“Voglio farti un regalo
Qualcosa di dolce
Qualcosa di raro
Non un comune regalo
Di quelli che hai perso
Mai aperto
O lasciato in treno
O mai accettato
Di quelli che apri e poi piangi
Che sei contenta e non fingi
In questo giorno di metà settembre
Ti dedicherò
Il regalo mio più grande…”
Il tipico pomeriggio di un adolescente. Ma non un
adolescente qualunque. Eh già, qua si parla di me. Priscilla. 14 anni, capelli
biondo platino, due grandi occhi verdi profondi, lentiggini, apparecchio,
carattere dolce ma testarda. Questa ero io in poche parole.
Anche quel pomeriggio mi ritrovavo sdraiata sul
letto della mia camera, ad ascoltare musica e a svolgere i miei abituali
compiti. Non mi piaceva per niente starmene lì, seduta, a scrivere su di un
vecchio quaderno o a leggere un libro di storia mentre le mie amiche se la
spassavano in giro per il quartiere. Ma non ci potevo fare niente. Ormai gli
esami erano vicini. Avevo paura che tutto potesse andare per il peggio, per
questo studiavo fino alla sera tardi. Finiti i ciompiti avevo giusto il tempo
di stare un po’ al computer e farmi una doccia. Inoltre mia madre era sempre
stata una di quelle madri opprimenti, che hanno paura di tutto e di tutti e che
ti urlano dietro se sbagli una minima cosa.
-Dlin Dlon- sunò il campanello. Anche oggi puntuale
alle quattro. Alex era arrivato. Alex era il migliore amico di mio fratello,
non che il mio amore segreto. Era un bel ragazzo, peccato che avesse 17 anni.
Era alto, moro, occhi azzurri. Mi perdevo sempre nei suoi occhi. Erano
magnetici. Soggetto di ogni mio singolo sogno, non smettevo di pensarlo.
Ritornai nel mondo reale grazie al secondo
suono del campanello.
Mi infilai le ciabatte di corsa e mi precipitai all’ingresso,
seminando mio fratello, che si stava recano alla porta. La spalancai e lo
guardai incantata.
-Ciao Pri!- Mi salutò lui. Si abbassò di
qualche centrimetro e mi diede un bacio sulla guancia.
Come era dolce!
-C...Ciao...- riuscii a spiccicare due parole. Si
due parole, ma dopo che si fosse dissolto nel nulla, dirigendosi verso la
stanza di mio fratello. Rimasi come un ebete sulla porta fino a che mio
fratello non mi urlò scortesemente:
-Chiudi un pò la porta Priscilla?!-