Salve!
Passo raramente da queste parti, ormai, e forse è
meglio così perché questa… roba è evidentemente il parto di una difficoltosa digestione
dei broccoli a pranzo, o qualcosa di simile. E’ altamente sperimentale e ve la
sottopongo nella speranza che qualche anima pia mi esprima un parere
spassionato da cui trarre materiale utile per lavorare su questi personaggi.
Preciso che questo massacro delle personcine
di Schulz, che potrebbe sembrare anche offensivo, è dovuto a
tutt’altro: sono una fan sfegatata dei Peanuts e li venero come poche altre cose, mi piacerebbe riuscire a
scriverci su in maniera non dico decente, ma che almeno non rasenti
l’insulto all’opera originale. Ecco perché ho pensato di
pubblicare qui e sottoporvi questa cosa.
Sono cresciuta a latte e Peanuts,
ne ho fatto la mia Bibbia e probabilmente non sarei esattamente la persona che
sono se questa strip-capolavoro non mi avesse fedelmente accompagnata negli
anni. Di certo ci sono errori madornali e sbagli di carattere, ma spero che
vorrete gentilmente farmelo notare.
A voi lo sgorbio.
Provaci ancora, Sally!
I: La francese, il trasloco e la serata del secolo
“Odio a morte le studentesse nuove.”
Eudora si volta verso l’amica con espressione
vagamente perplessa, senza capire il senso di quell’affermazione.
“Tutte, in generale?” s’informa,
incerta.
“Sì,” ringhia
Sally, torva. “E particolarmente quella.”
Eudora, ancora una volta, la guarda senza capire.
“Quella chi?”
“Marlène Dubuffet,” sibila Sally,
truce, lo sguardo omicida.
“Marlène
chi?”
Sally, stavolta, getta all’interlocutrice
un’occhiata infastidita, come rimproverandola dell’ignoranza.
Eudora, pacifica, si stringe appena nelle spalle. Da quando si è
iscritta all’istituto d’arte, che si trova dall’altra parte di
Saint Paul rispetto alla scuola di Sally, non è più così
informata su tutto quello che rientra nello strano universo della percezione della
ragazza Brown. Perciò, chi sia la sua nuova
nemica le è del tutto oscuro.
Sospetta,
però, di conoscere la ragione di quell’antipatia.
“E’ una scemetta che
si è trasferita dalla Francia.” E qui Sally imita un tono
svenevole, la pronuncia cantilenata. “E’ venuta
con la sua famiglia perché suo padre fa l’avvocato o qualcosa del
genere, non ascoltavo. Per quanto mi riguarda,
potevano restarsene in mezzo alle rane!” continua, veemente.
“E’ molto antipatica?” prosegue
generosamente Eudora, rassegnatasi ad ascoltare la sua filippica.
“Non ne ho idea!” sbraita Sally furibonda.
“Doveva rimanersene a finire la scuola superiore da un’altra
parte!”
“….Capisco,”
osserva Eudora, neutra.
Aspetta. Conosce abbastanza Sally da sapere che, una volta
partita, continuerebbe anche a parlare con una stanza vuota. Da bambina aveva
lunghe conversazioni col muro portante della scuola elementare, difatti.
“Lei e i suoi stramaledetti occhi verdi e i suoi
boccoli biondi e la sua taglia quarantadue e la sue
quarta di tette! Le ficcherei il cancellino della lavagna su per il…”
Basta così, stabilisce Eudora.
“A Linus piace, mh?”
la interrompe, comprensiva.
Sally grugnisce, avvilita.
“Le sbava sulle scarpe come un sanbernardo affamato,” brontola, inviperita.
Eudora sospira tra sé. Come volevasi dimostrare, la
ragione dell’odio verso la francese non è dovuto ad antipatie
razziali né idiosincrasie personali, ma a Linus Van Pelt,
il ragazzo immaginario di Sally: non perché Linus non esista nella vita
reale – esiste eccome, ed è anche il migliore amico del suo
fratello maggiore Charles – ma perché da quando Sally si è
invaghita di lui, all’età di tre anni presumibilmente,
l’interessato non ha mai dimostrato verso il suo corteggiamento serrato
nient’altro che schietta insofferenza.
Quattordici anni di tentativi, e quattordici anni di
buche: Eudora non ha mai capito come Sally riesca a resistere imperterrita
senza scoraggiarsi, senza arrendersi mai e senza sprofondare nella più
nera depressione. Nella sua testa si è sviluppata l’idea che, in realtà, anche Linus sia
pazzamente invaghito di lei, e che non lo ammetta per ragioni di difficile
interpretazione, che nel corso degli anni comunque Sally ha più volte
identificato e modificato.
-
Ragione
numero uno: Linus – un vero temerario, noto ai più per aver
trascorso tutta l’infanzia avvinghiato a una coperta protettiva –
ha evidentemente paura della forza dei sentimenti che prova nei suoi confronti
e di quanto essi possano sconvolgere il suo precario
equilibrio e le sue empiriche, teologiche e filosofiche certezze.
-
Ragione
numero due: Linus, generoso e fedele sodale, non vuole turbare la
serenità del sempre afflitto Charlie Brown, il
suddetto migliore amico e di lei fratello, ed aspetta perciò
pazientemente e appassionatamente che Sally sia maggiorenne per chiederle di
sposarlo.
-
Ragione
numero tre (formulata guardando Linus corteggiare un’australiana in
vacanza): sapendo di essere troppo giovane per un rapporto duraturo, Linus
preferisce dedicarsi ad avventure adolescenziali prive d’importanza prima
di consacrarsi al loro grande amore.
-
Ragione
numero quattro (formulata guardando Linus baciare con entusiasmo
l’australiana in vacanza): Linus è un maledetto traditore.
Questa non è una ragione, si potrebbe obiettare.
Forse no, ma in quel momento è stata l’unica cosa che a Sally sia
venuto in mente di dire.
