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Autore: Beatrix_    20/03/2010    0 recensioni
Song-fic ispirata all'omonima canzone dei Dire Straits.
Una storia ambientata in un mondo a metà tra la realtà e la fiaba, in un mondo di stereotipi e di sogni.
Genere: Malinconico, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Where you can fall for chains of silver, you can fall for chains of gold
You promised me everything [...] Now you just says

“Oh Romeo yeah, you know I used to have a scene with him”

 

“È tornato, è tornato!” Juliet alzò appena la testa dal cuscino e spalancò gli occhi sul buio della sua camera. Nessuna luce filtrava dalla finestra, né da sotto la porta: doveva essere ancora molto presto. Cercò di formulare un pensiero coerente ma la mente era annebbiata dalla sbronza del giorno precedente. Sua sorella, sedici anni, si precipitò nella sua camera, spalancando la porta, e per nulla rispettosa del mal di testa che si era improvvisamente impossessato della sorella, continuò ad urlare, incessantemente ed ossessivamente “è tornato, è tornato!”.

“Chi è tornato?” biascicò Juliet, con la bocca impastata dal sonno “Ma Romeo, no? Chi vuoi che sia tornato!” Juliet si ributtò sui cuscini, non aveva voglia di dir nulla, non aveva nulla da dire.

Rosie non si diede per vinta: “Allora? Non dici nulla? Non vuoi vederlo? Non vuoi parlargli?” esclamò con lo stesso, altissimo, tono di voce.

Era troppo. “ADESSO SMETTILA ED ESCI IMMEDIATAMENTE DALLA MIA CAMERA!” non sapeva da dove aveva tirato fuori tutta quell’energia, ma voleva solo esser lasciata in pace e godere serenamente delle altre cinque ore di sonno che, la domenica mattina, le spettavano di diritto.

Rosie, spaventata, uscì immediatamente, avendo cura di sigillare per bene la porta alle sue spalle.

Juliet si adagiò mollemente sui cuscini, sperando di farsi sedurre nuovamente da Morfeo. La notizia non le aveva fatto alcun effetto. Non aveva sentito nulla. O almeno sperava fosse così.

 

“Ehi, ragazzina! Non dovresti andare in giro da sola, a quest’ora di notte!” Juliet si girò, impaurita, e quando vide Romeo sentì l’ansia crescerle dentro: in fondo, non dicevano tutti che era un tipo da cui stare alla larga? Si girò, e considerò per un attimo la possibilità di rientrare nella casa di Sheryl, che aveva appena lasciato, intenzionata a tornare a casa a piedi. Guardò l’edificio illuminato, sentì la musica house che ne veniva da dentro e le risate degli altri invitati. Scartò immediatamente la possibilità e si avvicinò invece un po’ di più a Romeo, che la fissava con aria divertita. “Non chiamarmi in quel modo, non sei tanto più grande di me!” gli disse, armeggiando con le scarpe con tacco per sfilarsele e dare un po’ di sollievo ai poveri piedi martoriati, “e poi tu cosa ci fai, in giro a quest’ora di notte? Guarda che nessuno ti ascolterà, se suoni, a quest’ora!” Lui aveva sorriso, un sorriso aperto, e lei si era subito fidata, comprendendo che non aveva cattive intenzioni. “Magari sto andando a fare una serenata...” le aveva risposto, indicando l’inseparabile chitarra. Juliet si era ammutolita e sul suo volto si era dipinta una lieve espressione di stupore. Una serenata! Come avrebbe desiderato una serenata! C’erano davvero ragazzi che facevano ancora cose del genere?

 

Nella mezz’ora che seguì si rigirò incessantemente nel letto, senza trovar pace né sonno, come se non fosse più il suo morbido giaciglio ma qualcosa di freddo e duro che non le permetteva di riposar tranquilla. Si alzò, ancora con la testa pesante: non avrebbe sopportato un istante di più di rimanere lì distesa.

In cucina i suoi genitori prendevano la colazione con sua sorella. Si sedette anche lei, gettando un’occhiata furtiva all’orologio appeso al muro: le otto meno un quarto. Non riusciva a ricordarsi un altro giorno in cui si era alzata così presto. Suo padre la chiamò con falsa premura “Tesoro! Come mai sveglia così presto, di domenica mattina? Non hai riposato bene? È accaduto qualcosa?” Juliet scosse la testa, incapace di rispondere a parole. Doveva offrire uno spettacolo ben ridicolo, ancora in pigiama, con i capelli per aria e pesanti occhiaie che le cerchiavano gli occhi.

