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Autore: RedBlackEM    05/03/2010    8 recensioni
C'era una volta una principessa. E un'ancella di lei invaghita.
Genere: Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Yuri
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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C’era una volta una graziosa. Costei era una principessa di rara bellezza, di tale splendore che anche le altre donne avrebbero avuto piacere di tenerla fra le braccia. Dai morbidi capelli bruni e dalla candida pelle, era corteggiata in tutto il regno. Ma ella aveva occhi e indole da cerva, e diffidava di coloro che le portavano in dono fiori recisi da chissà quale meraviglioso giardino, che ora piangeva la perdita. Perciò la giovane era solita trascorrere le sue giornate coltivando l’arte della musica e della poesia, uniche sue amasie, e beandosi degli spettacoli che la natura offriva in ogni suo aspetto.
Vi era nel castello una chiara ancella di modesto aspetto e animo mite, che era rimasta folgorata dalle fattezze divine della principessa. Entrava da poco nell’età adulta, dagli occhi traspariva l’inesperienza d’amore, ma anche la curiosità della vita tipica della giovane età, e nel cuore custodiva il dono raro dell’arte della parola. Così assunse l’abitudine di recarsi nel giardino dove la principessa amava ingannare il tempo e, sistematasi fra alcuni cespugli di rose bianche, osservava l’oggetto del suo desiderio in silenzio, senza trovare il coraggio di cantarle il sentimento che sedimentava fra le pagine ingiallite che stringeva fra le mani, fino a quando, spossata, non cedeva alle lusinghe di Morfeo.
In una giornata particolarmente assolata, la principessa udì un rumore di frasche poco lontano e, avvicinatasi con accortezza indagò con lo sguardo fra i cespugli dove l’ancella soleva rifugiarsi, e la trovò seduta con la schiena poggiata su un vecchio ceppo, sopita. Inizialmente spinta ad andarsene, soffermò lo sguardo sui fogli abbandonati vicino alla fragile figura, li raccolse e iniziò a leggerli. Quale stupore nel venire a sapere di quali dolce parole era la dedicataria! La modesta giovane che riposava ignara non aveva fiori recisi da porgerle, nessun prezioso dono proveniente da remoti angoli del mondo conosciuto, ma sotto il candido petto celava un cuore aureo e un animo di poeta. La principessa lesse ogni riga, ogni lettera con avidità, scorrendo più volte sulle stesse frase, per farle proprie, come volesse assorbire quell’inchiostro nero dentro il cuore. Ma non appena gli occhi della fanciulla si mossero sotto le palpebre, la bruna cerva fuggì lasciando i fogli così come li aveva trovati. Al suo risveglio l’ancella provò una sensazione strana, come se avesse sognato l’amata, come se l’avesse sfiorata con le sue morbide mani. Con una stretta al cuore, si limitò a raccogliere i propri scritti e si diresse al castello.
Nessuna delle due donne riuscì a dormire quella notte, affette entrambe dallo stesso morbo.
Per molti giorni a seguire avvenne sempre la stessa scena, e mentre i sogni della più giovane si facevano sempre più vividi, l’altra si invaghiva delle parole di cui si nutriva, di quelle palpebre abbassate e di quei capelli dorati.
Un pomeriggio come gli altri, ma che presto sarebbe stato diverso, la principessa sedeva sull’erba fasciata in un morbido abito verde petrolio, leggendo e palpitando, quando, animato da uno zefiro dispettoso, il velo della gonna si sollevò avvolgendo la figura addormentata che, avvertito il contatto, si risvegliò volgendo lo sguardo intorno e cogliendo quello della giovane a lei vicina, la quale, turbata da quegli occhi come sole liquido, si sollevò frettolosamente senza dare tempo all’altra di reagire, che si limitò a guardar fuggire la splendida creatura.
Il giorno dopo l’ancella si sedette nel solito posto con il cuore gonfio di trepidazione e speranza, ma lei non tornò. Non tornò più. Non uscì più dal castello, intimorita dall’intensità delle sensazioni che la attanagliavano. Con il passare dei giorni il male d’amore iniziò a logorarla, costringendola a letto in preda ai brividi febbrili. Medici da tutto il paese accorsero per trovare un rimedio, ma tutto era inutile e nessuno riusciva a diagnosticare il malore che la affliggeva, e che continuava ad aggravarsi con minuto dopo minuto.
Accadde che l’ancella, la quale non aveva mai smesso di sperare in un nuovo incontro, venuta a sapere delle condizioni in cui versava l’amata, decise di introdursi di nascosto nelle sue stanze, per poterla vedere almeno un’altra volta. Così una notte lasciò il suo umile giaciglio per raggiungere quello della principessa. Spinto cautamente l’uscio si introdusse nella camera in punta di piedi, avvolta dal buio e dal silenzio, interrotto solo dai respiri affaticati della afflitta. Resi vicini i loro visi, i respiri si confondevano e da due diventavano uno, sempre più denso man mano che la distanza si dimezzava, finché le labbra non si sfiorarono, delicatamente, come un soffio, svegliando la graziosa. Ma i suoi occhi parevano velati come se fosse assente, o qualche spirito sconosciuto si fosse introdotto in lei, e forse era così. Con quegli occhi penetrò quelli dell’inaspettata compagna, e le mani, quasi fossero guidate da qualcun altro, si mossero lentamente, attirando quel corpo fresco, in armonioso conflitto con la sua febbre incurabile. Fu un’esplosione di sensazioni sconosciute a entrambe, che le travolsero in un turbine dal quale uscirono solo con il levar del sole, esauste.
L’inferma apparve allora, bagnata dai primi raggi del giorno, finalmente risanata, avendo ripreso colore il volto, e privato del velo del delirio lo sguardo.
Abbandonatesi alla stanchezza, furono scosse dalla porta che si apriva improvvisamente, e rimasero atterrite sotto lo sguardo colmo di scandalo della Regina, la quale iniziò a urlare all’oltraggio. Nel giro di un battito di ciglia giunsero le guardie che senza difficoltà alcuna portarono via la fanciulla. A nulla servirono le lacrime della principessa, a nulla le suppliche al padre, a nulla le preghiere a Dio.
Silenziosa fu la condanna, e ancor più silenziosa fu la sua esecuzione, realizzata in un luogo in cui nessuno poteva udire le grida strazianti della giovane.
Un luogo segreto forse, ma non per lei, e non per la cerva che, il giorno successivo allo scempio compiuto, affranta, si recò nel luogo del loro primo incontro e, indirizzando lo sguardo verso i cespugli di rose, in mezzo al bianco vide spuntare un bocciolo cremisi, nato dall’ultima goccia di sangue versata. Con le lacrime agli occhi la principessa guardò il cielo e la sua voce spezzata riuscì solo a sussurrare “Grazie dei fior.”

  
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