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Autore: Kokato    18/03/2010    1 recensioni
SECONDA CLASSIFICATA AL RAINBOW CELEBRATION DI SETSUKA E REKICHAN!
"Tu… sei… Cartman?”. Ripeté poi Kyle, per evitare di non scordarsi che non avevano più nove anni, e che ora era un soggetto perseguibile per legge.
Ergo non poteva ucciderlo, ergo tutto quello che poteva fare era denunciarlo per tentata violazione di domicilio… e non era abbastanza.
L’altro aveva annuito, gioviale. “Da oggi vivrò qui”.
Annunciò, mostrando una fila di denti bianchi e scintillanti che lo facevano sembrare il testimonial di una pubblicità di dentifricio.
Forse non aveva sentito bene.
[Storia scritta per lo Yaoi Day e dedicata a Setsuka]
Genere: Romantico, Commedia, Comico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Eric Cartman, Kenny McCormick, Kyle Broflovski
Note: Lemon, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Apriva le labbra in maniera lentissima, lasciandole luccicare, lasciando che lui le venerasse dal basso con un’espressione fissa e maniacale

Capitolo II- Oddities

 

Sesso. Non aveva imparato la lezione e non ci teneva proprio a farlo.

Era già tanto che non si fosse presentato in casa sua dicendo “Ehi! Sai che è dai tempi del liceo che ti voglio scopare anche in assenza di gravità? Ne che dici se mi fermo in casa tua di modo che tu possa darmi il tuo culo ogni santa notte?”. Ma, in fondo anche lui ci teneva ad avere un tetto sopra la testa.

“Tu dici che se lo legassi al letto lui alla fine starebbe abbastanza fermo da permettermi di metterglielo dentro?”-

Stava davvero ma davvero parlando con un panino all’olio? Era un’abitudine a cui Eric non avrebbe mai rinunciato… figuriamoci. Mister Joe Panino avrebbe avuto sicuramente molto da dirgli sul sesso se qualcuno gli avesse dato la facoltà di esprimersi. “Hai ragione!”. Annuì.

“Ha un bel coraggio a chiedermi di fargli da cameriere solo per qualche giorno d’ospitalità! Il sesso sarebbe un ottimo modo di ricambiarmi!”. Convenne con Joe, che la sua mano costringeva ad essere d’accordo con lui. Le basse sopracciglia di panna significavano rassegnazione, rassegnazione per il suo nuovo ruolo di confidente. “Mi chiedi se ci proverò? Non lo so, non che non ne avrei voglia –è ancora più sexy di dieci anni fa… quando se ne andava in giro con i capelli arruffati sotto il cappello e i vestiti di due taglie più grandi. Me lo farei, me lo farei eccome!-, ma ho paura che mi butti fuori o che mi ferisca con qualche oggetto contundente. Non è una passeggiata! C’è la crisi economica là fuori e non ho nemmeno più l’assicurazione sanitaria! Però cristo, tutto varrebbe una scopata con Kyle Broflovski…”.

Joe Panino sì che sapeva ascoltare. Sicuramente aveva capito il suo arduo conflitto interiore. Tra piacere e pratica sopravvivenza. Tra estetica e priorità. Tra sogno e realtà. Tra tetto e cartone sotto un ponte.Tra culo e camicia… culo dhaaa. “Ma come mi è venuto in mente di andare a vivere dalla mia decennale fantasia sessuale dai tempi del liceo? Ah già… nessun altro mi voleva! Come dimenticarselo… però adoro come porta i capelli tirati all’indietro, non ricordavo che fossero così rossi.  Sono peggiorati, adesso sembra una fottuta carota… una carota sexy… ma sempre una carota! Ma a parte questo non è cambiato niente, non sembra nemmeno cresciuto. È sempre molto più basso di me e questa è buona cosa, ma sono certo che ha ancora la stessa lingua lunga, ed anche il suo isterismo. Non voglio perdere Principe Albert*. Ah sì,  Principe Albert è il mio pene. Ti va di conoscerlo? È molto socievole… sicuramente farebbe subito amicizia con il culo di Kyle…”.

