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Autore: SHUN DI ANDROMEDA    21/03/2010    1 recensioni
"Notte. Fredda, come solo le notti d’inverno giapponesi sanno essere, ventose e dai cieli tersi e blu come il fondo dell’Oceano, cosparsi di diamanti, ricamati come su un vestito. I rami coperti di candore greve si allungano sui sentieri stretti e impervi, intrecciandosi continuamente gli uni alle altre fronde, abbracciando il buio bosco deserto; il pesante silenzio, rotto di quando in quando dal rumore lontano di fragili rami che si spezzavano, era inquietante, come le ombre dalle forme insolite che comparivano ovunque l’occhio potesse posarsi, come mostri feroci in procinto di attaccare gli ignari e sporadici viandanti che si arrischiavano a inoltrarsi nella foresta millenaria alle pendici del vulcano innevato." Fanfiction scritta in occasione della tematica invernale del Tempio di Shun denominata "Fiaba", una storia semplice con protagonista Nachi di Wolf. La dedico a Heather e Parsifal. Un ringraziamento speciale va anche a Gufo_Tave per i gentili commenti che ha lasciato su alcune mie opere.
Genere: Generale, Malinconico, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Wolf Nachi
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Kido Family'
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TEMATICA INVERNALE DELLA MAILING LIST

“IL TEMPIO DI SHUN”

 

FIABA

 

“IL FIGLIO DEI LUPI”

 

 

Notte.

 

Fredda, come solo le notti d’inverno giapponesi sanno essere, ventose e dai cieli tersi e blu come il fondo dell’Oceano, cosparsi di diamanti, ricamati come su un vestito.

 

I rami coperti di candore greve si allungano sui sentieri stretti e impervi, intrecciandosi continuamente gli uni alle altre fronde, abbracciando il buio bosco deserto; il pesante silenzio, rotto di quando in quando dal rumore lontano di fragili rami che si spezzavano, era inquietante, come le ombre dalle forme insolite che comparivano ovunque l’occhio potesse posarsi, come mostri feroci in procinto di attaccare gli ignari e sporadici viandanti che si arrischiavano a inoltrarsi nella foresta millenaria alle pendici del vulcano innevato.

 

Il soffice manto si delineava in forme scoscese, seguendo la conformazione del terreno, le radici dei superbi alberi affioravano appena in superficie, totalmente celate sotto quella candida e gelida protezione.

 

L’urlo solitario di un uccello notturno ruppe improvviso il silenzio e riecheggiò a lungo sotto il cielo stellato.

 

Come se quel grido fosse stato un segnale, l’intera foresta si risveglio bruscamente, il vento prese a soffiare con violenza, scuotendo veemente le cime degli alberi gravide di gelo e ghiaccio, gli animali schiamazzarono lamentosi dalle loro tane tiepide, anche gli alberi gemettero.

 

Una piccola radura nel profondo della selva risuonava di versi impauriti e uggiolii tristi: al centro di essa, circondata da ombre agitate e inquiete, una sagoma minuta e singhiozzante stava rannicchiata sulla neve macchiata di sangue scarlatto, che risaltava maggiormente per contrasto col candore della superficie gelida.

Illuminato da un pallido raggio di luna filtrato attraverso il fitto intrico di rami, comparve un tenero musetto, appuntito e candido, due morbide orecchie e un paio di grandi occhioni sofferenti.

 

Era un cucciolo, un cucciolo di lupo.

 

Guaiva, giacendo privo di forze sul terreno freddo, la zampa posteriore destra era bloccata nelle fauci di una infida tagliola e ogni animale, grande o piccolo che fosse, piangeva per la triste sorte del nobile principe del bosco dal pelo argenteo cosparso di brina cristallina.

 

Il clamore si fece improvvisamente più intenso, il vento aveva portato un nuovo odore, sconosciuto, nella foresta.

 

E qualcosa comparve al limitare della radura.

 

All’inizio sembrò solo un’ombra, priva di forma e consistenza; ma quando cominciò a delinearsi, tutti gli animali fuggirono terrorizzati, lasciando in tutta fretta la radura.

 

Il cucciolo, impaurito, guaì più forte, cercando di nascondere il musetto sotto la zampa.

 

La luna illuminò il nuovo venuto, una figura bassa, umana.

 

Ma era solo un ragazzo.

 

Un bambino quasi, dall’espressione particolarmente seriosa, la fronte alta e spaziosa, di un pallore quasi mortale, era coperta in parte da corti ciuffi neri come l’ebano, due grandi occhi luminosi saettarono nel buio, soffermandosi preoccupati sul corpicino tremante del principe della foresta.

