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Autore: Mapi D Flourite    09/03/2010    4 recensioni
[James/Juliet]
«È stato quel sottomarino dietro di te a portarmi qui,» spiegò. «Ho cercato per più di tre anni di andarmene da quest'isola e adesso ho la mia occasione.» James distolse lo sguardo e abbassò il viso, cercando in ogni modo di liberarsi del peso opprimente che sentiva crescergli dentro insieme alla delusione e alla consapevolezza fin troppo amara di aver già capito dove questo discorso li avrebbe portati.
«Io vado via.»
Genere: Romantico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Juliet, Sawyer
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Titolo: Who's gonna get my back?
Pairing: James/Juliet
Rating: G
Conteggio  Parole: 1749
Warnings: Nessuno
Spoiler: 5x08, LaFleur

Note: Scritta per il Meme della Quaresima indetta da Michiru_kaiou7.
Rivisitazione introspettiva dei pensieri di James alla fine di LaFleur, quando lui e Juliet si confrontano sul molo circa la decisione di lei di partire dall'isola.
Il titolo è evidentemente una citazione tratta dall'episodio, mi è sembrata indicata e i dialoghi sono stati da me medesima tradotti dall'Inglese, non li ho presi dalla puntata in Italiano. Che altro dire se non che questi due sono la cosa più dolce dell'intero universo?
Al solito, buon caffè a tutte, Sulieters! ;)

Disclaimer: Lost appartiene a J.J. Abrams, Damon Lindelof, Jeffrey Lieber e alla ABC, che ne detengono tutti i diritti. Non è scritta a scopo di lucro, ma di ludo, esclusivamente principalmente il mio.

