appena detto? La natura è così bella anche nella sua tristezza… in questa morte che preannuncia la prossima rinascita!

Era maturato rispetto al bambino che, nella malinconia dell’autunno, aveva rischiato di scorgere solo la morte; in qualche modo era paradossale, pensò Ikki, più Shun soffriva, più imparava a scorgere in ogni cosa la vita, la speranza, la luce.

-Ma come ci riesci?- sussurrò in un sospiro.

Le braccia del ragazzino ricaddero, la sua espressione si fece più che mai ingenua:

-A fare cosa?

Ikki ridacchiò, scosse il capo, si riavvicinò a lui e lo oltrepassò, portando la propria attenzione al torrente:

-Cosa stavi guardando, prima, con tanto interesse?

Shun lo affiancò, volgendo gli occhi nella medesima direzione:

-Le foglie che danzano con l’acqua; stavo… sognando ad occhi aperti diciamo… la musica intonata dalla corrente, le foglie d’acero che avanzano l’una accanto all’altra compiendo evoluzioni fantasiose… come gli ospiti di un ballo a corte.

Il fratello maggiore lo studiò con attenzione:

-Quand’eri piccolo osservavi questa stessa scena tutto triste per le foglie che facevano il loro ultimo viaggio, ricordi? E adesso proietti in loro questa fantasia spensierata… un giorno forse riuscirò a capire come funziona la tua testolina.

Accompagnò le ultime parole con una carezza affettuosa tra i riccioli biondi.

-Forse dovrei prima capirlo io- rispose il fanciullo gentile con un sorriso malinconico e una scrollata di spalle –Il fatto è che… queste fantasticherie assurde un po’ me le impongo… o impazzirei se mi concentrassi sulla crudeltà insita nei meccanismi del mondo… ma le mie sono illusioni… patetici sogni con i quali tento disperatamente di difendermi…

Ikki si morse le labbra:

-Non era mia intenzione rovinare tutto in questo modo. Tieniteli stretti i tuoi sogni, ti prego, cucciolo… così aiuti a sognare anche tutti noi che ti amiamo. Per quanto potrà sembrarti duro a volte, quando sentirai che stai per precipitare nel baratro, ricomincia a sognare e a sperare… fallo per me…perché se tu ti spegnessi, senza la tua luce mi spegnerei definitivamente anche io.

I due occhi di smeraldo si specchiarono seri, composti, in quelli di Ikki:

-Per te… potrei riuscire a fare qualunque cosa, sai?

Lo disse come se avesse espresso la verità suprema, con una sorta di sacralità e il fratello maggiore non seppe se sentirsi commosso, intenerito o divertito.

In quel momento due foglie d’acero, una gialla e una rossa, giunte da chissà dove, trasportate da una folata di vento particolarmente forte che spinse Shun a raccogliersi maggiormente su se stesso, interruppero il loro volo tra i ricci del ragazzino, fondendosi con quel particolare amalgama di rame e d’oro che li caratterizzava. Ikki sorrise per l’ennesima volta, sfiorato da un nuovo ricordo; allungò una mano ma, anziché toglierle, le sfiorò con le dita.

-Si intonano perfettamente- sogghignò. Poi, con tono più riflessivo, aggiunse:

-E la natura continua a corteggiarti, come già fece quel giorno.

-Oh, Niisan, che dici- si schernì il ragazzino con un risolino timido, le guance lievemente imporporate, gli occhi che rifuggirono, abbassandosi.

Tra loro cadde qualche istante di imbarazzato silenzio; Ikki, che si era guadagnato una fama di cinico ed insensibile, si era reso conto di avere esternato osservazioni fin troppo svenevoli. Per sdrammatizzare, portò una mano a massaggiarsi la nuca e rise:

-Solo tu sei capace di tirare fuori la parte più sdolcinata di me!

-E’ una cosa così negativa?- brontolò il ragazzino imbronciato, togliendosi le foglie dai capelli e rigirandole tra le dita, distrattamente in apparenza, ma in realtà contemplandole, come a cercare in esse una qualche misteriosa ispirazione.

-Non ho detto questo, ti sei offeso?

-Per nulla!

Shun infarcì la risposta con una linguaccia monella che sarebbe stata degna di Seiya, osservò Ikki.

-Ma guardati, non so quanto ti faccia bene passare troppo tempo in compagnia del nostro Pegasus.

Si studiarono l’un l’altro, quindi esplosero in un’unanime risata che li fece sentire vicini e in sincronia.

-Tutto sommato- riprese poi Shun –credo che questa sia una giornata migliore rispetto a quella che ci vide entrambi qui per la prima volta.

-Tu credi?- borbottò Ikki dubbioso.

Shun si strinse nelle spalle e distolse nuovamente lo sguardo: questa volta il suo sorriso era malinconico, troppo struggente perché Ikki potesse sopportarlo senza sentire male al cuore:

-All’epoca non capivamo… sapevamo soltanto che saremmo stati separati, che avremmo rischiato le nostre vite e nessuno ci spiegava perché. Eravamo bambini terrorizzati che stavano per fare un salto nel buio… ora sappiamo… i motivi li abbiamo interiorizzati…

-E questo affievolisce la crudeltà e la tristezza della nostra situazione, secondo te?

