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Autore: Yujikki    14/03/2010    3 recensioni
Macabro. Meravigliosamente macabro.
Il tramonto dipingeva di un rosso sanguigno la volta celeste e le nuvole si stagliavano all’orizzonte, rosse, come se fossero state ferite dal Sole stesso.
Deathmask ghignò.
Era un cielo che incorniciava perfettamente il campo di battaglia: i bagliori rossastri del Sole morente facevano risaltare ancor di più i cadaveri insanguinati, e l’ultimo caldo della giornata impregnava l’aria dell’odore acre di carne bruciata.
Deathmask inspirò profondamente.
Adorava sentire quel profumo che si insinuava nelle narici e che le bruciava talmente era aspro.
Genere: Dark, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Cancer DeathMask
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Note:
1. La Fanfiction era stata pensata come pezzo ampiamente descrittivo, ma, come potrete notare, lo è solo nella prima parte, poi l’ispirazione mi ha preso e tutto è andato in malora.
2. Questa FF non ha un vero proprio scopo o una fine.




Macabro. Meravigliosamente macabro.
Il tramonto dipingeva di un rosso sanguigno la volta celeste e le nuvole si stagliavano all’orizzonte, rosse, come se fossero state ferite dal Sole stesso.
Deathmask ghignò.
Era un cielo che incorniciava perfettamente il campo di battaglia: i bagliori rossastri del Sole morente facevano risaltare ancor di più i cadaveri insanguinati, e l’ultimo caldo della giornata impregnava l’aria dell’odore acre di carne bruciata.
Deathmask inspirò profondamente.
Adorava sentire quel profumo che si insinuava nelle narici e che le bruciava talmente era aspro.
Questo era una delle cose che gli faceva amare il suo lavoro, ce n’erano tante altre, ma sicuramente la calma dopo la tempesta, quel senso di potenza che lo pervadeva ogni volta che finiva una missione, quegli odori così caratteristici del suo passaggio e la distruzione che poteva (e riusciva) a lasciarsi dietro erano ai primi posti.
Probabilmente si era lasciato prendere la mano, in fondo doveva solo uccidere un gruppetto di ribelli, ma alla fine ci erano andati di mezzo dei civili. Bèh, niente di preoccupante, qualche ruba aria in meno. La Fine giustifica i mezzi, no? La sua missione l’aveva compiuta, e anche eccellentemente.
Probabilmente quando sarebbe giunto al Santuario i soldati semplici e gli altri cavalieri lo avrebbero guardato schifati, timorosi, terrorizzati, ma questo è quello che lui voleva.
Il terrore sui visi, negli sguardi, lo mandava in visibilio, vedere la paura che si insinuava nelle menti e nel cuore di nemici e alleati era la sua forza. Era il suo vanto.
Amava anche le suppliche, ma le parole, troppo spesso, non dicevano tanto quanto un solo sguardo. L’indifferenza, invece, lo divertiva.
Era sempre meraviglioso sciogliere una maschera compassata, seria, impassibile, in volti terrorizzati, in anime che si scuotevano in cerca di salvezza, in cosmi che da incendi dirompenti divenivano minuscoli lumicini in balia delle sue mani.
C’era chi gli dava del pazzo per questo, per il suo concetto abbastanza relativo di giustizia (“La Giustizia appartiene al più forte!” diceva sempre), per il suo malsano amore per la battaglia e il sangue, c’era anche chi si chiedeva come una persona del genere avesse potuto arrivare alla carica più alta della gerarchia e come poteva difendere la Giustizia della Dea in quel modo.
Lui (prima, ovviamente, di ucciderli) diceva che probabilmente non era sempre stato così. Ma ora, non poteva, non voleva e non gli interessava ricordare il tempo passato.
Si ricordava, però, le linee essenziali, quelle che lo avevano fatto diventare l’essere che era ora.
Aveva catapultato i suoi genitori nel Tartaro alla tenera età di tre anni aprendo per la prima volta il piano parallelo dello spazio, era stato prelevato da casa sua da un gruppo di loschi figuri per essere allenato, le aveva prese sull’Etna per ben cinque anni ed era stato lasciato mesi e mesi nel Tartaro a fare compagnia alle anime.
Quando era riuscito a recuperare l’armatura di Cancer aveva, a buon ragione, ucciso il maestro e aveva anche infierito sul cadavere, poi era partito per Atene.
“Cazzo, non ho da accendere.” Ringhiò Deathmask tenendo una sigaretta spenta in mano. Si alzò dal suo trono di carne e avanzò verso un cadavere con uno smoking nero.
Sicuramente quello stronzo di Aphrodite gli aveva rubato l’accendino per indurlo a smettere di fumare -Rovina la pelle, i capelli e ha un odore nauseante- diceva quella checca. Tsk.
Frugò nelle tasche del corpo “Bingo.” disse tirandone fuori un accendino a scatto laccato di nero.
Accese la sigaretta e se la portò, tenendola fra il pollice e l’indice, alla bocca, fece due tiri veloci e poi espirò lentamente.
Strinse la cicca fra i denti e si stiracchiò, forse era il momento di andare.
Era di certo molto coreografico essere ricoperto di sangue, ma non era per niente comodo o salutare, e Deathmask voleva assolutamente evitare che gli si seccasse addosso.
E poi aveva voglia di una bella scopata, per coronare perfettamente quella magnifica giornata di quotidiana routine, ed era sicuro che Aphrodite non avrebbe di certo disdegnato una proposta del genere.
Iniziò a camminare verso il santuario, se la sarebbe presa comunque con calma, l’attesa fa crescere la voglia, no? Anche se solo immaginare il saint di Pisces mugolante sotto di sé lo spingeva ad allungare il passo.
“E’ stato un piacere conoscervi e discutere con voi!” urlò, poi, ridendo sguaiatamente versò il campo insanguinato, ci avrebbe pensato il Gran Sacerdote a far sparire i corpi.