Il telefono squillava.

Imprecò.

“Torno subito”. Rassicurò Joe, che già anelava un’interessantissima conversazione con Principe Albert.

L’apparecchio si trovava nel corridoio, e per raggiungerlo inciampò ripetutamente in ogni tipo di rifiuto compreso un berretto da notte bianco con orecchie da coniglio. L’ebreo ci sarebbe stato bene con quello –solo con quello- addosso.  Si riscosse dal pensiero prendendo in mano la cornetta.

“Pronto”.

“Pronto Kyle? Sono la mamma!”. Oh cristo, era davvero Sheila Broflovski al telefono?

“Ehm…”. Tergiversò, non sapendo cosa dire. No, davvero, non gli veniva niente di diverso da qualcosa di sconcio.

Di certo non poteva uscirsene con una frase del tipo: ‘Oh no signora. Sono Eric Cartman. Perché sono qui? Niente di che, voglio solo sbattermi suo figlio sul ripiano della lavatrice o in qualunque altro posto il signore mi permetterà di farlo!’.

“Tesoro? Tesoro perché non mi rispondi? Come mai non sei andato ancora a scuola?”. Se sapeva che era a scuola per quale motivo aveva chiamato? 

“Sì mamma sono io…”. Come poteva credere a quel ridicolo falsetto? “…ecciù, ecciù… sono rimasto a casa perché non mi sento molto bene!”.

“Infatti hai una voce strana… hai chiamato il dottore? Hai preso una medicina? Ti sei messo a letto? Ti sei vestito pesante in questi giorni?”.

“Sì mamma! Ma perché mi hai chiamato?”.

Ci fu un momento di silenzio, che gli fece venire il dubbio di essere stato scoperto, di aver fatto un passo falso o di aver detto qualcosa di sbagliato.

“Come perché? Ti chiamo tutti i giorni!” . Tutti i giorni?! E che era… un bimbo dell’asilo?!

“Non ti preoccupare! Starò benissimo… ho chiamato un medico bravissimo, preso una medicina potentissima e messo dei vestiti pesantissimi, quindi non ti devi preoccupare! Ora devo andare, mi vado a rimettere a letto… ecciù, ecciù! Addio!”. Riattaccò come se il telefono stesse per mangiargli la mano.

Sì, non si preoccupi… Kyle starà sicuramente benissimo…

 

Voleva solo tornarsene a casa a ballare ‘Il lago del cigno’ in mutande, era chiedere troppo?

Oh va bene, c’era pure una certa canzone di George Michael che lo ispirava… ma non se ne ricordava neanche il titolo. Il punto non era quello. Voleva tornare a casa, strapparsi la maschera dalla faccia e magari anche tutti i vestiti non appena oltrepassata la porta. Credeva di meritarselo dopo una giornata di falsità e soffocamento da ormoni adolescenziali. Non si meritava di essere puntato dalle attenzioni di tutti gli psicopatici presenti nella troposfera.

O almeno così pensava.

L’assenza di comunicazione lo stava seriamente uccidendo. Taylor guidava fischiettando un motivetto che assomigliava in modo surreale a quella canzone di George Michael. Ergo era un rotto in culo. Ergo l’avrebbe silurata dal suo stereo non appena lo avesse avuto sottomano, sostituendola magari con una ben  più dignitosa discografia di Luciano Pavarotti. Non gli aveva detto una parola, e di questo non sapeva se ringraziare o meno.

Poi gorgheggiò il verso di un orgasmo –era la canzone- ed in maniera assolutamente adeguata disse:

“Quella donna è un mostro”.

“Come?”. Stava parlando di Miss Salas, in tutta probabilità.

Aveva un colorito verdognolo, effettivamente, fin da quando lei  lo aveva chiamato fuori dalla sala professori. Siccome non aveva mai fatto nulla di male,  Kyle non conosceva i metodi di terrore della preside –se non contiamo la tortura psicologica ed i suoi sguardi agghiaccianti-.

“Se la smettesse di tirare banchi agli alunni non appena la contraddicono magari si eviterebbe una strigliata”. Suggerì.

