Titolo:
Sad
boy you stare up at the sky (when no one’s looking back at
you).
Autore: Emily
ff
Rating: Giallo
(tendente al verde,
ma è meglio abbondare).
Genere: Fluff
(sì, alla fine è
fluff), comico.
Avvisi: One
Shot, Shoujo ai (massì,
buttiamo tutto).
Introduzione: Perché
è davvero molto
difficile non pensare a niente quando si è costretti dentro
ad uno sgabuzzino
delle scope insieme all’ultima persona che vorresti vedere al
mondo. E’ molto
difficile.
Note dell'autore: Boh,
non so nemmeno da cosa
sia venuta fuori questa storia. Da molte cose probabilmente,
l’ho riscritta
all’incirca sei volte (e non sono del tutto sicura del
risultato).
La canzone è “Love, save the Empty” di Erin McCarley.
Scritta
per una sfida
giudicata da Mirai, che ringrazio cordialmente. Banner from my sweet
Lau:
Sad
boy... you stare up at the sky
(when
no
one’s looking back at you)
“E
adesso vi schiarite le idee!”, avevano urlato, dando quattro
giri di chiave alla serratura.
Little
girls don't know how to be sweet girls.
Mama didn't teach me.
Erano
passati venti minuti da quando, in preda a qualche idea
malsana, i quattro amici dei due ragazzi li avevano rinchiusi in quello
sgabuzzino delle scope.
Lui,
Mike, era seduto per terra, le mani sulle ginocchia e lo
sguardo leggermente addormentato: aveva passato la notte a studiare
biologia in
vista dell’esame della mattina, non riusciva nemmeno a stare
in piedi.
Lei,
Maelle, sembrava tutt’altro che stanca e prendeva a calci e
pugni la porta della stanza, urlando ai suoi amici (chiaramente
assenti) di
aprirle quella dannata porta del cazzo, come
se l’aggiunta di un imprecazione li potesse convincere.
E
mentre Mike cercava di dormire, Maelle urlava.
“Maelle,
non puoi farci niente, ci hanno chiuso dentro.”
“Questo
lo dici tu, tu che non mi aiuti, che dovresti prendere a
calci questa porta. E invece te ne stai seduto lì a non fare
niente!
Maledizione, aprite!”
Mike
osservava la figura gracile della ragazza scagliare tutte le
sue forze contro il legno della porta, senza scalfirlo nemmeno. Chissà quanto
ci avrebbe impiegato a capire
che nemmeno se avesse letto la bibba in aramaico antico le avrebbero
aperto la
porta, non i suoi amici, quelli che gli avevano voltato le spalle
immediatamente.
Eppure
era stato chiaro: niente
più Maelle, abbiamo adottato una politica di indifferenza
reciproca, non
abbiamo più piacere nel vederci.
Perché
dovevano sempre fare esattamente l’opposto di quello che
diceva?
Si
massaggiò le tempie con le dita, cercando di ignorare la
ragazza davanti a sé che non la smetteva di gridare.
Little
boys don't
know how to treat little girls.
Daddy didn't show me.
Maelle
si accasciò a terra, cominciando a piagnucolare. Mike
sospirò e le mise una mano sulla spalla.
“Non
è niente di grave, tra qualche ora ci verranno ad aprire e
tu
potrai insultarli.”, disse serio, mentre cominciava ad
accarezzarle la schiena.
Tremava da quanto era arrabbiata, mentre il ragazzo cercava di mettere
da parte
i dissapori e a prenderla con filosofia: non gli stava urlando di tutto
perché
l’aveva toccata.
Maelle
non smetteva di singhiozzare, così Mike la prese di peso e
la fece sedere vicino a lui, stringendola a sé.
“Per
caso sei claustrofobica?”
Lei
fece segno di sì con la testa, per poi continuare a piangere
impregnando la maglia del ragazzo di lacrime e saliva. Lui cercava
mentalmente
qualcosa con cui distrarsi (urlare contro una ragazza che
già piangeva per
conto suo non era il massimo), mentre Maelle provava a darsi un
contegno dietro
quei singhiozzi.
