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Autore: Yelena Blonsky    18/03/2010    0 recensioni
Questa è una fan-fiction ispirata a "L'Incredibile Hulk" e basata soprattutto sul personaggio del villain, ovvero l'Emil Blonsky di Tim Roth, mio amore assoluto! Questo pseudo-sequel sporcato da diverse contaminazioni prese da vari film del mondo Marvel e da altri generi comunque sempre fanta-horror, andrà a stravolgere un pò la figura dell'antieroe, passandolo alla parte dei "buoni" e buttandolo anche in una storia d'amore. Alla fine del film lo abbiamo lasciato sconfitto da Banner/Hulk. Lo ritroviamo prigioniero del Generale Ross deciso a farlo studiare dal suo staff. All'interno di esso, ci sarà una persona molto vicina a Blonsky che trama vendetta verso Ross stesso per motivi molto personali. Lo aiuterà, si prenderà cura di lui e progetterà un piano per raggiungere il suo scopo e riprendersi la sua vita. Tra losche trame, poteri sovrannaturali e coinvolgendo altri personaggi di film provenienti da casa Marvel, riuscirà nel suo intento. Con lieto fine. Numerose citazioni e quotes decisamente voluti in omaggio a molti film che personalmente amo tantissimo. Nota di follia: l'ho tradotta in inglese, versione per cui a dire il vero sono decisamente più contenta di quella in italiano :-), l'ho stampata, rilegata con tanto di copertina e letteralmente spedita via corriere all'indirizzo che viene venduto come publicist di Tim Roth...che spero di ottenere? Un grazie ed un autografo!!! :-))) La follia non ha prezzo...
Genere: Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: Cross-over, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Irina

 1

          Ecco l’ingresso del reparto. Un’asettica porta blindata mascherata da elegante cancello di cristallo e acciaio; fredda, inespressiva. L’unica macchia di colore, si fa per dire, era lo stemma nero delle Stark Industries. La scritta Sezione Scienze Speciali celava in realtà un antro di orrori: modificazioni genetico-cellulari, studi di psico-cinetica, telepatia, mutazioni indotte.
Tutto nel padiglione dava l’idea di rigida conservazione di segreti che nessuno avrebbe voluto far conoscere al mondo, ma che erano comunque sgattaiolati fuori almeno in parte. In fondo è destino, più cerchi di tenere nascoste delle verità più queste si dibattono ardentemente per fuggirsene via, per cercare un qualsiasi possibile ed impercettibile buco da cui fuoriuscire e mostrarsi all’universo. Così era stato…ed il generale Ross per una volta tanto ne aveva pagato le pesanti conseguenze. Ciò non  dispiaceva poi tanto ad Irina.
Questi i pensieri che le transitavano nella mente mentre lo scanner analizzava la retina dei suoi occhi color ghiaccio e faceva scattare la serratura dell’ingresso. “Benvenuta dottoressa”. La solita, lagnosa voce meccanica.
Una pila di cartelle cliniche sottobraccio, una sigaretta accesa fra le labbra viola, Dior tonalità nr. 15, l’unico rossetto che portava, l’unico che le piacesse davvero e che a suo dire, abbinato alla pelle bianchissima, la rendeva tanto apatica da dissuadere qualunque personaggio indesiderato a rivolgerle la parola.
Irina Kandinsky, classe 1973, attualmente trentacinquenne, nata in Unione Sovietica, trasferitasi in Inghilterra all’età di dodici anni. Un genio puro, una rarità. Doppia laurea conseguita all’improbabile età di anni sedici in chimica organica e biofisica genetico-molecolare, prelevata da Londra all’età di venticinque anni e trasferita allo Stark Industries Bio-Complex Institute ad Arlington, Virginia,  dove era capo ricercatrice per il reparto Scienze Speciali. Non che lei avesse mai deciso autonomamente tutto questo. Ci era stata trascinata. Punto. Così era con Ross.
       “Dottoressa Kandinsky, lo sa che nemmeno a lei è consentito fumare, sia buona!”, Harry, la guardia del turno di giorno, la stava amichevolmente apostrofando con un sorriso.