“Na, non si meritano nient’altro quelle capre avide… non tollero quel tipo di comportamento!”.

“Che comportamento?”. Chiese, per puro interessamento di circostanza. O magari per invidia… provocare danno fisico a quelle capre, oh sì che sarebbe stato bello. “Quello stupido ragazzino insolente! Sono una persona paziente io… pazientissima! Ma non mi si può chiedere di tollerare simili scempiaggini!”.

“Mi vuole dire che cosa ha fatto?!”.

“A… aveva… aveva… dio, è terribile anche solo a dirlo. Aveva dei pantaloni uguali ai miei!!!”.

“Eh?”. No, sicuramente aveva sentito male. Forse era per George Michael che non la smetteva di ansimare oscenità nella sua testa.

“Cioè… portava i pantaloni di un completo giacca e cravatta di non so quale stilista ultra famoso?”. Considerò, squadrandolo.

“No, dei Levi’s jeans del 1986*!!! Ne ho un paio nel mio quinto armadio…”. O forse quarto, o sesto, o settimo… sinceramente non se lo ricordava nemmeno.

“Ah”. Era tutto ciò che poteva dirgli senza accusarlo di essere uno squilibrato, in maniera del tutto maleducata. Anche se lo era uno squilibrato, uno di quelli forti e gravi che andrebbero curati con l’elettroshock o con una botta in testa. Ci era abituato, stava tornando sulla macchina di uno squilibrato in una casa coabitata da uno squilibrato. Poteva sopravvivere ancora, se ci credeva.

“Lei è bellissimo sa?”.

Cosa?

“COSA?!”. Cosa diavolo c’entrava poi?

“Non gliel’avevo mai detto?”. La sua espressione non era cambiata rispetto a quella che aveva parlando di Ferrari e Mercedes. Quindi era bello come una macchina? Era un commento fuori luogo che avrebbe potuto facilmente dimenticare? Sì, ma le macchine non si possono portare a letto, a meno di essere particolarmente, e dico particolarmente eccentrici. “N… no”.

“I suoi capelli, in particolare. Una tonalità di rosso stupenda… ed il modo di vestire…”.

Stropicciò ancora di più la camicia già stropicciata tra le dita, poi rise. “Sta scherzando vero?”. Ovvio che scherzava, ma visto l’attaccamento alla vita sociale che aveva da qualche anno a quella parte non gli si poteva biasimare un look un po’ sciatto. Era già un’odissea ritrovarsi le mutande la mattina, in mezzo a quell’inferno che era il suo appartamento.

“So di non essere il massimo della cura… ma ho un po’ di problemi di autogestione!”. Rise, con un braccio dietro la nuca, cercando di tergiversare.

“Non scherzavo. Lei mi piace molto”. Ma quanto cazzo ci voleva ad arrivare? Si era trasferito in Paraguay e nessuno gliel’aveva detto?!

“L’ho capito”.

“Ha capito cosa?”.

“Che lei non è quello che vuole dare a vedere. Che lei non mi sopporta. Che lei non sopporta più niente… in realtà”. Quello che vide sul suo volto fu un espressione un po’… inquietante. Maniacale quasi, che non prometteva niente di buono. “Vorrei entrare nella storia”.

“Che storia?”.

“La sua. Me lo permette, Professor Broflovski?”. Era una richiesta strana… quasi da fargli pensare che, a conti fatti, Taylor potesse aver sfiorato l’idea di andare a letto con una macchina –ma quello non lo riguardava-. La sua capacità di rompere le palle non era inferiore all’eccentricità del suo modo di comportarsi –o forse, più che di questo, avrebbe dovuto parlare di ‘provarci’. Taylor- Rotto in culo non ci stava provando con lui, non è vero?-

“Tu… tu… TU CI STAI PROVANDO CON ME?!”.

La vista del palazzo dove abitava lo fece sospirare di sollievo. Taylor non rispose, indicandolo. “È qui, giusto?”.

“Sì. Devo andare. Addio. Cioè, a domani”. Si affrettò a dire.