-:-:-

Se ne stava là seduta sul molo con le gambe incrociate, a guardare persa i riflessi delle luci artificiali che scintillavano sul mare calmo; i suoi capelli erano un disastro, i vestiti sporchi e sgualciti e il viso stravolto dalla stanchezza che – non lo vedeva ma, in qualche modo, lo sapeva –, lentamente, sembrava quasi cedere alla tentazione di lasciarsi andare un attimo, solo per poter riprendere fiato prima che l'indomani e la luce del sole esigessero di nuovo di averla in prima linea, determinata e forte come lo era sempre stata, in ogni momento della sua vita.
Squarciando la penombra con il suo passo sicuro si avvicinò a lei, alle sue spalle, parlandole a voce alta, forse fin troppo tranquilla, rilassata.
Ne aveva già parlato con tutti gli altri – tutti tranne Juliet; quando era uscito a riferire le parole del capo della Dharma mancava soltanto lei all'appello, sparita chissà dove – e tutti quanti gli avevano dato la stessa risposta, unanimi: gli era parso strano che nessuno avesse avuto niente da ridire, questa volta. Forse il peso di quegli ultimi giorni cominciava a farsi sentire e, in realtà, tutti avevano semplicemente accettato di prendersi una piccola pausa, prima di ricominciare a muoversi come disperati verso l'ignoto.
«Ho guadagnato due settimane,» le disse, quando era ancora lontano. «Horace ha detto che possiamo aspettare il prossimo sottomarino,» spiegò. Ormai le era arrivato accanto e si lasciò cadere su una cassa che si trovava quasi al limitare del molo, a pochissimi centimetri da Juliet. «Con un po' di fortuna,» continuò, «per allora Locke sarà già tornato.»
Juliet non si voltò a guardarlo. Rimase seduta immobile, la schiena diritta e raccolse le mani in grembo, lasciando che di lei potesse arrivargli soltanto la sua voce. «E poi?»
James sentì qualcosa attraversargli il corpo e fece scattare il viso verso di lei, senza ben rendersi conto di quello che stava succedendo; l'unica cosa che capiva era che quella conversazione non sarebbe dovuta andare in quel modo. «Che vuol dire "e poi"?» sbottò, allibito, mentre una leggera sfumatura di stizza saliva direttamente dal suo stomaco a imbrattare la domanda.
«Locke ha detto che se ne sarebbe andato per salvarci.» Finalmente aveva girato il viso e lui la osservò con la bocca spalancata mentre lei si sistemava più comodamente per poterlo guardare negli occhi, e continuava, senza sfumatura nella voce, a riversargli addosso parole che si incuneavano direttamente sotto la sua pelle, nel suo stomaco. «Non ci sono più flash, sono finiti e niente più sangue dal naso. Noi siamo salvi.»
James non permise nemmeno all'aria che aveva trattenuto per tutto il tempo uscirgli dai polmoni e continuò a guardarla, sentendo tutta la propria energia scivolargli via dalle spalle fino a terra, svuotandolo di qualsiasi speranza che non aveva ancora avuto nemmeno il tempo di formulare.
Aprì la bocca, forse per parlare, ma non disse nulla. Non riusciva a dire nulla mentre lei continuava a parlargli tranquillamente, risoluta, come se non si rendesse minimamente conto dell'effetto che le sue parole avevano su di lui. E forse era così.
«È stato quel sottomarino dietro di te a portarmi qui,» spiegò. «Ho cercato per più di tre anni di andarmene da quest'isola e adesso ho la mia occasione.» James distolse lo sguardo e abbassò il viso, cercando in ogni modo di liberarsi del peso opprimente che sentiva crescergli dentro insieme alla delusione e alla consapevolezza fin troppo amara di aver già capito dove questo discorso li avrebbe portati.
«Io vado via.»
No.
Si sentì tremare, anche se impercettibilmente, e sapeva che non era a causa del vento. Quelle parole lo avevano colpito come una sferzata, giù, fin dentro, lasciandolo a boccheggiare, mentre la sua mente si svuotava di colpo e i suoi occhi spalancati restavano fissi ad osservare l'acqua placida che si agitava pigramente sotto di loro. Non si sarebbe mai aspettato che, tra tutti, fosse proprio lei l'unica a prendere la decisione di abbandonarlo.
Doveva convincerla a restare.
Era un pensiero irrazionale; irrazionale ed egoista: lui sapeva, infondo, che lei aveva ogni diritto di decidere se abbandonare o no quell'inferno, tutti loro l'avevano; sapeva che avrebbe dovuto alzarsi da lì e sorridere, dirle che era una sua scelta, e allontanarsi, così come era venuto, per poi andare avanti con quello che restava della sua vita e aspettare fino a che Locke non fosse tornato, almeno per il tempo che quelli della Dharma avrebbero concesso loro.
Eppure tutto il suo corpo fremeva alla sola idea di essere lasciato solo, e lui sentiva nitidamente che se si fosse lasciato scivolare via dalle dita anche lei e le avesse permesso, l'indomani mattina, di prendere quel sottomarino senza combattere, lo avrebbe rimpianto fino alla fine dei suoi giorni.
Aveva bisogno che lei restasse.
Non era solo una questione di fiducia, era qualcosa di più profondo, qualcosa di già radicato dentro di lui che non sarebbe più riuscito a far scomparire, nemmeno se lo avesse voluto.
Forse, semplicemente, iniziava ad aver bisogno solo di lei.
Si voltò nuovamente a guardarla e sentì la propria mente muoversi velocemente alla ricerca di un appiglio, di qualsiasi cosa avrebbe potuto aiutarlo a convincerla a restare. Si morse la lingua, quasi, al solo pensiero di che razza di cose era riuscito a far fare a tanta altra gente prima di quel momento e che, adesso, non era neppure in grado di persuadere qualcuno a cambiare idea.