“È colpa mia” mormorò Rosie, sperando che la sorella non se la prendesse nuovamente con lei “l’ho svegliata io perché...” un attimo di esitazione, Juliet trattenne il fiato ma poi la sorella minore ci ripensò “perché volevo parlare con lei”. Per quella mattina la pace familiare era salva. Juliet prese un biscotto e lo intinse nella tazza di caffellatte che Shavonne, la loro domestica, le aveva gentilmente messo davanti.

Mangiò reprimendo un conato di vomito per il poco sonno, la stanchezza e l’odore disgustoso delle rose, che dovevano essere sbocciate quella notte. Mangiò tentando di non ascoltare i discorsi vuoti di suo padre, le risatine di sua madre e le lamentele di sua sorella. Mangiò tentando di non pensare a Romeo.

 

***

 

Le dieci di mattina, a casa di Miriam. Anzi, per essere precisi, nella piscina di Miriam. Miriam si era trasferita in quel quartiere solo un paio d’anni prima. Era una ragazza solare, sempre pronta ad accogliere le novità e dotata di un notevole spirito d’iniziativa. Eppure faticava a legarsi a qualcuno. Non si affezionava mai. Bisognava frequentarla per mesi e mesi, prima di riuscire a scalfire la sua corazza, e poter parlare con lei di qualcosa di più profondo del tempo, o del vestito che avrebbe comprato l’indomani.

Juliet e Abigail, che si conoscevano da quindici anni, l’avevano accolta dapprima con diffidenza, ma in seguito avevano legato, ed ora non si riusciva mai a vederle separate.

Miriam aveva un paio d’anni di più delle altre due, ed aveva già finito i suoi studi universitari, che, del resto, non le sarebbero serviti a molto: in quanto figlia unica avrebbe ereditato interamente la fortuna paterna.

Abigail studiava, svogliatamente, all’università locale, con Juliet. Davano sì e no un paio di esami l’anno, ed entrambe non avevano alcuna voglia di pensare al futuro. Nessun rimprovero però , era mai venuto dalle proprie famiglie, e loro non si sentivano troppo in colpa a dividere la vita tra feste, sbronze, e divertimenti di vario genere.

‘Siamo giovani, e fra un po’ non lo saremo più’ andava ripetendo Abigail, quasi come una preghiera di un rito dionisiaco, ogni volta che l’amica si sentiva in colpa per il suo andamento scolastico.

La casa, quella domenica mattina, era affollata. Miriam amava radunare gente, e i ragazzi dell’alta società avevano fatto delle domeniche mattina a casa sua quasi un rituale irrinunciabile. Un gruppo di ragazze chiacchierava allegramente, distese sui materassini prendevano il primo freddo sole di primavera e ridevano. Abigail, Juliet e Miriam erano tra loro, ma conversavano piuttosto tra di loro che con il gruppo.

“Juliet, sai che è tornato Romeo?” lasciò cadere lì Abigail, sorseggiando maliziosa un succo di frutta: niente alcolici prima di mezzogiorno, si erano promesse. Juliet quasi si strozzò, e prima di rispondere tossì violentemente e sputò un po’ del suo succo nella piscina. “Sì, lo sapevo, mia sorella ha giudicato opportuno svegliarmi alle sette della mattina per mettermi a parte della notizia” cercò di non mostrare alcuna emozione, tanto più che a quella frase, ma soprattutto alla sua rumorosa reazione, si erano tutte girate a guardarla e avevano preso a mormorare.

Miriam spalancò i suoi grandi occhi azzurri, una scintilla di curiosità le brillava nel fondo delle pupille “Chi è Romeo?” chiese guardando ora Juliet ora Abigail. Juliet alzò le spalle e rimase muta.

