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Autore: Stella Livingston    21/03/2010    4 recensioni
Una Misty bambina, una Misty adolescente. Ricordi freddi come neve che se la tocchi fa male alle dita.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Ash, Misty | Coppie: Ash/Misty
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Disclaimer: Nessun personaggio di questa storia mi appartiene; Pokémon è proprietà di Satoshi Tajiri, della Nintendo e di Game Freak. La storia e tutte le sue situazioni sono mie, però. Chiunque si arroghi il diretto di copiare anche solo una singola parola senza il mio esplicito consenso non avrà quindi vita facile.

SNOW CAN WAIT

Snow can wait
I forgot my mittens
Wipe my nose
Get my new boots on
I get a little warm in my heart
When I think of winter
I put my hand in my father’s glove

Non se l’aspettava così la neve, decide Misty mentre alla finestra ne segue la caduta sgranando gli occhi. Nelle fiabe quella massa bianca e sconfinata sembra calda. Soffice. Fa sognare, immaginare posti bellissimi dove la fantasia possa correre a perdifiato insieme alle gambe.

Questa è la prima volta che la vede davvero, e non le piace. Non le piace perché non è calda, è gelida, e quando la tocchi con le mani fa quasi male alle dita. Non è neanche soffice, è quasi spigolosa, e le fa paura, un po’, perché Misty ha quattro anni e a quattro anni si può avere paura di cadere sulla neve e rimanerci congelati per sempre.

Quella mattina è uscita con le sue sorelle e i suoi genitori a giocare a palle di neve. Daisy, Lily e Violet erano contente, ed erano abili e veloci e correvano senza cadere; lei è stata tutto il contrario di queste tre cose. È stata una frana, è finita un mucchio di volte col sedere a terra e con la sensazione che ogni singolo muscolo del suo corpo la abbandonasse a poco a poco. Suo padre rideva con affetto e le tendeva una mano tutte le volte che la trovava lì seduta, perché Misty non è capace di rialzarsi da sola senza sprofondare di nuovo fra la neve pungente.

– Devi imparare ad alzarti – le ha detto lui mentre la prendeva in braccio per l’ennesima volta. - Altrimenti quando vai a giocare senza di me, chi ci sarà a farlo al posto mio?

Lo sguardo di Misty era andato alle sue tre sorelle. Ridevano; non si erano minimamente accorte che lei era caduta ancora.

– Non uscirò mai a giocare senza di te – ha detto allora Misty al papà, col naso che colava e le gambe che penzolavano senza che neanche le sentisse.

Adesso che è in casa vicino al fuoco del camino un po’ riesce a farsela piacere, la neve. Adesso sembra innocua, almeno. Misty resta col naso incollato al vetro della finestra, ad ammirare stupita i milioni di fiocchi che continuano a scendere senza sosta da giorni. Daisy dice che a febbraio è strano che nevichi, in una città di mare come Cerulean soprattutto, e che deve sbrigarsi a godersi lo spettacolo, perché prima o poi smetterà di nevicare del tutto e di quella cascata bianca non resterà che qualche spruzzo d’ovatta fra i cespugli del giardino.

Non sa se le interessa godersi lo spettacolo. Tutto ciò che desidera veramente è vedere di nuovo le colline di Cerulean ricoperte di grano, e sapere che è luglio e che è estate e fa caldo.

L’alito di Misty orna il vetro di sbuffi circolari ed opachi. Lei fa passare il dito tra quella nebbia densa e senza neanche accorgersene disegna un sole.

– Non vai fuori a giocare con le altre? – domanda dietro di lei la voce calda di sua madre. Misty scuote il capo.

– La neve può aspettare.

Sente la sua mamma avvicinarsi, e in un movimento rapidissimo si ritrova le sue braccia strette attorno al corpo; e Misty pensa che il suo profumo è il profumo più buono del mondo e che in nessun altro potrebbe mai ritrovarne uno anche solo vagamente simile.

– La neve non aspetta mai. Lo sai? – le mormora sua madre fra i capelli, solleticandole il collo con le labbra morbide. Misty ride e si volta verso di lei, verso il suo sorriso bellissimo e grandissimo, e di uscire a giocare non ha voglia, vuole solo restare abbracciata a sua madre un altro po’.

 

– Andiamo, chi è che resterebbe in casa con uno spettacolo del genere?

Misty sbuffa e rotea gli occhi. In bocca ha ancora il sapore gustoso della cioccolata calda con cui ha fatto colazione, e forse è per merito di quello se riesce a non sentirsi davvero indispettita. La stanza del rifugio in cui stanno soggiornando è calda ed accogliente, e la prospettiva di uscire con il freddo polare che c’è fuori e con la neve che le cade in testa non l’attira per niente. – Vai tu, se vuoi. Io ho altro di meglio da fare.

Ash la guarda imbronciato, le braccia sui fianchi e una smorfia di disappunto ad arricciargli le labbra.

– Siamo stati fortunati a trovare tanta neve in questo periodo dell’anno, l’hai detto anche tu – le ricorda, – E di certo non posso uscire a giocare da solo.

Misty lo squadra con espressione maliziosa. È semplicemente adorabile quando si comporta come un bambino cresciuto, anche se molto raramente lei gli dà a vedere di apprezzare tanto quel particolarissimo tratto della sua altrettanto particolare personalità.

Giocare, Ash? –  lo provoca inarcando un sopracciglio,  – Alla nostra età?

– Che c’è di male?

– Niente. Solo preferirei passare il tempo in maniera un po’ più costruttiva.

Ash si passa una mano tra i capelli nerissimi, lo sguardo dubbioso che vaga dal viso di lei alla scrivania scura dove la ragazza ha disseminato una quantità incalcolabile di fogli bianchi e di penne di varia foggia e colore.

– Tipo scrivendo idiozie? – tenta d’indovinare infine.

– Aspetterei a chiamarle idiozie, se fossi in te – prorompe Misty, offesa. – Fra qualche anno pretenderai tu stesso di leggere tutto quello che ho scritto durante il nostro viaggio, e dubito che lo riterrai così idiota.

Gli occhi dell’amico si spalancano per la sorpresa. – Vuoi dire che stai scrivendo un diario?

– Una specie – precisa lei, imbarazzata, cercando di sminuire l’entusiasmo che ha imprudentemente generato. – Niente di che.

Come subodorando il pericolo, Misty fa per alzarsi e riporre così in un luogo sicuro tutti i suoi fogli; ma Ash è più svelto di lei e con una mano la costringe alla sedia e con l’altra cerca di impadronirsi dei suoi scritti, sporgendosi in uno slancio considerevole verso la scrivania in noce. – Fammelo leggere!

– Non se ne parla nemmeno – si ritrae Misty alla bell’e meglio, e portandoseli precipitosamente al petto riesce per miracolo ad impedire che l’amico sbirci il contenuto dei suoi preziosissimi fogli. Ash è un tale impiccione! e lei doveva aspettarsi una reazione simile, quindi è tutta colpa sua.

– Dai, perché no? – supplica Ash con vocina lamentosa, come se gli si stesse negando senza motivo alcuno di impadronirsi di chissà quale meraviglia del creato. – Non ti vergognerai di me!

Misty avvampa e distoglie gli occhi. Fuori dalla finestra continua a nevicare.

– Non mi vergogno di te – mente, – È che… è che non avrebbe senso che tu lo leggessi adesso, ecco. È incompleto e…

– Certo che è incompleto, non abbiamo finito di viaggiare per niente – prosegue Ash per lei. – Dai, almeno i passi che mi riguardano! – la prega ancora, tentando slealmente nel frattempo di buttare un occhio al primo foglio del fascicolo che Misty tiene fra le braccia.

Lei lo fissa come se l’amico le avesse appena consigliato di uscire con quel freddo polare con indosso un costume da bagno, e magari anche di portarsi dietro un ombrellone.

Cosa…? – è tutto quello che riesce ad esalare, dopo aver trascorso una considerevole quantità di tempo a ripetersi e ripetersi nella mente le parole di lui, nella sciocca speranza che si convertissero magicamente in qualcosa che suonasse meno assurdo alle sue orecchie.

– I passi che mi riguardano – ripete Ash, un po’ stupito e un po’ intimorito dall’espressione atterrita nello sguardo di Misty. –  Parli proprio tanto male di me? – indaga poi, facendo prontamente comparire sul viso un broncio di delusione in grado di divertirla, nonostante tutto.

– Scemo – ride lei, – Certo che no. – Ancora, i suoi occhi evitano accuratamente di finire in quelli di lui. È una precauzione inutile, riflette, perché Ash è perspicace quanto un pesce e la possibilità che riesca a trovare nel suo sguardo qualcosa che non deve trovare è solo molto remota, anche vista e considerata la sua brillante deduzione nel cercare di spiegarsi quella strana reticenza di lei; ma non può farne a meno.

– E allora perché non vuoi–

– Tra qualche anno – lo interrompe, frenando in tempo la valanga di richieste con cui altrimenti Ash la sommergerebbe da qui all’eternità, e dalla quale non potrebbe mai uscire viva se non – ed è illogico, lo sa benissimo – arrendendosi alla sua forza. – Tra qualche anno – ripete con maggior convinzione, – Te lo prometto.

Lui la studia in viso ancora un po’, non del tutto persuaso. Prima che possa aggiungere altro Misty si alza da tavolo e lo prende per un braccio, spintonandolo leggermente fuori dalla stanza.

– Andiamo – ordina lei, usando il tono di chi è costretto contro il proprio volere ad occuparsi di un bambino indisciplinato ed oltremodo disobbediente.

– A giocare? – suggerisce prontamente Ash, trasferendo in un battito di ciglia tutto il suo spassionato interesse dal diario di lei al manto bianco che ammicca da fuori. – I tuoi scritti possono attendere. Questa neve no.

Misty si blocca di colpo. Il ricordo nella sua mente è lieve e fragile come una bolla di sapone che svanisce prima ancora di toccare terra. La traccia di profumo che lascia nell’aria, però, è abbastanza penetrante da essere in grado di testimoniare ai presenti che la bolla c’è stata davvero, nonostante la fuggevole comparsa.

– La neve aspetta sempre – risponde Misty, guardando Ash negli occhi ma senza vederlo veramente. Sta seguendo la traccia del ricordo, e nel tentativo di avvicinarvisi il più possibile ha la crescente sensazione di star rincorrendo qualcosa che la porterà inevitabilmente a perdersi da qualche parte, qualche parte dove non dovrebbe – non vuole – trovarsi. Ash deve accorgersene, perché la fissa sorpreso ed è proprio il suo sguardo a riportarla da lui.

– No che non aspetta – la contraddice l’amico, e poi la afferra a sua volta per un braccio, – Andiamo, Misty, per favore.

Si arrende. – Okay, testone. Se proprio muori dalla voglia di comportarti come un bambinetto idiota… – lo prende in giro con un sorriso, seguendolo oltre la porta.

