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Autore: Assassin Panda    22/03/2010    3 recensioni
“No”
Una semplice sillaba, che avrebbe firmato la sua condanna. Russia non le riconobbe alcun coraggio, ma solo pazzia nel volerlo contraddire e sfidare.

Una Song Fict senza Pairing, solo voglia di commuovere qualcuno, ambientata durante la Primavera di Praga
Genere: Triste, Song-fic, Guerra | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Germania/Ludwig, Nuovo personaggio, Russia/Ivan Braginski
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Autore: assassin panda
- Titolo: Primavera di Praga
- Personaggi: OC!Cecoslovacchia, Russia, Germania (accenni Ungheria)
- Genere: Guerra, Angst, Drammatico
- Rating: Arancione (NC-15)
- Avvertimenti: One shots, Song Fiction
- Conteggio parole: 1762
- Note:1. Ambientata durante la cosidetta Primavera di Praga nel 1968, quando la Cecoslovacchia faceva parte dell'Unione Sovietica e il Partito Socialista Cecoslovacco aveva attuato delle riforme malviste dalla Russia, che portarono all'occupazione di Praga dopo che il "governatore" cecoslovacco ignorò le intimidazioni scritte dell'URSS. Per capire meglio: it.wikipedia.org/wiki/Primavera_di_Praga
2. Cecoslovacchia, nonostante venga citata/o nel manga è un mio OC! fisico e caratteriale
3. La canzone Primavera di Praga è stata scritta e cantata da Francesco Guccini e interpretata anche dai Nomadi, da cui mi sono ispirata.
è la prima volta dopo secoli che scrivo una song!fict quindi amatemi anche domani ^^'



Di antichi fasti la piazza vestita
grigia guardava la nuova sua vita:
come ogni giorno la notte arrivava,
frasi consuete sui muri di Praga.

 

Russia camminava a passo di marcia per le vie di quel paesucolo insignificante, guardando freddo i suoi abitanti che indietreggiavano spaventati al solo incrociare le sue iridi viola. Dietro di lui i soldati che reggevano la rossa bandiera comunista in una mano e un fucile carico in un altra puntavano le loro armi contro la folla mentre Ivan cercava la sua preda. Non c'erano sorrisi bonari a mascherare l'odio che provava in quel momento, la rabbia che gli offuscava la mente e gli impediva di mantenersi lucido.

Cercava lei, colei che in tutti quei mesi aveva tentato di ribellarsi -cosa inconcepibile- di diventare indipendente -che affronto-.

Cercava Cecoslovacchia.

Le donne erano sempre così ostili nei suoi confronti. Ripensava ad Ungheria, che qualche tempo addietro aveva cercato la democrazia e aveva trovato solo dolore. Ma che aveva fatto di male? In fondo voleva solo che tutti vivessero in armonia con lui, nella grande casa dell'Unione Sovietica. Era chiedere troppo forse? Era stato gentile, aveva pazientato, eppure aveva dovuto ricorrere alle maniere forti perchè nessuno dei paesi che aveva riunito sotto il suo controllo voleva rimanere.

 

Cecoslovacchia se la ricordava come una ragazza solare, che però si era sottomessa senza aprir bocca al suo dominio -non come Elizaveta che voleva solo rimanere col suo Austria e piangeva ogni sera.

Cecoslovacchia era simile alla sorella ungherese, eccetto per i capelli più corti e l'indole meno manesca, anche lei aveva vissuto per moltissimi anni in casa d'Austria senza mai cercare di ottenere un indipendenza, e quando finalmente senza volerlo ci riuscì, venne presa di mira dal capo di Germania e si unì a lui per un po'.

Poi Russia aveva messo gli occhi su di lei a fine guerra: era bella, ma questo a lui non importava. Era in lacrime quando la vide per la prima volta, ma lui non si era intenerito.

“Vuoi venire anche tu a casa mia? Vedrai, starai meglio” le aveva promesso porgendo una mano che la tedesca non aveva tardato a stringere asciugandosi le gocce salate sul suo volto.

 

Le aveva dato ciò che voleva, eppure le cose che faceva lui non andavano mai bene a nessuno. Dittatura, lo chiamavano. Non ti vogliamo, possiamo cavarcela anche senza di te gli dicevano.

E questo lo faceva infuriare. Non ci aveva visto più. Li odiava tutti, ogni Nazione che non voleva diventare tutt'uno con lui l'avrebbe pagata cara. E Cecoslovacchia non faceva eccezioni. Voleva l'indipendenza? Non gliel'avrebbe data.

