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Autore: Mapi D Flourite    01/03/2010    1 recensioni
[syllables of time] "Sotto questa luce artificiale".
Chissà quanti di loro, in quel momento, desideravano poter salire sul palco per stringerle le mani, mentre la luce secca e fredda della stanza illuminava il suo visino altero. Chissà quanti di loro, guardandola, immaginavano una luce ispirata irradiarsi dalle sue spalle, come fosse il segno di un Dio a cui nessuno di loro credeva ormai più.
Genere: Romantico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shoujo-ai | Personaggi: Dorothy Catalone, Relena Peacecraft
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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[ Questa fanfiction partecipa alla challenge delle Seven Syllables of  Time (syllablesoftime) ]


Titolo: Guardandole le spalle
Pairing: Dorothy/Relena
Rating: PG-13
Conteggio  Parole: 869
Warnings: Shoujo-ai
Spoiler: Nessuno

Note: E pensare che l'idea per questo prompt è stata la prima! Ma Dorothy non voleva collaborare, quindi mi sono trascinata l'idea fino ad adesso. ù__ù
Che dire? Questa coppia mi piace davvero tantissimo, e adoro il modo di relazionarsi di queste due: quasi una battaglia senza fine, dove comunque c'è sempre quel tocco di rispetto e venerazione, specie da parte di Dorothy, nei confronti l'una dell'altra. E poi diciamocelo: sono belle! XD
Non ho altro da aggiungere se non che spero che questa breve shottina sia di vostro gradimento! ^^

Disclaimer: Gundam Wing appartiene agli aventi diritto. Questa fanfiction non è scritta a scopo di lucro.

-:-:-

Dorothy si molleggiò sui calcagni e appoggiò le spalle contro la parete, cominciando a sentirsi vagamente a disagio con le scarpe coi tacchi e il vestito dalla vita stretta.
Se avesse voluto avrebbe potuto avere una comoda poltroncina in prima fila, oppure uno dei palchetti migliori dell’auditorium, dal quale era possibile godere di una visuale pressoché perfetta non solo del palcoscenico, ma di tutta quanta la sala.
Ma lei non aveva voluto.
Si scostò una ciocca lucente di capelli dalla spalla e, da dietro le quinte dove si trovava, non perdeva di vista la giovane donna che, in quel momento, parlava con voce altera agli uomini più potenti della Terra che, nonostante lei fosse poco più di una bambina, ascoltavano in religioso silenzio qualsiasi cosa lei avesse da dire loro, pendendo dalle sue labbra come assetati.
Dorothy osservò la piega morbida della guancia che poteva solo intravedere quelle rare volte in cui lei voltava appena il viso e scese con lo sguardo a cercare la piega della spalla troppo nascosta dagli abiti formali che indossava, fermandosi in un punto preciso tra le scapole, là dove sapeva esserci il rimbombo del suo cuore.


Dorothy scende, con le labbra, e le bacia la pelle calda della schiena facendola tremare e ridacchiare per il solletico. Le accarezza i fianchi con le dita lunghe e pallide, sentendo la pelle fremere e i nervi scattare, facendola contorcere deliziosamente sotto il suo tocco.
«Dorothy!» il gridolino è austero, ma lei non si sottrae al contatto.
«Sì, Relena?»
«Smettila, mi fai il solletico.» E si volta, stringendosi il lenzuolo sul seno e appoggiando la testa contro il cuscino. Sorride, ed è delizioso il suo sorriso bagnato dalla luce tenue della lampadina che getta una pozzanghera luminosa sul grande letto bianco e sul parquet che lo circonda.
Dorothy afferra un lembo del lenzuolo e si avvicina di più prima di lasciare una scia di baci sulla clavicola, alla base della gola. Relena abbassa il mento, decisa a non darsi per vinta e le dà un morso sul naso per scacciarla.
Dorothy si ritrae un poco, ma non prima di aver lasciato una mano sul suo fianco, sopra il lenzuolo. I polpastrelli scivolano leggeri sulla seta soffice e si insinuano nella piega dei fianchi, del seno, mentre i suoi occhi non abbandonano quel viso da bambola che continua a sorridere nella luce, mordicchiandosi appena le labbra quando le sue dita toccano un punto troppo sensibile.
Relena stringe il lenzuolo con una sola mano e allunga l’altra, appoggiandola sulla spalla nuda dell’altra donna e sente sotto le dita la sua pelle fredda. Inarca le sopracciglia severe e la guarda storta. «Sei gelata,» commenta, con una nota saccente nella voce. «Dovresti coprirti.»
Dorothy sorride, facendole scivolare via il lenzuolo dalle dita senza troppa fatica e usandolo per coprire entrambe, mentre lei congiunge i loro corpi nudi e strofina la sua pelle contro quella dell’altra.
«Buona idea,» sussurra, tra un bacio e l’altro.


Dorothy si staccò dal muro e applaudì con trasporto, anche se non aveva prestato granché attenzione al discorso: non era necessario, ormai lo conosceva a memoria. Indugiò, mentre Relena indugiava, sul palco, ad osservare la platea e gli spalti che si alzavano per lei, per testimoniare con il rumore attutito di mani guantate che il suo messaggio era riuscito quantomeno a toccare i loro cuori e, con un po’ di speranza, anche le loro menti.
Chissà quanti di loro, in quel momento, desideravano poter salire sul palco per stringerle le mani, mentre la luce secca e fredda della stanza illuminava il suo visino altero. Chissà quanti di loro, guardandola, immaginavano una luce ispirata irradiarsi dalle sue spalle, come fosse il segno di un Dio a cui nessuno di loro credeva ormai più.
Dorothy ridacchiò, a quel pensiero. Non avrebbe voluto prendere il posto di alcuno degli uomini e delle donne che si trovavano davanti a lei, che vedevano il suo viso, perché lei sapeva.
Sapeva che non c’era luce ad irradiarsi dalle sue spalle, che anzi restavano nell’ombra, difficili da individuare sotto il getto dei fari e sapeva, meglio di chiunque altro, che non erano i gioielli austeri che indossava, ad illuminarle il viso, ma che la forza dei suoi occhi e dei suoi gesti avrebbe potuto rischiarare il fato di ognuno di loro.
Si scostò dal muro, quando Relena si voltò verso le quinte e iniziò a camminare con passo lento e naturale verso di lei, accennando un sorriso alla sua direzione quando la vide. Dorothy le andò incontro di un passo e, quando fu certa che nessuno avrebbe potuto vedere, le afferrò le mani, stringendole nelle sue.
Relena sorrise ancora di più e si fece da parte, portandola con sé dove c’era più ombra, come se stessero combinando una marachella.
«Che ci fai nascosta qui dietro?»
«Volevo vederti meglio,» disse, e Relena non obiettò. Respirò a fondo e gettò un’occhiata verso il palco e la sala che a poco a poco si stava svuotando.
«Come sono andata?» chiese.
«Oh, Relena! Eri radiosa!»
«Dorothy!» Anche se non c’era abbastanza luce, non era difficile vedere il rossore sulle sue guance. «Parlavo dei discorso…»
«Ma certo!» Dorothy le lasciò una mano e si appoggiò un dito sulla guancia, cercando o fingendo di cercare la parola giusta per descriverlo. «È stato… illuminante
Relena rise e Dorohty, lì, nell’ombra ovattata, desiderò ardentemente baciarle via la sua risata.


  
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