Non farà male. Non c’è niente che possa farmi male. Nemmeno lei.

In un attimo sono fuori e tutto è talmente bianco da ferire gli occhi, e la neve è così tanta e fredda che Misty si chiede come potrà non fare male.

 

Non si era mai accorta prima d’ora di quanto il cielo fosse grande. No, non grande, immenso. È tutto azzurro e non c’è nemmeno una nuvola, e il sole brilla da qualche parte sopra la sua testa, bruciandole quel poco della sua pelle che non è sepolto sotto strati e strati di indumenti di lana.

Ci si mette così poco a cadere, riflette Misty. Un istante prima sei su, e quello subito dopo, giù. Un istante prima la neve ce l’hai sotto i piedi, quello subito dopo te la ritrovi nei vestiti, nei capelli, sul viso; e diventa quasi difficile stabilire dove inizi tu e finisce lei.

L’unica cosa che sta sempre sopra è il cielo, ma è strano notare quanto anche lui appaia diverso, quando sprofondi in quel modo a terra tanto da poterlo vedere tutto.

Le viene in mente una cosa che aveva chiesto a sua madre giusto qualche tempo prima: “Se prendo l’aereo posso stare sopra al cielo?”.

Ricorda che a quella domanda aveva sorriso, la mamma, e forse aveva cercato di non ridere, però poi la sua voce era stata dolce come sempre. “Il cielo è infinito, Misty, non finisce mai” le aveva spiegato. “Quando ti capiterà di dover prendere l’aereo te ne accorgerai. Andrai oltre le nuvole, e sopra la tua testa vedrai solo altro cielo, altro cielo, altro cielo. Per sempre. Non puoi superare il cielo, anche se voli più in alto che puoi”.

Misty accoglie tra le sue mani una buona dose di neve e la fa volare in aria. Gli spruzzi bianchi si confondono per un attimo con l’azzurro del cielo, tante piccole nuvole molli ed inconsistenti.

– Misty? Che fai ancora lì per terra? Ti congelerai!

È la voce di suo padre. Lei ride e si lascia cullare ancora più in profondità dal manto gelido che ha sotto di sé, e poi rotola, rotola, rotola fra la neve fino a ritrovarsela in bocca, fino a diventare tutta bianca, fino a soffocarsi e quasi strozzarsi di acqua ghiacciata e risate. Ha così tanto freddo che non lo sente neanche più; al suo posto una diffusa sensazione di benessere le intorpidisce il corpo.

I suoi capelli rossi fanno un effetto strano, contro il bianco della neve. È un effetto anche divertente, però, giusto, in un certo senso, perché le fa pensare ai papaveri ed al tempo caldo, papaveri sdraiati su un manto di ovatta come in un sogno dove quei due colori possano intrecciarsi senza che questo risulti insolito.

Guarda di nuovo in alto, e all’improvviso, invece dell’azzurro del cielo, si ritrova a fissare quello degli occhi divertiti e allo stesso tempo severi di suo padre. Ha le spalle così grandi che oscurano tutto, non permettono neanche ad uno spicchio di sole di filtrare.

– Dimenticavo – dice lui, e nonostante cerchi di sembrare arrabbiato inizia a ridere con lei, – Devo pensarci io, a rialzarti.

Le tende una mano, ma Misty si ritrae, continua ad impiastricciarsi di neve fino a diventare – immagina lei – simile al pupazzo che le sue sorelle hanno fatto qualche ora prima in giardino.

– No, per favore – protesta, e mentre parla inghiotte qualcosa che sa di terra e di freddo. Ride ancora, è così bella la neve, ora le piace, ora vuole solo restare immobile a lasciarsi trasformare in una statua di marmo. – Sto bene, qui.

– Stai bene adesso, forse, ma domani potresti risvegliarti con un bel raffreddore – e chinandosi verso di lei suo padre la solleva di peso e la avvolge fra le sue braccia come fosse un fagotto. I capelli di lei, umidi e striati di bianco, finiscono addosso al viso di lui. – E il raffreddore te lo proibisco, signorina.

Misty si rannicchia tutta contro il petto di suo padre, alla ricerca un po’ di calore che le dia sollievo; perché adesso sente freddo freddissimo, le battono i denti e non le sembra nemmeno più di avere un corpo, tanto tutto è talmente ghiacciato, in lei. Prova ad aggrapparsi con le mani alle spalle del papà, ma non ci riesce perché anche le sue dita sono intirizzite.

– Hai dimenticato un’altra volta di infilarti i guanti – constata suo padre notando le sue manine arrossate. – Devi stare più attenta, tesoro. – Quando la posa a terra prende le dita di lei tra le sue e se le strofina contro, e Misty sente qualcosa dentro di sé che ricomincia piano piano a camminare, e le sue mani da gelate tornano di nuovo calde, e sorride a suo padre perché solo lui insieme alla mamma è capace di compiere miracoli del genere.

– Torniamo in casa, vuoi? – le chiede poco dopo; ma nel momento in cui fa per rialzarsi lei lo blocca tirandolo per un braccio. No, non vuole andare via, non ancora.

– Rimani qui – lo prega, contraendo il viso in una buffa espressione che è allegra e allo stesso tempo, non sa perché, un po’ triste. – Rimani qui con me, facciamo a palle di neve.

Lui non se lo fa ripetere due volte. Immerge le grosse mani nella neve e ne raccoglie in quantità; poi ne fa polpette leggere che lancia addosso a Misty, e la neve si libera sul suo viso in uno scoppio di bianco che assomiglia ad un flash abbagliante, per poi cadere a terra e tornare a confondersi con tutta quella rimasta giù a fissare il cielo.

 

– Ahia! – geme lei, cercando inutilmente di farsi scudo con un braccio. La neve la colpisce in pieno volto, Ash ride e Misty ride con lui. Si sente congelare, ma si sta anche divertendo come non credeva fosse possibile e perciò, scrollatasi la neve di dosso, si prepara a contrattaccare.

Ash è veloce e riesce ad essere un buon corridore anche su quel terreno traditore e scivoloso, quindi non c’è da stupirsi se schiva con facilità tutte le palle di neve che lei continua a lanciare nella sua direzione. Misty invece è una frana, e come tale non può che cadere ogni volta che provi a fare qualche movimento un po’ troppo azzardato; ma non se ne cura veramente. Ash ride troppo perché possa anche solo pensare di curarsene veramente.

– È colpa tua, però – lo sente borbottare ad un certo punto, il fiato corto e le guance rosse di freddo e euforia. – Se fossimo usciti prima, a quest’ora staremmo giocando con i fiocchi che ci cadono in testa.

– Oh, non fare tante storie – borbotta di rimando lei. Non riesce a smettere di sorridere. – Hai anche il coraggio di lamentarti di qualcosa? Voglio dire, stai vincendo trecentoquattro a zero, più o meno, e nonostante tutto tu–

Non fa in tempo a finire la frase che una palla due tre le finiscono in testa in bocca su una gamba, e quando prova a restare in equilibrio è semplicemente troppo tardi. Il tempo di una frazione di secondo e sotto di lei c’è il gelo.

E non c’è niente di doloroso. Non c’è davvero niente. La neve è innocua, non può far male, è tutto diverso, adesso. Non può far male. È tutto diverso.

Eppure, proprio come allora, semplicemente non è in grado di rialzarsi da sola. Invece di piagnucolare ed aspettare come faceva da bambina, però, d’improvviso, quasi stupidamente, scoppia a ridere al cielo, assaporando la sensazione pungente della neve che le congela le dita e il calore avvolgente che di contro sente diffondersi nel petto.

– Ho dimenticato i guanti – constata divertita quando nota l’ombra di Ash ingigantirsi progressivamente alla sua destra. Se si sente bene lo sa, di chi è il merito. È suo. Solo Ash è capace di compiere miracoli del genere.

– Complimenti – ridacchia lui, porgendole una mano per permetterle di rialzarsi. Misty solleva un braccio lentamente, prendendosi tutto il tempo che le occorre per risvegliarlo dal torpore che l’ha avvolto; poi stringe la mano di Ash e solo grazie alla propria forza di volontà riesce a non inciampare e di conseguenza finirgli addosso.

– Metti i miei – le dice l’amico sfilandosi in fretta i guanti, senza neanche aspettare la replica di Misty.

– No, Ash, davvero, non–

– Mettili. – È un ordine, e lei obbedisce. Fa per impossessarsene e svolgere il tutto da sé, ma Ash è più svelto e, come se dubitasse della sincerità dell’accondiscendenza di lei, le afferra le mani e comincia ad infilarle i guanti al posto suo. Misty scatta, appena, e poi in un lampo le pare di essere tornata bambina – e suo padre le prende le mani e le mette i guanti e la rimprovera con affetto, perché non deve scordarseli più ; ma non è una bambina e davanti a lei non c’è suo padre ma Ash, e le dita che le sfiorano la pelle screpolata dal freddo sono le sue, e la miriade di brividi che fanno gare di corsa lungo la sua spina dorsale non sono dovute al gelo polare tutt’attorno ma alla pressione lieve del loro tocco.

– Grazie – mormora impacciata, ritraendosi quel tanto che basta per poter finire di infilarsi i guanti da sola. Passa buona parte del suo tempo a consumarsi nel desiderio che Ash le rivolga qualche attenzione particolare, e quando finalmente – e del tutto inaspettatamente – ne ottiene, l’unica cosa che è in grado di fare è schernirsi e rintanarsi in un luogo il più lontano possibile dallo sguardo innocente di lui, lui che non sa quanto sia in grado di scombussolarla solo proiettandolo nel suo.

– Poi mi dirai come hai fatto ad uscire senza con questo freddo – si stupisce Ash accennando ai guanti che finalmente l’amica indossa. –  Povere le tue mani.

– Li ho dimenticati, non l’ho certo fatto di proposito – si giustifica Misty con un’alzata di spalle. Quello che fa di proposito un attimo dopo è protendersi appena verso l’amico per tentare di coglierlo di sorpresa e di conseguenza scaraventarlo a terra. Ci riesce. Con un tonfo sordo e buffo insieme Ash piomba sulla neve, riempiendosene la bocca in generosa quantità e spruzzandone altrettanta tutta intorno. Lei scoppia a ridere, i capelli sciolti in una massa disordinata sul viso, ogni suo muscolo di nuovo rilassato.

– Questo vale come minimo cento punti, Ash Ketchum – ghigna divertita. Per la vera prima volta si concede di ammirare il paesaggio innevato che si estende davanti a loro. Gli alberi altissimi e le vallate che si snodano tra una montagna e l’altra in una sorta di appassionato inseguimento amoroso sembrano finti, plastici, per quanto risultano perfetti nella loro armonica unione. È come se si fossero messi d’accordo insieme alla neve, la notte, per offrire loro al mattino uno spettacolo incantevole, abbagliante, quasi di fiaba.

Così simile.

