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Autore: allanon9    12/03/2010    6 recensioni
Oneshot. Che succederebbe se i nostri due eroi si perdessero su una strada di campagna? Forse scoprirebbero qualcosa di più sul loro legame.
Genere: Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Autore: Allanon9
Spoilers:
Nessuno

Pairing: Jisbon
Rating: Per tutti
Disclaimer: I personaggi citati in questa fanfiction non mi appartengono, ho solo preso liberamente spunto dalla serie "
The Mentalist" di proprietà della CBS.

 

 

Sulla strada verso casa.

 

 

Era stata una lunga e faticosa giornata per Teresa Lisbon.

Era iniziata con l’arrivo di un messaggio, da parte del procuratore, su un omicidio avvenuto in una sperduta zona nei pressi di Weed, nell’estremo nord della California.

Naturalmente Jane si era comportato da Jane per tutta la durata del viaggio d’andata e per il resto della giornata,  spesa tra interrogatori e raccolta delle prove.

Teresa aveva scelto di portare due auto: in una c’erano lei e Jane e nell’altra Cho e Rigsby. Van Pelt era rimasta al quartier generale a Sacramento.

Verso la fine del pomeriggio, Teresa, aveva mandato indietro Cho e Rigsby con l’incarico di fare ulteriori indagini sui traffici illeciti che la vittima, un uomo sulla quarantina celibe, aveva a Sacramento, lei e Jane erano rimasti per altre due ore alla centrale di polizia locale ad aspettare i risultati della balistica.

Quindi verso le otto di sera si erano messi in viaggio per tornare a casa.

Teresa aveva accettato di buon grado l’offerta di Jane di guidare, si sentiva davvero a pezzi.

Lei aveva abbassato la spalliera del suo sedile e aveva chiuso gli occhi quasi subito, vinta dalla stanchezza.

Jane aveva chiacchierato sul caso per un po’ poi, non ricevendo risposta da parte sua, si era finalmente zittito. Teresa si poté godere il silenzio solo per poco.

“Accidenti!” Lo sentì esclamare.

Aprì un occhio e lo guardo di sottecchi. L’uomo continuava a girarsi all’indietro con aria contrariata.

“Che cos’è successo?” chiese lei paventando la risposta.

“Abbiamo mancato l’uscita per l’autostrada.” Rispose lui all’apparenza calmo.

“Abbiamo?” disse lei rimettendo a posto il sedile.

“Uhm…” bofonchiò Jane guardandola con l’angolo dell’occhio.

“Dì piuttosto che tu hai perso l’uscita. Sapevo che non dovevo lasciarti guidare.” Si lamentò la donna scuotendo la testa.

“Ok, prenderemo la prossima.” Concluse respirando forte per calmarsi.

“Veramente quella era l’ultima. Ma…”

Lei non lo fece proseguire.

“Accidenti Jane, di questo passo arriveremo domani a mezzogiorno.”

La strada che stavano percorrendo era buia e senza segnaletica, una tipica strada di confine insomma.

“Qualche chilometro indietro ho visto un cartello che indicava un Motel, potremmo fermarci per la notte e domani mattina presto informarci su dove riprendere l’autostrada. Dai Lisbon, prendila come un’avventura.” Jane le stava sorridendo con un’innocente espressione che la fece arrabbiare ancora di più.

“Possibile che sia tutto un gioco per te?” sbuffò.

“Ok, andiamo in questo Motel.” Si arrese.

Era davvero troppo stanca per continuare a discutere con lui.

Jane fece un inversione di marcia e spinse un po di più sull’accelleratore; i minuti passavano ma del cartello neppure l’ombra.

“Sicuro che non te lo sei sognato?” gli chiese lei acida.

“Sì. Ah eccolo, dice a sinistra.” Svoltò e si addentrò in una stardina sterrata. Il Suv sobbalzava ad ogni buca del terreno e, ad un tratto, la strada finì di fronte ad una costruzione molto malandata con un insegna sbiadita che diceva eufemisticamente: ‘Motel’.

Lisbon rimase a bocca aperta e Jane si morse il labbro inferiore.