Non era consolante sapere di essere più spontaneo a mentire che non a dire la verità; tuttavia, avrebbe almeno dovuto provarci.
«Ti rendi conto che siamo nel 1974?» si sentì dire, con una voce molto più instabile di quanto si fosse aspettato. Juliet lo guardava, un'espressione così esausta sul viso da sembrare quasi serena, con il gomito appoggiato alla cassa accanto a quella su cui era seduto lui. Inspirò e continuò a parlare, cercando di suonare più convincente possibile: «Qualsiasi cosa tu ti aspetti di trovare, tornando indietro, non esiste ancora.»
Juliet abbozzò un sorriso e si passò una mano sul viso, scostandosi una ciocca di capelli dalla guancia. «Non è una ragione per non andare,» sussurrò, molto più convincente di lui, e si voltò di nuovo, raccogliendo le gambe al petto e appoggiando i gomiti sulle ginocchia.
James rimase a guardarla a bocca aperta, scosso.
Lei non avrebbe cambiato idea. Lo capiva dai suoi gesti, dal modo in cui guardava avanti, verso il mare, al di là di quella massa d'acqua che l'aveva tenuta prigioniera fino a quel giorno. Sentì le parole venirgli meno e gli venne quasi l'impulso di gettarsi in ginocchio accanto a lei per pregarla di non lasciarlo, per supplicarla di rimanergli accanto anche questa volta.
Si sentiva quasi un idiota al pensiero di essere arrivato al punto di non poter già fare più a meno di lei, e si sentì ancora più idiota quando si rese conto che, con tutta probabilità, visto il modo in cui era pronta a lasciarselo alle spalle così facilmente, per lei non era minimamente lo stesso.
«E io?» Le parole gli uscirono dalle labbra ancora prima che lui fosse stato in grado di formularle e la vide voltarsi, gli occhi sgrananti per la sorpresa e un sorriso quasi abbozzato sulle sue labbra, catturata forse più dal suo tono disperato che non da ciò che le aveva appena detto. Lui le restituì lo sguardo e pensò, in un barlume di follia, che se non era riuscito a farle cambiare idea facendo leva sul suo buon senso, lo avrebbe fatto sui suoi sensi di colpa. Sollevò lo sguardo verso il cielo e cercò di suonare il meno disperato possibile mentre agitava le mani in aria per chiarire il concetto. «Hai veramente intenzione di mollarmi qui con lo scienziato pazzo e il signor Io-parlo-con-la-gente-morta?»
Vide Juliet cercare di trattenere un ghigno e poi sorridere, coprendosi la bocca col dorso della mano per non lasciar scappare le risate. «E Jin, che è sì un bravo ragazzo, ma non è esattamente un grande conversatore.»
Juliet lo ascoltava e rideva, a bassa voce, mentre lui terminava la sua arringa e si voltò nuovamente verso di lui e, questa volta, gli mostrò un sorriso vero, divertito e dolce. «Te la caverai,» lo rassicurò, quasi come se cercasse di togliersi di dosso un profumo che le era già entrato nella pelle.
E lui, in qualche modo, capì di aver fatto breccia. «Forse,» ammise e sentì il petto gonfiarsi mentre sollevava gli occhi e lasciava che fosse quel calore che sentiva alla bocca dello stomaco a parlare per lui: «Ma chi ci sarà a guardarmi le spalle?»
I loro occhi si incontrarono di nuovo e rimasero immobili, come sospesi nell'aria leggera della notte e James si ritrovò a sorriderle, forse per la prima volta quella sera, mentre sentiva di non poter più reggere troppo a lungo quell'attesa snervante di un sì che gli stava prosciugando l'anima. «Andiamo,» sbottò, senza smettere di sorridere, cercando di imprimere in quella parola tutta la forza che aveva in corpo per abbattere il muro che lei sembrava starsi costruendo intorno.
«Dammi solo due settimane,» continuò, imperterrito, continuando a bersagliarla e ad attirarla a sé, cercando in ogni modo e con ogni tono di voce possibile di non permetterle di rispondergli ancora di no. «È tutto quello che ti chiedo: due settimane.»
Juliet distolse lo sguardo e aprì la bocca per parlare, ma non disse nulla. James si ritrasse impercettibilmente quando lei scosse il capo e si voltò a guardarlo, quasi imbambolata come lo era stato lui poco prima, mentre lei gli diceva risoluta che aveva intenzione di andarsene. Rimase ad osservarlo a lungo, in silenzio, con un sorriso stanco che le affiorava sulle labbra e piegò la testa di lato, sopraffatta, forse, dall'espressione di James che sembrava un improbabile misto tra insistenza e disperazione.
Juliet rise, cedendo sotto il suo sguardo. «D'accordo,» gli concesse, «due settimane.»
Il sorriso sul viso di James si allargò fino ai suoi occhi e lui sollevò il viso, incontrando l'aria fresca della notte che, finalmente, riusciva a dargli un po' di pace. Due settimane erano niente, soltanto briciole di tempo, e vista la loro fortuna, quasi sicuramente non sarebbero bastate.
Ma era riuscito a convincerla a dargli un po' di tempo, e questa era la sola cosa che contava, al momento.
Abbassò nuovamente gli occhi per guardarla, incontrando la sua nuca, e si sentì leggero come non ricordava di esserlo mai stato in tutta la sua vita. Non sapeva che cosa sarebbe successo in quelle due settimane, ma sentiva distintamente che davanti a lui si era aperta una nuova strada che non vedeva l'ora di intraprendere.
E con lei al suo fianco e a guardargli le spalle, lo sapeva, sarebbe arrivato ovunque.


  
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