“Vuole venire a cena con me?”.

Stava quasi per gioire per la provvidenziale via di fuga, quando sentì qualcosa afferrargli un braccio. La vista della fronte immensa dell’uomo, accentuata dalla pettinatura che la esaltava, lo fecero sentire perso per un attimo. “Assolutamente n…”.

“SI! Benissimo, visto che ha accettato la vengo a prendere domani sera alle otto. Au revoir”. In meno di mezzo secondo si ritrovò seduto sul marciapiede, col sedere dolorante a causa del ben poco educato modo di farlo scendere dalla vettura, a guardare la scia del tubo di scappamento che ne segnava il percorso per almeno qualche chilometro.

“NO! NO! NOOOOOO!”. Urlò, quando ormai l’interessato non poteva più sentirlo, guadagnandosi le occhiatacce di due probabili pusher in tenuta da rapper spiantati, che avrebbero potuto farlo star zitto a suon di mazzate -era meglio continuare a sfogarsi dentro casa… decisamente meglio-.

Pavarotti lo avrebbe perdonato se per una volta preferiva George Michael a lui… è che aveva un irrefrenabile bisogno di stare in mutande.

Appena fu chiusa la porta dietro le sue spalle quella maledetta canzone attaccò nella sua testa, come ci fosse stato dentro un registratore.

In due o tre movimenti d’anca era già senza pantaloni e con la camicia che gli penzolava dalle spalle in maniera pericolosa sul pavimento impolverato. Ok, effettivamente a vederlo in quel momento nessuno poteva riconoscergli il diritto di sparare sentenze sulla sanità mentale degli altri.

Ma era stanco, stressato, fuori come un balcone. E quel che è peggio è che era stato incastrato da Taylor. Quindi chi se ne fotte.

Chissà dov’è che l’aveva sentita, forse su mtv o alla radio di domenica. Sicuramente di domenica… gli altri giorni della settimana era un normale cittadino americano depresso dal lavoro e dalla vita sociale  -che ballava il lago dei cigni in mutande non appena tornato a casa, invece di salutare moglie e bambini, ma la cittadinanza non poteva togliergliela nessuno-.

Taylor rotto in culo vuole portarmi a letto. Vuole far diventare me rotto in culooo!!!

Quel pensiero, in maniera poco lineare, gli aveva fatto venire voglia di ballare in maniera sconcia, della serie sculetta di qua, sculetta di là.

I boxer gli si sfregavano sulla pelle chiedendo di essere tolti, ma qualcosa gl’impediva di farlo. Come qualcosa che sentiva di star dimenticando… e la voce di qualcuno che conversava di politica con un certo Joe Panino.

“#I'll be your sexual freeek [...]
I'll be your inspirational brother, Yo mama can't you see
I'll be your sexual freeek, [...]
I'll be your educational lover, your one fuck fantasy.#”

“Oh, andiamo Joe! Non ho più nove anni… non me ne frega niente se è nero! Obama potrebbe salvarmi il culo adesso che sono povero in canna… non ci tengo proprio a schiattare in mezzo alla strada strangolato dall’ebreo perché non riescono a fare una fottuta riforma della sanità decente!”

Kyle decise di pensarci al quarto o quinto sculettamento quando arrivò sulla soglia della cucina e lo vide, e tutto gli ritornò in mente.

Cartman. Oh cristo, Cartman. Cartman era in casa sua, e parlava da solo con un panino all’olio in mano… parlava rivolgendosi al panino.

Cosa?!

“Cartman”

“Ebreo”

“Tu stai parlando… con un panino?”.

“E tu… stai ballando una canzone di George Michael… in mutande?”.

“No, è un’illusione ottica. Non è vero niente. Niente di quello che hai visto era vero”.

“Idem. Nulla di nulla. Io volevo mangiare…”. Notò che Joe non si poteva definire esattamente ‘appena sfornato’. “… mangiare qualcosa. Non Joe, ma volevo mangiare qualcosa!”. Spiegò, stringendo il panino tra le mani come se non ci fosse stato a conversare amabilmente fino a due secondi prima.