D’altra parte, episodi analoghi si sono ripetuti con
costanza nel corso degli anni. Già piccolissimo, Linus mostrava tre
peculiari qualità che fungono da pilastri della sua personalità:
un atavico smarrimento nei confronti del mondo che lo circonda, uno spirito di
erudito appassionato e una galanteria innata verso qualunque essere umano di
sesso femminile – ad eccezione, con suo infinito scorno, di Sally Brown.
Eudora, perciò, conosce bene le lamentele della sua
amica nei confronti di questa o quella ragazzina.
“E questa Marlène,
ehm, sembra, sai… Lo asseconda?” s’informa, titubante.
Sally scalcia contro lo steccato del campo da baseball.
“Vanno al cinema insieme stasera,”
annuncia, sepolcrale.
“Oh.”
“Già.”
Le due ragazze rimangono in silenzio, guardando Charlie Brown che taglia il prato con dedizione. Il ragazzo,
appassionato giocatore di baseball, si guadagna qualche soldo occupandosi di
tenere a posto la superficie di gioco e gli spogliatoi.
Vedendo sua sorella con l’amica d’infanzia
sventola la mano nella loro direzione in un cenno di saluto ma, entrambe troppo
prese dal delicato problema, le due studentesse non lo considerano.
Lui sospira tra sé, riprendendo ad avanzare.
“L’invisibile Charlie Brown,” esala tristemente, coperto dal borbottio del
motore.
“E’ buffo che tu sia tornato da Minneapolis
proprio oggi, Schroeder.”
“Non così tanto, Linus, se consideri che da
oggi il conservatorio ci lascia una settimana di
vacanza per la fine del semestre.”
Il primo emette un riso leggero, rarefatto, del tutto
ignorato dal pianista che, appollaiato sulla sua scrivania, sfoglia uno
spartito con fare grave.
“Voglio dire, proprio oggi che esco con Marlène,” si corregge
Linus, sistemandosi il colletto della camicia con un’occhiata distratta
allo specchio. Schroeder, che ha sollevato lo sguardo e colto
quel piccolo vezzo di narcisismo, assai raro per l’intellettuale e
metafisico Linus, lo imita.
“Sai, dovresti ricominciare a fare sport,” commenta noncurante, trattenendo lo sguardo dalle
parti del suo punto vita.
Linus sgrana gli occhi vivaci, indignato.
“Ehi!” esclama, poggiando le mani sul ventre
leggermente pingue. “Io ho uno stomaco importante!”
Schroeder sbuffa piano, rituffando lo sguardo nel
pentagramma.
“Questa la usavi già dieci anni
fa…” mormora, muovendo le dita della mano sinistra su
un’immaginaria tastiera.
Linus lo scruta di sfuggita, prima di tornare ad
osservarsi la pancia pensosamente.
“Invidus alterius macrescit
rebus opimis. L'invidioso diventa magro alla vista
dell’opulenza altrui,” sentenzia, ispirato.
“Orazio, Epistulae I, II, LVII,”
precisa, con uno vago sorriso rassicurato.
“Invidioso di che?” lo contesta Schroeder, che
prende sempre sul serio quasi tutto. “Non l’ho nemmeno mai vista, la francese.”
Linus si abbandona ad uno dei soliti sorrisi-Linus
o, come li chiama Lucy, “i ghigni del demente”, con lo sguardo
sognante da dolce stil
novo e un’espressione che promette un’overdose di smancerie.
“Dovresti assolutamente! Nemmeno la Beatrice di Dante doveva
avere capelli d’un biondo tanto luminoso e un sorriso del genere,” afferma beato. “E’ talmente fine, e
così delicata…”
“Se volevi una bionda potevi uscire con Sally,” commenta Schroeder senza sembrare minimamente
impressionato, ormai immerso nella sua sinfonia.
“Dov’eri quando ho detto fine?” gli chiede l’amico con quello che sembra sincero
interesse, forse derisorio. Comunque sia Schroeder, nel suo autismo musicale,
non coglie e fa spallucce.
“Non sarà fine, magari, ma è pazza di
te, no?”
Linus si anima, ilare.
“Ha! Senti chi parla! Haha!
E’ assurdo che proprio tu venga a dire questo a me. Ma ti sei sentito? Non sarà fine ma è pazza di te,
non è proprio la stessa cos…?”
“No, perché tua sorella è un cerbero,” s’inalbera immediatamente Schroeder con nuova
veemenza, cogliendo il punto.
Linus si zittisce, né mai gli
verrebbe in mente di contraddire una simile affermazione: sua sorella maggiore
Lucy, fervente e non desiderata spasimante di Schroeder, lo angaria senza
tregua dal giorno in cui è venuto al mondo, con la sfortuna ineludibile
di essere il suo fratellino.
“…Già.” Sospira piano, scuote le
spalle. “Comunque, Sally non ha più cinque anni e non ha
più quella cotta per me. E’ un gioco che fa,
tutto qui.”
Schroeder è quasi impossibile da distogliere dalla
sua musica quand’è concentrato: a volte, nemmeno un urlo di Lucy
nelle orecchie riesce a scalfire l’immensità del suo
estraniamento. Ma quest’affermazione è così folle da
riuscire nell’impresa di distogliere la sua attenzione e fargli portare
nuovamente lo sguardo sull’amico.
“…Certo,”
commenta, sintetico.
Sally osserva in silenzio il luminoso cielo serale, la
cappa nera notturna punteggiata di stelle fioche, la cui luce è
indebolita da quella artificiale della città.
Sono le undici passate, Charlie forse è già
a letto, o guarda un vecchio film alla televisione in camera, Snoopy sonnecchia
sul tetto della sua cuccia, la notte è calma e solo qualche voce
leggera, in lontananza, la attraversa senza disturbare.
