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Autore: Lachesis    06/03/2010    5 recensioni
Due persone, la passione per il teatro ed un un ciclo di serate incentrate sulle principali tragedie del drammaturgo inglese più famoso, William Shakespeare;
il tutto provocato dalle semplici, ma strane, coincidenze della vita.
Buona lettura.
Genere: Romantico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ad Alba ed alla sua insistenza

 

 

 

 

 

Ad Alba ed alla sua insistenza;

questa storia senza di lei non esisterebbe.

 

 

 

 

 

 

 

 

“Call me but love.”

 

 

 

 

 

 

 

 

 La platea è quasi piena; d’altronde, è abbastanza normale, sono le 21.15 e l’inizio della rappresentazione è fissato alle 21.30.

Con lo sguardo cerchi la fila I e, quando la individui, ti siedi al posto numero nove.

Una volta comoda, ti guardi intorno: ti trovi all’incirca in mezzo alla sala, distante meno di tre metri dal palco; la tua visuale è perfetta, non avendo nessuno davanti. Alla tua sinistra non c’è nessuno, puoi tranquillamente riporre il tuo cappotto nero sul sedile; alla tua destra invece vi è un foglietto di carta con la scritta “Riservato”.

Le luci si abbassano, creando un’atmosfera piacevole e rasserenante, rendendo impazienti gli spettatori per l’imminente sceneggiato.

Romeo e Giulietta.

Con quale altra tragedia di Shakespeare cominciare la prima di quattro serate incentrate sulle opere del più acclamato poeta e drammaturgo inglese?

 

 

 

Two households, both alike in dignity

In fair Verona, where we lay our scene,

From ancient grudge break to new mutiny,

Where civil blood makes civil hands unclean.*

 

 

 

Ti sorprendi a ricordare a memoria il prologo, sussurri le parole con un po’ di insicurezza, ritrovandoti nei versi espressi dal Coro.

In pochi minuti sei già persa nell’Italia del Cinquecento, smarrita tra gli avvenimenti che sai e che nonostante ciò conosci nuovamente ogni volta.

Why, such is love’s transgression, sta pronunciando Romeo con forse eccessiva enfasi. Te lo sei sempre chiesta anche tu, perché l’amore debba comportare delle sofferenze, accrescere il dolore.

L’attore fa quel monologo calcando troppo le parole finali dei versi; per quanto siano importanti, la sua recitazione ti dà fastidio, e niente può evitarti di schioccare la lingua seccata.

«Potevano scegliere qualcun altro più bravo, non le pare?»

La voce proveniente dalla tua destra ti fa sobbalzare. C’è un uomo, quando si è seduto? Non l’hai visto, troppo concentrata sull’opera. Forse ti ha spaventata anche perché sembra averti letto nel pensiero.

«Già, concordo. È un po’ troppo…»

Cerchi nel vocabolario della tua mente una parola semplice, ce l’hai sulla punta della lingua ma proprio non ti viene.

«…esibizionista?» Ha concluso lui per te.

«Sì, sembra voler accentrare tutti gli sguardi su di sé, senza far notare gli altri attori.»

«Probabilmente la sua è solo paura del confronto. Benvolio e Tebaldo recitano molto meglio di lui.»

«Stavo per dirlo io», affermi.

I vostri volti sono rimasti sempre diretti verso il palco, non vi siete mai guardati in faccia durante quello scambio di frasi, tu non ne hai sentito il bisogno.

La curiosità però si è impadronita di te; senza farti notare, con la coda dell’occhio dai una sbirciatina, per quanto permetta l’oscurità.

Il tuo vicino è abbastanza giovane, sui trentacinque anni, moro. Non riesci a carpire ulteriori particolari, perciò ti risistemi meglio contro lo schienale e rivolgi la tua attenzione ancora sul palcoscenico.

Dopo qualche minuto, ecco la scena più famosa in tutto il mondo: Giulietta si affaccia al balcone, e pronuncia la frase «O Romeo, Romeo! Wherefore art thou Romeo? …».