“E chi cazzo è Joe?”. Chiese Kyle, che si sentì improvvisamente sicuro di quello che aveva visto e sentito.

“E chi cazzo è George Michael?!”.

“Lo sai perfettamente chi è George Michael… e tu stavi parlando con un panino. Non è cambiato niente da quando avevi nove anni?”.

Eric lo squadrò, notando il movimento discendente dei boxer troppo larghi.

Ovviamente Kyle non aveva notato nulla, e con un movimento brusco dato dalla foga peggiorò ancor di più la situazione -I'll be your sexual freeek… poteva quasi prenderlo in parola, pensò con l’impulso di leccarsi le labbra-. “Oh, non mi pari nella condizione di poter sparare giudizi, sai?”.

“Avrei il diritto di sparare giudizi pure vestito da donna in casa mia!!!” Ci sarebbe stato bene, ovviamente, ma doveva smetterla di suscitargli fantasie erotiche non appena apriva bocca… o la cosa non sarebbe finita in modo casto. “Perché non provi? Sarebbe divertente!”.

“Sarebbe più divertente che tu mi spiegassi perché parlavi con un panino”.

“Io non parlavo con un panino!”.

“Sì”.

“No”.

 “Sì”.

“No”.

“SÌ!”

“NO!!!”

 “Oh, andiamo… sono una persona comprensiva IO, puoi dirmelo”.

“Se mi dici perché sculettavi in mutande!”.

“IO NON SCULETTAVO IN MUTANDE! Parla o ti butto fuori!”.

“Aaaaah, d’accordo!”. Sbraitò, grattandosi la nuca con un gesto di stizza, ipnotizzato per un attimo dal collo scoperto di Kyle. “Se anche parlassi con un panino, e sottolineo parlassi, credo lo farei per terapia”. Spiegò, distogliendo gli occhi di malavoglia per non essere colto in fallo.

“Terapia?”.

“Sì! Terapia ho detto!”. Provò a liquidarlo raggomitolandosi sulla sedia in una posizione scomposta, ma comprese che quella risposta non era esaustiva. I suoi piedi divennero improvvisamente molto affascinanti, così come l’idea di suicidarsi mettendo la testa nel forno. “Se parlassi con il cibo mi ci potrei affezionare… e se mi ci affezionassi, forse… potrei anche evitare di mangiarlo…”. Detto così poteva anche non avere senso –probabilmente perché non ne aveva che in senso teorico-. Lo capiva dal lento sollevarsi del sopracciglio di Kyle, e da come incrociava le braccia sul petto guardandolo –guardandolo davvero, per la prima volta dopo dieci anni-. “E da quand’è che fai questa cosa, di grazia?”.

“Tu non vuoi veramente saperlo, ebreo. E comunque ha funzionato, ed è questo che conta… no?”. Fece per tamburellarsi lo stomaco piatto.

“Complimenti”. Esalò l’altro, sarcastico.

“Fai poco lo snob, Mister ‘Mipiaceballarecanzonidagayinmutande’. Non sono l’unico qui ad essere anormale!”.

“Non mi piace ballare canzoni da gay in mutande!”. Ribadì con il viso un po’ rosso e la vaga impressione di star mentendo spudoratamente.

“Oh, andiamo. Sono una persona comprensiva, IO!”.

“Non farmi il verso, stronzo, o ti butto fuori all’istante”.

“Oh, Kahl, le tue minacce sì che sono terrificanti! Anche la tua mammina dovrebbe sapere che suo figlio è un campione della politica del terrore!”. Vedendo il suo viso diventare ancora più rosso sentì di essere veramente a casa –anche Principe Albert era ancora un triste e malinconico clochard senza dimora, metaforicamente parlando-. Borbottò un po’ prima di chiedere, punto sul vivo: “Che cazzo c’entra mia madre?”.

“Oh, lei c’entra sempre. Probabilmente c’entra qualcosa pure con il buco dell’ozono e con la guerra in Iraq”.