Sally non sa perché stia lì seduta sui gradini
davanti a casa ad osservare la strada. O meglio, lo sa, ma non sa per quale
ragione infliggersi questo nuovo dolore: per la verità, nemmeno se
l’è chiesto finora. E’ soltanto vedendo la sagoma
inconfondibile comparire dal fondo della via - l’andatura calma e un
po’ ciondolante, il passo tranquillo, le mani nelle tasche della giacca
leggera – che si domanda perché mai debba essere così tanto
masochista: c’è un limite anche all’autolesionismo
più consolidato.
Avvicina un po’ il viso al libro che ha abbandonato
sulle ginocchia, mostrandosi concentrata nella lettura della pagina debolmente
rischiarata dalla luce che filtra dalla finestra di casa, apparentemente ignara
del figlio mezzano dei Van Pelt che rientra dal suo
appuntamento con la nuova fiamma. Il fatto che non sia rientrato molto tardi,
lei lo sa benissimo, non significa che la serata sia andata male: a differenza
di quasi tutti gli altri diciottenni che conosce, Linus non è uno che
spinga per arrivare subito al dunque. Anzi, gli piace corteggiare le ragazze
come principesse, senza fretta, fa parte delle stranezze del suo originale ed
eccentrico carattere. E a Sally viene un po’ da piangere e da ridere
perché le torna in mente il bambino lunare e sognatore che trascorreva
la notte di Halloween nell’orto, aspettando l’arrivo del Grande
Cocomero immerso in sue personali farneticazioni.
Qualche volta Sally l’ha seguito in quelle
spedizioni campestri – dopotutto, o nonostante tutto, sono amici da
quando sono nati - prendendolo in giro per quelle sue piccole pazzie. Linus non
se la prende mai per le battute su di lui, ma ha sempre qualche cosa di
inconsueto e interessante da raccontare, perché è quello che lei
chiamerebbe un intellettuale.
Ed ora eccolo lì, lo sente rallentare il passo
mentre arriva davanti al cancelletto e la vede lì seduta, tutta sola, a
quell’ora di sera.
“Sally?”
Lei solleva lo sguardo e non risponde, l’espressione
che spera essere serena, assorta.
“Riesci davvero a leggere con così poca luce?
Sai, fa male agli occhi.”
“Io… Non ci avevo fatto caso.” Sally si
sistema la gonna sulle ginocchia, accenna malamente un sorriso – per
fortuna c’è buio, e lui non può vederla bene: sarebbe
seccato dal fatto che sia gelosa, da quell’attaccamento asfissiante, non
voluto.
“Dev’essere un bel
libro, allora,” continua gentilmente lui,
appoggiandosi al muretto.
Sally ha un secondo di esitazione, perché al
momento, con Linus lì davanti, la mano che regge la testa e lo sguardo
incuriosito, nemmeno si ricorda il titolo dell’opera, anzi non sa nemmeno
più cosa sia un libro.
“E’… Poe.”
“Oh.” E il sorriso di Linus gli si schiude
sulle labbra. “Immagino sia il tuo genere.”
Sally aggrotta la fronte, senza sapere come interpretare
quella considerazione.
“In che senso?” chiede, sulla difensiva.
Linus sembra quasi sul punto di ritrarsi – ha
un’avversione istintiva per le frasi e i modi di fare bruschi, rabbiosi o
malevoli, traumatizzato com’è da Lucy – ma poi scrolla le
spalle.
“E’ fantasioso e un po’ contorto,” conclude, mansueto.
Lei sbuffa piano.
“Non sono così pazza da non notare che mi
viene dato della pazza,” osserva. Poi cerca di
contenersi, di dominare la rabbia che gli rode lo stomaco da ore e che certo
non è dovuta a Edgar Allan Poe, ma a Linus che
non la ama. Deglutisce la stizza e la delusione, prende un respiro lungo, poi
un altro, gli fa cenno di avvicinarsi.
“Come… va?” domanda, intanto che lui,
aggirato il cancello, le si avvicina. “Passato una buona serata?”
continua vaga, come se non sapesse del suo appuntamento.
“Mh,”
Linus prende tempo, osserva meditabondo le stelle e poi si accoccola a sua
volta sul gradino. “Sì, una buona serata. Sono
andato al cinema.”
“… Con… Marlène,
vero?” prosegue Sally, sforzandosi tanto disperatamente di usare un tono
di voce brioso e noncurante che apparentemente funziona.
“Già. L’ho appena
accompagnata a casa.”
Per qualche secondo restano in silenzio, Sally con la gola
troppo chiusa per parlare senza che le si spezzi la voce, Linus rapito
dall’osservazione degli astri. Lui e Charlie Brown
hanno da sempre una specie di rituale, condiviso talvolta con Lucy: stare a
guardare il cielo notturno e lanciarsi domande, sempre più lontane.
Domande sulla vita, sul posto nel mondo, su se stessi: quelle domande che solo
due paranoici come loro possono scambiarsi per ore.
“Lei… E’ molto carina,”
aggiunge poi Sally, affettando entusiasmo.
“Sì,” conferma
meccanicamente Linus, poi sorride di nuovo ampiamente. “Sì,
davvero molto carina,” precisa, con la sua
cortesia d’altri tempi.
“E sembra simpatica,”
insiste Sally, falsamente. Al confronto una
zanzara assassina, in effetti, Marlène ha
l’aria piacevole.
“Certo,” replica
Linus annuendo. “…C’è una tribù di nativi
dell’Africa che pensa che di notte il cielo venga oscurato foderandolo
con una coperta, che è stata tirata e usata talmente tanto che ormai
è piena di buchi: e da lì filtrerebbe la luce a puntini,
quelli che chiamiamo stelle.”
Sally sgrana gli occhi, spiazzata da quel brusco cambio
d’argomento.
“Perché me lo dici?”
Linus si volta a guardarla come se la cosa fosse
assolutamente ovvia.
“La coperta coi buchi! La coperta,
Sally!” esclama vittorioso. “Non sono l’unico a
riconoscerne l’importanza!”