“Oh, Romeo! È un giramondo!” rispose, con troppo entusiasmo, un'altra ragazza “approdò qui quattro anni fa e beh, ci fece tutte innamorare... tanto più che eravamo solo delle ragazzine” esplose in una risatina che Juliet giudicò idiota e continuò “quella però a cui andò peggio fu Juliet. Ebbe una storia con lui” rivelò a bruciapelo “puoi immaginarti!” continuò ad argomentare “vestito malissimo, senza fissa dimora e senza un soldo! Non proprio quello che si definirebbe un ottimo partito! Era bello, certo, bello come un Apollo, ma la bellezza, a questo mondo, non è mica tutto!” qui la risata fu generale e Juliet ne fu quasi infastidita “per fortuna, ne uscì molto presto, grazie ai saggi consigli dei suoi amorevoli genitori e ovviamente di noi amiche!” terminò la ragazza riappoggiando il capo sul materassino e chiudendo gli occhi: un sorriso le si dipinse sulle labbra, soddisfatta di come aveva narrato la questione.

 

Ricordava bene il giorno in cui Romeo era arrivato in città, con la sua inseparabile chitarra e con un unico amore: la musica. Era malvestito, sporco, e camminava storto. Sembrava arrivato addirittura da un altro pianeta. Mentre ci si affannava a pensare a come mandarlo via, o, tra le sue coetanee si passavano interi pomeriggi a sfilargli davanti, a Juliet era capitato di pensare a come doveva essere la vita di quel ragazzo, non molto più grande di lei, in giro per il mondo con solo la sua chitarra come compagna fedele. Ricordava le sue fattezze, la sua pelle abbronzata e i capelli castani, sempre in disordine. Ricordava le sue espressioni. Ad un primo sguardo pareva non avesse emozioni, ma bastava poco, un sorriso, una parola, per accendere il suo volto. Ed era una bella sensazione, vederlo sorridere; era sempre stata una bella sensazione. Era un tipo riservato, Romeo. Non reagiva alle provocazioni delle ragazze, agli scherzi dei ragazzi e alle male parole degli adulti. Suonava tutto il giorno, per strada, e, nonostante non fosse ben voluto, alla fine della giornata guadagnava abbastanza per sfamarsi. Pareva non avesse bisogno di altro. Pareva che tutti i suoi desideri fossero già avverati, e che girare il mondo con la sua musica fosse la sua massima aspirazione. Come poteva essere? Continuava a chiedersi Juliet, in quei caldi giorni di agosto.

 

Juliet alzò le spalle, con aria indifferente “Oh, sì, Romeo, mi ricordo di lui, litigavamo spesso” sperò di liquidare le domande prima che queste esplodessero. Abigail rise sotto i baffi “Chissà come si arrabbierà Louis, ora che scoprirà chi è tornato in città!” Juliet la guardò di traverso, non sapeva se essere arrabbiata o sconcertata “Abigail, io amo Louis, stiamo per sposarci.” Argomentò cercando di mantenere la calma “non puoi davvero pensare che io vada in crisi soltanto perché un cantante giramondo si stabilisce da queste parti!” Abigail ricambiò lo sguardo  “è già successo una volta quindi...” sospirò, con l’aria di chi la sa lunga o di chi sta per vincere una scommessa “povero Louis, fuori città proprio questo weekend, senza la minima possibilità di difendersi...” continuò con aria falsamente triste.

Juliet la ignorò, cercando di provocarla il meno possibile e si distese a sua volta sul materassino, posando il bicchiera vuoto al bordo della piscina, dove fu prontamente portato via da uno dei camerieri.

Non voleva pensare, non avrebbe lasciato che i ricordi le si affollassero in mente e le avvelenassero la giornata. Tanto più che il cerchio alla testa non l’aveva abbandonata per un secondo da quando si era levata dal letto.

“Oggi pomeriggio andiamo in centro, così magari lo incontriamo, che ne dite?” sentì bisbigliare, tra il rumore dell’acqua, alcune delle ragazze lì riunite. Fece un sospiro, tentando di non ascoltarle: fu tutto inutile. “Ehi, Juliet, vuoi venire con noi? Oggi pomeriggio vediamo se...” “No” rispose secca lei, tentando di mantenere la calma. Non fece altro che scatenare maliziose e stupide risatine, prima che Abigail le rovesciasse il materassino e la facesse finire in acqua, facendola quasi affogare per la sorpresa ma concedendole, almeno, una distrazione momentanea, oltre che un refrigerio.

 

***

 

Quel giorno pareva proprio non fosse capace di stare in nessun luogo. Non a casa sua, dove lo sguardo di Rosie non l’abbandonava un secondo, sempre in attesa di un suo passo falso, di una mossa sbagliata o di un’espressione incantata. Non con le sue amiche, che all’occasione divenivano delle serpi: Abigail era stata la prima e più convinta sostenitrice della fine di quella storia. Le aveva ripetuto mille e ancora mille volte che non andava bene, che si sarebbe rovinata, che Romeo non era il tipo per lei. Ed ora si andava augurando che lei ci ricadesse! Come se poi fosse possibile ricaderci! No, non lo era.

