{Dedicata
a Noemi semplicemente
perché ne
avevo voglia}
Non avevo voglia di scrivere qualcosa a fandom DN, però...
Boh, mi è venuta l’ispirazione
e mi sono limitata a scrivere XDDD
Citazioni dal particolarissimo opening
di Mouryou no Hako, versione completa qui:
«Lost
in Blue» dei Nightmare. Nel titolo invece l’ending
dello stesso anime, però non
mi va di mettermi in caccia dei link sul tubo XDDD
L’ispirazione dalla prima e unica dou B/L che ho avuto sotto
mano – una raw
alquanto bruttina, a dire il vero XD, sotto ogni punto di vista.
Durante la
stesura, «Nothing can be explained
(Vocal
Version)» dalla OST di Bleach. Oggi
sono logorroica, eh già XDDD
Buona lettuuuura *sparisce* Katekyo ondooo~
Kietai,
kienai, kietai...
Zutto itakute tsurakute demo kesenakute.
[Voglio
cancellarlo, non posso
cancellarlo, devo cancellarlo...
È sempre doloroso, penoso, però non si cancella.]
B non era affatto un
bambino cattivo come gli altri erano soliti descriverlo –
lui era un piccolo scienziato,
analizzava attentamente ogni oggetto gli si ponesse sotto agli occhi,
fra le
mani. Lo apriva, sezionava, svuotava
minuziosamente, memorizzava quel che era in esso contenuto e poi si
dava allo
studio di un manufatto dello stesso genere alla ricerca delle
differenze e dei
punti comuni.
Era brillante e
qualche volta il Maestro era orgoglioso di avere a che fare con
una mente di tale calibro: “Anni spesi bene,” si
diceva mentre chinava il capo
di lato e osservava come gli studenti eseguissero (quasi)
diligentemente il
proprio compito.
B non era un bambino cattivo, anzi, era molto tranquillo ed educato.
Sedeva al lato del campo da gioco e seguiva con gli occhi i compagni
mentre
essi correvano avanti e indietro, avanti e indietro. Si spaventava per
il nulla
e rimaneva immobile di fronte a quel che inorridiva gli altri.
Quando la piccola F si ruppe il naso per una pallonata non mosse un
muscolo
nella sua direzione – D, invece, spesso decantato come il
più coraggioso della combriccola,
era svenuto di fronte al
sangue e alle urla di dolore della compagna di giochi. B era invece
quasi
scoppiato a piangere la prima volta che A aveva rifiutato di mangiare
gli
ultimi chicchi di riso. E la seconda volta, e la terza, e la quarta.
B non era un bambino cattivo, né psicopatico o cinico come
gli altri lo
descrivevano.
Intimamente adorava restare in compagnia degli altri, guardarli,
guardarli per
ore senza aprir bocca. Osservare con curiosità e rispetto i
loro visi e l’aria
che li circondava, tanto che se avesse visto i pensieri scivolare fuori
dalle
orecchie ne sarebbe stato meno interessato.
Era curioso, confuso, innamorato della vita e del suo scorrere.
“B non è un bambino cattivo,” questo il
primo pensiero di L quando vide il
tanto discusso ragazzino fare il proprio ingresso nella biblioteca.
Ascoltò i
suoi passi e le sue parole, nascosto dietro lo scaffale dei libri di
scienze
naturali.
Fu una conversazione breve e poco significativa – nessuno dei
due era abituato
a rapportarsi con altri, così a malapena sapevano da dove
partire. Gli offrì un
dolce, il più grande.
«Non mi interessa molto il cibo,» la risposta
borbottata di B.
«Prendi un pasticcino dal vassoio sul tavolo,» gli
ripeté mentre trascinava la
scala di metallo sotto il libro che desiderava prendere e ci si
arrampicava
faticosamente. «Uno solo, mi raccomando, li ho
contati».
Il più piccolo dei due aveva allora eseguito, rimanendo
piacevolmente sorpreso
dalla moltitudine di sensazioni che colpirono i suoi sensi in quel
momento.
B non era un bambino cattivo, però avrebbe potuto sembrarlo
mentre con il
temperino recuperato dalla stanza del Maestro si avventava sul criceto
amorevolmente accudito dalla classe, in angolo del giardino, dando le
spalle al
grosso muro scuro.
Gli occhi sgranati, lacrime sulle guance e una risata incerta in
bocca, quando
non poté più leggere nulla
sopra la testa del piccolo animale. E mentre
quel corpicino inerme diventava sempre più freddo, raccolto
sul ventre di Beyond, questo
rifletteva.
Si diede del pazzo, se lo disse sul serio, quando avvicinò
il dito sporco di sangue alle
labbra.
«Che
schifo».
Mou
ii kai?
Mou ii yo.
Arigatō.
Sayonara!
[Ora va bene ?
Ora va bene.
Grazie.
Addio!]