Lei trattiene a stento una risata che diventa una sorta di
gorgoglio, guardandolo allibita.
“Tu ce li hai nel cervello, i buchi,” sospira, rassegnata.
Linus scuote appena il capo, con fare molto paziente. Lei
gli rifila uno spintone da stenderlo quasi tirato, e lui ride sottovoce.
“Vado a dormire,”
annuncia poi, alzandosi. “A domani, Sally.”
“A domani, sci… Linus.”
Lo guarda andar via con gli occhi fissi, un sorriso
malinconico a metà sulle labbra.
Forse è davvero troppo sciocca
ed egoista, troppo attaccata a uno stupido desiderio infantile e romantico che
non le permette di apprezzare ciò che ha.
Linus le vuole bene. Per davvero, senza manierismi e con
l’autenticità che mette in tutte le cose, Linus tiene a lei.
È la sorellina del suo migliore amico e sono cresciuti insieme, hanno
condiviso tante cose. E forse con nessun’altra ragazza si sarebbe seduto
e avrebbe cominciato a parlare di coperte nel cielo e tribù africane,
con tutta quell’intimità diretta e quei sottintesi vecchi di una
vita. Probabilmente dovrebbe essere felice di questo, del fatto di essere una
persona che ha un posto speciale nel cuore del ragazzo più straordinario
che conosca, anziché rovinarsi le giornate pensando all’altro posto che vorrebbe lui le
riservasse, e che non avrà.
E a quel pensiero consolante e dolorosissimo insieme le si
offuscano gli occhi di lacrime e lo sguardo le si appanna, mentre trattiene i
singhiozzi; tanto che nemmeno si accorge di Snoopy che le zampetta accanto,
finché la punta del muso e il naso umido del bracchetto le sfiorano la
guancia in un bacio.
“S-Snoopy, vai a dormire,” mormora, asciugandosi gli occhi. “Non
sprecare tempo, cane.”
Lui le spinge contro la zampa. I baci sono gratis, dolcezza, annunciano con magnificente allegria
i suoi occhi canini.
Poi, evidentemente ritenendo di aver fatto il suo dovere,
Snoopy si allontana e trotterella di nuovo verso la cuccia, per tornare a
dormire. Sally sorride, rincuorata da quel semplice contatto e sentendosi
piuttosto patetica.
Sbuffa, scuotendo la testa con finta riprovazione.
“Quel cane è proprio un dritto,” commenta rivolta a nessuno in particolare,
alzandosi per tornare in casa.
Chiamami Joe Cool, bambola, sorride Snoopy nell’oscurità, mentre lei si
chiude la porta alle spalle.
Charlie Brown odia fare il terzo
incomodo. Tralasciando il fatto che si sente incomodo, in qualche modo, da
quand’è nato, detesta particolarmente dover stare seduto in
autobus, tornando dall’high school, con Linus accanto e la sua amichetta francese
seduta alla meglio in mezzo ai loro due sedili.
Mentre Marlène fornisce
al suo spasimante la preziosissima informazione che ha trascorso il pomeriggio
precedente a fare i saldi, ma che purtroppo Blueberry’s
non aveva più gli stivaletti pelosi che le piacciono – Linus,
cavallerescamente, annuisce con aria cortese, ma Charlie Brown
sa che nella sua testa sta pensando a Ezechiele, al Leviatano, forse a Seneca ma
sicuramente non ai saldi – …insomma è proprio ora che Charlie
Brown si rende conto di non poterla sopportare a
lungo: sono passati otto giorni da quando Linus l’ha portata al cinema e
poi ha cominciato ad uscire un po’ con lei, ma Charlie Brown non la regge già più.
Per la verità, tre giorni fa, mentre Marlène blaterava qualcosa su una certa, biblica Ruthie - forse
parente di Ruth, si potrebbe supporre - anche Linus ha borbottato qualcosa come
“non lo sopporto”. Quindi, forse, c’è speranza.
In ogni caso, Marlène non
è tollerabile.
È quello che dice appena libero anche a Schroeder,
accompagnandolo a prendere il suo treno per Minneapolis di ritorno in
conservatorio.
“Te la ricordi Tapioca?” gli chiede grave il
pianista, trascinandosi dietro la valigia in direzione del binario.
“Chi?” chiede Charlie Brown,
perplesso.
“Tapioca… qualcosa, non te la ricordi?”
insiste Schroeder senza fare una piega.
Charlie Brown sbatte gli occhi, stoico.
“Continua a succedermi, sai. Pensavo che sarebbe cambiato
crescendo, ma no… Non capisco mai di cosa mi parlano le persone,” osserva, abbandonando le braccia lungo i fianchi.
Schroeder non sembra far caso a quell’affermazione,
segue il filo dei propri pensieri rallentando sul predellino.
“Quella bambina che è
rimasta a scuola da noi per un po’ durante le elementari, e sosteneva che
avrebbe guadagnato un milione stampando la sua faccia sulle magliette. Carina, bionda, con la testa
così vuota da far risuonare l’EЪ," illustra, e Charlie Brown aggrotta la fronte.
“Mh…”
Ha l’impressione di aver già sentito
Schroeder parlare di quella cosa che ha appena detto, ma preferisce non
chiedere di rinfrescargli la memoria: di sicuro c’entra Beethoven e il
suo amico gli riproverebbe di aver scordato una cosa tanto importante.
Invece, nella sua mente si disegna improvvisa
l’immagine della bambina: Tapioca Vattelapesca, chissà come si chiamava, una noiosa
creatura bellina e biondissima che voleva diventare famosa e non diceva altro.
Linus l’aveva invitata al cinema con lui e a
mangiare gelati, per qualche tempo, finché non s’era dovuto
arrendere alla noia.
“Accipicchia, sì che me la ricordo!”
esclama Charlie Brown, scuotendo piano la testa.
“…E con questo?”
“Gli umanisti non fanno che
parlare della bellezza. Già da bambino, Linus correva dietro a bambine graziosamente
tonte, per lo più. Facci caso.”