Detestava con tutto sé stesso le riunioni. Erano fondamentalmente inutili e lui vi si era dovuto recare non appena arrivato alla propria dimora, neanche un bagno era riuscito a farsi e, sinceramente, avere otto paia di occhi indagatori e colpevolizzanti puntati addosso non era di certo divertente, era solamente fastidioso.
Stare ad ascoltare gli altri Saint, poi, che si lamentavano per ogni sottigliezza era veramente uno strazio, in compenso nella prima ora aveva scoperto che il muro est del tredicesimo tempio aveva esattamente 4560 mattoni di marmo. Molto interessante se fosse stato un architetto. E nella seconda aveva scoperto anche che un’inutile guardia semplice guardava insistentemente il culo di Aphrodite non appena si alzava, e questa non era una cosa giusta e, quindi, aveva passato tutta la terza ora a ringhiargli maledizioni e minacce(fondate) di morte contro.
La quarta ora avevano discusso della sua disdicevole condotta morale.
“Cancer, non puoi giudicare e uccidere innocenti. Solo le divinità possono giudicare e noi dobbiamo solamente eseguire gli ordini della somma Athena” gli aveva fatto notare Milo.
“ Innocenti, colpevoli, sono tutti uguali per me.”
“Il concetto non è questo! Tu non sei Dio, Cancer.” aveva aggiunto quel buon samaritano di Aiolia sbattendo una mano sul tavolo e alzandosi in piedi.
“Io non sono Dio infatti” aveva detto Deathmask accendendosi l’ennesima sigaretta “ma ero di certo il più forte fra quegli uomini.”
“Continui a non capire il punto, Cancer.” aveva ripreso Scorpio “Tu non segui le legge divine, imposte dalla nostra stessa Dea.”
“No, siete voi che non capite.”aveva detto Deathmask aspirando il fumo dalla sigaretta “Io seguo una sola legge: quella del più forte. Non me ne fotte un cazzo delle Divinità”aveva aggiunto ghignando, guardando la lucida maschera del Gran Sacerdote.
E dopo questa affermazione la sala era piombata nel silenzio, e sempre nel silenzio, Aphrodite si era alzato dal suo posto e aveva congedato lui e Cancer.
Deathmask si aspettava una di quelle classiche e inutile paternali dal compagno, in fondo lo conosceva.
Ma, evidentemente, si era completamento sbagliato, o, forse, non conosceva così tanto il saint di Pisces come credeva.
Ma in quel momento le uniche cose che voleva sentire erano il rumore delle porte del Dodicesimo tempio che sbattevano e di Aphrodite che gli mugolava nell’orecchio.
   
 
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