Cerca di non pensarci, cerca di non ricordare quanto un paesaggio del genere possa far felici tutti e distrutta lei, in un solo secondo di contemplazione; ed è lì pronta a rinunciare a cercare quando la voce di Ash la riporta a quel momento con la stessa velocità con la quale lei ne era fuggita suo malgrado, e le sue labbra si distendono di nuovo in un sorriso quando si accorge che l’amico è ancora steso a terra a gambe all’aria.

– Ma quali cento punti – sbuffa lui, rimettendosi in piedi non senza tuttavia una certa difficoltà. – Ero distratto e tu ne hai approfittato, questa è la verità. E adesso la pagherai – e mentre con la mano destra si avventura fra la massa scura di capelli per sbarazzarsi della neve ricevuta in dono dalla caduta, con la sinistra ne raccoglie una manciata abbondante da terra e la getta addosso a lei confusamente, senza riuscire a dare reale vigore al suo lancio.

Frammenti di neve piovono sulla testa di Misty, e scorrono davanti ai suoi occhi in una foschia di perle trasparenti, rese luminose dalla luce ovattata del sole che vi filtra attraverso. Immediatamente, forse scioccamente, la sua mente corre a quei graziosissimi souvenir di vetro con i monumenti delle città più disparate dentro che se le capovolgi cade la neve, e Misty si sente proprio come una di quelle costruzioni: immobile, glaciale, ad aspettare che la neve le cada addosso.

– Adesso la paghi tu – ribatte ridendo all’amico, e le sue palle di neve qualche istante dopo sono molto più minacciose e consistenti di quelle di lui. Ash neanche ci prova, a schivarle davvero, ride a sua volta e si lascia ricoprire di bianco come se per tutta la vita non avesse atteso altro. Misty lo osserva estasiata per un attimo, e quello dopo già è totalmente contagiata da quel suo entusiasmo un po’ infantile ma del tutto perfetto; così solleva altra neve da terra e ne fa montagne da rovesciare verso di lui e su di lui, e anche a lei, e ben presto il cielo, l’aria, ogni cosa lì presente sfuma nel bianco, perde definizione, si fonde una danza fatta di luce e di sogno.

Forse è quella la magia dell’inverno che non era mai riuscita a cogliere prima di quel momento, riflette vagamente Misty. Fatto sta che ora non fa male, non fa male niente, non fa male il freddo impertinente e non fanno male gli zampilli luminosi che vorticano a festa sopra lei ed Ash, a riempir loro la vista d’oro e bianco come se si trovassero a camminare sotto un soffitto da cui penzolano lampadari antichi e carichi di cristalli. In tutto quella nebbia confusa e bellissima le uniche cose che Misty riesce a distinguere chiaramente sono il castano degli occhi di Ash, le nuvole di respiro ghiacciato che volano fuori dalla sua bocca, il sorriso felice che le rivolge di tanto fra un fiocco di neve e l’altro.

Ancora una volta lei si ritrova a pensare che c’era bisogno di uno come lui, per stare bene in una circostanza del genere.

La neve scende sempre più bianca e soffice e Misty ride, ride tanto ed alza le braccia al cielo in una sorta di preghiera spontanea e silenziosa, gli occhi inumiditi di lacrime che sono il prodotto di un miscuglio di commozione ed incredulità per quel momento vissuto con una spensieratezza che non credeva possibile. Quando Ash comincia a correre per evitare di finire sepolto dalla mitragliata delle sue palle di neve, lei lo rincorre e si stupisce di non inciampare nemmeno una volta nel tentativo di azzuffarlo; anzi è agile e rapida quasi quanto lui, perciò continua a ridere, gustandosi il sapore freddo del vento che le sferza la pelle del viso e la sensazione dolce dei suoi passi che affondano.

Nel punto in cui si trovano ora un tratto della vallata è particolarmente insidioso, e alcune zone del terreno lasciano intravedere radici e piante selvatiche che la neve non è riuscita a ricoprire del tutto. Misty si concentra più che può per evitare di ruzzolare a terra; ma Ash è invece il solito distratto, perché in una frazione di secondo lo osserva perdere l’equilibrio e crollare sulla neve davanti a lei. Lui bofonchia qualcosa di poco comprensibile, e Misty scoppia a ridere.

– Ti sei fatto male? – le chiede raggiungendolo, consapevole che non c’è davvero motivo di preoccuparsi. La sensazione dei muscoli dello stomaco indolenziti per le troppe risate le riempie il corpo di un calore liquido, denso, quasi confortevole. Ash si rialza e la fissa con sguardo eloquente e comico insieme.

– Certo stavo meglio prima – mugugna contrariato, scrollandosi di dosso la neve rimastagli tra le pieghe del cappotto e dei pantaloni. Misty ride ancora, ma il suono della sua risata si dissolve lentamente nel gemito delle foglie degli alberi quando si accorge di una traccia di rosso disegnata sulla mano di lui.

– Cosa ti sei fatto?

Ash guarda verso il punto della sua pelle indicatogli dall’amica; poi scrolla le spalle. – Oh, è un graffio – commenta con noncuranza. – Non me ne ero neanche accorto. Dev’essere stata colpa di queste radici – aggiunge, calpestandone qualcuna come a volersi vendicare dell’oltraggio subito. Sorride, ma per qualche ragione ora invece Misty non ci riesce più. Lo fissa a lungo, e più i secondi passano più sente che ogni cosa dentro ed intorno a lei inizia a condensarsi in un blocco di ghiaccio.

– Cosa ti sei fatto? – ripete in un sussurro, come se non avesse minimamente ascoltato le parole dell’amico. Lui la guarda perplesso, e ci dev’essere qualcosa, nell’espressione di lei, da essere totalmente sorprendente, perché di colpo arresta ogni suo movimento.

– È un graffio, Misty – le dice di nuovo in risposta, studiandola in volto con aria di vaga preoccupazione.  – Non è niente. Non fare quella faccia!

Ash è certamente abituato al fatto che lei si agiti in maniera esagerata sempre e comunque, quando si tratta di lui; di solito non protesta, di solito non se ne sorprende, di solito si limita ad assicurarle che va tutto bene. Ora invece la fissa con uno stupore che Misty non gli mai visto negli occhi in situazioni del genere prima d’ora, e che la porta a chiedersi distrattamente se la sua faccia non sia davvero tanto strana come l’amico sta lasciando intendere.

Non le importa davvero. Non riesce a sentire che le importi davvero. Tutto ciò che i suoi occhi vedono sul serio è il sangue rosso sulla mano di Ash.

– È una brutta ferita – commenta avvicinandosene di più, lo sguardo fisso su quel taglio che le sembra terribile, quasi disumano. – Dovresti farla vedere, Ash, è–

– È un graffio, Misty! –  la interrompe lui per quella che le pare almeno la trentesima volta.

Perché Ash non riesce a rendersi conto che quelle parole non hanno nessun senso per lei? Il loro suono si comprime e rimbalza nella sua testa in un brusio lento e stridulo, non c’è davvero un significato da trovare in quello che lui sta dicendo. C’è solo quel brusio costante, e la neve che continua a vorticare loro intorno sempre più veloce, sempre più bianca, sempre più fredda.

Eppure Ash è lì che la fissa con quegli occhi colmi di stupore, e anche di apprensione. Se ne accorge, lei, di tutto questo, ma non riesce a registrarlo come dovrebbe, a dargli il nome che gli spetta. Niente ha più il nome che gli spetta, là, in quel momento; gli alberi non sono alberi e il vento non è il vento, e gli occhi di Ash non sono gli occhi di Ash e lei non lo sa, perché tutto le sembri così estraneo e confuso, sa solo che la testa le fa male tanto che pare debba scoppiare e che fa freddo, troppo freddo, talmente freddo che i suoi denti iniziano a sbattere e il suo cuore a correre. E il sangue sulla pelle diventa sempre più rosso.

– Ehi. – È la voce di Ash, premurosa e dolce, che cerca di richiamare la sua attenzione. Quella la riconosce ancora. – Va tutto bene. Non mi sono fatto niente, Misty. Se non fosse stato per te non mi sarei neanche accorto del graffio, figurati.

L’immagine di lui per qualche istante è ancora poco chiara, tremolante; poi pian piano Misty riesce a metterla a fuoco nel verso giusto e a vederla di nuovo, finalmente. Ash sembra sorpreso. Sembra confuso, preoccupato, quasi turbato. Misty vorrebbe dirgli Guarda che sei tu, che hai l’aria tragica; ma quando apre bocca di nuovo si accorge di non avere parole con cui riempirla, perché non ha nient’altro in mente, se non quello. Nient’altro.

Nient’altro che neve. Nient’altro che freddo. Nient’altro che paura.

– Forse è meglio se la fai guardare, Ash – ripete sbattendo i denti, e ha l’impressione di congelare ed è strano, in effetti, perché contemporaneamente sente gocce di sudore scivolarle lungo la schiena, sulla fronte, fra le dita; ed ogni goccia è ghiacciata come lo è tutto il resto, dai suoi occhi al suo cervello al suo cuore al respiro che si condensa in tante piccole nuvole di fumo a frapporsi tra lei ed Ash.

– Ma non ce n’è bisogno – ribatte lui, e si lascia scappare una risata divertita mentre si china a terra a raccogliere un po’ di neve. Quando torna a guardare lei in viso le sorride con aria complice. – Comunque, visto che non c’è verso di farti stare tranquilla, ci mettiamo un po’ di ghiaccio e il graffio se ne va.

Si porta la neve sul sangue. Misty fissa prima lui, poi la ferita, i suoi occhi si dilatano – riesce a sentirlo –, le sue labbra di colpo sanno di ferro.

– No… non farlo – geme, ed ogni cosa dentro di lei piange, come allora, e il suo corpo invece è immobile, una statua di ghiaccio con uno sguardo vitreo ed asciutto, e c’è tanto freddo da far male, fa così male che ha voglia di urlare ma la sua voce è soltanto un sibilo nel vento penetrante di febbraio.

Sangue su neve. Rosso su bianco. Il sangue. La neve.

– Non farlo – ripete, non è neanche sicura di starlo dicendo sul serio perché quella voce non le sembra la sua, è troppo tremante, troppo debole, per essere la sua.

Non c’è niente di diverso. È tutto come allora, è come allora.

“Non dovevano farlo! Non dovevano uscire con questo tempo! Perché non ci hanno ascoltato?!”

– Misty – la richiama Ash, ed è teso, è spaventato, lo sente, ma la neve vortica furiosa intorno a lei e i suoi occhi non vedono che bianco macchiato di rosso, e in testa quel ronzio terribile che le perfora le tempie e gliele imperla di sudore e le fa salire la nausea in gola. Immagina che potrebbe tendere una mano e chiedere aiuto, ma il suo corpo si rifiuta di obbedirle. Il suo corpo è ghiacciato e non c’è nessuno a cui chiedere aiuto per molto, troppo tempo, come allora, come sempre. Ci sono solo lei, la sua paura, e la neve che scende tutt’attorno.