 

Cercando di non spaventarlo ulteriormente, si inginocchiò accanto al lupacchiotto ferito, esaminandone critico le condizioni.

 

L’intera foresta trattenne il fiato, il fanciullo alzò la sua mano sul piccolo animale.

 

Un guaito di terrore eruppe dal petto dell’animale.

Ma niente di quello che si aspettavano accadde.

 

La mano scivolò lesta verso la zampa bloccata e, con un clangore metallico, la trappola venne spezzata e i suoi resti gettati lontano con violenza.

 

Un silenzio rilassato avvolse la foresta.

Un lieve sussurro, simile a un abbraccio, si sollevò assieme al vento gentile che aveva ripreso a soffiare: “Ecco, non avrai più da temere da quella trappola infernale.” lo rassicurò il ragazzo, prendendolo in braccio con delicatezza, con le dita lunghe e snelle prese ad accarezzarlo sulle orecchie pelose, senza spaventarlo.

 

Il cuccioletto si accoccolò esausto contro il suo petto, tentando di cercare rifugio nella giacca pesante che il giovanissimo indossava, uggiolava esausto.

Senza smettere un momento di accarezzarlo, l’umano si alzò lentamente in piedi e pose l’animale tra il proprio petto e il tessuto del cappotto, chiudendo poi la zip di modo che potesse stare al caldo, senza però cadere.

 

“Devo portarti al sicuro… Qui non puoi stare…” sussurrò, cominciando a correre verso casa, le ciaspole ai piedi agevolavano enormemente il suo cammino attraverso la distesa innevata e impervia.

 

A ogni suo passo, sembrava quasi che la foresta si aprisse per facilitargli maggiormente il viaggio, che le radici si alzassero, facendogli spazio, che il vento piegasse i tronchi delle possenti e millenarie querce, permettendogli di non diminuire il ritmo di corsa.

 

Come se la natura attorno fosse viva, pronta ad aiutarlo.

 

Sospirando di sollievo, sentiva il piccolo sul suo petto tremare e uggiolare.

 

Accarezzandolo, lo rassicurò: “Shh, tranquillo..”.

 

Eppure, il fanciullo sentiva che l’animale era nervoso, un nervosismo che lo aveva contagiato.

I suoi sensi allenati e tesi a scattare percepivano qualcosa.

 

Qualcosa di spaventoso.

 

Lì per lì, credette che fosse il cacciatore che aveva piazzato la trappola, ma un gelo così, una paura simile, non poteva essere causata dalla presenza di un semplice essere umano.

 

A meno che non fosse uno Specter, chiaro.

 

Nachi aumentò il passo, cercando di ricacciare nel profondo del suo cuore quella spiacevole sensazione di paura, sollevò il bavero della giacca, nascondendo parte del viso; doveva muoversi.

 

All’orizzonte, finalmente, scorse la sagoma illuminata della piccola baita montana che lo ospitava, già pregustava il tepore del camino e la cioccolata calda, avrebbe preparato un comodo giaciglio e un po’ di latte caldo per il suo piccolo amico, lo avrebbe curato al meglio delle sue possibilità.

 

Perso in queste sue elucubrazioni, il ragazzo si accorse troppo tardi di ciò che stava accadendo.

 

La massa oscura di gelo e paura li aveva raggiunti.

 

Il cucciolo ululò terrorizzato, tremava impaurito, il ragazzo lo sentiva nascondere il muso sotto la sua ascella, in cerca di protezione.

Il giovanissimo guerriero si fermò, pallido in viso, ma determinato; si mise in guardia, scrutando attentamente attorno a sé.

 

Strani guizzi d’ombre, che duravano pochissimi istanti, e fruscii di qualcosa che si muoveva lo misero ulteriormente sull’avviso.

“Shh, non avere paura.. Ci sono io..” cercò di rassicurare il lupacchiotto, sentendolo spaventato, “Non ti faranno del male…” mormorò, ricominciando a correre: non poteva tornare a casa, doveva trovare un rifugio sicuro.

 

I raggi della Luna, comparsa improvvisamente nel cielo, illuminarono dolcemente l’accesso di una grotta.

 

Nachi si guardò alle spalle, la luce improvvisa aveva frastornato la massa oscura che se ne stava il più possibile nell’ombra, tenuta coraggiosamente a bada dalla Luna e della stelle.

Il giovane ringraziò silenziosamente, inoltrandosi poi all’interno dell’antro oscuro.

 

§§§§§

 

Un improvviso calore avvolse le membra infreddolite del giapponesino, strappandogli un sorriso rassicurato.

