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Autore: _Solitude    03/03/2010    3 recensioni
La storia è ambientata dopo il Volume 68 del manga. Finalmente un'occasione per svelare tutta la verità, ma a quale prezzo? Un modo di esporre le mie teorie in forma di storia.
Genere: Drammatico, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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Non aveva più molto tempo a disposizione, perciò si affrettò a scollegare il computer dal terminale e ad avviarsi verso l'uscita. Urtò una scrivania al buio e trattenne un lamento, bloccandosi immediatamente e restando in ascolto. Il silenzio continuava ad avvolgere l'uomo, che rimase perfettamente immobile per trenta secondi prima di rilasciare gradualmente il respiro e uscire dalla stanza. In meno di 5 minuti era sul tetto del grattacielo da dove, senza un attimo di esitazione, si gettò col paracadute. L'oscurità lo avrebbe reso invisibile ed era assai improbabile che potessero vederlo atterrare nello spiazzo deserto dietro al minimarket dove aveva lasciato la sua macchina, una Chevy Stingray nera. La sua abilità gli consentì di manovrare e atterrare senza problemi in quello spazio comunque ristretto, nonostante il leggero vento che trovò ad accoglierlo a bassa quota.
Raccolse il paracadute in tutta fretta e corse verso l'auto assicurandosi di non essere visto. Non fece in tempo a inserire le chiavi nel quadro che gli arrivò una chiamata. Sapeva benissimo di chi si trattasse e si limitò ad accettare la chiamata toccando l'auricolare, da cui una voce fredda, maschile, gli chiese, lasciandosi sfuggire una nota di agitazione:
«Dove sei?»
«Sto partendo, è andato tutto liscio. Sarò li tra meno di venti minuti.»
«Molto bene.»
La chiamata terminò.
L'uomo accese il motore e partì sgommando in direzione dell'autostrada. Le strade di Tokyo erano insolitamente deserte, l'atmosfera era quasi surreale ma non ci fece molto caso. La sua testa era altrove, stava guardando avanti a ciò che sarebbe successo di lì a poco; era teso perché sapeva che introdursi nel centro di ricerca sarebbe stato molto più difficile che penetrare nello scarsamente protetto grattacielo della Paradon in cui era appena stato. Quei fessi avrebbero capito con chi avevano a che fare, e si sarebbero pentiti di non aver accettato l'offerta dell'Organizzazione. Non che gli sarebbe arrivato un soldo, probabilmente Sherman non sarebbe sopravvissuto abbastanza a lungo da aprire la valigetta col denaro. O con una bomba, Gin a volte non andava molto per il sottile e in particolar modo quando qualcuno si parava davanti alla riuscita di una parte importante del loro piano.
Un sorrisino si stampò sul viso dell'uomo, che si lasciò scappare una risatina nervosa, mentre in un altra parte della città un proiettile sparato da un fucile di precisione terminava la vita del vice-presidente della Paradon, Sherman, che aveva avuto la sfortuna di venire contattato dagli uomini in nero.

La Stingray imboccò la terza uscita dell'autostrada e deviò quasi immediatamente su una strada secondaria che conduceva in una zona abbastanza deserta. Dopo poco più di un chilometro trovò una Porsche 356-A in sosta sul ciglio della strada, con un uomo ben piazzato di mezza statura fumava una sigaretta appoggiato alla portiera sinistra, fiocamente illuminato dalle luci del complesso di ricerca, situato sul fondo della leggera depressione lì a fianco. La Chevrolet si fermò dietro alla vettura tedesca.
«Scotch, alla buon'ora.» disse Vodka, gettando a terra il mozzicone.
L'uomo chiamato Scotch scese tempestivamente dall'auto e, cercando di nascondere il suo nervosismo, si avvicinò alla Porsche e si abbassò per guardare dentro, dove sapeva avrebbe trovato Gin, a cui chiese:
«Chianti?»
«A segno. Hai i dati?»