Il discorso prosegue. «What’s in a name? That which we call a rose by any other name would smell as sweet», mormori ancora, quasi inconsapevolmente.

«I take thee at thy word. Call me but love, and I’ll be new baptiz’d; Henceforth I never will be Romeo.»

Ti giri verso di lui. Ha pronunciato la risposta di Romeo perfettamente, azzeccando ogni singola parola ed accento. Non sei l’unica lì quindi che conosce il testo by heart. Scommetteresti che tra tutte le persone presenti non ci sarebbero cinque persone a sapere le battute, e guarda caso ne hai una accanto a te.

Probabilmente lo sta pensando anche lui, e vi sorridete leggermente.

Lo spettacolo continua, assai più velocemente; quando qualcosa ti piace faresti di tutto per far scorrere il tempo più lentamente, ma quello letteralmente ti frega, scappando via, sempre più veloce, attimo dopo attimo.

Ed è così che si è giù giunti alla fine.

Da un lato, ne sei contenta: non vedi l’ora che quell’attore mediocre che impersona Romeo si tolga la vita; sei quasi tentata di salire tu stessa sul palco, in quanto con la sua interpretazione egocentrica ha nettamente rovinato l’intera rappresentazione.

Cala il sipario e piovono gli applausi. Sia tu che l’uomo vicino a te applaudite poco convinti.

Prendi il giaccone, ti vesti.

Lui si alza, sistema il bavero del cappotto grigio e poi si gira verso di te.

«Buona serata, signorina.»

Tu contraccambi il saluto, leggermente arrossita a causa del sorriso che ti ha rivolto e soprattutto per il “signorina”. Hai ventinove anni, la tua età la dimostri pienamente e, per quanto lui abbia detto giustamente – non sei sposata – quella parola ti lusinga, ed esci dal teatro contenta.

 

 

 

 

***

 

 

 

 

Una settimana dopo, la fila H, posto sette.

Più o meno la stessa posizione della volta precedente. Ti incammini in mezzo al teatro cercando il tuo posto ed, appena ti immetti nella fila di sedili, noti subito al posto sei lo stesso uomo dell’altra volta. Istintivamente sorridi. Non ci avevi nemmeno pensato, anzi, probabilmente se ci avessi sperato ci saresti rimasta male, capitando seduta in parte ad una famiglia al completo rumorosissima o ad una delle solite donne un po’ snob o, peggio ancora, pettegola.

Stavolta l’altro posto in parte non è libero, devi tenere il giubbino in grembo, mentre appoggi la borsa per terra.

«Salve», dici, voltando un po’ la testa verso lui.

Noti la sorpresa nei suoi occhi, quando si gira verso di te. Anch’egli non se l’aspettava.

«Che coincidenza, buonasera.»

«Infatti, è inaspettato.»

«La probabilità che succedesse era davvero minima» asserisce lui, mentre tu ti ritrovi ad annuire.

Non ti preoccupi di chiedergli come si chiami, e ti concentri invece sulla tragedia a cui state per assistere, ed apri il depliant informativo che ti hanno consegnato all’entrata.

«Otello, the Moor of Venice», legge lui.

«Non mi dica che conosce anche quest’opera a memoria», gli chiedi.

«Soltanto alcune parti, lei invece?»

«Pure io.»

Osservandolo, pensi che lui potrebbe benissimo recitare nella parte di Otello. Prima che si abbassassero le luci hai potuto notare la carnagione olivastra e gli occhi profondi, neri come la pece.

La rappresentazione comincia.

Questa volta apprezzi gli attori. Il Moro è pienamente calato nella parte, ti trasmette tutto l’amore che prova per Desdemona e riesce persino a far intravedere quella briciola della sua anima che lo porterà alla distruzione, quella miccia di gelosia che verrà accesa, fatta divampare ed ingigantita il più possibile da quel vento pericoloso ed annientatore che è Iago.