“Oh sì, cazzo! Mia madre è Osama Bin Laden ed Eric Cartman discute del presidente degli Stati Uniti con un dannato ammasso di farina ed olio. Ma se ti metto a culo all’aria stanotte non potrai venire a conoscenza di queste news fondamentali… quindi smettila di rompere le palle e…”. Balbettò.

“E?”. Lo apostrofò Eric, in un imitazione abbastanza riuscita del suo sopracciglio alzato da snob.

“… facciamo finta di niente, magari?”. Concluse, ormai più rosso del Ketchup in un hamburger di McDonald.

Eric arrossì a sua volta, senza accorgersene e senza che nemmeno Kyle se ne accorgesse… per grazia divina. “Sì… penso possa andar bene…”.

“Bene…”. Kyle afferrò un’altra sedia, posizionandosi di fronte a lui. Gli sorrise, sinceramente e da una distanza fin troppo breve, e per giunta mezzo nudo –in effetti sembrava proprio l’inizio di un sogno erotico particolarmente spinto-. “Posso mangiarlo io Joe Panino?”. Chiese, indicandolo.

“Direi che non se ne parla. Joe è il mio migliore amico”.

“Oh, scusa. Immagino che tra voi il dialogo sia molto proficuo”. Incrociò le gambe e appoggiò la testa su una mano, come volesse fargli vedere meglio il suo sorriso allusivo e sensuale a livelli storici –con la bella bocca obliqua e gli occhi verdi scintillanti-. Sembrava la scena di un film, e lui pareva la donna sexy e provocante, con un vestito da sera il cui spacco faceva intravedere le gambe, che veniva a fare offerte allettanti al ben capitato protagonista. Il dialogo è proficuo, non è vero? Perché non ci facciamo una chiacchierata sotto le lenzuola? Te… me… il panino e molta panna montata…

“Non sai quanto”. Ribattè. “E fra te è George Michael?”.

“Niente di che. Era solo sesso”. Scherzò, toccando inconsapevolmente un punto nevralgico. Riavviò all’indietro i capelli rossi, che erano diventati improvvisamente più lunghi. Oh cristo, una cazzo di parodia di Jessica Rabbit in pieno ciclo mestruale…

“Solo sesso… eh?”.

“Già. Lui non mi amava…”. Alzò le spalle, fingendo rassegnazione. “Come mai questo posto non brilla come un fottuto specchio, Cartman?”. Deglutì, improvvisamente certo di esserselo dimenticato quando invece il pensiero non gli aveva neanche mai sfiorato la testa. “Ehi, non c’erano specchi nei nostri patti!”.

“Vuoi che mangi Joe Panino?”.

“NO!”.

Kyle sorrise, allungando una mano per frugare in un cassetto. “Allora domani metti questo, rimboccati le maniche e comincia a lavorare”.

Quello che gli porgeva era un grembiule, un ridicolo grembiule rosa con carotine e pomodorini arricchiti di occhi per fissarti in maniera inquietante e di bocche per minacciarti d’indigestione. “Dove cazzo hai preso una cosa, del genere, ebreo?”.

“Tu non vuoi veramente saperlo, Cartman. E, se te lo stai chiedendo –e so che lo te lo stai chiedendo-, sì, ti sto facendo il verso”.

“Oh, d’accordo…”. Ora poteva andarsi a rivestire, per la dannata miseria?  Almeno prima che gli si appiccicasse addosso come un koala. Ma non esternò il pensiero perché, in una piccola parte dentro di sé, gli sarebbe piaciuto se fosse rimasto in quelle condizioni per tutta la sera.

“Vado a vestirmi”. Come non det… pensato. Kyle trotterellò verso la sua camera, sospirando.

Cartman fissò Joe e consolò Albert, sospirando per lo stesso motivo per cui sospirava lui.

Sì, ho decisamente bisogno di una bella scopata.

 

*Citazione di “Nemico Pubblico”, con Johnny Depp, dove ho avuto l’impressione che la morosa di quest’ultimo si riferisse al suo gingillo con questo appellativo xDDDD

*Il nome delJeans sono inventati alla cazzo.

 

 

   
 
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