“Scusami, dimenticavo le regole sparate fuori da quelli con il bastone su per il…oh bhè non cominciamo con le volgarità di primo mattino!”, gli rispose mentre spegneva noncurante il mozzicone sul vetro della guardiola.
Si potevano intravedere le schiere di armi neutralizzanti, fucili a sedativo e a mercurio,  e quant’altro ci fosse di possibile per sedare eventuali soggetti fuori controllo. Mentre attraversava lo scanner a raggi X per il consueto check Irina si chiedeva se davvero ce ne fosse bisogno. Gli scienziati catalogano qualsiasi essere umano come cavia per i loro esperimenti; se cominciassero loro a dare esempio di umanità?
       “Giornata intensa dottoressa? Ho sentito che hanno recuperato un altro mostro da tenere a bada…e lo rinchiudono qui, ovviamente”.
Il bel sorriso della dottoressa si era spento.
 “E’ un essere umano come un altro Harry, con un grande difetto: il suo ego. Quello che è lo deve comunque ai veri mostri, quelli che si divertono a fare Dio…Buona giornata”, tagliò corto.
“Anche a lei dottoressa”.
      Non le piacevano questi commenti insensibili ed irrispettosi nei confronti di un soldato che comunque aveva dato la sua vita per una carriera in continua e rapida ascesa e che si era fottuto da solo quando aveva accettato di farsi drogare con un cocktail ancora in sperimentazione per il solo desiderio di tornare ad essere un combattente al meglio delle sue possibilità. Quando ti ritrovi il potere in mano, è ovvio che poi tu ne voglia sempre di più…Lei lo sapeva bene. Questo era stato l’errore di quell’uomo. Un velo di tristezza le era passato negli occhi. Chissà se l’avrebbe riconosciuta…chissà se avrebbe ricordato chi lei fosse davvero.


2
           
           Stanza 107. Sigillata. Irina attivò il codice di sicurezza e sbloccaggio serratura a sette cifre che cambiava ogni ora, spinse la pesante porta di acciaio ed entrò nella camera. Due severi occhi chiari e folli la stavano osservando con odio, un ghigno denso di rabbia piantato sulle labbra. Al primo colpo d’occhio persino ad Irina sfuggì la quantità esatta di aghi, tubi e tubicini con sensori che avevano piantato nel corpo di questo soldato.
“Aaahhh guarda un po’…un altro giro turistico per lo spettacolo? Per il freak-show? Anche tu sei qui per studiarmi? Per infilarmi altri aghi? O vuoi solo fare la foto ricordo con il mostro?”.
           La voce appena udibile ma tagliente come un rasoio. I nervi tesi, nonostante il plausibile dolore aveva staccato la schiena dal letto, sua prigione ormai da settimane tranne che per uscite minime e controllate, e si sporgeva verso di lei con aria minacciosa quasi volesse farla a pezzi.
“Non funziona Blonsky. Non con me. Non ho paura né di te né di quello che potresti teoricamente diventare ma che in pratica non puoi, quindi tagliamo corto con minacce, insulti ed altre stronzate simili, sono stata chiara?”.
Non lo aveva nemmeno guardato, non aveva nemmeno alzato lo sguardo dalle cartelle cliniche che stava rapidamente passando in rassegna.
“Scusami per l’informalità del tu, ma visto che sei stato il primo a prenderti confidenza ho deciso di assecondarti. Spero la cosa non ti infastidisca troppo. Ti consiglio di rilassarti e riappoggiarti comodamente al letto, deve essere doloroso stare in quella posizione con degli aghi piantati in ogni dove”.
       Ora sì. Ora lo stava guardando. Emil Blonsky, trentanove anni ed una pluridecorata carriera militare, sguardo di ghiaccio ancora assolutamente riconoscibile nonostante gli sviluppi di quelle ultime due settimane. Uno sguardo unico. E lei se lo ricordava bene. Non lo avrebbe mai potuto dimenticare.
“Tu chi diavolo sei?”.