– Che cos’hai, Misty?

La neve che ruota impazzita, la neve che fa paura, la neve che se la raccogli fa quasi male alle dita, la neve che è bianca e sempre più fredda e il sangue che è sempre più rosso e il suo cuore che batte mentre tutto il resto è fermo.

– Misty? Mi senti? Misty?

I suoi occhi che fissano il niente, il respiro ghiacciato, o forse non c’è nemmeno, il respiro, fiocchi che sembrano ovatta, ovatta che si imbeve di rosso a contatto con le ferite, il rosso che sa di ferro e del quale può sentire il sapore forte e pungente come se ce l’avesse in bocca.

– Misty? Misty! 

C’è un bianco accecante, è grande, ferisce gli occhi. E se li chiudessi? Se li chiudessi? Se mi lasciassi cadere su questa neve e mi ci addormentassi fino a farmi congelare, fino a non sentire nient’altro che freddo?

Li chiude davvero, per un attimo; ma quello immediatamente successivo ci sono mani che la afferrano, mani che la stringono, mani che la portano via, lontano da lì. E allora riapre gli occhi.

Le mani sono quelle di Ash, ed è suo quello sguardo sgranato per lo spavento, ed è suo quel sorriso stentato che le offre in mezzo ad una neve che non scende più.

– Misty? Come ti senti? Mi hai fatto spaventare, eri… eri pallidissima e per un attimo sei…

– Sto bene – lo interrompe lei, volgendo lo sguardo in ogni punto che la circonda come per accertarsi che tutto abbia ripreso il suo naturale aspetto, quello normale, quello che non è niente se non quello che è. È così; glielo dice il bianco ghiacciato, il vento che smuove gli alberi, il suo cuore che batte come deve battere, la voce di Ash che è la voce più bella del mondo. 

– Sto bene – ripete. Glielo dice il suono di quelle due parole, più potente di qualsiasi altra cosa.

 

Mirror mirror where’s the crystal palace
But I only can see myself

Il nero su bianco è un contrasto irreale. Sono due colori che spesso vengono associati, certo, ma che raramente si vedono insieme. Sono l’uno il contrario dell’altro, e forse è per questo che è tanto strano trovarli accostati da qualche parte, perché come fanno a stare abbracciate due cose che non vanno d’accordo? Come fanno se sono così diverse? Come fanno se non c’entrano niente l’una con l’altra? E poi in natura tutto è colorato e in inverno c’è solo bianco, non c’è niente di nero.

Invece ora la neve bianca è sporcata da due grosse casse nere, e gli occhi di Misty le fissano cercando di ricordare qual è il nome di quella cosa. Bara, sì, le hanno detto che si chiama bara, ma è un nome che non le piace per niente, è secco e forte e fa paura, e a Misty le cose che fanno paura non piacciono, preferisce dimenticarsele.

Nessuno sembra pensare a lei, in quel momento dove tutti piangono e a parte il rumore delle lacrime che scorrono sui visi c’è solo silenzio. In realtà qualcuno che parla c’è, ed è il pastore vestito di nero che legge parole strane che Misty non capisce e che non le importa di capire, visto che comunque quell’uomo non sta parlando a lei, sta parlando a tutti i presenti, non sta parlando a nessuno. E nonostante la sua sia una voce potente e profonda, quella voce non lo spezza, il silenzio, lo ingloba, ne fa parte, lo rende ancora più spaventoso.

È dal giorno prima che è smesso di nevicare. Ora di quei fiocchi bianchi e misteriosi rimane solo il ricordo umido e sbiadito di qualche spruzzo lasciato a sciogliere dal tiepido sole invernale, ma tutto è comunque bianco lo stesso, non solo la neve, anche il cielo sopra le loro teste è tanto candido da non permettere allo sguardo di soffermarcisi per più di qualche secondo. Anche Misty è bianca, lo sa perché quella mattina quando Daisy l’ha vestita è passata davanti allo specchio ed è rimasta a guardarsi per molto tempo, quasi non si riconoscesse. In effetti la bambina nel riflesso del vetro era molto diversa da lei: aveva un vestito nerissimo ed era pallida ed aveva due occhi enormi e vuoti. Ed era bianca, a parte il nero non c’era nessun altro colore a ravvivarla.

All’improvviso Misty sente la mano di Daisy stringersi intorno alla sua. Ha dimenticato di nuovo i guanti, quand’è uscita quella mattina; ecco qual era la cosa che doveva ricordarsi e che invece ha scordato. Pensa che se ci fosse stato suo padre non sarebbe successo, lui le avrebbe raccomandato di infilarseli perché con quel freddo non si scherza, con quel freddo potrebbe svegliarsi il giorno dopo con un bel raffreddore e lui il raffreddore te lo proibisce, signorina.

Ma suo padre non c’è e né Daisy né Lily né Violet si sono accorte che la loro sorella minore è uscita senza guanti; Daisy invece i guanti se li indossa sempre, e adesso che la sua mano è stretta nella sua Misty pensa che potrà riscaldarle, almeno le dita, perché quando suo padre gliele prendeva tra le sue succedeva sempre. Adesso però non succede, adesso però nonostante abbiano i guanti anche le mani della sorella sembrano gelide, e allora il freddo rimane e non se ne va.

Tutti lì intorno pensano che lei non capisca niente, che non possa capire niente perché è troppo piccola, invece non è vero, lei ha capito tutto. Ha capito che non rivedrà più sua madre vicino al camino acceso a leggerle una favola, e che non si specchierà più negli occhi di lei uguali identici ai suoi né che la sua voce potrà più dire Mamma perché non ci sarà più nessuna voce di mamma a risponderle. Ha capito che suo padre non uscirà più a giocare con lei, e che non potrà più venire a rialzarla da terra quando finirà con la faccia contro la neve. Ha capito tutto questo, esattamente come gli altri; eppure Misty è l’unica fra i presenti a restare calma, immobile, una statua minuscola e un po’ troppo bianca anche per essere di marmo.

Tutti piangono e anche lei, anche lei si sente gocciolare tutta, dentro, la mente il cuore i polmoni tutto. Ma dai suoi occhi no, non esce nemmeno una lacrima.

Ripensa alle parole che le ha detto Daisy quella mattina. Mamma e papà sono andati in Cielo.

Il pastore ha finito di dire quello che doveva dire ed inizia ad intonare una canto strano e malinconico; e dopo qualche istante di esitazione anche la gente raccolta lì intorno prende ad imitarlo. Misty non ascolta niente veramente. Si chiede se sua madre sia riuscita ad andare oltre le nuvole, se stare lì dove si trova lei adesso voglia dire riuscire a superare il cielo.

Quando le due casse nere vengono seppellite tutti cominciano a parlare e continuano a piangere e poi si avvicinano alle sue sorelle per dir loro qualcosa di significativo, e le fissano con sguardi lacrimosi e aspettano che rispondano alle loro parole. Rispondono davvero, loro. Misty no. Misty guarda ed ascolta il nulla e dalla sua bocca non viene fuori un suono, la sua voce è ghiacciata così come i suoi occhi, come ogni suo ricordo a partire da un momento in cui c’era stato semplicemente troppo freddo per non decidere di restare congelati per sempre.

 

Nevicava anche quella volta che trovò il coraggio di recarsi al cimitero, ricorda Misty mentre alla finestra della sua camera osserva i fiocchi di neve scendere ininterrottamente ormai da più di due ore. Lo ricorda bene perché era stato poco prima di partire per il suo viaggio, a sei anni esatti dalla morte dei suoi genitori. E lo ricorda bene soprattutto perché era stata la prima ed unica volta che aveva permesso a se stessa di andarci.

Cerulean City non aveva più visto la neve da allora, da quel maledetto febbraio che strappò a una bambina di quattro anni ed alle sue sorelle di poco più grandi il padre e la madre. Curioso che avesse atteso proprio quel giorno per fare la sua ricomparsa.

Misty ricorda di aver fissato le due croci bianche con una strana sensazione nel petto, come se, solo stando lì immobile a guardare il marmo intagliato di lettere e numeri neri, qualcosa sarebbe dovuta succedere nel giro di pochi minuti. Non era successo niente. Lei stessa non sentiva niente, proprio come al solito. I suoi pensieri si fermavano alla realtà di quelle date scure impresse nel bianco e a quelle foto un po’ fuori luogo in un quel posto senza colori; e solo a quelle erano diretti. Sul suo viso neanche una lacrima, solo la carezza leggera di un vento umido.

C’era soltanto bianco bianco bianco, come sempre.

Rabbrividisce e si porta le mani lungo le braccia. Si chiede con una punta di apprensione se non stiano andando incontro ad una tormenta in piena regola, viste quelle premesse: la neve che scende fitta, il vento che sbatacchia i vetri. Tuttavia si stringe nelle spalle e torna a sedersi alla scrivania, ben decisa a godersi la cioccolata fumante – la seconda in quel giorno – che l’attende.  Per un po’ resta a fissare la fotografia dei suoi genitori, quella che porta sempre con sé nel portafoglio. Osserva il sorriso di sua madre, gli occhi così uguali identici ai suoi; e ancora non riesce a sentire una solo singolo pezzo del macigno che si porta dentro smuoversi in lei.

Qualcuno bussa alla porta della stanza e la apre senza aspettare che lei gliene dia il permesso. Naturalmente, sa chi è.

– … Misty? Disturbo? – domanda Ash facendo la sua apparizione contro la cornice in legno. Lei finge di essere irritata.

– Retorico chiederlo adesso, visto che sei entrato lo stesso senza che io dicessi una parola – lo apostrofa, e ripone la foto sul tavolo. – E comunque no, non disturbi.

Ash le offre un sorriso enorme, poi le si avvicina. – Volevo sapere come stavi.

– Sto bene, Ash. Sul serio, non serve preoccuparsi tanto – lo rassicura Misty, vagamente imbarazzata e vagamente frastornata da tante attenzioni. Quella sarà probabilmente la ventesima volta che lui si informa sul suo stato di salute nel giro di poche ore; e la cosa le piace, sì, le piace tantissimo, ma la fa anche sentire terribilmente a disagio.

– Certo, come no – sbotta Ash incrociando le braccia e fissandola con aria severa. – Stamattina sei praticamente svenuta senza un motivo apparente, perché l’hai detto tu che la colazione l’avevi fatta, eh?, quindi non è stato a causa di un calo di zuccheri e quindi io ancora non ho capito come accidenti sia potuto–

– D’accordo, Ash, rallenta – lo ferma lei mostrandogli i palmi. Non vuole che lui indaghi oltre sul perché di quella mattina; lei stessa non saprebbe dire con esattezza se un perché c’è, innanzitutto, e nel caso poi ci fosse davvero non sarebbe comunque del tutto sicura di voler fargli vedere la luce. – Ero solo stanca, te l’ho detto – taglia corto. Le fiamme provenienti dal camino disegnano ombre scure e vagamente spettrali sulla superficie delle pareti.