«Si, ho tutto qui. Vermouth?»
«E' in posizione. Sai già quello che devi fare. Non fallire.»
Scotch si allontanò dall'auto dopo aver risposto a Gin con un cenno del capo. Si, anche Gin era nervoso, non gli avrebbe chiesto due volte la stessa cosa in circostanze normali.
Cominciò a scendere il pendio, fermandosi vicino all'alta palizzata elettrificata. Aprì due volte il contatto radio con Vermouth e in men che non si dica le luci dell'edificio cominciarono a spegnersi, rendendo inoltre inoffensiva la palizzata stessa. Aveva solo venti secondi per scavalcare e nascondersi nell'ombra, prima che entrasse in funzione il generatore d'emergenza. Se si fosse trovato ancora impegnato a scalare beh, non sarebbe stato bello. Se non avesse cercato subito riparo avrebbe rischiato di essere scoperto dalle telecamere d'emergenza o dai guardiani notturni: non sarebbero stati un pericolo ma avrebbero compromesso l'esito della missione. Le sue doti atletiche gli permisero di compiere scalata e discesa in meno di dieci secondi. Appena toccata terra si gettò verso l'ingresso secondario che avevano pianificato di usare. Il piano era stato studiato nei minimi dettagli e sia lui che Vermouth, che avrebbe incontrato all'interno, avevano usato un sofisticato simulatore per imparare il percorso alla perfezione. Fece appena in tempo a chiudere la porta alle sue spalle che la luce tornò. Era in un corridoio abbastanza stretto, ma non ci rimase per molto. Aprì la porta alla sua sinistra e avanzò lungo un altro corridoio dalle pareti azzurro chiaro, che l'avrebbe portato nel centro di smaltimento di rifiuti chimici – ma non era quella la sua destinazione, bensì il bagno, che raggiunse velocemente, evitando di fare rumore sul pavimento di linoleum. Socchiuse la porta per assicurarsi che fosse vuoto prima di entrare e una volta dentro andò nell'ultimo servizio, in fondo alla stanza. Salì sopra al water e cominciò a svitare la grata del condotto di aerazione. Una delle viti gli fece perdere del tempo ma non ci mise molto, entrò nel condotto e riappoggiò la grata al suo posto, era importante che nessuno notasse la loro presenza prima che fossero fuori ed essere scoperti per una grata fuori posto sarebbe stato alquanto imprudente. E Gin non avrebbe usato esattamente quelle parole, una volta che l'avrebbe avuto fra le mani!
Destra, sinistra, ancora sinistra. Si arrampicò in un condotto verticale. Ancora destra. La terza grata. Uno dei bagni maschili del quarto piano. Uscì dal condotto.
«Buonasera.»
Perse un battito del cuore, Quella donna l'avrebbe ucciso prima o poi, se lo sentiva.
«Vermouth. Grazie dell'accoglienza...»
Ovviamente sotto mentite spoglie, nella fattispecie quelle di un anonimo uomo di mezz'età con capelli corti e neri e occhi scuri, Vermouth indossava un camice da laboratorio con tanto di cartellino identificativo. Teneva in mano un secondo camice, che porse a Scotch non appena egli toccò terra.
«E' andato tutto liscio?» le chiese, mentre indossava il camice e sistemava il cartellino: Shiro Nakatsumi.
«Si, nessuno ha sospettato niente. Anche se sporcarsi un po' le mani non sarebbe stato male, per una volta.»
Scotch si immaginò Vermouth entrare nell'edificio a mitragliatore spianato. Si, ne sarebbe stata capace. Il suo pensiero fu interrotto:
«Piuttosto, dimmi i dati d'accesso.»
«Un momento solo...» Scotch estrasse il portatile dallo zaino. Non aveva avuto il tempo materiale di trascrivere i codici visto che i file erano criptati, era stato dunque costretto a lasciare il computer acceso a decodificare. Doveva aver finito da molto poco.