Blonsky era tornato alla posizione originale, vagamente sorpreso. Chi era questa ragazzina così arrogante? Aveva calcolato che avrebbe potuto avere più o meno ventidue anni, che diamine ci faceva lì??? Avevano mandato una studentessa?? Per lui??? Ross era davvero caduto in basso se era costretto a reclutare degli apprendisti. Cazzo, gliel’aveva fatta davvero grossa al generale distruggendo mezza New York, se il governo gli stava segando i fondi per l’istituto.
        “Irina Kandinsky, capo ricercatrice per il reparto Scienze Speciali di questo istituto. Ti stringerei la mano se potessi, considerato il numero di aghi piantatici. Il tuo exploit poco ortodosso in città ha causato un bel po’ di caos su ai piani alti. E quando a loro brucia il sedere per qualche cavolo di guaio da cui non riescono a venirsene fuori, chiamano me”.
Aggrottò le sopracciglia sottili e stirò le labbra in una smorfia divertita.
“E non pensare che la cosa mi faccia piacere sai? Me ne sto bene nel mio laboratorio perché vado al lavoro quando mi pare, perché ho il tempo di fare tutte quelle belle cose che alle donne piace fare…Qui invece mi sbattono giù dal letto alle quattro del mattino per venire a vedere la tua brutta faccia e mi costringono a lavorare venti ore al giorno. Senza bonus, ovvio. Quindi ti consiglio di startene buono, altrimenti non sarai solo tu ad essere incazzato e a diventare verde. Intesi??”.
Era riuscita a strappargli un sorriso. Un flash. Due calici, un brindisi, il suo sorriso. Buio.
“Quest’ago è troppo in profondità ed ha deviato all’interno della vena, potrebbe bucarla e creare un’infezione senza che nemmeno ce ne accorgiamo. Il siero che hai nel sangue dovrebbe neutralizzare eventuali infezioni ostili, ma meglio non sfidare la sorte visto il mix di schifezze che ti sei fatto iniettare. Non muoverti, ci vuole un secondo a rimetterlo in linea”.
           C’era qualcosa in quella ragazza, in quei lineamenti, in quegli occhi di un azzurro quasi imbarazzante, in quella voce. Blonsky aveva l’impressione di averla già vista. Ma dove? Dal nome doveva essere sicuramente russa, come lui, ma era emigrato in Inghilterra all’età di sedici anni ed era plausibile che lei non fosse nemmeno nata, quindi era impossibile…Come se Irina sentisse i suoi pensieri si era accorto che lo stava fissando con un’insolita aria triste negli occhi, subito svanita, o per meglio dire mascherata quando lui aveva alzato lo sguardo per piantarlo dentro al suo.
“Capo ricercatrice, eh? Raccontalo ad un altro…Quanti anni hai dottoressa?”.
Stava per rispondergli quando un rumore attirò la sua attenzione.
Era la porta. Avevano visite. La ragazza aveva assunto un’aria di disprezzo alla vista dell’ospite. Blonsky si chiedeva perché.
“Tony Stark. A cosa dobbiamo la tua visita? Sgradita per altro. Il tuo nome sulla facciata dell’istituto ci sta da una vita solo per memoria di tuo padre. Non hai bisogno di venire qui per far vedere che hai a cuore il tuo lavoro”.
“Mi sorprende che tu mi accolga così male. Volevo solo vedere di persona l’ultimo dei fenomeni da baraccone creati dal mio caro amico, il generale. Chissà, magari ci posso scrivere una sceneggiatura per un film horror no?”.
Blonsky era scattato ringhiando come un animale, noncurante dei dolori che aveva in tutto il corpo. Se non fosse stato per quell’antisiero che gli somministravano e che gli impediva di mutare lo avrebbe già disintegrato. Irina lo spinse indietro delicatamente appoggiandogli la mano sul petto.
“Calma soldato, so cavarmela da me”.
“Ehi ehi ehi, il tuo amico si agita un po’ troppo! Un osso potrebbe calmarlo, diciamo?”, Stark si era portato di fronte a lei, dall’altra parte del letto. Irina lo stava fulminando.