“Beh, almeno non dovremo dormire in auto.” Disse scendendo dal Suv.

In quel momento un lampo illuminò il cielo e uno scroscio improvviso di pioggia lo investì.

Teresa scese anche lei dal Suv e correndo si rifugiò sotto il portico del fatiscente edificio.

“Hai intenzione di continuare a rimanere sotto l’acqua Jane? Ti prenderai il raffreddore.” Lo prese in giro lei.

Un luminoso sorriso affiorò sul volto di Jane.

“Sai che non mi ammalo mai.” Ritorse arrivando correndo vicino a lei.

“Entriamo.” Disse lei esasperata.

L’interno non era certo messo meglio dell’esterno, ma almeno non entrava acqua dal tetto.

Il piccolo atrio conteneva un divano mezzo sfondato e un bancone marcio che doveva essere stato la reception. Sulla destra si apriva una piccola sala con un caminetto al centro e un altro divano in migliori condizioni, e su questa saletta vi erano delle altre porte che finivano nel buio.

Jane cominciò a guardarsi in giro in cerca di qualcosa che gli facesse luce, trovò una lampada a gas con l’accensione automatica sulla mensola del camino e provò ad accenderla.

Per fortuna si accese subito facendo un po’ di luce sul resto della stanza. Lisbon lo guardò imbronciata.

“Prova ad accendere il camino Jane, io vedo se trovo delle coperte in giro.” Disse spostandosi in una delle altre stanze.

“Lisbon…La lampada.” E gliela porse, lei la prese quasi strappandogliela di mano.

Jane si guardò intorno in cerca di qualcosa da bruciare.

Trovò una vecchia sedia rotta e dei vecchi giornali, ne guardò la data: 21 agosto 1989, erano reperti storici, ma a lui servivano per accendere il fuoco.

Lisbon tornò nella stanza con alcune coperte polverose.

“I letti non esistono più, ma le coperte ci sono ancora.”

Lui le sorrise. “Hai da accendere?” lei fece una smorfia di disappunto.

“Ci sarà pure una cucina da qualche parte.” Disse lui prendendo la lampada dalle sue mani e allontanandosi.

Teresa lo sentì muoversi nella stanza attigua alla stanza da letto e poi lo vide tronare trionfante con dei fiammiferi in una mano e un bollitore per il the nell’altra.

“Trovato.”

Nel giro di dieci minuti il fuoco crepitava nel vecchio camino ed il bollitore era sul fuoco.

“Guarda Lisbon ho trovato anche le bustine di the, beh è un po’ datato, ma non ci ucciderà.”

Disse accovacciandosi davanti al calore delle fiamme.

Lei si era tolta i vestiti bagnati e si era avvolta in una delle coperte. Il riverbero del fuoco le aveva acceso i capelli di riflessi ramati, un delizioso contrasto con gli occhi verdi. Jane la fissò per un momento affascinato.

“Che c’è? Ho qualcosa sulla faccia?” chiese lei notando il suo sguardo intento.

“Come? No, scusa.” Disse abbassandosi per smuovere la brace.

“Jane…”

“Uhm?”

“Dovresti toglierti questi abiti bagnati.” Gli disse con un tono di voce più basso del solito.

“Sì, ora li tolgo. Prima il the.” E versò l’acqua bollente in due tazze sbeccate che aveva reperito chissà dove.

“Puah, che schifo.” Dissero all’unisono e scoppiarono a ridere.

Gli sguardi incatenati, il bagliore del fuoco e l’innaturale silenzio fecero sentire, ai due colleghi, uno strano rimescolamento dentro.

“Mi cambio.” Disse Jane allontanandosi con una delle coperte in mano.

Quando tornò distese la giacca, il gilet, la camicia ed i pantaloni sul divano e si sedette, con solo la maglietta bianca e la coperta allacciata ai fianchi, accanto a Lisbon davanti al fuoco.

Lei lo guardò muoversi piano con la coda dell’occhio.

“Ho fame.” Si lamentò Jane.