Ora era una persona diversa da colei che quattro anni prima si era lanciata in una folle storia d’amore con un cantante giramondo. Ora era una donna, pensò scrutando il suo corpo nudo nello specchio appannato, dopo che una doccia calda l’aveva riconciliata, se non col mondo, almeno con se stessa. La curva delle spalle e quella del seno, non abbondante ma giusta, pensò, mettendosi di profilo. Il ventre piatto e la linea del bacino. La coscia, e le gambe dritte. Per quel giorno si ritenne soddisfatta di seè, mentre altri pensieri prendevano il sopravvento.

Si pettinò con forza i capelli, strappando i nodi anziché scioglierli. Ora aveva vent’anni e vent’anni sono l’età della maturità. È vero, era indietro con gli studi, e con ogni probabilità non si sarebbe laureata in tempo, ma una laurea non era così essenziale, considerato che molto presto avrebbe sposato Louis. Era così caro Louis, ed era stata così fortunata, lei, ad incontrarlo! Era proprio come dovrebbe essere il ragazzo ideale. Era bello, era dolce, dotato di un consistente patrimonio e pronto ad assumere la gestione degli affari non solo della propria famiglia, ma anche della famiglia della futura moglie.

Juliet, continuando a spazzolarsi oziosamente i capelli, ma con più dolcezza, ripensò alla tristezza che qualche volta invadeva suo padre, quando egli si ricordava di avere due figlie femmine. “Non che non possa lasciare a voi la gestione di... ma insomma... mi sentirei più tranquillo se...” era il suo modo delicato per far sapere alle figlie che non riponeva alcuna fiducia in loro. Erano due femmine. Non avrebbero mai potuto imparare nulla degli affari, non avrebbero mai potuto caricarsi del peso delle responsabilità che questo comportava. Juliet lo ripagava facendo esattamente quello che lui si aspettava da lei: niente. Sperava che Rosie reagisse diversamente, che si ribellasse e scegliesse per se stessa un’altra vita ma lei, Juliet, ormai aveva deciso cosa sarebbe diventata: una persona molto simile a sua madre, pensò con un po’ di ironia amara.

Osservò il suo viso. I capelli lunghi, bruni, che le cadevano, bagnati e appiccicati, sulle spalle. Gli occhi scuri ma grandi ed espressivi. La linea delle sopracciglia, disegnata con cura. Il naso e le labbra, forse troppo sottili. Scosse la testa e decise di rimandare l’ispezione ad un altro momento.

Chiuse gli occhi e pensò alla prima volta che aveva incontrato Louis, circa un anno prima, ad una festa. Parlava con un gruppo di amici, quando l’aveva vista. Il loro era stato un colpo di fulmine. Lui aveva cercato subito una scusa per attaccare bottone, ed avevano parlato tutta la serata, con un’intesa perfetta. Si erano rivisti il giorno dopo, e quello ancora dopo ed in breve si erano già dichiarati il proprio amore. La tranquillità che le dava quel ragazzo era impagabile. Ripensò al suo sorriso, al suo modo di scherzare e di comportarsi, e le spuntò un sorriso. Presto sarebbe tornato a casa, e tutto sarebbe stato come prima, tutti i cattivi pensieri si sarebbero volatilizzati, come per magia, e sul suo orizzonte sarebbe tornato il sereno.

Si riscosse e asciugò le ultime goccioline d’acqua rimaste sul suo corpo, si vestì in fretta, senza prestare molta attenzione a cosa metteva addosso: amava vestirsi bene, ma quel giorno, presa da un moto di insofferenza, si rifiutò di passare i canonici tre quarti d’ora per scegliere un abito. E non le importava che le coetanee giudicassero chiunque, anche lei che conoscevano da quindici anni, solo da ciò che indossava. Tanto meglio se quel giorno poteva passare inosservata.

 

Non è importante cosa indossi. Tutto ciò che c’è d’importante in una persona, nella sua vita,è racchiuso qui, nel suo cuore e nella sua anima. Le diceva Romeo toccandole il petto, poco sopra il seno sinistro, cercando di intercettare i battiti del suo cuore.

