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Autore: crystalemi    02/03/2010    5 recensioni
«Posso chiederti il tuo nome?» Domandò mordicchiando vergognosamente un’unghia, un soffuso rosso a spruzzarle le gote altrimenti pallide.
[...]
«Perché?» la domanda la stupì: non era il No secco che si aspettava e aveva ormai imparato a nutrire il suo amore con quelle piccole speranze.
«Perché chiamarti “tipo-del-vaso” dopo tre mesi è un po’ fastidioso.»
Genere: Romantico, Slice of life, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Questo racconto l’ho scritto per il giornalino scolastico in una versione non comprendente la prima parte.
Lo potete trovare qui.
Le strofe alla fine sono prese dalla canzone "Lucy" degli Skillet.


Hey, Lucy





Aveva finalmente finito. L’enorme vaso in coccio, dipinto a mano, le ammiccava con strani giochi di luce sullo smalto lucido finalmente asciutto. Vi aveva lavorato duramente per intere settimane, assieme a tutto il club e ora il suo bimbo era finito. Un sentimento di nostalgia le attanagliò dolcemente il cuore, senza riuscire ad adombrare la sua felicità mentre tutti i suoi compagni applaudivano.
Lucy arrossì, emozionata da tanto affetto. Si lasciò abbracciare da una delle ragazze più grandi e la strinse forte, non riuscendo a calmarsi. Era un capolavoro quel vaso e ne era consapevole.
«Ora dovremmo trasportarlo nei magazzini della mostra.» le suggerì Anabell, staccandosi dall’abbraccio, un po’ impacciata. Lucy annuì con vigore e fissò il suo grosso e pesante sforzo artistico. Si guardò attorno, ma in tutta la stanza caotica non vide nessuno in grado di poterla aiutare.
Anche Anabell sembrò intuire il problema e si toccò il mento meditabonda, sporcandolo inavvertitamente di pittura verde acido, per poi spalancare gli occhi alla vista del ragazzo moro che passava davanti alla porta.
«Ah! Tu! Ti prego, aiutaci a trasportarlo!» chiese urlando, quasi spaventandolo, e fu probabilmente per quello che lui accettò. Lucy arrossì quando lui le si avvicinò svogliatamente, e arrossì sentendosi il cuore battere a mille. Ignorandosi, lo aiutò a sollevare il vaso per i manici e lo trasportarono fino al montacarichi alla fine del corridoio, scendendo poi nel seminterrato.
«Grazie mille» sussurrò Lucy poggiando il vaso in un angolo meno polveroso degli altri. Lo coprì con un telo bianco e sorrise, voltandosi a guardarlo.
Gli si avvicinò imbarazzata e lo baciò su una guancia coperta di un leggerissimo strato di barba, ma lui la bloccò per i polsi e la sospinge più o meno gentilmente verso il muro. Le palpò il seno, fissandola direttamente negli occhi, quasi sfidandola. Ma Lucy arrossì e balbettò qualcosa sulla verginità. Lui fece spallucce e le morse il collo. Lucy tremò, capendo di aver trovato l’uomo giusto.
E ne sarebbe rimasta convinta per i mesi a seguire.

Tossì poche volte, la polvere che sembrava infiltrarsi in ogni poro libero e anche nei pensieri più distanti.
«Posso chiederti il tuo nome?» Domandò mordicchiando vergognosamente un’unghia, un soffuso rosso a spruzzarle le gote altrimenti pallide.
Lui la guardò con distacco, mentre l’ultima sigaretta finiva oltre i materassini della palestra.
«Perché?» la domanda la stupì: non era il No secco che si aspettava e aveva ormai imparato a nutrire il suo amore con quelle piccole speranze.
«Perché chiamarti “tipo-del-vaso”, dopo tre mesi è un po’ fastidioso.» disse, alzandosi a sedere per cercare la camicia dell’uniforme per coprirsi.
«Non vedo perché dovresti chiamarmi.» Lucy si morse il labbro, portandosi il maglione al petto in un senso di pudore che lui aveva sempre trovato stupido e, in un certo strano modo, dolce.
«Così.» replicò mentre lasciava che i vestiti le venissero sottratti di nuovo, per lasciarla scoperta davanti al suo sguardo. Quando il ragazzo tornò a fissare il pavimento Lucy comprese che aveva preso una decisione.
«John.» disse lui reticente, alzandosi a sedere. «Contenta?» lei si limitò a sorridere e annuire, davvero felice.
Poi, come ricordandosi all’improvviso, esclamò: «Il mio nome è-» ma lui la interruppe piazzandole una mano sulla bocca. Le indirizzò un sorriso di scherno e si alzò dai materassini.
«E’ l’ultima cosa che m’interessa.» le ricordò mentre si rivestiva velocemente, quasi scottato da quella conversazione. Lucy tossì ancora e si alzò in piedi, notando come il suo metro e mezzo fosse niente in confronto alla sua altezza. Ogni tanto tentava di convincersi che fosse così succube a causa della loro stazza: lei così piccola lui così grande, ma il fatto che si sentisse serena solo con lui era una prova troppo forte da nascondere. E l’amore era pur sempre il peggior nemico dell’uomo.
«Ci si vede.» le disse John, mentre usciva dallo sgabuzzino della palestra e Lucy si chiese se avesse detto la verità sul suo nome. Poi scosse le spalle: non l’avrebbe mai saputo perché non avrebbe cercato informazioni su di lui. Avrebbe aspettato che John decidesse che lei non era solo un passatempo e nel frattempo gli avrebbe creduto ciecamente.