-Non ti so rispondere… ma siamo stati liberi di accettare… la primavera seguirà ancora all’autunno perché non abbiamo permesso agli dei di distruggere la Terra… Non riusciremo mai a smettere di soffrire, di rimpiangere quanto abbiamo perduto, non ci lasceremo mai alle spalle l’incubo di perdere tutto ciò che ci resta. Ma in un certo senso, aver preservato il ciclo della vita, è una ricompensa.

-Vorrei avere la tua forza e la tua determinazione nel pensarlo, Otooto…

-Il fatto è che non ricordi! Me l’hai insegnato tu!- Shun si era voltato verso il fratello, gli occhi sgranati, i pugni stretti, disperatamente, a cercare di infondere una propria convinzione in chi faticava a credere ancora in qualcosa –Tutte le volte che in battaglia stavo per crollare, per perdere ogni speranza, per mollare tutto ed abbandonarmi alla morte, ogni volta che tutto mi sembrava ingiusto ed inutile, è giunta la tua voce a sostenermi, a darmi coraggio, a dirmi che dovevo credere, che dovevo aggrapparmi alla speranza di Giustizia… mi dicevi che siamo solo gocce disperse nel nulla, ma che tante gocce possono formare un oceano! E solo per questo anche io tornavo a credere, solo per questo mi rialzavo e continuavo a combattere, non puoi avere rinnegato tutto!

Il fratello maggiore, colto alla sprovvista da un simile sfogo, non trovava un modo efficace per ribattere; il suo sguardo incredulo si limitava a fissare il ragazzino più piccolo. Poi abbassò il capo e finalmente riuscì a sussurrare qualcosa:

-Ho rischiato di perderti così tante volte, ho assistito impotente alle tue sofferenze e alle tue angosce, ho visto altri guerrieri colpirti ripetutamente perseguendo unicamente il loro compito senza guardare in faccia nessuno, ho visto il tuo sangue sgorgare da ferite orribili… ho tentato ogni volta di aggrapparmi alla fede in Athena e al nostro scopo per spronarti… non solo in nome della causa, ma perché volevo che ti salvassi. Ma quando io stesso ti ho quasi ucciso in Ade, quando ho versato il tuo sangue, quando ho dovuto sopportare quell’ennesimo abuso cui gli dei ti hanno sottoposto fin quasi a privarti della tua stessa identità, a quel punto ho definitivamente compreso che non ce la faccio più, che non lo potrei sopportare ancora, che non posso accettare di vederti soffrire ancora in quel modo!

Si portò una mano agli occhi, nel vano tentativo di soffocare un singhiozzo, mentre le mani di Shun si abbandonavano lungo i fianchi ed egli guardava il fratello, perdendosi nelle parole che aveva udito, senza poter trattenere le lacrime che ormai gli solcavano le guance pallide.

Dopo un attimo di incertezza, il più piccolo fece un passo avanti, allungò le mani lasciando cadere le foglie che ancora teneva, prese le mani di Ikki:

-E alla tua sofferenza, Niisan, non ci pensi mai? Eravamo tutti nella stessa situazione, siamo tutti nella stessa situazione, non possiamo fare altro che andare avanti come sempre, ma più uniti ancora di prima, questa è la nostra forza e anche la nostra gioia, nessuno ci toglierà mai ciò che ci lega l’un l’altro, nessuno ci toglierà mai la dignità, l’onore che ci rende sacri guerrieri di Athena. Devi smetterla di stare così male per me, perché io non chiedo altro dalla vita se non di essere degno del mio ruolo e di avervi sempre tutti accanto in questa comunione di intenti, di essere amato da voi e dalla nostra Dea!

Una volta ancora Ikki lo guardò con un vago senso di smarrimento, profondamente colpito dalla saggezza che il suo sensibile angelo sapeva dimostrare in ogni frangente; Shun lanciò un’occhiata intorno a sé:

-Io vedo tutto questo e non posso fare a meno di pensare che la felicità esiste finché esiste la vita, pur con tutte le sue contraddizioni. Il mio desiderio più grande è che riesca a crederlo anche tu e allora mi sentirei davvero completo.

Ikki annuì e sorrise:

-Tocca a me affidarmi alle tue parole e non posso fare altro che concederti la fiducia che un tempo hai concesso a me… voglio credere in ciò in cui tu credi… come tu hai creduto in me durante le battaglie… e in un certo senso, per me, anche questa è una battaglia: accettare la nostra esistenza ed il mondo per quello che sono… forse la più dura delle battaglie.

-Lo so- mormorò Shun e, sollevandosi in punta di piedi, posò le labbra su quelle del fratello, con la medesima innocenza che infondeva in quel gesto quando erano bambini ma, forse, con un livello di consapevolezza maggiore, con la certezza che un bacio simile non avrebbe potuto concederlo a nessun altro.

Una folata di vento agitò i capelli dei due ragazzi così uniti e rapì le due foglie, quella gialla e quella rossa, trascinandole con sé in una danza gioiosa, fino a posarle tra le acque del ruscello che le condusse nel loro viaggio di speranza.

 

 

 

 

 

 

   
 
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