 

Aprì la zip del cappotto, lasciando uscire il suo piccolo amico, che subito gli si rannicchiò in braccio, leccandogli con riconoscenza e affetto il viso; il moretto ridacchiò: “D’accordo, d’accordo, ma ora cerchiamo di trovare un’altra uscita, non voglio finire nelle grinfie di quel.. coso..” borbottò, richiudendo la giacca; si inoltrò a tentoni verso il fondo della caverna, le ciaspole arrancavano con difficoltà sul terreno umido e roccioso, più volte aveva rischiato di scivolare miseramente a terra, ma l’equilibrio, all’ultimo momento, non era fortunatamente mancato.

 

Un soffio di aria calda e profumata gli scompigliò i capelli già di loro spettinati, un profumo di incenso e bergamotto lo avvolse, ricordava l’odore del tè che spesso e volentieri preparava Shiryu-niisan quando uno di loro si raffreddava.

 

“Che sia un passaggio che mi porti vicino casa?” si chiese, aumentando impaziente il passo, rincuorato dal lento respiro addormentato del cucciolo; finalmente, dopo un tempo che gli parve infinito, comparve all’orizzonte una debole luce, segno che l’uscita era vicina; il lupo si risvegliò, cominciando a uggiolare e a scodinzolare di gioia, balzò a terra, cominciando a correre verso quel punto luminoso in lontananza.

 

“EHI! ASPETTAMI!!” gridò il ragazzo, sorpreso da quell’improvvisa reazione, senza pensarci gli andò dietro, sentiva il vento sussurrargli qualcosa all’orecchio, come un canto lirico accompagnato da archi e fiati, ma non gli diede peso, concentrato com’era sul lupacchiotto che sfrecciava agilmente davanti a lui.

 

Una luce improvvisa e inaspettata lo accecò, strappandogli un gemito di dolore; chiuse di scatto gli occhi, coprendo parte del viso con la mano destra e avanzando, cercando la strada con la sinistra; i suoi piedi affondarono in un cumulo soffice che Nachi identificò con sorpresa come neve fresca, gelida al tocco, che gli inzuppava i pantaloni.

 

A poco a poco, la sua vista si riabituò alla luce e grande fu la sorpresa quando si vide in una piana innevata, brillante sotto l’abbraccio di un sole superbo che splendeva in un cielo così azzurro che quasi si sentiva di affogarci.

 

Il piccolo lupo sedeva docilmente a poca distanza dalla grotta, ansimando per la corsa, ma tranquillo.

 

Il giapponese gli si chinò accanto, accucciandosi al suo fianco.

 

“Dove siamo…?” si chiese, guardandosi attorno, era un posto meraviglioso e i suoi sensi non percepivano alcun pericolo, pareva un rifugio sicuro da quella massa oscura.

 

“Benvenuto straniero… è raro che un umano riesca a entrare nel nostro reame.”.

 

Una voce profonda e gentile lo fece trasalire, scattò in piedi, guardandosi attorno ansiosamente, in guardia: “Chi c’è?” chiese spaventato, stringendo i pugni e facendo per prendere il cucciolo in braccio; ma questi uggiolò allegro, i grandi occhioni azzurri splendettero, mentre leccava la mano del suo amico umano.

 

La luce del Sole si fece più intensa, a malapena il ragazzo riuscì a distinguere l’avvicinarsi di una sagoma elegante e aggraziata tanto era forte; quando si abituò nuovamente, si trovò al cospetto di un lupo bianco, come lo era il suo cucciolo, un’aura di antico veniva emanata dalla belva, Nachi si sentì intimorito, come se si trovasse al cospetto della propria Dea.

 

Goffamente, si inchinò, notando con la coda dell’occhio il batuffolo peloso che aveva salvato correre e saltare sul muso del nuovo venuto, mordicchiandogli le orecchie candide con vera felicità.

 

Il ragazzo rialzò timidamente la testa, fissando con curiosità quella strana scena, tutto il timore che provava scemò, come se non ci fosse mai stato; d’improvviso, un gruppo chiassoso di cuccioli, uguali al suo, circondò la sua pestifera compagnia in quello strano viaggio, il piccolo venne festeggiato come un eroe.

 

Quella vista riempì il cuore del ragazzo di gioia immensa.

 

Il lupo adulto si avvicinò con riverenza a lui, chinando il muso in segno di rispetto: “Sei un bravo essere umano,” la voce profonda di poco prima risuonò di nuovo nella sua mente, “hai salvato il mio piccolo, anche se non eri tenuto a farlo, lo hai riportato qui, tra il suo branco.” disse con gioia palpabile, solo in quel momento Nachi si accorse di essere circondato da una moltitudine di lupi bianchi, si confondevano così bene con il paesaggio circostante che non li aveva minimamente notati, “Ora riposa, qui sarai al sicuro da qualunque cosa.” concluse la voce.