“L-li
p-p-puoi chiamare? S-sto m-male...”
“Li
avrei già chiamati se avessi avuto il cellulare con me.
L’ho
lasciato nella tasca dell’altra giacca.”
Lei
ricominciò a piangere, schiacciandosi contro il petto del
ragazzo.
Stava
soffrendo terribilmente, lui che era abituato a vederla
sempre con il sorriso in bocca e l’ultima parola su tutto gli
sembrava strano
conoscere una sua parte così debole e incontrollabile.
Sospirò
stringendo l’abbraccio, per poi cullarla piano piano
cercando di calmarla.
Aspettò
in silenzio per qualche minuto che il respiro della
ragazza si regolarizzasse, per poi allontanarla un po’ e
pulirle il viso con un
fazzoletto di stoffa.
Lei,
inorridita, lo respinse.
“Cosa
c’è?”, chiese lui alzando un
sopracciglio.
“N-non
mi pulisci con il fazzoletto della nonna, no no. C-chissà
quante volte ti ci sarai soffiato il naso.”
“Sai,
mi piacevi di più quando piangevi disperata.”
Mike
ripose il fazzoletto in tasca e si stirò le braccia, per poi
lasciarsi andare in uno sbadiglio liberatorio. Volevano che lui stesse
lì?
Bene. Nessuno gli aveva detto che dormire
era vietato.
Chiuse
gli occhi e si mise la sciarpa sul volto, appoggiando la
testa contro il muro.
“N-non
vorrai dormire, s-spero.”
Mike
sbuffò e guardò Maelle, che stava ricominciando a
tremare.
Ma
poi, perché
parlare? Di cosa dobbiamo parlare io e Maelle?,
pensava il ragazzo, guardandola tormentarsi i capelli con
entrambe le mani.
In
realtà la risposta a quelle domande la conosceva molto bene.
Face
down, on top
of your bed.
Oh why did I give it up to
you?
“No,
non voglio dormire, voglio soltanto riposare gli occhi.”
“Non
è vero, tu vuoi dormire.”
“Sono
molto stanco, questa notte non ho dormito per colpa
dell’esame di stamattina.”
“Quale
esame?”
“Un
esame di biologia.”
“Ah...
anche io avevo un esame stamattina, ma ho studiato giusto
ieri sera e sono andata a dormire tranquilla.”
“…bella
la vita, vero?”
Is this how I shoot myself
up high,
Just high enough to get
through?
Maelle
stava tormentando una ciocca di capelli bionda,
pettinandola con le sue dita affusolate e le unghie lunghe e ben
curate.
Chissà
dove troverà
il tempo di lavorarci, pensò
Mike, per poi
girarsi e chiudere gli occhi.
“Mi
avevano detto di prendere la scopa per poter dare una pulita
in camera.”, disse la ragazza, cercando di spiegare il
perché era lì.
Quando
Mike, che era stato rinchiuso a forza dai suoi amici,
aveva sentito la porta aprirsi non riusciva a credere che a salvarla
fosse
proprio Maelle, la ragazza che da qualche settimana cercava in tutti i
modi di
evitare. E lei sembrava davvero troppo tranquilla.
“Quindi
sei entrata senza sapere niente? Non sapevi che ero
qua?”
“No,
avevo visto Jack”, vedi sotto testa-di-cazzo-se-ti-becco-ti-ammazzo...
rima non voluta, “ridacchiare
ma non pensavo che ti avessero fatto uno scherzo.”
“Ci
abbiano fatto.”, la corresse, sospirando.
Si
guardarono negli occhi per qualche istante. Quelli grigi di
Maelle si riflettevano nell’azzurro di Mike, mentre lei
continuava a toccarsi i
capelli, arricciandoli con le dita.
Era
tanto tempo che non le guardava gli occhi, eppure una volta
li osservava spesso, cercando di entrare dentro la sua anima e a capire
quello
che pensava.