Il treno di Schroeder arriva sferragliando, con una
rumorosa e stridente frenata.
“E quindi?” continua Charlie Brown, mentre le porte si aprono sbatacchiando.
“Niente. Dopo un po’ la mancanza di
attività cerebrale lo stuferà,”
conclude Schroeder issando a bordo il bagaglio, placido. “Buona fortuna,
Charles.”
“… Grazie per l’aiuto,”
mormora l’altro, rassegnato.
Il treno parte dopo qualche altro istante e un ultimo
saluto, e Charlie Brown resta lì fermo finché non lo vede sparire completamente. Poi
si dirige verso casa sospirando, consapevole di quel che troverà appena
entrato: una sorella minore e un cane inchiodati
davanti al televisore a ingozzarsi di biscotti al cioccolato, l’uno per
pura golosità, l’altra per rimediare alle presunte carenze affettive.
E’ precisamente lo spettacolo che lo accoglie appena
varcata la soglia, con precisione deprimente.
“Pomeriggio intenso, vedo,”
commenta bonario.
“Mai quanto il tuo, fratello. Pensi di andare a
tagliare l’erba subito o tra una mezz’ora?”
Snoopy gorgoglia d’ilarità mentre Sally,
abbruttita, continua a fissare lo schermo senza fare una piega, dopo aver
parlato.
“Mi pagano con veri dollari, per quello,” si difende Charlie Brown,
subito sentendosi svilito.
“Che non ti servono a niente, dato che passi il
tempo a falciare un prato.”
Charlie Brown sospira tra
sé e abbandona il capo in avanti, battendo in ritirata.
Chiunque abbia un grattacapo, prima o poi finisce per
sfogarlo su di lui. È con questa rara certezza che si dirige verso il
villino dei Van Pelt, giusto in tempo per imbattersi
in Lucy che ne esce.
“Non, ora, Charlie Brown!”
sbraita immediatamente lei, una faccia appesa da record mondiale. “Sto
per strangolare quello stupido coso!”
“…Linus?” azzarda lui.
Lucy stringe le labbra con una smorfia di furia,
picchiando un piede in terra. I lunghi capelli neri le sbatacchiano sulla
schiena e la gonna si solleva un po’ sulle gambe.
“E’ insopportabile. Se ne sta
lì a parlare del linguaggio floreale come un perfetto idiota, e sorride tutto il tempo!” continua
Lucy indignata, come se l’allegria del fratello fosse per lei
un’intollerabile ingiuria, un torto personale nei suoi confronti.
“…Linguaggio floreale?” ripete Charlie Brown, basito.
Lucy arriccia il naso.
“Sì, quelle scemenze su cosa vuol dire una
rosa gialla o un ciclamino blu. Baggianate,”
sentenzia, ostile per principio a tutto quel che interessa il fratello.
“Vuole comprare dei fiori a quella povera ingenua che esce con lui. Qualcuno dovrebbe metterla in guardia.”
O mettere in guardia
lui, considera
Charlie Brown ripensando alla francese.
“Beh…”
“Non mostrare troppo carattere tutto insieme,
Charlie Brown,” fa
Lucy, laconica. “Accompagnami piuttosto a mangiare un gelato, prima che
il fastidio mi divori.”
Il ragazzo si stringe nelle spalle e la segue, accondiscendente.
“Allora stai preparando l’esame di ammissione
in università, Lucy?”
“Ovviamente. Non posso essere solo
meravigliosamente io, devo anche avere un titolo di studio,”
risponde lei, sbrigativo.
“…Immagino sia seccante,”
considera lui, senza sbilanciarsi.
“Suppongo possa essere divertente, al campus. E se
non altro non dovrò più sopportare Linus,”
ne conclude lei, stringendosi nelle spalle.
“A proposito, sai… Non è
granché, quella sua ragazza,” attacca
Charlie Brown, cauto.
“Ovvio. Non è me.”
Lui sospira e scuote piano la testa, aprendole la porta
della gelateria.
“Ciao, Sally! Ciccio è qui
in casa?”
“Ciao, Patty. No, mio fratello è uscito un
paio d’ore fa, non so dove andasse.”
Patricia, i capelli perfettamente scompigliati dal vento,
storce un po’ il nasetto a patata e lascia che il suo volto espressivo si
tinga di vaga delusione.
“Capisco. Avevo bisogno di qualcuno che mi aiutasse
per il trasloco.”
“Oh, giusto!” esclama Sally, illuminandosi di
nuova attenzione. “La tua nuova casa! Stai trasferendo
tutte le tue cose?”
Patty annuisce allegramente, soddisfatta.
“Papà all’inizio era un po’
triste, ma ora è orgoglioso che vada a stare per conto mio. Purtroppo
oggi pomeriggio non mi può aiutare e io volevo iniziare a spostare
qualche scatolone prima di cena… Marcie non
solleva più di tre chili e perciò pensavo che Ciccio…”
Sally si punta un dito sul mento, scettica.
“Non credo che mio fratello sia proprio un forzuto,” osserva realista.
“Immagino di no, ma… Peggio di Marcie?” replica Patty, sgranando gli occhi. Poi
sorride soddisfatta, battendo una volta le mani. “Ecco chi! Linus
starà sicuramente studiando a casa sua, no? Forse lui potrebbe aiutarmi,
è sempre così gentile!”
Sally annuisce con approvazione, poi tentenna con
disappunto e s’irrigidisce di gelosia. Linus è davvero gentile, lo
sanno tutti quanti. Se una ragazza qualunque gli
chiede di ballare sui palmi delle mani per consolarla di una cosa qualsiasi, le
probabilità che lui lo faccia – o perlomeno che ci provi,
considerate le sue scarse attitudini allo sport - sono davvero alte.
“Se vuoi ti accompagno a chiederglielo,” propone, incerta.
“Ehi, certo!” accetta Patty con entusiasmo.