 

 

 

O, beware, my lord, of jealousy;

It is the green-eyed monster which doth mock

The meat it feeds on; that cuckold lives in bliss

Who, certain of his fate, loves not his wronger;

But, O, what damned minutes tells he o'er

Who dotes, yet doubts, suspects, yet strongly loves!**

 

 

 

Sempre, dalla prima volta che hai letto la tragedia o che l’hai vista rappresentata, hai provato un po’ di rabbia dentro.

Ti senti frustrata perché sai che non puoi nulla contro i sospetti seminati nel cuore del Moro, sospetti che crescono di continuo e che hanno ormai piantato le radici.

«Heaven truly knows that thou art false as hell», sussurra lui, in parte a te, con un tono di rassegnazione.

Tu ti meravigli a parlargli senza pensarci due volte, anzi, senza proprio pensarci.

«Le incomprensioni sono così strane, sarebbe meglio evitarle sempre; e non rischiare di aver ragione, che la ragione non sempre serve».

Lui ti guarda interrogativo. Non ci credi neanche tu che ti sei ricordata le prime parole di una vecchia canzone dei Tiromancino. Glielo chiarisci, e poi vai avanti a spiegarti.

«Ciò che non sopporto, ma a cui sono obbligata ad assistere inerme, è il fatto che ad Otello e Desdemona sarebbe bastato parlare un po’ di più, rivelarsi i propri dubbi e soprattutto fidarsi più l’uno dell’altra. Desdemona può trovarsi pure dalla parte della ragione, ma tanto si sa che fine farà.»

Lui annuisce con il capo. «Sono due idioti.»

Inclini la testa, invitandolo silenziosamente a proseguire.

«Non ho dubbi sull’amore che provano entrambi, quello che è mancato loro è stato solo un po’ di cervello, in particolare a lui che è completamente impazzito per via della persuasione di Iago. Anche se…» Lo vedi incerto, ed anche un po’ inquieto.

«Anche se…?» lo sproni.

Lui accenna un mezzo sorriso. «…l’amore ti destabilizza, ti fa perdere il tuo equilibrio mentale.»

«Purtroppo, hai ragione», rispondi, pensando alle tue esperienze passate con gli uomini.

Siete passati al tu, senza chiedervelo perché non ne avete sentito l’occorrenza.

La scena clou, quella che fremi ogni volta di vedere, è arrivata: dopo qualche scambio di battute, Otello uccide la sua sposa. E tu, coinvolta interamente, non riesci a trattenerti dal rabbrividire, cercando istintivamente un contatto. La tua mano si poggia sul braccio del tuo vicino di posto, stringendolo lievemente.

Lui non ti dice niente, e non si scansa.

Alla conclusione, questa volta applaudisci fragorosamente.

Raccogli la borsa da terra e ti vesti. Le luci si sono riaccese.

Non riesci a frenare la lingua quando gli chiedi: «Verrai a vedere anche Antonio e Cleopatra, mercoledì prossimo?»

Lui alza la testa dopo aver indossato il cappotto. «Hai comprato anche tu il biglietto per il ciclo completo allora?»

«Non ti hanno mai detto che non si risponde ad una domanda con un’altra domanda?» gli fai notare scherzando.

Lui alza il sopracciglio destro. «Non l’hai appena fatto anche tu?»

E vi ritrovate a ridere come due vecchi amici.

«Sì, comunque, ho i biglietti per tutto il ciclo. – gli rispondi – Però non li ho comprati, me li hanno regalati due amiche, sapendo quanto io adori il teatro, anche se stranamente non avevo sentito parlare di questo ciclo di rappresentazioni shakesperiane.»

Lui rimane colpito. «Vale la stessa cosa per me, non ne avevo proprio idea. Poi ho comprato un singolo biglietto della lotteria della parrocchia per le festività natalizie, ed ho vinto proprio questa serie di spettacoli.»

Che coincidenza, pensi. Nessuno dei due ne era a conoscenza, ma il fato ha voluto farvi incontrare.

Il fato? No, pensi, ti correggi, il fato non esiste.