– Uhm – borbotta Ash, con tono perplesso ma condiscendente. – In ogni caso, sarebbe meglio che tu bevessi la cioccolata calda che ti ha preparato Brock.

Misty sorride e sospira allo stesso tempo, poi si porta la tazza alle labbra e scuote la testa. – Vi state decisamente preoccupando troppo – commenta dopo aver bevuto un sorso.

Ash non replica. I suoi occhi castani d’improvviso smettono di vagare ansiosi sul viso di lei e si bloccano su un rettangolo lucido riposto sulla scrivania. La fotografia.

Misty lo osserva avvicinarsi e poi prenderla in mano con circospezione, quasi con timore. – I tuoi genitori – constata infine dopo qualche istante di silenzio, senza distogliere lo sguardo dalla foto. Lei gli rivolge un sorriso incerto.

– Sì – risponde semplicemente.

Ash continua a studiare quell’immagine con attenzione lievemente eccessiva, quasi dovesse scavarvi dentro per trovare un significato ben più profondo e misterioso di quello apparente. – Tua madre ti somigliava molto – afferma mentre la rimette finalmente al suo posto, – Era bella.

Misty lo fissa sorpresa, arrossendo e cercando di sbrogliare il dilemma. L’ha fatto apposta? Si è accorto del complimento indiretto che le ha rivolto?

Non ci mette molto a capire che no, non se ne è accorto; ma va bene così, va più che bene così, perché miliardi di complimenti fatti da altrettanti ragazzi non potrebbero comunque mai valere neanche un solo complimento da parte di Ash, per quanto pur involontario possa essere. E forse il fatto che lo sia – involontario – paradossalmente rende quell’apprezzamento ancora più naturale, più bello, più suo. Così Misty si limita a sorridergli, felice che l’aria colorata dal fuoco e il caldo della stanza possano camuffare il suo rossore.

– C’è una pista di pattinaggio non molto distante da qui – la informa lui ad un certo punto, cambiando un po’ troppo bruscamente discorso, lo sguardo che vaga oltre la finestra da dove la neve continua a scendere senza sosta, contribuendo a rendere il paesaggio quanto di più magico possa esistere sulla Terra. – Se questo tempo si dà una calmata domani potremmo andarci insieme, sempre se ti va  – le suggerisce, e si volta a guardarla con un sorriso che in parte è ancora preoccupato e in parte scintilla della consueta incredibile luce.

È in momenti come questo che Misty sente sempre la necessità impellente di distogliere lo sguardo da Ash. È in momenti come questo che il suo cuore scricchiola e fa un balzo nel petto e poi torna a ad accomodarsi in posti di lei dove non dovrebbe battere. Quando lui le sorride in quel modo, quando pronuncia anche una parola semplice ed innocente come Insieme, lei d’istinto sente che deve proteggersi da quella gioia mista a dolore intenso con la quale Ash – senza minimamente averne il sospetto – la travolge. Ash la fa star bene come nessun altro, e allo stesso tempo e per gli stessi motivi per i quali ci riesce, le fa male. Le fa male quando le parla, quando la prende in giro come un bambino cresciuto, le fa male quando scherza, le fa male perfino quando sorride. E il peggio è che lei darebbe qualsiasi cosa per poter continuare a provare quel male all’infinito.

Anche questa volta Misty vorrebbe – dovrebbe – distogliere lo sguardo dal suo, ma per qualche ragione non ci riesce. –  Me lo stai proponendo solo perché sei preoccupato per me e vuoi che mi distragga?

Lui rotea gli occhi. – Anche, ma non è il motivo principale. Te lo sto proponendo perché mi va, e perché non ho mai sentito che ad una ragazza non piaccia pattinare.

– In questo caso, d’accordo – concede Misty senza smettere di fissare il castano dello sguardo di lui riempirsi del riflesso delle fiamme. All’improvviso le viene in mente una frase che le ripeteva sempre suo padre quando la portava a pattinare, da bambina. “Non andare al centro della pista. Lì il ghiaccio è più sottile”. Con Ash è esattamente lo stesso, riflette. Si può scegliere di restare ai margini dell’emozione e di non affrontarla perché troppo fragile e pericolosa; oppure si può andare proprio al centro di essa, correre il rischio di sprofondarvi e rimanervi intrappolati a lungo, perché visto da lì il mondo è più grande, e molto più bello.

Con lui potrebbe confidarsi, Misty lo sa benissimo. L’unica informazione che Ash ha riguardo ai suoi genitori è anche quella indispensabile da avere, cioè che sono morti quando lei aveva quattro anni. Più di così lei non è mai andata, non è mai voluta andare. Se decidesse di dirgli anche tutto il resto Ash la starebbe ad ascoltare fino alla fine del racconto e poi le direbbe le parole giuste, qualsiasi esse siano; ne è certa. Ma tutto il resto cos’è? A cosa si riduce, nella sua memoria? Cosa c’è, oltre la pozza scura di ghiaccio e paura che occupa lo spazio del suo cervello adibito a quei ricordi?

– Be’, adesso ti lascio riposare – le dice Ash protettivo, avviandosi verso la porta. – Mi raccomando. Vedi di riguardarti.

Misty sbuffa sonoramente, e aggrotta le sopracciglia con fare minaccioso. – Potrei prendere seriamente in considerazione l’ipotesi di tirarti questa tazza bollente in testa, se non la pianti – gli intima ridacchiando, la mano saldamente stretta attorno alla porcellana dove la sua cioccolata ancora riposa. – Non c’è nulla di cui preoccuparsi. N – u – l – l – a. Sto bene. Quante volte devo ripetertelo?

– Okay, messaggio ricevuto. Stai bene.

Ash fa per andarsene, ma proprio all’ultimo momento torna indietro ed afferra il telecomando del televisore che se ne stava abbandonato sul letto di lei. – Forse è meglio che prima dia un’occhiata alle previsioni del tempo di domani –  medita ad alta voce. – Io e Brock non siamo fortunati come te, non ce l’abbiamo, la tv in camera.

– Che grave mancanza – lo prende in giro Misty. Si decide a finalmente a bere la sua cioccolata calda, ma non fa neanche in tempo ad inumidirsene le labbra che un’esclamazione soffocata di Ash rapisce la sua attenzione.

– Accidenti – sta mormorando lui, a metà fra un senso di sorpresa e spavento.

– Cosa?

– Accidenti – ripete Ash. – C’è stato un incidente, giù a Pilgrim’s Valley Town. Una coppia è rimasta uccisa, ha sbandato con l’auto… per via della neve.

Misty si volta verso di lui, troppo istintivamente e troppo di scatto. La tazza che un attimo prima teneva in mano crolla sulla scrivania. Fiumi di nero iniziano a rincorrersi lungo il legno scuro, sporcando fogli e spiovendo sul pavimento.

– Un… un incidente…? - biascica lei alzandosi dalla sedia ed avvicinandosi ad Ash, – E sono… morti? Chi?

– Due persone. Una giovane coppia. – Si volta ad incontrare lo sguardo di Misty. – Sta nevicando troppo, probabilmente adesso come adesso c’è una tormenta, là fuori. È pericoloso, è… Non dovevano uscire con questo tempo – conclude lui sconsolato.

Lei sbatte gli occhi, li chiude per un istante. Quando li riapre ha la sensazione che facciano male, che la sua vista sia sbagliata, che ogni cosa dentro di lei reclami tanta aria da accartocciarle i polmoni.

Non dovevano uscire con questo tempo!

Fuori dalla finestra i fiocchi di neve cadono in un vortice pazzo e bianco. Gli stessi di allora. Lo stesso tempo di allora.

Perché non ci hanno dato ascolto? Perché?

Quando torna a guardare Ash lui non le sembra più lo stesso, o forse è lei a non essere più la stessa; forse non sta davvero tremando, è solo una sua sensazione ma se è solo una sua sensazione perché fa così maledettamente male, le tempie le scoppiano e quella stanza è minuscola, Santo Cielo, non è abbastanza grande da poter contenere la bufera nella sua testa, non ha abbastanza ossigeno, è troppo piccola per racchiudere la paura e la paura è così enorme.

– Misty… ? –  la chiama una voce che non ascolta veramente. – Misty, che ti prende?

Nella mente solo correre, correre correre e scappare, perché le gambe le cedono ed allo stesso tempo vogliono muoversi, vogliono che lei se ne vada e subito; e allora in un attimo è fuori dalla stanza e il cuore le martella tanto che sembra debba esploderle in gola, un braccio la afferra ma lei se ne libera presto.

– Dove vai? Misty? Misty?

Non sente, non c’è nessuna voce nessun rumore nessun altro niente, c’è solo la neve bianca che la aspetta fuori e che la investe non appena apre la porta del rifugio, c’è solo il vento ghiacciato che soffia schiaffeggiandole il viso con violenza, che si insinua fra i suoi ricordi e scopre tutto come scopre la terra le piante e come smuove gli alberi facendoli sembrare simili a mostri indemoniati, e i fiocchi che le danzano intorno la esortano a correre e lei corre, sì, corre tra la neve sentendosi un blocco di neve anche lei, gelata e impazzita e confusa anche lei; e corre, corre perché non può fare altro, corre perché non c’è altro da fare, ormai.

 

Gli stivaletti nuovi che le ha comprato la mamma sono belli e caldi. È divertente camminarci con tutta quella neve sotto. Le piace la sensazione dei suoi piedi che affondano, le dà un’idea di dolce morbidezza che le ricorda gli abbracci di sua madre. E anche la neve l’abbraccia, in quel momento, l’abbraccia e la culla tutta come se fosse una figlia sua.

– Vuoi deciderti a tornare dentro? – la chiama una voce nervosa. È quella di Daisy, che la sta controllando, almeno così dice lei, braccia conserte, sopracciglia aggrottate e il corpo abbandonato contro lo stipite della porta. – Sta nevicando troppo. Su, entra.

– Ma mamma e papà sono usciti – obietta Misty, immergendo le mani – senza guanti – nella neve e facendone mucchietti da far volare poi in aria.

– Appunto, non dovevano – replica Daisy, e fa una smorfia brutta. – Con questo tempo è pericoloso. Con Bronty e Camille, poi! Dovrebbero esser già tornati da un bel pezzo – e guarda giù, verso la vallata, con un’espressione preoccupata negli occhi che Misty trova divertente, perché Daisy non si preoccupa mai di niente, è sempre spensierata e sorridente, lei.

Bronty e Camille sono i cavalli di suo padre – il maschio – e di sua madre – la femmina. Sono due esemplari di Rapidash grandi e bellissimi e fieri, e i suoi genitori li adorano. Adorano tutti i Pokémon, ma più di tutti loro due, perché con loro possono praticare lo sport che preferiscono che è appunto andare a cavallo. Sono bravi, le sue sorelle lo dicono sempre, e del resto quei trofei vinti a delle gare di corsa non stanno lì sulle mensole del soggiorno per caso.