“Bhè almeno lui ha la scusa che così ce lo hanno fatto diventare seppur dietro suo consenso…tu a cosa ti appigli per essere nato così bestia?”.
“Uhm, ancora risentita mi sembra di intuire…Mi tocca correggerti. Da quel che so Ross ha solo avanzato la proposta. Il fatto che quasi una settimana fa il tuo nuovo caso abbia freddato la Sparr e si sia fatto bombardare da raggi gamma è stata una sua scelta”.
“Ma senti senti. Vedo che non perdi l’occasione per fare sfoggio della tua cultura Tony…tu credi davvero di conoscere sempre tutto, non è forse così?”, lo squadrava con un mezzo sorriso strafottente.
“Stai cercando di buttarti sul lavoro per dimenticare?? O Ross ti ha mandato qui con lo specifico ordine di servizio di vedere se riesci a controllare questo….abominio???”, aggiunse con un sorriso maledettamente bastardo tipico alla Tony Stark, “Sai che hai ben poche chances…tesoro, lascialo stare, fuggi dal mondo dei mostri e torna sulla terra….Che pensi di fare???? Sei un tipo spiritoso, ma io non farei ciò che minacci di fare”.
Tony si era accorto del dispositivo nelle mani di Irina. Lo conosceva bene: era un suo progetto.
“Vediamo cervellone. Domandina facile facile, giusto per i principianti: lo sai cos’è questo sì?”. Una sprezzante ironia nella voce di Irina accompagnata da un sorriso di sfida.
“Ma certo, il grande Tony Stark è Dio e quindi è onnisciente…Ora mi hai veramente rotto con il tuo atteggiamento. Ti consiglio di sparire da qui alla velocità della luce. Tornatene a giocare con il tuo esoscheletro, a colorarlo con i pennarelli, a fare quel cavolo che vuoi e lasciami fare il mio lavoro. Sai benissimo che la mia pazienza è assai limitata soprattutto con te. E sai benissimo cosa succede se inserisco il codice e premo questo simpatico, allegro e cangiante bottoncino rosso. Tempo 45 secondi dallo stop del flusso dell’antisiero…et voilà!! Blonsky si arrabbia sul serio…L’hai già fatto incazzare abbastanza, non vuoi fargli superare il limite no???”.
   
        Blonsky era sorpreso. Questa pazza lo avrebbe davvero liberato??? Questa sì che era bella! Cosa le aveva fatto Stark? Non che gli interessasse granchè ma questa scena era davvero esilarante.
“Non ti consiglio davvero di disattivare l’erogazione dell’antisiero, bellezza….a meno che tu non voglia far colorare questa inedia di stanza con il bel rosso acceso delle nostre budella sparse sulle pareti! Sì perché se l’amico qui cambia non credo proprio che ti risparmierebbe per ringraziarti…ci farebbe secchi entrambi, non credi?”.
“Tu cosa ne sai Tony? Leggi nelle menti altrui ora?”.
“No, non potrei…Questo lo lascio fare a te che sei geneticamente attrezzata per farlo, no?”.
L’ironia che era intercorsa nella voce di Stark non era sfuggita alle orecchie di Blonsky il quale aveva distolto lo sguardo assassino da lui per tramutarlo in un potente sguardo interrogativo verso colei che, sino ad ora, sembrava l’unica persona che lì dentro nutrisse un po’ di simpatia per lui. Sì. Ma perché? Chi era questa ragazza?
“Fuori da questa stanza. Subito!! O giuro che lo lascio libero”.
Tony aveva chiaramente afferrato il messaggio. Irina non stava scherzando. L’insofferenza che le leggeva in faccia era abbastanza per mollare la presa.
“Ok. Ok…va bene”, disse alzando le mani in segno di resa.
“Non ti scaldare…Ma ricordati che ciò che tenti di fare è sempre stato un fallimento. Lo è stato in passato. Lo sarà ancora. Non ci sono speranze di controllare qualcosa che ormai è fuori controllo. E tu lo sai”. Un sospiro.