Parlare
con Maelle era sempre stato un problema, non capiva
proprio come avrebbe fatto a risanare i rapporti con lei dentro ad uno
sgabuzzino pieno di detersivi e scope. Non era riuscito a capire niente
in tre
mesi, figurarsi in qualche ora.
La
ragazza sospirò e si rannicchiò su sé
stessa,
appoggiando la
testa sulle gambe. I capelli dorati le cadevano disordinati sulle
spalle e
sulla schiena, straordinariamente lisci e lucenti.
Mike
si portò una mano alla testa, scompigliando i suoi ricci
neri che non sapeva come far stare al loro posto.
“Dovremmo
parlare, vero?”
Il
ragazzo le mise una mano sulla spalla e sospirò:
“No,
potremmo anche fare sesso in realt-”
“Sei
un idiota!” disse Maelle, alzando la testa e muovendosi,
per districarsi dalla presa del ragazzo.
“Stai
tranquilla, non ti metto le mani addosso.”, disse lui,
ridendo e portandosi le mani al volto, massaggiandosi le tempie.
“Io
sono tranquilla, tu sei un idiota. Non pensi mai a niente.”
Il
ragazzo sospirò. In
effetti potevo risparmiarmela.
Again, the false affection.
Again, we break down inside.
Rimasero
in silenzio, attoniti, a fissare la porta di legno
sperando di sentire il rumore della chiave nella serratura per poi
vedere entrare
la luce del corridoio.
Chissà
se era passato tanto tempo, dentro ad uno sgabuzzino
umido e pieno di scope era difficile avere un’idea dei minuti
che passano. E
Maelle ancora tremava, cercando di non pensare al fatto che era chiusa
a chiave
in una stanza.
“Hai
paura?”
“Veramente
ho freddo.”
Mike
la guardò per qualche secondo e poi scoppiò a
ridere.
“Che
problema c’è?”
“No...
no, scusa… ma…”, non riusciva nemmeno a
formulare una
frase da quanto rideva.
“Piantala!”
“Come
fai ad avere freddo? Stamattina c’erano quindici
gradi!”,
che facevano la loro calda differenza in un febbraio di una triste
città
canadese.
“E
allora? Qui è umido e tremo, per cui ho freddo.”
Mike
si calmò e prese un bel respiro, per poi togliersi la
giacca e metterla sulle spalle della ragazza.
“Va
meglio ora?”
Lei,
ancora imbronciata, si girò borbottando un
“grazie”,
seguito da un “e comunque tu porti la sciarpa, quindi tanto
caldo non hai”, che
Mike scelse semplicemente di ignorare, traducendoli in
“gné gné gné”.
Il
ragazzo allentò la cravatta, per poi sbottonare i primi tre
bottoni della camicia bianca.
La
guardò ancora e si accorse che non aveva smesso di tremare,
ma
decise di non infierire oltre: in un’altra occasione
probabilmente l’avrebbe
derisa, ma vedendola indifesa non ci trovava nemmeno più
gusto.
Pensava
a quando, qualche mese prima, parlavano spesso del più e
del meno e di come, dopo quel brutto fatto, si erano ritrovati a farsi
guerra
per le strade del campus.
Arricciò
il naso e sospirò; Maelle sempre immobile vicino a se.
Love
save the empty.
Love save the empty, and
save me.
Si
ricordava di quando l’aveva conosciuta, a novembre
dell’anno
prima.
Lui,
che si era da
poco entrato in facoltà, non conosceva nessuno al di fuori
dei suoi compagni
della camerata, sei in tutto. L’avevano portato a forza in un
pub nella città
vicino, costringendolo a parlare con i tanti “amici di amici
di amici” che si
trovavano dentro al locale. In realtà a lui non interessava
niente nell’avere
una vita sociale, preferiva di gran lunga i libri alle persone.
Sedendosi
al
bancone, solo dopo qualche confusa spiegazione di come “non
amasse parlare” ad
una ragazza che aveva provato a iniziare un discorso, guardò
con aria perplessa
i ripiani degli alcolici. Lui, che non si era mai ubriacato in vita
sua, non
aveva la più pallida idea di quale cocktail fosse il
migliore.