Quella mattina sono usciti presto con Bronty e Camille, erano circa le sette. “Qui a Cerulean non nevica mai, dobbiamo approfittarne” spiegavano a Daisy che cercava di convincerli a non uscire. “Potrebbe scoppiare una bufera di neve, non le avete sentite le previsioni?” ha ripetuto tante volte la sorella, e anche Lily e Violet erano d’accordo con lei. Misty invece non lo sapeva, se sarebbe scoppiata una bufera di neve, non riusciva a capirlo solo guardando fuori dalla finestra: tutto quello che sapeva era che voleva giocare con suo padre sulla neve come la mattina precedente, e che lui non avrebbe potuto farlo perché andava a cavallo. “Saremo di ritorno per le nove, piccola” le aveva promesso allora suo padre scompigliandole con affetto i capelli. “Dopodiché, avremo tutta la mattinata per noi”.

Invece adesso sono le dieci passate e loro non sono ancora tornati e Misty si sta annoiando a morte, ha messo gli stivaletti nuovi e non può sfruttarli. Sbuffa con energia. Il suo respiro è una nuvoletta bianca e ghiacciata.

Fa un freddo polare, quel giorno. Tanto da far sbattere i denti.

– Capisco che andare a cavallo per le valli innevate possa essere un’esperienza unica – sta dicendo Daisy tra sé e sé. – Ma con tutta questa neve che cade! È stata davvero un’imprudenza. Quando li vedo sbucare da lì mi sentono. E poi sarebbero loro, le persone grandi e responsabili! – conclude la sorella alzando gli occhi al cielo. Daisy è strana, a volte. Si dà un sacco di arie solo perché pensa che avere undici anni significhi essere già maturi, già saggi.

Misty ridacchia e resta con il naso all’insù a osservare la neve scendere e posarsi sui suoi capelli e sul suo viso, e rabbrividisce. Le scappa un piccolo starnuto mentre pensa finalmente che, se non l’ha ancora capita, la magia di quell’inverno, è comunque ad un passo dal farlo. La magia della neve che scende e che copre il mondo di bianco, la magia dei fiocchi che sembrano ovatta soffice – anche se sono tanto freddi, a volte, che diventano quasi bollenti a toccarli –, la magia di poter sentire freddo quanto si vuole, che tanto a casa l’aspetta sempre il caldo di un abbraccio che sa del profumo di sua madre, la magia di poter uscire senza guanti e congelarsi le mani che tanto ci saranno sempre quelle di suo padre a scioglierle dal gelo.

– Resta qui – le dice Daisy ad un certo punto, rientrando in casa. – Torno subito.

La magia di avere un paio di stivaletti nuovi e volerci correre, correre fino a non avere più respiro.

La neve sotto i suoi piedi è troppo morbida, troppo invitante per non decidere di farlo; e allora Misty apre la porticina che delimita il confine del suo giardino con la vallata tutta intorno. In un istante è fuori. Suo padre ha sempre detto che sono fortunati, ad avere una casa che si affaccia sul mare e sulla campagna, e ora lei si rende conto che ha ragione.

La natura si apre davanti a lei in un trionfo di bianco e luce; sembra di essere in una fiaba. Ed è così che Misty si sente mentre in un secondo è già lì che corre giù per le colline, come se si trovasse in una fiaba bellissima dove lei è la Regina dei Ghiacci e il mondo ai suoi piedi il suo regno incantato, infinito; una fiaba tanto simile a quelle che le racconta sua madre prima di andare a dormire, quando tutto è buio ed a rischiarare la stanza c’è solo la luce tenera degli occhi di lei.

Misty corre, corre e pensa che nonostante il freddo fuori dentro si sente calda, si sente leggera, gli stivaletti sono comodi ed è bellissimo camminare con la neve sopra e sotto, anche se lei ha le dita ghiacciate e quando inghiotte saliva questa scende in una colata di fuoco che le brucia la gola.

È come un sogno vissuto di corsa e allo stesso tempo al rallentatore, permettendole ogni secondo che passa di godersi la felicità di quei fiocchi di neve che le piovono in faccia, simili a tanti piccoli fantasmi che però non fanno paura.

Poi, apparentemente poco distante da dove si trova ora – e non saprebbe dire qual è quel dove, non saprebbe dire neanche quanto si è allontanata da casa; Daisy si starà preoccupando – le giunge l’eco di un nitrito prolungato. Si ferma di colpo. Potrebbe trattarsi di Bronty o di Camille. In effetti più che un nitrito solo sembrano due, sembrano più di due, sembra una serie di nitriti strani che si elevano e si fondono e si disperdono nell’aria gelida come un canto acuto che si intreccia a quello del vento tra gli alberi.

Si dirige lì dove li ha sentiti, e senza neanche accorgersene riprende a correre.

Non vede l’ora di rivederli, i suoi genitori; le sono mancati quella mattina, anche se è stato soltanto per poche ore. Magari quando la vedranno acconsentiranno finalmente a farla salire con loro su uno dei due Rapidash. Magari la sgrideranno perché è uscita con quella neve e ha disobbedito a Daisy, ma del resto anche loro sono usciti con quella neve e hanno disobbedito a Daisy, perciò sono pari. E poi quando spiegherà loro il motivo per cui è andata oltre la porta del giardino – gli stivaletti e la voglia matta di correrci – capiranno sicuramente, e sorrideranno con lei perché quel giorno è tutto bellissimo e sembra di stare in una fiaba, e in una fiaba non c’è posto per le facce scure e tristi.

Si sta avvicinando alla strada dove passano le automobili, si accorge ora mentre rallenta la corsa. Le è vietato passare di lì, ma ora tanto non c’è nessuno che possa vederla, e in ogni caso spiegherà anche questo, ai suoi genitori. Perché è sicura che siano proprio lì da quelle parti, lo sente, riconosce il loro odore anche in quell’aria che sa così di freddo da scombussolarle l’olfatto.

Ed è un freddo che sa di ferro.

Ci sono tracce di ruote di macchina, tracce discontinue ed irregolari, in quel tratto di neve e ghiaccio. Misty le segue incuriosita, e dopo un po’ quelle la portano dietro un grande albero secolare. E dietro l’albero, sparsi a ventaglio sulla neve, ci sono i capelli biondi di sua madre.

Sua madre e suo padre sdraiati sulla neve, con gli occhi chiusi. Bronty e Camille che nitriscono debolmente ed allo stesso tempo disperatamente, ammassati l’uno sull’altra in un groviglio di zampe e criniere rosse come il fuoco. Non c’è solo quel rosso, scopre Misty mentre di colpo immobile fa scorrere il suo sguardo su quell’accozzaglia disumana. C’è il rosso del sangue tutt’attorno, è una pozza profonda e scurissima, e c’è il rosso del sangue ad imbrattare i capelli di sua madre. Misty ripensa al giorno prima, quando il contrasto di quel colore con quello della neve le era sembrato così bello, così giusto.

E invece adesso non è per niente giusto, è terribile, è spaventoso, e la neve fa paura, fa tutto paura in quel momento dove i suoi genitori restano fermi e non aprono gli occhi, e se dormono perché non si svegliano, e perché c’è tutto quel sangue cosa vuol dire, il sangue fa paura, non c’è mai nelle favole e se quel giorno sembra una favola perché lui c’è, come fa ad esserci? E fa freddo, fa tanto freddo che le si ghiacciano le mani il naso il respiro, e il vento fra gli alberi è un canto sgraziato e straziante, e tutto resta immobile e non succede niente, anche il suo cuore sembra fermo e non batte più.

Fa per avvicinarsi ai suoi genitori, vuole toccarli, non ha paura di cadere perché ora sa anche correre sulla neve; e invece le gambe non si muovono cedono e Misty sbatte con la fronte sulla neve, e quella è gelata, è gelata la neve ed è gelata lei, è tutto bianco e tutto rosso e non c’è nient’altro, Misty prova ad urlare perché mamma e papà devono svegliarsi, ha paura, ma dalla sua bocca non esce niente, è tutto congelato, anche la marea di domande che impazzite rimbalzano e rimbalzano nella sua mente.

Non riesce a rialzarsi da lì. Non ci riesce da sola, e non può chiedere aiuto perché non c’è nessuno a cui chiedere aiuto. Così si distende sulla neve imitando i suoi genitori, e fa freddissimo, potrebbe restare congelata per sempre, potrebbe diventare un pezzo di ghiaccio immobile mentre tutto il resto del mondo si muove, per sempre, potrebbe impiastricciarsi di neve fino a non sapere dove comincia quella e finisce lei, e anche se ora fa male alle dita tanto a poco a poco non sentirebbe più neanche il suo corpo, non sentirebbe più neanche il dolore.

Invece all’improvviso, o forse non è all’improvviso, forse sono passati minuti ore, ci sono delle voci che dicono–

Non dovevano uscire con questo tempo!

e sono voci che piangono, voci familiari ma che non riesce a riconoscere, e dopo le voci ci sono mani che la afferrano, mani che la stringono, mani che la portano via, lontano da lì, tentando di salvarla dal gelo ma non salvando niente, è troppo tardi; e il vento soffia neve spaventosa e freddissima nella sua testa, quella neve congela tutto i suoi occhi il suo respiro la sua mente il suo cuore, quella neve copre di bianco ogni cosa, quella neve traccia una scia gelida e dolorosa come i fiocchi di ovatta che se li tocchi fanno male alle dita.

 

7 Febbraio, domenica mattina

Ieri Ash ha deciso di fermarsi in un rifugio sulle montagne di White Falls City. Io non ne avevo affatto voglia, ma era quasi sera e c’era già abbondante neve e altrettanta ne stava scendendo, perciò proseguire il cammino era impensabile.

So già che tra poco sarà qui in camera a pregarmi di uscire con lui a giocare sulla neve, e che io gli dirò di no. Gli dirò di no per quanto? Un minuto, due forse, poi Ash mi sorriderà ed io cederò come al solito. È impossibile dirgli di no, io perlomeno non ci riesco mai. O meglio, sì, ma tanto tutti i miei no ad Ash non sono no sinceri, sono solo sì mascherati e neanche tanto bene. Non che me ne importi veramente, comunque.

Temo che non riuscirò nemmeno a dirgli che la neve non mi piace. Lui l’adora – a chi non piace, del resto? – mentre io, quando c’è, preferisco evitare di entrarci in contatto il più possibile. Mi fa paura. Non è una lamentela infantile, è un verità così vera da spaccarmi il cuore. Quando c’è la neve mi congelo anch’io.

È così fredda.