 

“Cecaaa- dove sei?” la chiamò cantilendando e storpiando il suo nome -una volta trovata l'avrebbe fatta diventare veramente cieca-. “Non pensi alla gente che morirà a causa tua se non salti fuori?”

La ragazza tremava abbandonata contro un muro di una vecchia casa, ora imbrattato di scritte che recitavano inni alla democrazia e insulti all'Unione Sovietica. Era come un topo messo all'angolo dal gatto, che a lei sembrava più un enorme tigre pronto a sbranarla. Non aveva il fiato per gridare al russo che lei era lì, pronta a sacrificarsi per ciò in cui credeva. Lo avrebbe fatto, ma aveva troppa paura. Negli occhi di Ivan aveva sempre visto solo pazzia e odio, non avrebbe chiesto pietà, perchè sapeva che non l'avrebbe mai ottenuta da lui.

 

Eccoti qui, Ceca!”

 

La gente di Praga aveva cominciato a mormorare tra di loro, ad imprecare contro i russi e a pregare, pregare che alla Cecoslovacchia, la loro patria non venisse fatto nulla. Perchè avevano sbagliato loro, e non era giusto che fosse lei a pagare le conseguenze del loro gesto.

Ma Ceca non adossava a loro nessuna colpa, anzi non avrebbe mai permesso a Russia di far loro del male, se ne fosse stata in grado.

 

“Ciao Ceca!” sorrise Ivan avvicinandosi a lei con un sorriso, talmente inquietante data la circostanza che la ragazza non potè fare a meno di rabbrividire.

“Sai dove sono i membri del tuo partito, Ceca?” domandò continuando a sorriderle. Cecoslovacchia scosse la testa lentamente, continuando a fissarlo negli occhi dal colore così simile alle pervinche del suo giardino.

“Chiusi in una fabbrica a firmare pratiche e mandati inutili anziché venire a salvarti! Patetici, da?

“Vogliono solo... la libertà!” esclamò la ragazza. “E tu invece, rovini i loro sogni, distruggi le loro speranze, sei un mostro, Russia!”

 

Le pupille di Ivan si spalancarono sorprese ed infuriate, fissandola con ribrezzo.

“Sogni? Speranze?” domandò atono prendendole con violenza le guance, strizzandole tirandole verso di sé. Per un attimo la Cecoslovacchia pensò che fosse arrivata veramente la sua fine, e chiuse gli occhi aspettando che la Russia declamasse la sua sentenza. “Sono cose astratte, futili e prive di logica. Non ci costruisci una nazione con i sogni, Cecoslovacchia! E non vinci nemmeno una guerra con la speranza!”

 

Una lacrima solcò ancora la guancia della ceca, cozzando contro il dorso della mano che la stringeva. Un altro pazzo sorriso prevase il viso di Ivan, che fissava il volto terrorizzato della Nazione sottomessa come un opera d'arte da lui stesso creata con maestria.

La mollò, lasciandole segni rossi come lividi ai lati della sua boccuccia rosea, mentre attorno a loro la folla gridava di lasciarla, incurante dei fucili e dei cannoni puntati contro.

“Noi vogliamo la libertà! È un diritto che non ci puoi negare!”

Russia piegò la testa sulla spalla, scocciato da quel comportamento ostinato.

“Vedi, Ceca: se do l'indipendenza a te, la dovrei dare anche ai Paesi Baltici. E se la do a loro, la dovrò dare anche a Polonia, a Ungheria, e se la do a loro, tutti la vorranno. E io rimarrei solo. E io non voglio rimanere solo, voglio che tutti diventiate uno con me!”

 

Poi, ghignando fissandola con pura follia, le domandò con voce bassa e roca

“Tu non vuoi diventare uno con me, Ceca?”

A che serviva ormai combattere ancora? A che serviva essere ostinati e credere ancora in ciò che i suoi politici le avevano detto, e ora erano da un altra parte al sicuro mentre lei soffriva per loro, schiacciata dalla potenza della Russia?

Ma lei non si sarebbe abbassata così tanto. Avrebbe piegato la testa e pianto, ma non avrebbe mai rinunciato ai suoi sogni e alle sue speranze.

 

 

“No”

 

Una semplice sillaba, che avrebbe firmato la sua condanna.

Russia non le riconobbe alcun coraggio, ma solo pazzia nel volerlo contraddire e sfidare.