«Ancora non mi hai risposto, comunque», gli dici.

«Sì, ci sarò.»

Successivamente gli auguri la buonanotte, ed esci all’aria fresca di quella notte incamminandoti verso casa.

 

 

 

 

***

 

 

 

 

Durante i giorni che ti separavano da questo mercoledì hai pensato spesso a lui, al contrario della settimana precedente. Una notte sei persino arrivata a sognarlo mentre interpretava il Moro, mentre tu eri Desdemona; lui era sul punto di ucciderti quando ad un tratto si interrompeva, dicendo “Ma che idiota che sono”, ed allora si avvicinava sempre più con il viso. Tu socchiudevi le labbra, pronta già a ricevere quel bacio che agognavi, ma naturalmente a quel punto la sveglia suonava, riportandoti alla realtà.

Ti sei sentita come un’adolescente alla prima cotta, alla prima esperienza, eppure non te ne sei vergognata.

Forse l’hai avvertita solo tu quell’intesa, quel filo di collegamento invisibile che si era formato in quelle due prime serate, o forse l’ha sentito anche lui, non lo sai e non puoi saperlo fino a quando non lo rivedrai.

Fila I, ancora, posto dieci.

Ti siedi, ti sistemi, ti metti a tuo agio, fai le solite cose di routine anche se stavolta compi un’azione in più: continui a guardarti intorno. Pensi che sarebbe impossibile essere vicini ancora una volta, ed allora lo cerchi nelle file davanti, ti volti speranzosa verso quelle dietro. Guardi alla tua destra, poi ancora alla tua sinistra, provi persino a setacciare i posti sulle balconate.

Il sipario si alza, segno che lo spettacolo sta per cominciare.

Dai un’occhiata ancora dappertutto, in ogni angolo possibile, e ne rimani delusa.

Lui non c’è.

Per tutta la rappresentazione una parte di te, quella sognatrice, spera che lui spunti, improvvisamente, pronunciando una scusa qualsiasi per giustificare il ritardo; ma la te stessa obiettiva sa che d'altronde voi due vi conoscete a malapena, non vi siete dati un appuntamento – “in un certo senso sì”, afferma la te sentimentale – e di sicuro lui non deve giustificarti niente.

Tenti con ogni parola di razionalizzare il tutto, anche se capisci che quello che stai facendo altro non è che consolarti da sola.

Ti senti la solita illusa. Non ti rimane altro da fare che distrarti con lo sceneggiato.

 

 

 

 

***

 

 

 

 

Fila L, posto otto.

A separarti dal palco c’è solo un metro, se ti alzassi e allungassi la mano riusciresti quasi a toccare il tendone rosso del sipario.

Stavolta la tua speranza è stata stroncata sul nascere: quando sei arrivata, hai individuato subito il tuo posto tra una signora anziana, sui settant’anni, ed un giovane ventenne che non ha esitato a lanciarti un’occhiata maliziosa. Beh, probabilmente è stato il tuo tubino nero elegante, o forse il leggero trucco che hai messo per rendere il tuo sguardo più intenso, ed ovviamente quel ragazzino cresciuto, ancora in preda agli ormoni, non appena aveva visto un paio di gambe e dei tacchi si era eccitato.

Ti eri agghindata così anche le altre volte, in quanto secondo te bisogna essere eleganti per rendere omaggio al genio di Shakespeare ed al teatro in sé; in ogni caso, il suo sguardo non era mai stato pesante, tutt’altro.

Ti limiti a controllare solo in parte se lui sia presente; non lo vedi, e ti rassegni, decidendo di dedicarti esclusivamente all’Amleto.

Ti viene spontaneo, come al solito, sussurrare i versi, ma non c’è nessuno accanto a te con cui discuterne: il ragazzino s’è addormentato – chissà perché è venuto, ti domandi – e la signora anziana è persa a chiacchierare con un uomo alla sua destra, che presupponi essere suo marito.

Amleto giunge al celebre monologo, quando la signora, alzando la voce, ti domanda: «Mi scusi, ma dov’è il teschio? Perché non lo tiene in mano?»