“Penso che potresti venire anche tu, no? Così
vedrai casa mia in anteprima!”
Sally annuisce senza sbilanciarsi, prima di afferrare la
giacca dietro la porta e ficca le scarpe alla veloce, senza perdere altro tempo
prima di uscire.
Quando ha iniziato a somigliare a una donna, e il suo
profilo si è snellito e incurvato, Sally ha pensato che forse Linus se
ne sarebbe accorto e per qualche tempo ha fatto del suo meglio per rendersi
attraente con un aspetto curato, belle pettinature, abiti impeccabili. Ma poi
si è accorta che, comunque gli si fosse presentata davanti, vestita da
bagnina o indossando lo scafandro, lui avrebbe visto soltanto la solita Sally:
ha smesso di preoccuparsi di quelle piccolezze estetiche e difficilmente fa
cose come pettinarsi e lavarsi la faccia prima di incontrarlo.
Tanto, lui non noterebbe la differenza. Certo, forse
perché lei gli piace così com’è, come tenta di
convincersi da anni, o più probabilmente perché non bada a lei in
quanto femmina.
Nel giardino dei Van Pelt
c’è Rerun che salta la corda, con
impegno estremo. Promettente lanciatore dei giovanissimi, il ragazzino passa la
maggior parte del suo tempo a modellarsi un fisico da atleta, con la stessa
costanza e dedizione che il fratello maggiore dedica alla teologia e alle
lettere.
“Ciao Sally! Patty!”
esclama, a ritmo con i salti.
“Ciao. C’è tuo
fratello?”
Lui sbuffa forte per liberare i polmoni dall’aria,
scuotendo le spalle.
“Credo stia studiando,”
scandisce, il fiato mozzo, “Ma non so se sarà contento che vada a
tentare di conquistarlo, Sally.”
“Non è per questo!” ribatte lei,
incamminandosi verso la veranda.
“Dovresti trovartene un altro, Sally,” commenta Patty pragmatica. “Marcie, per esempio, si prende una cotta diversa a
settimana.”
“Finitela, insomma!”
esclama lei, stizzita, mentre la porta di casa si apre.
“…Stavo per dirlo io,”
concorda Linus pacato.
“oh…ah…Ciao.”
“Ehilà, Linus!” interviene Patty
gioviale. “Ciao, come ti va?”
“Ciao, Patricia. Non mi aspettavo che passassi,
posso offrirti qualcosa?”
“Beh, ecco, capita a fagiolo. Sally, parla tu col tuo ragazzo,” continua Patty, rifilandole una gomitata che la fa
sussultare.
“Non sono il suo ragazzo.”
“Non è il mio ragazzo.”
“…Oh. Ah?” borbotta
Patty, strafulminata. “Aspetta, vuol
dire che voi due non siete innamorati?”
“No!”
“…No.”
“Le vostre non sono scaramucce da innamorati?”
continua Patty senza demordere, sempre più incredula e strafregandosene di essere inopportuna.
“NO.”
“…No.”
Patty sbatte gli occhi, esterrefatta.
“Sapevo che tutti quei due dovevano voler dire che
sono lenta, ma non pensavo a una cosa del genere,”
commenta, basita.
Linus si gratta la guancia, impassibile.
“Cosa posso fare per te, Patty?” ribadisce,
vagamente meno cordiale.
“Lei sta traslocando e avrebbe bisogno di aiuto, con
le scatole,” interviene Sally, cercando di por
fine a quell’imbarazzante momento prima possibile. Linus, evidentemente
della sua stessa idea, annuisce con sollievo.
“Mi metto la giacca,”
afferma, acconsentendo di buon grado a prestare collaborazione. “Se
volete accomodarvi…”
“Io guarderò tuo fratello che si allena,” si schermisce Patty, mani in tasca. “Ehi, Rerun, ti va di fare due lanci sul retro?” aggiunge,
alzando la voce mentre Linus, interdetto, sparisce in casa.
“Beh…” Il ragazzino rallenta il ritmo
dei suoi saltelli, palesemente tentato dall’idea. Patty è una
femmina, ma gioca come un uomo.
“Guarda che andiamo via subito,”
osserva Sally. “Linus ci metterà un istante.”
“Oh,” commenta
l’altra, appena un po’ delusa. “Sai,”
prosegue a voce bassa, “a volte mi riesce difficile credere che Linus sia
davvero il fratello di Lucille. Lei
è così….”
“E’ per questo che lui ed io siamo così
buoni,” interviene Rerun,
con un precoce sogghigno accattivante. “Per contrasto.”
“Possiamo andare,”
esclama Linus, ricomparendo sulla soglia con le scarpe ai piedi, un cappotto
leggero e un’aria solerte. “Ho solo un paio d’ore, ho
appuntamento a cena con un’amica,”
precisa, gettando un rapido sguardo all’orologio da polso.
L’amica, Sally lo sa, è Marlène.
Stringe la mascella, inghiottendo il fastidio.
“Grazie per l’aiuto, Snoopy,”
osserva Charlie Brown, asciutto. “Potevi almeno
far caso a dove sarebbe andata, quand’è uscita.”
Il bracchetto si volta ad osservare la strada con aria
innocente e assolutamente vaga, come se quel rimprovero non fosse affatto
rivolto a lui. Charlie leva lo sguardo al cielo, rassegnato, prima di fare
marcia indietro e tornare in casa.
Lo sa, pensa tristemente, lui sa dov’è sua
sorella, o almeno sa sicuramente con chi, sa perché e sa che
probabilmente lui è un po’ seccato. Si dirige al telefono, afferra
la cornetta e compone il numero a memoria.
“Pronto?”
“Ciao, sono… di nuovo io,”
afferma, sbuffando.
“Charlie Brown! Sentivi già la mia mancanza dopo soli
cinque minuti?” lo schernisce Lucy.
“MMh… Senti,
è lì mia sorella?”
“Sally? No,
non che io sappia, a meno che sia nasc… Come?”