 

“Molto bene, da

 

 

Ma poi la piazza fermò la sua vita

e breve ebbe un grido la folla smarrita
quando la fiamma violenta ed atroce
spezzò gridando ogni suono di voce

 

risalì il viale verso le sue truppe, e quando fu abbastanza lontano dall'altra Nazione alzò il braccio e un fucile si ritrovò puntato contro di lei.

Chiuse gli occhi, e attese che l'arma la colpisse al petto, causando un boato folgorante che fece tacere la folla che fino a poco prima gridava la sua liberazione.

Sentì il sangue scorrere tra il suo seno, la pallottola l'aveva colpita precisamente in mezzo allo sterno, e copioso scendeva verso il ventre.

Non sentiva niente, non vedeva niente all'infuori della schiena di Ivan che si allontanava, e provò ribrezzo nel sapere che l'ultima cosa che avrebbe visto fosse proprio il russo.

 

Quando la piazza fermò la sua vita
sudava sangue la folla ferita,
quando la fiamma col suo fumo nero
lasciò la terra e si alzò verso il cielo

Cadde senza forza sulle ginocchia, nel terreno sabbioso della sua città.

E pian piano sentì le forze abbandonarla, la vista offuscarsi e non pensava più a nulla.


quando ciascuno ebbe tinta la mano,
quando quel fumo si sparse lontano
Jan Hus di nuovo sul rogo bruciava
all'orizzonte del cielo di Praga.

 

Non si accorse nemmeno della figura disperata che le era corsa incontro cercando di prenderla prima che cadesse al suolo.

 

Dimmi chi sono quegli uomini lenti
coi pugni stretti e con l'odio fra denti;

 

“Signor Ivan, procediamo con l'assedio?” domandò un suo generale sull'attenti, ma lui continuava a camminare lentamente per la via principale di Praga lasciandosi Cecoslovacchia alle spalle, per nulla colto da sensi di colpa: se era forte sarebbe rinata.

Li odiava.

Li odiava tutti.

Nessuno gli voleva bene, perché lui doveva volerne agli altri?

Li odiava.

E stringendosi a sangue i pugni conficcandosi le dita nella carne del palmo pensava, risalendo Praga, a come far soffrire il prossimo ribelle.

 

dimmi chi sono quegli uomini stanchi
di chinar la testa e di tirare avanti;

 

Ceca! Ceca! Rispondi! Andiamo! Ceca!” Germania scuoteva il corpo dell'amica quasi sorella cercando di svegliarla, come se fosse stata una bambina in preda ad un sonno profondo.

Ma da quel sonno Cecoslovacchia non si sarebbe svegliata molto presto, nemmeno con un bacio, perchè non era una principessa addormentata in attesa del principe azzurro: era morta.
“Maledetto Russland! Che tu sia maledetto!” gridò mentre tutta la gente di Praga guardava le lacrime di quell'uomo all'apparenza forte e senza paura, ma che aveva appena perso una guerra, era stato lacerato nel cuore e ora quei paesi che lo avevano vinto uccidevano la sua famiglia e i suoi alleati.

Lei, che non aveva fatto nulla di male a nessuno, era stata uccisa come un animale da macello in mezzo alla strada.

Non doveva morire così.

 


dimmi chi era che il corpo portava,
la città intera che lo accompagnava:

 

 

la città intera che muta lanciava

una speranza nel cielo di Praga

 

Prese Cecoslovacchia tra le braccia -quanto era piccola e leggera- e la sollevò come una piuma, con l'unica differenza che questa non poteva volare via dalle sue mani. Camminò verso i carri armati, verso i russi, e il popolo cecoslovacco lo seguì, con gli occhi, camminando dietro a quel tedesco sconosciuto, che reggeva la loro amata patria e la trasportava in salvo, lontano da sciacalli che la potessero violare nella morte.

Un uomo anziano le si avvicino titubante, e Germania lo fissò rincuorante “Tornerà un giorno” gli disse, ma questo gli prese delicatamente il polso e si mise in un rigido ascolto, facendo sussultare il tedesco.
“E' ancora viva” gridò quello che pareva un dottore, ma a Ludwig non importava, importava solo che riuscisse a salvarla se erano ancora in tempo.

Era viva, viva!

Le speranze e i sogni di Cecoslovacchia erano risultati almeno in quella sua piccola battaglia.

Era una speranza viva, una speranza che volava nel cielo di Praga, e che non sarebbe mai morta.

 

 

Una speranza nel cielo di Praga

  
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