Trascrisse user e password su di un foglietto che porse a Vermouth, poi prese un altro foglio e trascrisse la seconda serie di dati. Avrebbero dovuto accedere a due terminali differenti per poter entrare nel laboratorio B24, dove avrebbero dovuto trovare il prototipo di un progetto all'avanguardia, un piccolo marchingegno, denominato MWI, in grado di interagire con le onde cerebrali umane. Una scoperta del genere apriva molte strade alla ricerca scientifica e l'Organizzazione avrebbe sicuramente potuto sfruttarla per i suoi scopi. A giudicare dal comportamento di Gin negli ultimi giorni, un uso era già stato trovato anche se a Scotch non era dato di sapere nulla.
«Andiamo.»
Uscirono dal bagno a distanza di trenta secondi uno dall'altro, come previsto. Fecero del loro meglio per non farsi notare, la scarsa presenza di personale era sia un bene che un male sotto questo punto di vista, ma non c'era tempo per preoccuparsi. Scotch trovò Vermouth quattro piani più sotto, davanti all'ingresso del laboratorio B24: una grossa lastra di metallo blindato, in una leggera rientranza del corridoio. Sembravano molto convinti della sicurezza di quell'ingresso, non c'erano guardie e una sola telecamera sorvegliava i due terminal posti ai lati della porta. Vermouth estrasse un microtelecomando, sintonizzato sulla frequenza della telecamera, che ne avrebbe oscurato il segnale per un minuto. Più che sufficiente per entrare nel laboratorio. Premette il pulsante. Entrambi mossero le loro dita agili sulle tastiere dei terminali e inserirono i dati trafugati da Scotch la sera stessa. Era un login per un accesso di manutenzione, quindi un avviso sarebbe sicuramente apparso nei computer della sala di comando. Ma non era un problema. La parte di infiltrazione del loro piano era appena finita e grazie alle “maniere pesanti” sarebbero stati fuori in meno di due minuti.
CRANK!
La porta fece rumore aprendosi, anche se non sembrava esserci nessuno in grado di ascoltare. Non fecero in tempo a varcare la soglia, che un allarme cominciò a strillare.
«MERDA!» esclamò Scotch. Non erano molto preparati a un'evenienza del genere, ma mantennero il sangue freddo: Vermouth imboccò il primo corridoio a destra, dove avrebbe recuperato l'MWI e “Shiro Nakatsumi” estrasse in fretta l'esplosivo C4 e lo piazzò nel punto prefissato dopo un centinaio di metri di corridoi, davanti all'unico muro a contatto diretto con l'esterno. Sistemò la spoletta e si mise al riparo dietro a un angolo prima di far esplodere il plastico. L'esplosione coprì il rumore della sirena e intontì Scotch, che per la fretta non si era allontanato abbastanza. L'uomo non si accorse però di un guardiano, sopraggiunto da dietro, che aprì il fuoco e lo colpì alla spalla sinistra e di striscio a un fianco. Prima che il guardiano potesse fare altro, però, fu ucciso con un colpo in testa da Vermouth, arrivata da dietro con in mano una valigetta. Contenente l'MWI, si disse Scotch.
«Muoviti!» disse la donna. Scotch scrollò la testa per schiarirsi brevemente le idee: in meno di un minuto era passato dalla sorpresa per l'allarme, al trauma dell'esplosione e ad essere colpito da un proiettile, ma l'adrenalina lo avrebbe aiutato almeno ad uscire di lì. Il buco creato dall'esplosione non era molto grosso ma entrambi riuscirono a passare, seppure a fatica. Il vento freddo trafisse la spalla ferita di Scotch facendogli scappare un lamento di dolore, mentre vedeva Vermouth estrarre un secondo telecomando, con cui avrebbe fatto saltare in aria entrambi i generatori per dar loro la possibilità di scavalcare di nuovo la barriera elettrificata, come fecero aiutati dal buio. Non era andata esattamente come previsto, ma erano entrati in possesso dell'MWI e quello era l'importante. Arrivò alla macchina ed estrasse il cellulare, da cui chiamò un numero. Quello che avrebbe detonato la bomba e distrutto lo zaino che aveva lasciato nel bagno, con tutto il suo contenuto e qualunque traccia che potesse ricondurre a lui.