“Non pensarci.” Rispose lei appoggiandosi al divano e chiudendo gli occhi.

“Abbiamo altre coperte?” chiese Jane alzandosi.

“Sì, di là ce ne sono delle altre.”

Lui andò e tornò col suo bottino.

“Alzati. Se ne stendiamo un paio a terra riposeremo meglio.”

Dopo averle stese la fece distendere e la coprì con altre coperte.

“Così non avrai freddo se si spegne il fuoco.” Le disse.

Lei arrossì leggermente alla sua gentilezza.

“Grazie.”

Lui alzò le spalle con noncuranza.

“E’ colpa mia se siamo finiti qui, provo a fare ammenda.”

Lei gli sorrise ma non disse nulla.

Avvolta dal calore del fuoco e delle coperte, Lisbon scivolò nel sonno.

Jane rimase ad osservarla per parecchio tempo, tormentando la fede che portava all’anulare sinistro, una fitta di colpevolezza gli attanagliò il petto.

Avrebbe più potuto provare qualcosa per una donna senza sentirsi come se tradisse sua moglie?

I ricordi che per la maggior parte del tempo teneva chiusi in una delle stanze della sua mente, si riversarono dolorosamente su di lui, esaurendo le sue energie.

Alla fine si stese anche lui chiudendo gli occhi, sicuro di non riuscire a dormire, tormentato dagli strani sentimenti che gli si agitavano nel cuore.

Invece si addormentò quasi subito.

Fu un raggio di sole sul viso che svegliò Lisbon l’indomani mattina.

Aveva dormito meglio che negli ultimi mesi. Si era sentita al caldo e al sicuro come non le succedeva da tanto, tanto tempo.

Aprì gli occhi lentamente e si accorse quasi subito del corpo accoccolato contro il suo.

Girò appena la testa e vide il viso di Jane affondato nel suo collo e il suo braccio che la teneva leggermente per la vita.

Piano, per non svegliarlo, scivolò fuori dal suo abbraccio e lui, mormorando qualcosa di incomprensibile, si girò appena.

Il sonno distendeva i suoi lineamenti dandogli un’espressione di beatitudine che non gli aveva mai visto prima.

I capelli investiti dal sole mattutino avevano i riflessi dell’oro puro.

La tentazione di passare le dita in mezzo a quei ricci ribelli fu enorme, ma lei vi resistette stoicamente e, sospirando, raccolse i suoi abiti asciutti e si andò a rivestire.

Quando tornò nella stanza lo trovò sveglio seduto con la coperta che lo copriva solo parzialmente.

“Buongiorno Jane.”

“Ciao.” Bisbigliò lui con la voce impastata di sonno.

“Ti sei già vestita.” Notò alzandosi e afferrando la sua roba.

“Uh Uh.” Rispose lei. Aveva la gola chiusa da una strana emozione. Svegliarsi con Jane accanto che l’aveva riscaldata per tutta la notte e vederlo appena sveglio, senza la maschera che indossava di solito, era un’esperienza senza prezzo.

“Mi vesto anche io e poi andiamo a cercare del cibo. Ho una fame da lupi.” Disse lui sedendosi sul divano e cominciando a vestirsi.

Lisbon pensò che era davvero bellissimo mentre si vestiva, i movimenti lenti e tranquilli, gli occhi luminosi e l’espressione rilassta.

“Che c’è?” chiese lui a disagio per il suo silenzio.

“Niente. Sei pronto?”

Lui annuì indossando la giacca.

“Guido io stavolta, non mi fido di te.” Disse prendendogli le chiavi.

“Ecco che ci risiamo.” Sospirò lui sorridendo.

Uscirono e salirono sul Suv.

“Se ci sbrighiamo saremo a Sacramento per l’ora di pranzo.” Disse Teresa mettendo in moto.

Lui annuì, il solito sorriso beffardo di nuovo al suo posto.

“Andiamo allora?”

“Andiamo.”

E si immisero sulla strada che li avrebbe riportati verso casa.

 

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Grazie a tutte per le recensioni, sono contenta che la storia vi sia piaciuta.

Alla prox.

  
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