“Senza offesa Blonsky…” disse chinando la testa verso di lui “…ma forse sarebbe meglio se ti iniettassero un buon mix di mercurio e cianuro e passassero il tuo cadavere all’inceneritore. Mi spiace ma è così che funziona col progetto da sempre fallimentare del super-soldato…La tua nuova sostenitrice non te lo ha ancora detto?”.
 Irina lo stava massacrando con gli occhi.
“Offesa non recepita. Intanto vai avanti tu a vedere come si sta all’inferno. Poi ti seguo, promesso…Sono un uomo di parola io” gli rispose Blonsky squadrandolo dal basso verso l’alto con quel ghigno malefico che gli riusciva così naturale.
“Tony hai dieci secondi!” tuonò Irina.
Con una scrollata di spalle Stark si diresse verso la porta.
“Mi spiace che sia capitato a te Blonsky. In fondo sei un simpatico ragazzone…Irina…pensaci bene a quello che fai…”.
“Ci ho già pensato. E più che bene. Tutto quello che faccio e che farò non può in nessun modo essere peggio della scelta di averti sposato Tony. Per fortuna quello è stato un errore a cui ho potuto facilmente rimediare…ed ora sparisci e lasciami lavorare”.
Stark scuotendo la testa ed emettendo una risatina ironica uscì tirandosi dietro la pesante porta. L’unico rumore udibile dopo fu il sospiro della ragazza.
   
          Sentiva i suoi occhi che la fissavano incessantemente. A testa alta, si era girata a guardarlo. I lunghi capelli biondo cenere gli erano scesi a coprirgli un occhio rendendo il suo sguardo ancora più magnetico. Altro flash. Una ciocca dei suoi capelli che le accarezzava il volto. Vociare di persone. Labbra morbide. Buio.
“Mi dispiace per questa scenata patetica. E mi dispiace per il modo inumano in cui ti stanno trattando. Cercherò per quanto mi sia possibile di migliorare le tue condizioni. Ross non sarà accondiscendente alle mie richieste di farti togliere un po’ di aghi e sensori, ma si fida ciecamente della mia professionalità ed intuizione. Vedrò di fare in modo che mi dia autorizzazione a procedere”.
Blonsky abbassò la testa ed intensificò lo sguardo su di lei. Questa ragazza gli diceva qualcosa. Non era possibile. Non poteva essere una sconosciuta.
“Chi sei? A parte la ex-moglie di quel pezzo di stronzo…Non capisco perché te la prenda tanto per me. E non capisco di cosa parlava il tuo ex. Di controllo? Che tipo di controllo? Che cosa volete fare? Pensate di potermi…controllare??? Cos’è che non mi hai ancora detto?”, il sorriso cattivo ed ironico splendente sul suo viso.
“Saprai quello che c’è da sapere al momento opportuno. Ora pensa a startene tranquillo. Tornerò appena ottenuta autorizzazione dal generale a procedere. A modo mio”.
Irina gli puntò un dito in faccia agitandolo come se stesse riprendendo un bambino. Il fatto che questa specie di teen-ager un po’ cresciuta lo bacchettasse pur portandogli la parte per Blonsky era quasi intollerabile. Era assurdo. Pura fantascienza.
“E fino a quel momento sforzati di comportarti in modo da non farlo andare in escandescenze, prima che si stufi seriamente di te e decida di ridurti talmente piccolo da riuscire ad entrare in un’urna funeraria”.
Irina raccolse tutte le sue cartelle e si avviò verso la porta.
“Non preoccuparti. Io e il generale siamo grandi amici. Sarà paziente con me”, l’aveva sentito pronunciare alle sue spalle con una mezza risatina.
“E comunque non mi hai ancora risposto”, aveva poi continuato.
“A cosa Blonsky? A tutta quella serie pazzesca di domande che mi hai rivolto dieci secondi fa? Mi sembra di averlo appena fatto”.
“A quanti anni hai. Non puoi avere una posizione del genere alla tua età…non sono un idiota…”.
Irina si girò a guardarlo; il sarcasmo era svanito per lasciare ancora una volta il posto a quel velo di tristezza sul volto.
“Ne ho trentacinque” e chiuse la porta alle sue spalle.

  
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