 

Nachi annuì impercettibilmente, in effetti si sentiva davvero stanco.

 

Con una certa difficoltà, si levò le ciaspole, depositandole con cura accanto a sé, e distese la propria giacca a mò di coperta sulla neve fresca; si sdraiò, il viso rivolto al cielo, baciato e riscaldato dai raggi del Sole.

Respirò profondamente quell’aria pura e profumata, l’odore di bergamotto e incenso veniva da molto lontano, ma era perfettamente palpabile.

 

Chiedendosi da dove venisse, cadde in un sonno profondo, un sonno popolato da sogni bellissimi, ma di cui, al risveglio, non ricordava nulla.

 

Solo la sensazione di una dolcissima leccata sulla guancia e le parole della madre del cucciolotto che gli carezzavano l’animo: “Ti resterà in eterno la nostra gratitudine, e la nostra protezione. Sei e sarai per sempre un figlio dei Lupi.”.

 

Null’altro.

 

§§§

 

La porta di casa sbatté dietro a Jabu e Ichi, quando i due ragazzi, con indosso pesanti cappotti, uscirono di corsa dalla baita; si guardarono attorno, scrutando tra i rami della foresta nel tentativo di scorgere qualcosa.

 

Il sole era già alto nel cielo, un piacevole tepore riscaldava i loro corpi, ancora intorpiditi dal sonno.

 

Preoccupato, Unicorn si avvicinò al fratello: “Ma dove diavolo è andato?” borbottò, battendo nervosamente il piede, “non ne ho idea,” ammise l’albino, esaminando attentamente il terreno alla ricerca di tracce, “sono seriamente in pensiero.” continuò.

 

I due si inoltrarono tra gli alberi, tendendo l’orecchio per percepire un qualunque rumore.

 

“JABU! GUARDA!”

Il grido agitato di Ichi ruppe il silenzio che regnava nel bosco, Unicorn vide il fratello correre presso un albero, inginocchiarsi presso le sue radici e sollevare qualcosa tra le braccia.

 

Il moretto sgranò gli occhi, spaventato: il ragazzo teneva tra le braccia la giacca colorata di Nachi e le sue ciaspole.

 

In preda all’ansia, scattò via, correndo attraverso i sentieri appena accennati e quasi del tutto coperti di neve, la paura aveva preso possesso di lui: “NACHI!! MALEDIZIONE!! DOVE SEI?!?” gridò, ma non ottenne risposta, la sua voce riecheggiò attraverso la foresta inutilmente.

 

Giunto nei pressi di una radura, però, il cuore sembrò fermarsi nel petto, sentì la poco familiare sensazione delle lacrime affiorargli agli occhi.

 

Sdraiato a terra, col viso rivolto al cielo, c’era proprio suo fratello.

 

“NACHI!!” gridò, correndogli affianco, si inginocchiò accanto a lui, sollevandolo delicatamente tra le braccia, il viso del ragazzo era insanamente pallido e infreddolito, anche le sue mani erano gelide.

Jabu le prese tra le sue, cercando di riscaldarle almeno un poco, intanto cercò di fargli indossare la propria giacca sopra il maglioncino umido.

 

Ichi li raggiunse e si prodigò per aiutare l’Unicorno a rianimare il fratello maggiore.

 

Finalmente, un respiro più profondo fece capire loro che si stava riprendendo; un momento dopo, infatti, Nachi sollevò le palpebre, con grande gioia dei fratelli: “Ehi, riesci ad alzarti?” chiese il più giovane, preoccupato; al cenno di diniego del Lupo, i due lo sollevarono, facendolo poggiare sulle loro spalle.

 

Velocemente, si diressero verso casa e, mentre percorrevano a passo rapido la strada che li separava dall’abitazione, il ragazzo semisvenuto si sentì osservato.

Voltata la testa, gli parve di vedere tra la boscaglia le figure dei lupi, ritte e austere, come a volerlo salutare.

 

Nachi alzò debole un braccio e restò a fissare le loro sagome sino a quando non furono sparite del tutto alla vista.

 

Per lungo tempo, si discusse se si trattasse o meno di un sogno, ma questa storia restò a lungo sulla bocca degli abitanti della valle, diventando una fiaba meravigliosa per i bambini; subì molte variazioni, come capita spesso a tutte le favole, sino a quando non si riuscì più a distinguere la realtà dalla fantasia.

 

Eppure, da quel giorno, Nachi sentiva sempre su di sé l’affettuoso sguardo di mamma lupo e se ripensava ai cuccioli fratelli del suo piccolo amico, si sentiva come loro.

 

Libero, protetto.

 

Felice.

   
 
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