Ash non lo sa, che i miei genitori sono morti a causa di un incidente sulla neve. Non lo sa perché io non gliel’ho detto, ovviamente, e come non trovo il coraggio di farlo di sicuro non troverò nemmeno il coraggio di negargli di uscire a giocare come due bambinetti stupidi. Mi sembrerebbe sleale, gli procurerei un dispiacere che non voglio abbia. È così bello vederlo tanto entusiasta. In qualche modo vederlo così è più importante che sapere di non stare bene.

È inutile mentire, però: ho paura di affrontare la neve. Ho paura ed è forse per questo che ad Ash non posso confessare niente. Non è per lui, è per me. Se cominciassi a raccontargli qualcosa… poi dovrei andare fino in fondo. E io non riesco più ad andare fino in fondo, a vedere cosa c’è in quel fondo. Non lo so più da tanto tempo. I miei genitori sono morti sulla neve. Non c’è davvero altro da sapere.

Ma siamo a febbraio - il mese in cui è successo -, e il tempo là fuori è così uguale ad allora che mi chiedo come farò a restare ferma, a non sentire nient’altro che freddo, a bloccare il mio cuore in una morsa di gelo che nonostante tutto non si scioglie mai.

 

Mentre corre fra la neve Misty non sa qual è la sua meta; non sa nemmeno se ce ne è una, del resto non è davvero la sua mente ad impartire ordini alle gambe. Piuttosto è il contrario.

Le vallate si aprono intorno a lei come grandi gigli al sole di primavera. Sembra lo scenario di una fiaba, la stessa fiaba che sognava da bambina, la stessa fiaba con la quale dipingeva la vita e che di colpo le si trasformò davanti nell’incubo peggiore, un incubo ghiacciato, un incubo troppo bianco e troppo rosso e troppo spaventoso da poter essere custodito nella sua memoria.

Ricorda quegli stivaletti bellissimi – che ha buttato, poi, perché non si sa come avevano finito con l’imbrattarsi di sangue –, la sensazione di camminarci, la sensazione di volare. Ricorda come il suo cuore batteva ingenuo per la convinzione che le cose non sarebbero mai cambiate, che a scioglierla dal gelo ci sarebbero stati sempre e comunque gli abbracci di sua madre, sempre e comunque le mani di suo padre.

Corre Misty, corre e vorrebbe urlare, perché la neve non solo fa male alle dita, a volte le spacca anche, così come spacca il cuore e separa i pensieri, facendoli disperdere nel cervello come tanti pezzi di carta taglienti e pericolosi da maneggiare. Come i fiocchi che corrono con lei adesso, in una tormenta che è una foschia dolorosa e confusa, e allo stesso tempo così chiara da restarne accecati.

Eppure non ci riesce, a gridare. Non c’è riuscita mai. La sua voce è sempre congelata, i suoi occhi sono sempre rimasti di ghiaccio da quel giorno in cui c’era stato talmente tanto freddo che quello alla fine non aveva potuto fare altro che soffermarsi non solo fuori, ma anche insinuarsi dentro di lei, cristallizzando al suo passaggio ogni centimetro di sangue, ogni lacrima che premeva per uscire fuori e che così non è mai riuscita a trovare la via da prendere.

Per la prima volta Misty si sporge a vedere il fondo. Riesce a vedere cosa c’è oltre quella pozza scura e profonda che stagna nella sua mente; e fa paura, fa paura come fa paura la bufera che la segue nella sua corsa pazza e disperata, la bufera che c’era anche quel giorno e che da allora si è sempre portata dietro, dentro di lei, in attesa che scoppiasse. È scoppiata, adesso. È scoppiata e fa malissimo, è come precipitare all’improvviso in un baratro che non è nero, però, è bianco fantasma e rosso sangue.

A distanza di poco tempo – quanto è poco, in realtà? Il tempo non esiste, in quel momento –, ed associandoli ad una situazione del tutto differente, Misty ripensa agli avvertimenti che le dava suo padre quando pattinava. Non andare al centro della pista, dove il ghiaccio si assottiglia.

Gli ha disobbedito, stavolta. Stavolta lei si sente proprio al centro di quel ghiaccio. E sta cadendo, sta cadendo sempre più giù nell’acqua gelida, e sta correndo il rischio di restarci dentro per sempre perché non c’è nessuno che possa tirarla fuori da lì.

I capelli biondi di sua madre striati di rosso. Il sorriso morto di suo padre.

Continua a correre fra gli alberi altissimi ed innevati, e la neve continua a cadere più bianca che mai. Ad eccezione di un brevissimo lasso di tempo di tanti anni prima la neve le ha sempre incusso timore, non le è mai piaciuta, preferirebbe confondersi con lei piuttosto che restare a guardarla da fuori come un corpo estraneo, impotente, solo spettatore.

Alla fine Misty è stanca e talmente infreddolita da non sentire più neanche un alito di freddo; sfinita per la corsa si lascia cadere di schianto sotto un grande albero, la schiena che sussulta a contatto con quel manto gelido, gli occhi che si perdono nel bianco e nel tentativo di seguire la discesa di tutta quella neve sopra la sua testa.

È la tormenta che solo poco prima, al rifugio, aveva paura impazzasse, riflette, e alla quale si è poi invece offerta spontaneamente, sfidandola, affrontandola come se solo facendolo potesse avere una concreta possibilità di riuscire a cambiare qualcosa. Solo un’illusione, solo un impulso furioso dettato dal panico; un impulso sciocco: null’altro. Se ha cambiato qualcosa, l’ha fatto scoprendo ricordi con cui lei non avrebbe voluto fare i conti mai più, l’ha fatto atrofizzando la parte del suo cuore che conosceva anche le altre stagioni dell’anno, non solo l’inverno. E se è stato un bene non lo sa; sa soltanto che come non è stata lucida prima – prima di scappare, prima di correre con i pezzi ibernati del passato che le cadevano addosso –, non lo è neanche adesso, perché in lei c’è solo bianco.

È strano, pensa, come una cosa così candida, così chiara e così semplice, possa risultare tanto confusa.

Per un lungo attimo c’è soltanto il gelo. Il dolore si allontana di nuovo, e si allontana la neve, si allontanano i battiti del cuore, si allontana il respiro.

Misty!

Ma poi c’è una voce che la chiama, e quella voce non si allontana, si avvicina. Misty balza a sedere e nasconde la testa fra le ginocchia. Forse non l’ha sentita davvero, ragiona. Forse è stato il vento. Di colpo ha così tanto freddo che le sembra di non avere più la percezione di niente; e per la prima vera volta teme che da quella tormenta non ne uscirà più.

Solleva il viso, adesso. Apre gli occhi.

Lo vede.

Ash è lì che la guarda con un’espressione che non gli ha mai visto prima, i fiocchi che gli cadono addosso in una danza fitta che tuttavia non impedisce a Misty di incontrare i suoi occhi; e le basta farlo, le basta farlo per un secondo per sapere che lui sa, che ha letto la pagina del diario dove parla della morte dei suoi genitori. Lo sa, non le serve chiedere niente. Quando ha davanti lo sguardo di Ash non le serve mai chiedere niente.

– Sei pazza ad uscire con questo tempo?! – le grida lui. È immobile; come lei non ha il coraggio di muovere un passo. E poi ancora, dopo essersi preso una discreta quantità di tempo per permettere a se stesso di sconvolgersi ancora di più alla vista di lei paralizzata dal freddo in quel modo: – Cosa avevi intenzione di fare?

A quello Misty non ha una risposta. Sperava di trovarla fra la neve: non c’è riuscita.

Resta a guardare Ash per un tempo che le sembra brevissimo e lunghissimo insieme.

Ash. Ash che la fissa terrorizzato, incredulo, quasi furioso, perché lei gli ha fatto prendere quello spavento. Ash che la riporta, solo stando lì fermo, solo essendoci, al mondo che conta, al suo mondo. Ash con quello sguardo atterrito, indeciso, fragile, lo sguardo di chi si trova di fronte qualcosa di immensamente più grande di lui, quello sguardo che Misty non gli ha mai visto prima ma che pure conosce tanto bene. È lo sguardo che sa di aver avuto lei nel momento in cui ha incontrato i suoi genitori privi di vita, riversi sulla neve.

Non pensava che l’avrebbe rivisto negli occhi di qualcun altro, un giorno. Non negli occhi di Ash, almeno; e adesso fa malissimo vederlo in quello stato, e fa male rendersi conto di come la sofferenza non stia mai da una parte sola, non sia mai soltanto di una e non dell’altro. La sofferenza non viaggia su un binario solitario, viaggia su due strade comuni che si ricongiungono nel turbine di neve che avvolge entrambi.

E, ancora una volta, basta lo sguardo di lui. Di colpo è lo sguardo di lui a farla rabbrividire, di colpo è lo sguardo di lui che le spezza il cuore, tutto.

Quando Misty si alza e corre verso Ash le pare che la distanza che la divide da lui sia incolmabile, quasi infinita. Invece in un attimo si trova circondata dalle sue braccia, a sentire i battiti del suo petto contro il proprio, tanto martellanti da farle credere confusamente che presto qualcosa dovrà scoppiare.

E ci sono di nuovo mani che la afferrano, mani che la stringono, mani che la portano via; e stavolta non solo lontano da lì, stavolta la portano in salvo, stavolta la salvano dal gelo.

Stretta a lui, piano piano; è così che tutto inizia a sciogliersi, dentro di lei, lo sente, si scioglie e si sbriciola in mille pezzi ed è una sensazione meravigliosa e fa un male tremendo, finalmente, come un iceberg che cozza contro altri iceberg e finisce col crollare inesorabile. Ma il suo iceberg non crolla per distruggersi, no, crolla per ritornare intero, per ritornare chiaro e limpido come l’acqua che con l’urto irrompe tutta intorno; così come sgorgano dai suoi occhi lacrime interminabili, quelle lacrime che non aveva mai versato e che erano rimaste ghiacciate per anni.

Il pianto di Misty è secco e doloroso e lungo, ma Ash non dice niente, si limita ad accarezzarle i capelli umidi ed a seguirla giù sulla neve quando a lei sembra di non riuscire più restare in piedi a reggere il peso dei suoi singhiozzi, permettendole di abbandonarsi completamente contro il proprio corpo.

E a poco a poco tutto quello che c’era di bianco e di freddo scompare, lasciando il posto a qualcosa che ha il calore dolce di un respiro incerto e tremante sul suo collo, un calore che sa dell’odore di Ash, l’odore di cui Misty sa di non poter mai fare a meno e che ora si confonde con quello di lei, così come si confonde il dolore, si confondono i sussulti, ed i battiti del cuore.

Era vero, in effetti. Stava proprio al centro del ghiaccio; ci era anche sprofondata. Ma due braccia due occhi un viso l’hanno tirata fuori da lì, e sono due braccia due occhi un viso che contano più di qualsiasi cosa, sono tutta la sua realtà, sono tutto quello che le permette di risvegliarsi da un incubo terribile sudando e piangendo, sì, ma anche di farle capire che il tempo di dormire prima o poi ha sempre una sua conclusione.

