Libri > Un ponte per Terabithia
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Autore: londoner__    17/03/2010    9 recensioni
Sono passati cinque anni.
Cinque anni dal giorno dell'incidente di Leslie.
Una Leslie che non è morta, ma che è stata salvata per un pelo dall'arrivo di Jess, scappato dall'appuntamento con l'insegnante di cui, tanto tempo fa, credeva di essere innamorato.
Jess ricorda difficilmente quel giorno, poiché segnò anche la fine della sua amicizia con Leslie Burke.
I due sovrani di Terabithia si giurarono odio eterno.
Ma nonostante le frecciatine e le cattiverie varie che tutt'ora Leslie e Jess si scambiano, quest'ultimo sembra rimpiangere la sua prima, vera, ed unica amicizia, tormentandosi su quello che sarebbe potuto succedere se quel giorno non fosse scappato.
Quindi, è davvero tutto come sembra?
Perché Jess è scappato dall'appuntamento? E davvero Leslie, nonostante Jess l'abbia salvata, non può perdonarlo? Lui non c'era, sì, e adesso si odiano.
Allora qual è il motivo per cui, al ritorno da scuola, entrambi i loro sguardi si soffermano verso lo stesso punto?
Dopotutto, niente è come sembra.
Genere: Romantico, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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~ Cap. 01.