Intento
a leggere
le etichette delle bottiglie, sebbene portasse gli occhiali
perché miope, gli
si avvicinò il barista sorridendo.
“Che
ti porto,
ragazzo?”
“Emh...
non s-”
“Joe,
un Gin Fizz
per favore, ho bisogno di alcol!”, disse una voce vicino a
Mike, che lo fece
sobbalzare.
“Aspetta
il tuo
torno Maelle.”, disse lui sorridendo alla ragazza per poi
voltarsi verso a
Mike.
“Quello
che ha
preso lei.”, disse impacciato, per poi girarsi e guardare i
suoi amici che
scherzavano con un gruppo di ragazzine. Non lo avevano preparato a
questo
genere di cose e ora stavano pacificamente trascorrendo del tempo senza
di lui.
“Sei
uno
studente?”, chiese la voce di prima, facendolo sobbalzare
nuovamente.
Mike
si voltò a
guardare in volto la ragazza seduta accanto a lui, incrociando i suoi
occhi
grigi coperti da un sottile velo di trucco.
“Sì,
frequento
medicina da poco tempo.”
“Mamma
mia, devi
avere uno stomaco di ferro per studiare... quelle cose.”,
disse lei,
sorridendo.
“Per
ora studio
solo teoria.”, rispose lui, imitandola. Una ragazza semplice,
un po’ piccolina
per la media canadese, capelli biondi e lunghi raccolti in una coda
alta.
Niente
a che vedere
con i suoi centottantacinque centimetri d’altezza, i suoi
disordinatissimi
capelli neri e i suoi occhi azzurri segnati da profonde occhiaie.
“Chissà
che
palle...”
Mike
sospirò, per
poi chiederle, con un sopracciglio alzato: “E tu invece? Sei
una studentessa?”
“Sì,
frequento
giurisprudenza.”
“Ah
beh, e ti
lamenti di medicina?”
“Non
mi lamento,
faccio delle constatazioni... e poi legge è bella, che ti
credi.”
“Se
lo dici tu.”
“Ecco
a voi
ragazzi.”, disse il barista, porgendo due bicchieri alti
completi di fetta di
limone e ciliegia.
Mike
osservò il Gin
Fizz per qualche istante, chiedendosi che sapore poteva avere una
bibita di
quel colore.
“E
allora...”,
disse Maelle, sorseggiando il cocktail, “…come mai
un aspirante medico,
completo di occhiali e capelli disordinati, si ritrova alle sei del
pomeriggio
in un pub, da solo, e si distrugge le cellule celebrali?”
Sad boy, you stare up at
the sky
When no one's looking back
at you.
“Ho
un po’ sete.”
“Aspetta.”
Rovistò
nella borsa
e tirò fuori un succo di frutta, che le porse gentilmente.
Lei
chiuse gli
occhi e staccò la cannuccia dalla confezione. “Ti
porti i succhi di frutta e i
fazzoletti di Nonna Papera, ma ti dimentichi il cellulare nelle tasche
delle
giacche?”
“Anche
tu ne sei
sprovvista, a quanto pare. Ora piantala, almeno non morirai di sete,
no?”
Maelle
lo guardò
per qualche secondo e poi sorrise.
Mike,
sbalordito,
aprì la bocca come per dire qualcosa ma le parole si
interruppero in gola. Non
aveva più voglia di litigare, né di parlare in
realtà. Gli bastava un suo
sorriso e la sua vicinanza per non desiderare nient’altro.
You wear your every last
disguise;
You're flying, then you
fall through.
Era
passato ancora
qualche tempo, ma degli amici non c’era traccia. Forse il
loro destino era
quello di morire insieme, in un umido sgabuzzino al seminterrato di una
vecchia
università canadese, accoccolati come se fossero due amici
del cuore.
Fissò
il muro
davanti a se, Mike, e poi sospirò.
“Mi
dispiace.”