I singhiozzi continuano a scuoterla con violenza, ma non fanno davvero male. Fanno male le immagini che dopo quel giorno per la prima volta trovano il coraggio di scorrerle davanti agli occhi, in una sequenza chiara ed abbacinante come lo scoppio di un flash, lasciandola allo stesso tempo però meno cieca, e svuotandola. – I miei genitori – comincia debole, una volta abbastanza sicura di poter controllare la forza del suo pianto,  – Erano sulla neve… con me…

Avverte Ash annuire lentamente sopra la sua testa, probabilmente credendo che Misty alluda alla loro morte e basta.

– Intendevo dire – si affretta ad aggiungere allora lei, e deve sbrigarsi, perché l’attimo dura un attimo e passato quello non sa se saprà ancora come andare avanti, se saprà ancora dove vada indirizzata la sua mente oppure se preferirà di nuovo farla smarrire fra la neve. – Intendo dire... li ho visti io. Li ho trovati io – e scopre di avere nuove lacrime da versare sul cappotto di Ash, lacrime che si riversano in un pianto più silenzioso e sommesso del precedente, un pianto lento che si fonde nel vento e si perde leggero nell’aria. Il pianto di un passato che fa meno male di quanto pensasse, ora che è condiviso, ora che è come smorzato dal calore del corpo che sta stringendo.

Sente Ash trattenere il respiro e rimanere in silenzio, come a doversi capacitare di quello che ha appena ascoltato ed accettarne il senso effettivo.

– Misty… – mormora alla fine, in un bisbiglio di dolore incredulo e spaventato. – Misty… – ripete Ash, e c’è una traccia di commozione nella sua voce, una traccia che è l’unica cosa da mostrare, l’unica cosa che riesca a dire tutto quello che c’è da dire senza dire niente.

Lei si aggrappa ancora di più a lui e lui la stringe ancora più forte, continuando ad accarezzarle i capelli in un modo così intenso che a Misty il cuore si gonfia, rilasciandole nelle vene sangue bollente e vivo; e quello la riscalda sin dal profondo del suo essere, e le sue lacrime diventano calde, così come le sue mani il suo respiro ogni cosa, nonostante il freddo della neve e della sera che è scesa senza che se ne rendesse conto.

Il vento continua a soffiare e la neve a cadere e lei continua a perdersi nel calore di Ash, a ritornare intera tra le sue braccia come l’iceberg che va in frantumi prima di essere di nuovo tutto nell’abbraccio dell’acqua, e Misty pensa che Ash non è solo Ash – tutto quello che il suo nome rappresenta –, Ash è tutta la sua famiglia, non sono le sue sorelle né nessun altro; Ash è quella famiglia che le era stata negata troppo presto, Ash le offre ogni giorno una vera casa in cui stare anche in un qualsiasi luogo sperduto in mezzo al mondo.

– Dimmi che… – geme Misty tra i singhiozzi, ed è costretta ad interrompersi quando si rende conto che ciò che sta per dire la farà sembrare una bambina smarrita; ma non le importa, perché non è più una bambina e non è più smarrita, adesso. – Che non te ne andrai anche tu.

– Come? – chiede lui con voce rotta. Il suo mento accarezza appena la testa di Misty.

– Promettimi che non te ne andrai anche tu – lo prega di nuovo lei, – Che non te ne andrai. – Nasconde il viso nell’incavo del suo collo, bagnandogli i capelli di lacrime e sfiorandogli con le labbra screpolate, talmente leggere da non accorgersene neanche, alcuni centimetri di pelle.

– Non me ne vado – dichiara prontamente Ash, e Misty si accorge che ora piange insieme a lei. – Te lo prometto.

E Misty ci crede, ci crede perché è tra le sue braccia ora e per sempre, ci crede perché solo lui poteva essere in grado di compiere un miracolo del genere, ci crede perché il suo respiro è più forte del vento che sussulta fra gli alberi. Ci crede perché lui piange con lei, mescolando le sue lacrime alle proprie, i suoi singhiozzi ai propri, i suoi respiri tremanti ai propri. E ci crede perché quando poi smette di piangere lui smette di piangere con lei.

Dopo qualche istante la nebbia di pianto che le offusca gli occhi se ne va e a quel punto nonostante il mondo sia solamente di quel colore Misty non vede più bianco, no, e non sente più freddo e non c’è più vento; le sembra di vedere solo colline e colline ricoperte di grano, ed è luglio ed è estate e fa caldo e adesso sì, non è più una bugia, adesso la neve può aspettare. Adesso può restare abbracciata ad Ash un altro po’.

 

When you gonna make up your mind
When you gonna love you as much as I do
When you gonna make up your mind
Cause things are gonna change so fast
All the white horses have gone ahead
I tell you that I’ll always want you near

 

Note: È la prima volta che mi capita di scrivere una storia lasciandomi trascinare completamente da una canzone. In questo caso si tratta di Winter di Tori Amos – che consiglio vivamente di ascoltare, perché è meravigliosa ed ha un testo altrettanto meraviglioso, che mi ha letteralmente preso per mano in alcuni passi della storia, come scoprirete qualora vogliate leggerlo; in ogni caso qui ne trovate alcune parti –, a cui questa fanfic deve inoltre il titolo.

Della storia potrei dire di tutto e di più. Ho amato scriverla e tuttora (caso abbastanza raro, visto il mio proverbiale perfezionismo che mi porta a vedere qualsiasi difetto ovunque) amo leggerla. Il merito va senz’altro alla canzone, visto che se non mi fosse capitata un giorno alle orecchie, dopo mesi che non l’ascoltavo, questa fanfiction non sarebbe mai nata.

Il brano mi ha in effetti come chiamata a sé °__° Ed era Misty che mi chiamava. Tutto ciò ha preteso di essere scritto dal momento in cui ha cominciato a scorrermi davanti agli occhi una serie di immagini assolutamente folgoranti, che poi si sono concretizzate nella maggior parte delle scene della fanfic. Dalla Misty bambina, felice con i suoi genitori; alla Misty adolescente, felice con Ash.

Il tempo di scrittura è stato relativamente breve – circa sei giorni complessivi; la data della fine “provvisoria” della storia è anche quella che compare in cima alla pagina del diario di Misty, se v’interessa xD –, e quindi anche piuttosto immediato. Eppure, incredibilmente anche per me, più andavo avanti e più mi rendevo conto di come ogni cosa tornasse e si incastrasse alla perfezione. A parte la struttura narrativa, che fa in modo che i ricordi infantili si mescolino ad avvenimenti attuali (tutto, senza distinzione, volutamente al presente, tempo che sto amando usare), al punto che alla fine di un passaggio ed all’inizio di quello successivo spesso è possibile non essere del tutto sicuri – almeno fermandosi alla prima frase – di chi stia parlando con chi, molti dettagli, molte parole e molte sensazioni sono riprese qua e là, in un avvicendarsi fra passato e presente che in fondo è un po’ il leit motiv di questa storia. Misty ha perso la sua famiglia, tutta la sua felicità di bambina tra la neve; ma tra la neve, con lo stesso tempo di allora, scopre ancora una volta, se mai ce ne fosse bisogno, che lei una famiglia ed una persona da amare adesso ce l’ha, e quella persona è Ash.

Tutto ritorna, insomma, tutto va avanti così come deve andare; e anche la paura irrazionale nei confronti della neve viene in qualche modo superata. A questo proposito Misty sembra in effetti aver rimosso il ritrovamento da parte sua dei corpi dei suoi genitori – dico sembra perché io stessa ho scelto di evitare di approfondire la questione, preferendo lasciare dei dubbi al riguardo: di confusione si parla e tale rimane –, vittima di un blocco psicologico qui paragonato ai blocchi di ghiaccio. Una parte del cuore di Misty è rimasta come congelata da quel terribile avvenimento della sua infanzia; si scioglie solo nell’abbraccio finale con Ash, quando finalmente riesce anche a piangere. Con un abbraccio – anche se materno – si apriva la storia; con un altro tipo di abbraccio si chiude, e questa volta è un abbraccio che può durare ancora a lungo, questa volta la neve aspetterà e non farà male (mi sto commuovendo, accidenti ;__;). Il cerchio, il binomio passato/presente e la conseguente nebbia di ricordi trova così la sua naturale conclusione: se alla fine del primo passo Misty Vuole solo restare abbracciata a sua madre un altro po’, al termine della storia la sorprendiamo invece a pensare Adesso può restare abbracciata ad Ash un altro po’; una differenza sostanziale, quindi, apportata da quell’Adesso può che prima era soltanto un Vuole, un desiderio destinato a naufragare molto presto.

Confesso che ero un po’ preoccupata all’idea di affrontare un argomento drammatico – non è il genere che prediligo scrivere; io sono una ragazza solare, da mare e non da neve xD –, ma partendo dall’assunto base che regge il tutto – chi conosce bene la neve la teme anche – non poteva che nascere qualcosa di malinconico. Mi auguro che il risultato complessivo sia abbastanza positivo.

Per il resto mi piacciono particolarmente le parti con la Misty bambina – sono in assoluto quelle che preferisco; adoro scrivere con un linguaggio infantile –; mi piace come il bianco della neve e il freddo mi abbiano aiutato a rendere l’idea di tabula rasa del cuore, più che della mente. Del resto, quando descrivo la scena del funerale dei suoi genitori e l’impressione data a Misty dalle bare, nella frase (…) e a Misty le cose che fanno paura non piacciono, preferisce dimenticarsele, quel “preferisce” credo sia abbastanza esplicativo di una volontà a cancellare, più che di un vero e proprio processo mentale. Poi oh, interpretate come volete xD.

Ho palesemente un debole per le allegorie e per le simbologie, oltre che per le metafore è__è Qui sono disseminate un po’ ovunque: dallo scambio di battute apparentemente privo di spessore che Misty ha con sua madre riguardo il cielo, e che ritorna poi, molto più significativo, al momento del funerale; alla porta del giardino di casa che viene aperta dalla bambina poco prima di ritrovare i suoi e che segna idealmente il confine tra vita e morte, tra felicità e dolore, e che “battezza” il repentino passaggio di Misty dalla beatitudine dell’infanzia ad un atroce momento di crescita. Molte di queste cose sono nate in modo del tutto casuale, comunque xD. 

E niente, un altro doveroso ringraziamento a Tori Amos xD, che insieme al buon Nicholas Evans (autore di L’uomo che sussurrava ai cavalli, romanzo che adoro fino all’indicibile) mi ha ispirato nella descrizione della morte dei genitori di Misty, con questo verso di Winter: All the white horses have gone ahead (e sì lo so che è un modo molto stupido di trarre ispirazione). Di L’uomo che sussurrava ai cavalli si può invece trovare una citazione nel nome di una delle due città presenti nella storia, Pilgrim’s Valley Town, e nel nome di uno dei due Rapidash, Bronty (entrambi sono nomi di cavalli nel romanzo).

A presto ^^

  
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