E una seconda voce risuona al di là della cornetta, ma
Charlie non riesce bene a sentirla. “Oh.
Ah sì? D’accordo. Beh, sparisci.”
“D’accordo cosa?”
“Ecco, Charlie Brown, Rerun dice che è arrivata qui
più di un’ora fa con Piperita Patty per prelevare Linus e andare a
fare un trasloco.”
Charlie spalanca gli occhi, allibito.
“Un trasl…? Ah, la casa nuova di Patty!” esclama, comprendendo.
“Grazie, Lucy, credo di aver scritto l’indirizzo da qualche parte,
casomai dovesse tardare troppo.”
“Non
c’è il caso che ti preoccupi, Charlie Brown.
Se Sally dovesse correre qualche pericolo, il mio pavido e inutile fratello se
la darà a gambe per nascondersi sotto un copriletto.”
“…Grazie per il conforto, Lucy. A domani.”
“Buona serata,
Charlie Brown.”
Il ragazzo mette giù la cornetta con un sospiro,
domandandosi se forse non sia il caso di mettersi a studiare, oppure
raggiungere Franklin che sicuramente sta ciondolando fuori dalla biblioteca
insieme a qualche altro amico. Nell’incertezza, finisce per restare a
vegetare davanti alla tivù finché non si accorge che è
quasi l’ora di cena: i suoi rincaseranno a momenti e Sally non ha ancora
dato sue notizie, così decide che di raggiungerla a casa di Patty.
Probabilmente è rimasta lì a scambiare confidenze femminili
– sebbene sia molto difficile immaginare Patty in una simile circostanza,
e nemmeno Sally è un fulgido esempio di fanciulla delicata – e
certo, sebbene Charlie Brown si renda conto che in
questo caso la sua presenza sarebbe fuori luogo, non basta così poco a
scoraggiarlo: è da quando è nato, grossomodo, che si sente fuori
luogo.
Ritrovare il biglietto su cui aveva annotato il futuro
indirizzo di Patty – che gliel’ha ripetuto almeno nove volte nella
stessa telefonata – gli porta via altri dieci minuti buoni; poi
scribacchia un incomprensibile biglietto per i genitori, annunciando che lui e
Sally rientreranno dopo cena, e porta a Snoopy l’immancabile, sontuoso
banchetto delle sei. Infine s’incammina di lena, sperando che la via che
lui pensa essere quella annotata sul biglietto effettivamente la sia.
Ovviamente, no.
Ovviamente, Charlie Brown lo
realizza soltanto una volta arrivato sul posto.
Ovviamente, la via che lui stava cercando si trova
tragicamente da tutt’altra parte rispetto a quella in cui è andato
a finire. Quello spiacevole qui pro quo si traduce in più di
un’ora e mezza di marcia attraverso la città – niente
autobus, perché è sicuro ormai che sbaglierebbe
ancora. Un’ora e mezza scandita dal fosco pensiero di essere
assolutamente inetto alla vita, come sottolineato da quest’ennesimo,
piccolo ed eloquente contrattempo. Perciò, una volta arrivato a casa di
Patty Charlie Brown è stanco, depresso e
nauseato.
“Ciccio!” lo accoglie con entusiasmo
l’amica. “E’ fantastico che tu sia qui, stavamo per passare
al dolce!”
Il ragazzo, affamato come un lupo, sospira rassegnato e
scuote le spalle. Poteva andar peggio, in fondo: poteva non esser rimasto
nemmeno un tozzo di pane.
“Ciao, Patty. Mia sorella
è qui?” domanda, seguendola – o meglio facendosi strattonare
verso l’interno di casa.
“Questo è
l’ingresso, vedi? E’ ancora tutto da arredare ma mi piace molto. Ti piace? Di
là c’è la mia camera da letto, dopo la mostro anche a te,
Ciccio, e qui in salone c’è tua sorella, sì, e
c’è anche Linus,” illustra
freneticamente l’amica, spintonandolo in un bel salotto luminoso, sebbene
ancora spoglio, in cui troneggiano soltanto una poltroncina, un divano su cui
sono accampati gli altri due ospiti e una sedia a dondolo.
“E’… Molto carino, Patty,” commenta Charlie Brown
educatamente. “Ciao, gente.”
Patty sorride largamente, soddisfatta, mentre lui getta a
Linus un’occhiata sorpresa e un po’ interrogativa, distendendo un
po’ la fronte. Ma non dovevi uscire
a cena con Marlène, tu?, domandano i suoi occhi.
Linus fa spallucce con noncuranza, piegando appena il capo
di lato.
Non ne avevo voglia e
ho finto un impegno,
legge Charlie Brown nel suo sguardo candido.
Potrebbe benissimo esserci scritta qualunque altra cosa,
comunque: Charlie sa di non essere mai stato un mago dell’intuizione.
Si siede in poltrona con una scrollata di capo, intanto
che il suo migliore amico riempie il bicchiere di Sally di limonata.
“Ciao, fratello. Ho telefonato a casa per dire che
non tornavo a cena, e papà mi ha detto che aveva già decifrato il
tuo biglietto e che credeva non ci fossi nemmeno tu. Gli ho detto che
sicuramente mi stavi raggiungendo,” annuncia
lei, ringraziando l’amico con un cenno della mano.
Charlie Brown aggrotta la fronte
cercando di prestare attenzione.
“Hai fatto bene, Sally,”
risponde placido, ma il suo sguardo si posa sul ginocchio destro di Linus,
abbandonato con noncuranza proprio contro quello di Sally. Certo, non è
affatto strano dal momento che quei due sono amici da una vita, ma lo stesso un
brivido di panico lo attraversa, mentre la sua mente ben allenata al pessimismo
si avvia freneticamente. Nell’aria c’è un presagio di
sventura imminente.
Che sta combinando
quell’impiastro?, sbotta nella sua mente la voce di
Lucy, inacidita come ogni volta che parla del fratello. Proprio a me doveva capitare un tale demente?