Tu automaticamente sorridi, è il tipico stereotipo associato al principe danese.

Stai per risponderle che è una consuetudine comune quella di aspettarsi di vedere Amleto con il teschio enunciare il To be, or not to be: that is the question, che in realtà si tratta di due scene differenti, il teschio compare solo più avanti quando il principe si reca al cimitero nel V Atto. Stai appunto per dirle tutto quello che ti è passato per la testa, ma una voce ti precede. E non una voce qualsiasi.

Dal sedile nella fila dietro, corrispondente al tuo, lo senti spiegare alla coppia esattamente quello che tu hai pensato. Incredula ti volti, incontrando subito i suoi occhi neri che ti sorridono.

Stai per parlare ma di nuovo lui ti precede. «Ssh, ci vediamo fuori non appena è finito, se no disturbiamo.»

Tu annuisci, e ti rigiri emozionata, con il cuore che batte a mille. Sei sicura, anche senza specchiarti, che hai le guance rosse e gli occhi che brillano.

Il tempo ancora una volta ti gioca un bello scherzetto, la rappresentazione non sembra terminare più. Con il pensiero pensi e ripensi a quante battute manchino, sei tentata quasi di contarle per far trascorrere quei minuti.

Quando finalmente arriva la fine, sei agitata come non mai. Lui ti sta aspettando sulla soglia del teatro, vicino alla scalinata presente all’ingresso. Non appena lo raggiungi ti porge il braccio, da vero gentiluomo.

«Ti devo chiedere scusa», afferma.

Tu gli domandi perché.

«Per mercoledì scorso, ti ho dato buca.»

Sei sorpresa perché non ci credi, quindi lui ti ha pensata quando non è venuto.

«Non preoccuparti, figurati.»

«No, davvero, mi dispiace perché ti avevo assicurato che sarei stato presente; purtroppo all’ultimo momento sono stato trattenuto in ufficio, a causa di una riunione straordinaria e…»

Lo fermi con un timido gesto della mano.

«Va bene così, ti ringrazio.»

Sei lieta che lui ci tenga tanto a scusarsi, ti senti quasi… importante.

Rimanete lì un minuto buono a fissarvi, ancora a braccetto, mentre le ultime persone escono dal teatro e se ne vanno.

Hai la gola secca, non sai come ma riesci ad articolare qualche parola. «Ti va di bere qualcosa?»

«Certo», ti risponde lui, per poi chiederti se conosci un locale lì vicino.

Ti viene in mente subito quel bar tranquillo, all’angolo della strada, con un’atmosfera tranquilla e calda, e non esiti a metterti in cammino.

Non sai cosa aspettarti di preciso, come si evolverà la storia, ma intanto stai vivendo il presente; d’altro canto, come dimenticare il Carpe diem di Orazio?

Sai solo che da quattro tragedie, complice forse il destino, è nato qualcosa di positivo. La vostra affinità e complicità sono evidenti; c’è pure dell’attrazione fisica, almeno da parte tua, perché quegli occhi ti fanno proprio sentire le farfalle nello stomaco. Forse stai correndo un po’ troppo, sei un po’ timorosa a dare un nome a quel sentimento. Però le parole di Giulietta ti tornano inarrestabili in mente: d’altra parte, cos’è un nome? Niente che possa cambiare ciò che è.

 

 

 

 

 

 

 

 

* Romeo and Juliet, William Shakespeare - Prologue;

** Othello, the Moor of Venice, William Shakespeare - Act III, Scene III;

 

 

 

 

 

Nota dell'Autrice

In primis grazie per essere arrivati in fondo; è davvero una storia senza pretese, conclusa ma con un finale aperto: potete immaginare ciò che volete sul futuro dei due appassionati di teatro. Può considerarsi un tributo a Shakespeare ed alle sue mitiche tragedie, così capaci di colpire al cuore. Spero vi sia piaciuta.

 

Lachesis

   
 
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