Era il sabato sera più freddo che riuscisse a ricordare, ma non aveva proprio voglia di tornare dentro. La discoteca era noiosa se non poteva bere, anche se in quel periodo era sempre noiosa.
Distrattamente si accese un’altra sigaretta e lo sguardo gli cadde su una ragazzina dai voluminosi capelli rossi, non più alta di un metro e mezzo, il corpo piccolo e morbido (anche se questo lo sapeva per esperienza e non avrebbe potuto dirlo altrimenti per via del cappotto), il volto tondo e sfigurato da una cicatrice che partiva da sotto un occhio e passava trasversalmente fino a dietro l’orecchio opposto.
Era quello che probabilmente l’aveva attratto: la sua bellezza che anche un segno simile non riusciva a distruggere; probabilmente era anche l’unico a pensarla a quel modo, e ciò non fece che rallegrarlo.
Era sola mentre si guardava attorno, aspettava evidentemente qualcuno.
Forse chi l’avrebbe riportata a casa, si disse gettando in terra il mozzicone di sigaretta, con fare noncurante.
Quindi, la piccola aveva più di sedici anni, se era lì. Ghignò divertito: non l’avrebbe mai detto, sembrava decisamente più piccola.
Un suo compagno di squadra le si avvicinò e John si innervosì, riconoscendo subito l’incertezza nei movimenti della ragazza. Poi, mentre quello ci provava, lei cominciò ad arretrare palesemente spaventata.
Accese nervosamente un’altra sigaretta quando Thomas cominciò ad insistere.
Non erano affari suoi, si disse, reprimendo l’istinto di intervenire. Non erano assolutamente affari suoi se quella non era in grado di badare a se stessa. Solo, più se lo ripeteva, più la rabbia aumentava. Un po’ per l’odio che sempre aveva caratterizzato il suo rapporto con Thomas, un po’ per un sentimento che davvero non riusciva a riconoscere ma che lo estraniava dalla sua stessa razionalità. Così quando il ragazzo sì chinò a baciarla, trattenendola per i polsi sottili, non fu la sua mente a muovere le gambe, fu la rabbia, la stessa che lo portò a colpire Thomas. E Dio solo sapeva quanto l’avrebbe pagata, conoscendo l’orgoglio del soggetto.
Lei lo fissò stranita, le lacrime mal trattenute, seguendolo senza parlare lasciandosi scuotere dai singhiozzi che aveva orgogliosamente nascosto. E John pensò che era una visione pietosa.
La spinse in auto e si andò a sedere al posto del conducente. Le rivolse uno sguardo compassionevole e mise in moto, fermandosi a qualche chilometro dal parcheggio. La ragazza intanto si era calmata e guardava ostinatamente fuori.
«Non c’era bisogno che intervenissi.» sbottò qualche minuto di silenzio dopo. L’irritazione prese il posto della pietà e probabilmente questo era quello che lei desiderava.
«Me ne ricorderò la prossima volta.» replicò freddamente, accendendosi una sigaretta.
«Grazie.» bisbigliò lei e qualcosa fece capire a John che non stava rispondendo alla sua provocazione. Rimase in silenzio, fissandola. La testa rossa e scompigliata appoggiata al finestrino.
«Hai bevuto.» Costatò e lei non si preoccupò nemmeno di annuire. Il silenzio li sovrastò ancora.
«Ho avuto paura, John.» il suo nome vibrò nell’aria come un sospiro e lei si voltò a guardarlo, gli occhi che brillavano nell’oscurità, la scia di lacrime sulle guancie illuminata solo dalla luna, che stranamente quella sera aveva deciso di creare l’atmosfera più cliché della storia.
John non seppe come replicare, innervosito da tutta quella situazione e dalle sensazioni che lei gli trasmetteva. Così si limitò ad asciugarle le lacrime dal volto, fermandosi ad accarezzare la cicatrice. Lei poggiò il volto sul suo palmo e John non riuscì a non pensare che voleva baciarla, anche se all’inizio della loro relazione le aveva chiaramente negato simili smancerie. Ma fu più forte di lui, e si chinò incontrando le sue labbra quasi subito, in un tenero sfiorarsi, mentre le mani di lei salivano ad accarezzargli le guance rasate, con una titubanza degna della ragazza che conosceva.
Quando si allontanò, lei riprese a guardare fuori dal finestrino, come lui si era aspettato.
E John, mentre accendeva l’auto si accorse che di lei sapeva molte più cose di quante avrebbe voluto, troppe per continuare a pensare che fosse tutto un gioco.
«Livetale Lane, numero 24» lo informò lei con voce serena e lui pensò che era una strada adeguata al suo carattere.

Erano fermi ad un incrocio, ognuno perso nei propri pensieri quando tutto accadde.
Una jeep scura puntò dritta verso di loro, mentre svoltava senza accennare a frenare. John fissava distrattamente il semaforo rosso quando la manica del suo giaccone venne strattonata, pochi secondi prima dell’impatto.
L’urlo della ragazza rimbombava ancora nella sua testa quando finalmente riuscì a chiamare i soccorsi, una spalla che gli pulsava violentemente. John non ebbe il coraggio di girarsi a guardarla, anche se gli schizzi di sangue sui suoi jeans erano abbastanza indicativi.
La sirena in lontananza sembrò avere un effetto a balsamo, estraniandolo dalla realtà.
Una donna e due uomini lo aiutarono ad uscire, e si stupì di essere in grado di stare in piedi.
«LUCY!» la donna urlò nel suo orecchio attonita e le lacrime che John non sapeva di star trattenendo gli bruciarono il volto, facendogli tornare il peso sul cuore, quello che non gli aveva permesso di guardare la ragazza durante gli interminabili minuti prima che quella gente arrivasse. Ma in quel momento si voltò, ignorando la spalla, e desiderò non averlo fatto.



Now that it’s over I just wanna hold her
I’d give up all the world to see that little piece of heaven looking
back at me





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