“Hai già cenato,
Charlie Brown?” domanda in quel momento Linus,
evidentemente lontanissimo dalla sua preoccupazione. “Credo sia avanzato
un hamburger,” aggiunge, voltando il capo verso
Patty proprio mentre lei rientra dalla cucina con un vassoio di paste dolci.
“Sicuro, Ciccio!” conferma lei, l’aria
della perfetta padrona di casa che stona con la sua esuberanza. “Vuoi mangiare, mh?”
“Beh, se non vi scoccia aspettarmi per il
dolce…” borbotta lui, incerto.
“Non è necessario che ti aspettiamo, fratello,” osserva Sally, bevendo un sorso. Linus leva gli
occhi al cielo mentre Patty ridacchia dalla cucina.
“Sally!” esclama ilare.
“Tua sorella
è una sagoma, Ciccio!” prosegue, evidentemente convinta che si
trattasse di una celia.
“Già,” mormora
lui, vagamente avvilito.
Il rientro a casa ha luogo con l’autobus, dopo che
Patty li ha costretti ad assaggiare l’acquavite digestiva che le ha
regalato suo papà, e che alla loro età non dovrebbero
assolutamente bere. Ne sorseggiano appena un bicchierino, ma è
sufficiente a far sì che Sally s’incammini verso la fermata nella
direzione sbagliata, ridacchiando come un’ebete, e che Linus per tentare
di fermarla si scaraventi al suo seguito, inciampi nel
marciapiedi e travolga Charlie Brown. Il giovane Van Pelt riesce quindi a mantenere l’equilibrio, ma non
l’amico che rovina a terra.
Dopo due secondi stanno tutti e tre ridendo, e Sally pensa
che questa è davvero una serata speciale,
probabilmente la miglior serata del secolo, e l’ha capito quando Linus ha
chiesto a Patty di poter usare il telefono per chiamare Marlène
e annullare la loro cena. Lei ne è stata molto sorpresa e per un istante
le hanno tremato le gambe; Linus poi ha spiegato che sarebbe stato sgarbato
andarsene così, dato che Patty stava già cucinando la cena, ma
quando le si è seduto di fianco Sally è partita per la tangente.
Si appallottolano tutti e tre sui sedili al fondo del bus,
e intanto che viaggiano Linus prende a spiegare, la voce stanca e un po’
strascicata, che le Black Panthers in fondo hanno combattuto anche perché tre
nordamericani come loro si andassero a sedere lì in fondo
all’autobus. Charlie Brown gli suggerisce di
parlarne con Franklin, poi per poco non perdono la loro fermata.
“Ci vediamo domani,
Linus,” esclama Sally quando arrivano davanti a casa Brown.
Lui sorride annuendo, le fa un cenno con la mano.
“Dormi bene, Sally,”
risponde, impeccabile.
“Arrivo, Sally,”
aggiunge Charlie Brown, trattenendosi accanto al
cancello.
“Ok, fratello,”
commenta lei, avviandosi in casa. E anche se non dovrebbe, se sa che è
scorretto e persino rischioso – chi lo sa che cosa si può sentire
– rimane ferma in ascolto dietro la porta di casa accostata, col respiro
un po’ irregolare.
Per qualche istante c’è soltanto silenzio, e
un fruscio di abiti che indica un movimento: Sally ci potrebbe scommettere un
braccio, Linus e suo fratello si sono appoggiati al muretto, col naso per aria
e gli occhi persi tra gli astri.
“Sputa il rospo, Charlie Brown.
“…Nessun rospo.”
“Sai che quando è stata scoperta Alpha Centauri c’era un astronomo che aveva detto…”
“Perché invece di andare a cena con Marlène
sei rimasto lì da Patty con mia sorella?”
Il cuore di Sally ha un sobbalzo e, sorpresa per quella
domanda tanto diretta dell’insicuro Charlie, resta in trepidante ascolto.
“Sai, Marlène
è davvero carina, ma non sembra molto intelligente. Per la verità
la trovo un po’ noiosa. Da Patty ci stavamo divertendo, e poi ho pensato
che così almeno Sally non avrebbe dovuto
rientrare da sola, perché non sapevo che saresti arrivato tu.”
“Non era previsto, infatti.”
C’è un nuovo silenzio, mentre il cervello di
Sally osserva che quella non è propriamente una spiegazione romantica
mentre il suo cuore si concentra su quel così almeno Sally
non avrebbe dovuto rientrare da sola che denota interesse, attenzione per
la sua persona.
“…Allora Marlène
non ti piace?”
“Non molto.”
“Grazie
al cielo. Io non la sopporto proprio.”
La voce di Charlie Brown esprime
schietto sollievo e Sally fatica a non scoppiare a ridere.
“Davvero?”
“Davvero.”
“…Avresti potuto dirmelo,
Charlie Brown.”
“Sì, ma poi ne ho parlato con Schroeder. Ehi… Te la ricordi Tapioca?”
“Tapioca?”
“Quella bambina che è
venuta alle elementari da noi per qualche tempo. Era in classe con te, e tu
l’hai portata a mangiare il gelato. Schroeder e io non riuscivamo a
ricordare il suo cognome.”
“…Oh, lei, ma sì! Pudding. Tapioca Pudding, mi pare si
chiamasse.”
“Te lo ricordi ancora?”
“Non dimentico mai una fiamma,”
afferma Linus con tono serio.
Charlie Brown sospira.
“Per fortuna non ho mai avuto questo problema,” sentenzia, ironico.
Ridacchiano piano, poi c’è un nuovo fruscio
di movimenti lenti, un clop di mani.
“A domani, Linus.”
“A domani, Charlie Brown.”
Sally si allontana in fretta dalla porta per non farsi
scoprire lì, e sta ancora sorridendo lievemente tra sé quando
s’infila nella sua stanza e si tuffa sul letto con un sospiro sognante.