 

Probabilmente tutto ciò che l’aveva affascinata in Romeo era stato il suo modo semplice di vivere. La sua gioia per la quotidianeità e il suo fregarsene dell’etichetta e delle consuetudini. Forse tutto ciò che l’aveva affascinata in lui era stata l’incoscienza e la leggerezza con cui il ragazzo affrontava la vita. Sicuramente tutto quello che c’era stato tra di loro era dovuto alla troppo giovane età.

Non eravamo che dei ragazzini... pensava, passeggiando per la stranota via principale della città, in mezzo alla compagnia “Ehi, dico a te! Terra chiama Juliet! Povera ragazza, oggi è distratta!” ironizzò Abigail, gesticolando, rivolta alle altre.

Abigail era infine riuscita a convincerla a muoversi di casa. “Ma scusa, non vorrai rinchiuderti dentro fin che non se ne va, no? Guarda che potrebbero volerci dei mesi!” aveva saggiamente argomentato “No, no, solo che... non voglio proprio andare a cercarlo apposta, mi capisci?” aveva chiesto Juliet, disperata. “Oh, su, quante probabilità vuoi che ci siano di incontrarlo? Nemmeno una, te lo dico io! Ora smetti di fare l’asociale e vieni con noi, una domenica pomeriggio di compere è quello che ti ci vuole!” l’aveva definitivamente battuta Abigail. Certo! Continuava a pensare Juliet, quante probabilità vuoi che ci siano di incontrare una persona che gira nello stesso quartiere, per le stesse strade?! Nessuna, certo! Ma aveva tenuto il pensiero per sé. Tutto sommato, aveva cercato di convincersi, calmandosi finalmente, meglio fuori con le ragazze che dentro casa con i genitori e soprattutto con sua sorella! Continuando di questo passo, avrebbe iniziato a soffrire di claustrofobia!

“Guarda è lui! Sì, è proprio lui, non è cambiato per nulla” un mormorio iniziò a serpeggiare tra il gruppetto, quando videro il ragazzo, con la sua chitarra, in piedi sul marciappiede opposto. Juliet avrebbe voluto sprofondare, mentre le amiche le tiravano numerose gomitate che lei ignorava, girata dall’altra parte. Cercò con lo sguardo Abigail, per sussurrarle un deciso ‘Te l’avevo detto!’ pieno di rabbia ma non la trovò: era difficile vedere qualcuno con la testa girata in quella maniera innaturale.

Sentiva lo sguardo di Romeo su di sé, sapeva bene di essere stata riconosciuta e non poteva nemmeno affrettare il passo. Il gruppo infatti aveva rallentato fin quasi a fermarsi ed accellerare avrebbe voluto dire proseguire da sola, senza più la difesa di cinque persone che, bene o male, le stavano intorno e la coprivano. Risatine e mormorii si sarebbero potuti sentire fino a casa sua, figuriamoci se il ragazzo, dall’altra parte della strada, non le aveva udite!

“No, non è proprio cambiato per nulla!” esclamò anche Abigail, fissandolo spudoratamente. “Ora vuoi anche fargli ‘ciao-ciao’ con la mano?” chiese Juliet, collericamente. “Scusa, ora ce ne andiamo, se ti da tanto fastidio!” esclamò l’amica, stizzita a sua volta per la reazione di Juliet che reputava esagerata. La prese per un braccio ed iniziò a correre, trascinandola con sè.

Juliet tenne per un quarto d’ora gli occhi risolutamente fissi a terra, sulla strada, e poco dopo cercò una scusa e, adducendo il suo mal di testa, si allontanò, da sola.

 

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Avevo in mente questa storia da circa un paio d’anni, ma solo il mese scorso mi sono decisa a scriverla. Ultimamente mi accade di trovare le parole molto meglio di prima, speriamo che sia un cambiamento permanente!xD Non sono sicura che questa cosa che ho scritto abbia molto senso, ma insomma, alla fine, dal momento che l’ho scritta, mi sono decisa a pubblicarla.

All’inizio voleva essere una one-shot. Poi è venuta un po’ troppo lunga e ho deciso di dividerla in due, giusto per rendere più agevole la lettura; penso di postare il secondo e ultimo capitolo domani, o al più tardi all’inizio della prossima settimana.

Se leggete e lasciate un commento (positivo o negativo, non importa) mi fa piacere, ovviamente! :D

  
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