Entrò in macchina e partì sgommando, doveva dileguarsi in fretta. La spalla ferita cominciava a pulsare sempre più forte e il sangue fiottava copioso anche dal fianco, sporcando buona parte del camice e del sedile della sua auto. Raggiunse la sua casa, una villetta a Beika, in quella che gli sembrò un'eternità. Imboccò il vialetto e parcheggiò senza troppi complimenti. Si trascinò fuori dall'auto e raggiunse l'ingresso a fatica, aveva la vista annebbiata per la gran quantità di sangue perso. Avrebbe dovuto fasciarsi per limitare l'emorragia ma non poteva permettersi il lusso di perdere del tempo, inoltre tutta la notte era stata all'insegna della fretta e la stanchezza pesava ulteriormente sul suo fisico. Infilò con difficoltà la chiave nella serratura e aprì la porta, gettandosi in cucina. Scivolò e dovette aggrapparsi al tavolo, travolgendo e facendo cadere diversi piatti, bicchieri e posate. Non se ne curò e afferrò un coltello, per poi sedersi. Si tagliò i vestiti per scoprire le ferite: il colpo sul fianco era poco profondo e non aveva quindi provocato grossi danni, oltre alla copiosa perdita di sangue. La spalla era messa peggio e il proiettile era ancora dentro. Si rovesciò addosso una bottiglia d'acqua, sia per lavar via del sangue e sia per cercare di riacquistare un po' di lucidità, poi usò della carta da cucina per tamponare la ferita addominale e si fasciò usando un pezzo di tessuto strappato dal camice da laboratorio. Dopodiché prese a raccolta le poche forze rimastegli e con il coltello estrasse il proiettile dalla spalla.



Si fasciò e tornò a chiudere la porta d'ingresso, per poi svenire sulla moquette.

“Mei-chan! MEI-CHAN!”
Non avrebbe più rivisto sua sorella, il suo sorriso. Non avrebbe più sentito la sua voce, la voce dell'unica persona ad aver mai avuto cura di lui. Non poteva fare altro che fissare in lacrime il letto su cui la sua sorella maggiore giaceva immobile da più di un'ora. Avrebbero dovuto salvarla! Avrebbero dovuto salvarla! Ma non avevano fatto nulla... Se ne stavano li a scrivere sulle loro cartelle, avevano trattato sua sorella come una cavia, una semplice cavia da laboratorio, un topo! Ma era sua sorella... Ora lo avrebbero affidato a un assistente sociale. No, non l'avrebbe permesso. Sarebbe scappato. Si, era abbastanza grande da cavarsela da solo. Il sole filtrava dalla finestra. Gli diede una veloce occhiata, ma non ne sentì il calore. Si asciugò le lacrime, prese un respiro profondo e si girò.
«Fallo.»
Alzò la pistola. Era notte. Pioveva. L'uomo lo guardava con uno sguardo di puro terrore, e questo gli dava un senso di potere. Un potere infinito. Qualcosa che non provava da molto, molto tempo. Qualcosa che voleva con tutto sé stesso. Non ebbe bisogno che Gin gli intimasse una seconda volta di sparare e non fu la pressione esercitata da Gin stesso a fargli ficcare una pallottola nella testa di quell'uomo indifeso. Era stato lui. Un sorriso sadico gli si disegnò in volto, era come se qualcosa fosse scattato dentro di lui. Era diventato un assassino.
«Ottimo, Scotch.»


Si svegliò dov'era svenuto, la mattina dopo, con il telefonino che gli vibrava in tasca. L'apparecchio era incrostato di sangue. Quando rispose, riconobbe subito la voce dall'altra parte.
«Vodka.»
  
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