Aveva
voglia di
urlare, di sputare tutto quello che si era tenuto dentro per mesi, di
dirle che
in realtà le era mancata la sua presenza.
Sentì
Maelle
irrigidirsi vicino a lui, forse l’aveva presa alla
sprovvista. Si aspettava un
abbraccio o qualcosa del genere, magari anche lei si sarebbe scusata.
Bastava
uno sguardo d’intesa e si sarebbero riappacificati, Mike lo
sapeva. Doveva solo
alzare la testa.
Invece
si alzò, si
guardò in giro e rovistò tra gli scaffali alla
ricerca di qualche strano
oggetto dimenticato da tutti. Rovistò dentro una scatola e
trovò un cacciavite,
che impugnò e che conficcò nella serratura della
porta.
“Mike,
che stai
facendo?”, chiese la ragazza, alzandosi.
Lui
non rispose e
cominciò a muovere il cacciavite in tutti i sensi, cercando
di sentire quel
“tock” che lo avrebbe salvato
dall’affrontare la realtà.
Maelle
gli mise una
mano sul braccio, ma lui fece finta di non notarlo continuando il suo
lavoro.
Non
c’era verso di
aprire quella dannata porta.
Buttò
il cacciavite
a terra e cominciò a prenderla a calci, sempre
più forte, cercando di non
pensare a niente, solo ad uscire e a scappare il più in
fretta possibile.
Poi
sentì due mani
stringerlo in vita e si fermò.
Maelle
lo stringeva
e sembrava non essere intenzionata a mollarlo per qualsiasi ragione al
mondo.
“Non
possiamo
uscire senza chiave, l’hanno fatta girare quattro volte,
è impossibile.”
Lui
non disse niente,
si limitò a fissare la porta e le impronte lasciate dai suoi
scarponi su di
essa.
Gli
faceva male un
piede.
Again,
the false attention.
Again, you're breaking
inside.
“Pensavo
che fossi
mio amico.”
Maelle,
occhi grigi
e capelli biondi, teneva la testa china e le mani nelle tasche del
grande
cappotto.
Mike,
occhi
azzurri, la guardava e cercava il suo sguardo.
“Pensavo
che tu,
fra tanti, mi avresti capito.”
Cercava
di non
piangere, lui lo sapeva, la conosceva fin troppo bene.
“Perché?
Perché lo
hai fatto?”
Non
lo sapeva il
motivo, aveva agito d’impulso, mosso da troppo alcol nel
corpo e da un’insana
voglia di svuotare la mente e di non pensare ai suoi problemi. Aveva
trovato
una ragazza carina e l’aveva portata in camera, non conosceva
nemmeno il suo nome,
faceva finta di immaginarsi qualcun altro al suo posto.
“Perché
proprio
lei?”
Lei,
Marie, la
coinquilina di Maelle.
“Te
l’ho detto, ero
ubriaco, non volevo andare a letto con lei!”
“Ma
ci sei
andato!”, urlò la ragazza, guardandolo con
disprezzo e cominciando a piangere.
Odiava
vederla in
difficoltà, soprattutto quando non poteva rincuorarla.
“E
lo sapevi,
Cristo Santo, lo sapevi che cos’era per me! Solo tu lo
sapevi!”
Si
era rotto
qualcosa, ormai, e nessuno dei due sapeva come rimettere insieme i
cocci.
Love save the empty.
Love save the empty, save
me.
“Ti
prego, adesso siediti...”
“No.”
“Ti
prego.”
Continuava
a parlare tranquilla, come se il mondo si fosse
fermato, come se non si trovassero davvero in uno sgabuzzino del scope,
da
soli, senza preoccupazioni di alcun tipo.
Non
riusciva a parlare.
“Adesso
calmati e siediti.”
L’aveva
lasciato e si era seduta, aspettando che anche lui la
imitasse. Dopo qualche istante si girò e la
guardò negli occhi.
Il
suo viso era disteso, gli occhi aperti, la bocca piegata in
un sorriso.
“Mi
dispiace.”
“Lo
so.”