“ Jess? Jess, cavolo, mi stai ascoltando? May Belle chiama Jess!”
Sospirai, continuando ad ignorarla, perso nei miei pensieri.
All’improvviso, però, sentii qualcosa colpirmi forte alla pancia, e di scatto mi girai.
“ Sei impazzita?!” Ringhiai, guardando mia sorella.
“ Io? Forse tu! Jess, sono dieci minuti che cerco di attirare la tua attenzione! Ma tu sei troppo occupato a fissare Les-…” Le tappai subito la bocca, fulminandola.
“ Non. Dire. Cazzate.” Stupida bambina. Stupida, stupidissima bambina.
Lei sbuffò, togliendosi alterata la mia mano dalla bocca, e si girò dall’altra parte. Si era offesa? Ben le stava.
Io, fissare la Burke?
Ma neanche tra un milione di anni!
Non ero il tipo di coglione che le sbavava dietro, quella a cui lei, biondissima e super oca, era abituata. Perché ormai lei era diventata l'oca regina. O per lo meno, lo era diventata dopo quel giorno. Quel giorno che, volendo o non, mi sarei portato dentro per sempre. Perché infondo, Leslie Burke aveva tutte le ragioni del mondo per odiarmi, anche se non l'avrei mai ammesso.
Se solo fossi arrivato due minuti dopo, io… Non so che cosa sarebbe successo. E non volevo neanche immaginarlo.
Forse era per quello che la fissavo. Perché sì, io la stavo fissando, ed era per questo che avevo risposto in quel modo a May Belle.
Senso di colpa, amarezza. E anche tristezza, per il modo in cui la nostra amicizia era finita. La mia prima, vera, unica amicizia.
L’arrivo di Josh non contava. Certo, era grazie a lui che mi ero ripreso dal periodo buio dopo l’incidente di Leslie, ma lei sarebbe stata per sempre la prima e l’unica ad avermi aperto il cuore, ad avermi fatto capire che sognare non era poi così sbagliato, a tenere ben aperta la mente. La prima persona che mi aveva sorriso, senza doppi fini dietro.
Fu quello uno dei motivi che mi spinse a ritornare a casa, quel giorno. Ad abbandonare Miss Edmonds per correre da lei, la mia migliore amica.
Erano passati cinque anni, ed esattamente non ci parlavamo da cinque anni.
Beh, se per ‘parlare’ si intendeva anche insulti, frecciatine e colpi bassi vari, allora sì, parlavamo. E anche alla grande.
Certo, prima avevo fatto di tutto per spiegarle, per chiarire, ma non sembrava importarle, ed io non potevo sopportare di essere soggetto degli scherzi idioti suoi e della sua nuova combriccola di amici – quelli “popolari”, perché era quello che Leslie era diventata. –, non di nuovo. E così era iniziata l’operazione ‘irritiamoci a vicenda’.
Sospirai, e sentii nuovamente colpirmi da qualcosa, in testa questa volta.
“ Hei, sfigato, è la tua fermata! Non farci aspettare in eterno!”
Una palla enorme, di carta.
Mi guardai intorno, e notai che eravamo vicini alla fermata di casa mia, May Belle che correva verso casa – probabilmente consapevole del fatto che me l’avrebbe pagata, e anche cara. – e la Burke, piegata per allacciarsi le scarpe, con l’ombra di un sorriso sulle labbra. Immediatamente mi alzai, ignorando le battutine e le occhiatacce, e saltai i gradini. La porta dell’autobus si richiuse subito dietro di me. Chissà quanto tempo ero rimasto in quello stato, imbambolato.
Dannazione. Fantastico Aarons, complimenti!
Senza neanche guardare verso di lei, mi incamminai verso casa mia, ma sentii una fragorosa risata alle mie spalle.
“ Hai qualcosa da dirmi, Burke?” Domandai, impassibile.
“ Oh, niente, piccolo Oliver, niente di niente.” Fece, accompagnando il tutto con una enorme bolla di cheewingum rosa. La fissai, ridendo amaro.
Ma cos’era diventata?
Dov’era finita la mia Leslie? Fantasiosa, creativa, intelligente? Quella ragazza che all'opinione altrui non aveva mai fatto caso era cambiata per essere acettata, nonostante questo volesse dire perdere la propria identità.
Ora avevo davanti solo una stupida con una minigonna più mini che gonna, che si rintanava nello sgabuzzino dei bidelli per non far vedere ai suoi amichetti che in realtà era una delle ragazze con la media più alta della scuola, che si nascondeva per leggere 1984, senza dover poi rispondere a domande scomode.
Una cheerleader con cervello? Ma stiamo scherzando?!
Mi risvegliai, dato che aveva cominciato a spintonarmi. L'essere diventato tre spanne più alto di lei serviva, a quanto pare.
“ Piuttosto tu che hai da fissare, Aarons. Ho capito che sei un morto di figa, ma qui si arriva all’indecenza. Potrei contattare le autorità, sai?”
Arrossii, e lei allargò quel suo stupido sorriso.
Mi ripresi subito, sfidandola con lo sguardo. “ Ti piacerebbe.”
Oh sì che le sarebbe piaciuto. Certo, non mi definivo un super figo, ci mancherebbe, ma sapevo di essere cambiato. I lineamenti dell'infanzia erano spariti per far posto a quelli di un uomo. E sapevo anche che la signorina non staccava un attimo il suo sguardo da me, durante ginnastica.
Piacevo a qualcuno, ma ovviamente io ero Jess lo sfigato. E ogni adolescente americano sa che se vuole trascorrere quattro anni in santa pace deve evitare quelli che la classe sociale più ‘in’ denomina come ‘sfigati’.
“ ‘Sta zitto, Oliver!” Ringhiò, usando il secondo nome che sapeva odiassi con tutto me stesso. Probabilmente era ancora più infuriata del solito, visto che, perso nei miei pensieri, le stavo dando poco conto. Risi, per poi vedere l'auto di sua madre avvicinarsi.
“ Oh, principessa, la mammina è arrivata, meglio che ti sbrighi. Non vorrai mica che se ne vada, no? Camminando fino casa tua potresti rompere una delle tue preziose unghie!” Esclamai, facendo una finta smorfia di terrore.
“ Ciao Jess!” Trillò allegra la signora Burke, impedendo a sua figlia di proferire con una delle sue perle di acidità.
La salutai, educatamente, e mi incamminai finalmente verso casa mia. I nostri genitori non avevano mai capito perché avevamo rotto la nostra amicizia, anche perché i genitori di lei mi avevano sempre rassicurato sul fatto che quell'incidente non fosse stato colpa mia.
Inoltre mia madre aveva sempre adorato Leslie, perciò ancora mi assillava sul fare la pace con lei. E tutt’ora non si risparmiava stupidi inviti a casa nostra quando la incontravamo al centro commerciale, intenta a slinguazzarsi il suo pompatissimo Scott.
Già, Scott Hoager.
Feci una smorfia, voltando automaticamente il capo verso l’imbocco che portava al bosco. Una strada che prima conoscevo meglio delle mie tasche.
La strada che, tanti anni fa, aveva portato me e Leslie – che sapevo voltata nella stessa direzione. – nel nostro regno, solo ed unicamente nostro.
Terabithia.


• ~ •



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