“Non
so perché l’ho fatto, non volevo farlo,
davvero.”
“Lo
so.”
“Sono
imperdonabile.”
Lei
non rispose subito, abbassò la testa e fissò il
pavimento.
“Forse
per un’altra persona lo saresti. Io ho dimenticato.”
Mike
non sapeva più cosa fare, i pensieri si contrapponevano e
formavano un vortice di emozioni incontrollabile. Era felice,
perché lei lo aveva perdonato, era triste,
perché in realtà stava ancora soffrendo, era arrabbiato con sé stesso e con
il suo
modo burbero di fare.
Si
sedette vicino a lei e le abbracciò le spalle.
“Sai,
in realtà è colpa mia se siamo qui
dentro.”, disse lei,
sorridendo malinconica.
Mike,
confuso, alzò un sopracciglio.
“Colpa
tua?”
“Esatto,
colpa mia. Stamattina ho comprato questi”, disse
prendendo qualcosa dalla tasca dei suoi pantaloni, porgendola al
ragazzo, “ma
non volevo darteli. Le mie amiche li hanno visti e hanno cominciato a
parlarmi
di te, del fatto che dovevo regalarteli, che oggi è San
Valentino, cavolate
simili.”
Mike
prese la scatolina in mano e la guardò attentamente. Un
piccolo cuore rosso adornato da un fiocco scuro e da un bigliettino,
che lui
aprì speranzoso.
“Mi
spiace, non sapevo cosa scriverci.”
“No,
no, non importa... non ho mai ricevuto dei cioccolatini in
vita mia.”
“Non
farti strane idee, in realtà li ho comprati
perché erano
carini da vedere. Ho scelto anche i gusti, sai? Ti
sorprenderanno.”
Mike
sorrise un po’ impaurito dall’ultima affermazione.
“E’
vero, oggi è San Valentino.”
“Che
festa stupida.”
Love save the empty.
Love save the empty.
“Hai
distrutto il
mio cuore.”
Stars
feel like knives,
They tell us why we're
fighting.
“Sono
i ragazzi che regalano i cioccolatini alle ragazze.”,
osservò
Mike, sorridendo.
Maelle
sbuffò e mise una mano sulla scatolina, cercando di
riprendersela.
“Scherzavo,
scherzavo!”
“Potevo
regalarla a Michelle, tra ragazze non c’è questo
problema no?”
Mike
sorrise ancora di più, se possibile.
Era
davvero strano come tutto fosse maledettamente sbagliato.
A
lei piacevano le ragazze. A lui piaceva lei.
Maelle
si pettinò i capelli con una mano, per poi assumere un
espressione arrabbiata.
“Sei
bellissima quando fai finta di predertela.”
La
ragazza arrossì e si nascose il viso tra le mani, dandogli
un
calcio al ginocchio.
“Davvero!”
“Ti
prego, non sono abituata a questo tipo di cose.”, disse
ridendo.
Storm, wait outside.
Oh, love, hold us together.
“Ehi!
Sono passate
due ore piccioncini, che ne dite se apriamo?”
La
voce di Jack
rimbombò da dietro la porta, facendo sobbalzare i due
ragazzi.
I
due si guardarono
per qualche secondo e non poterono fare a meno di sorridere.
“Avete
chiaritoooo?”
“Sì,
idiota, adesso
apri!”, gridò Mike, alzandosi in fretta tenendo
per mano Maelle.
“Non
vi abbiamo
sentito!”, dissero delle ragazze, probabilmente le amiche di
lei.
I
due ragazzi
risero e urlarono all’unisono: “Aprite!”
Sentirono
la chiave
entrare nella serratura e il cuore farsi un po’
più leggero. Maelle aveva
ancora addosso la giacca di Mike. Ma non importava. Mike teneva ben
stretto a
sé un cuore rosa infiocchettato e profumato. Ma non
importava.
Love, save the empty.
Love, save the empty.
“Lo
sapevi che ti amo?”
“Me
l’ero data già da un po’.”
Love, save the empty.
Love, save the empty, and
save me.
And save me.