Storie originali > Romantico
Segui la storia  |       
Autore: Cassandra Morgana    25/03/2010    2 recensioni
Sullo sfondo chiaroscurale di un'Accademia d'Arte Drammatica con troppe maschere da indossare e una posta in gioco che sale, tre ragazzi si incontrano.
Elena vince il proprio mal di vivere grazie a un'amicizia speciale, al ritrovato coraggio di gestire i conflitti e a un forte altruismo; si scontra con Isa, la sua nemesi, voce contraria e complementare che cerca di tessere una storia opposta.
Andrea, ragazzo ambiguo e dalla lingua affilata, vuole recuperare la stima di chi, troppo tardi, si è reso conto di amare.
Gabriele imbroglia la propria depressione fumando spinelli, nutre sentimenti ambivalenti verso Andrea e gioca da burattinaio.
Tra pettegolezzi sussurrati, volontà opposte in rotta di collisione, ambizioni frustrate, gelosie, complotti sotterranei, storie di ordinaria omofobia, dark enigmatici, musicisti irascibili, ex amanti, amicizie inossidabili e amori taciuti, in una storia in cui ognuno vuole far sentire la propria voce, resta solo stabilire chi sia Cleopatra e chi il serpente che le insidia il seno.
[Storia sesta classificata e vincitrice del premio "Stile e scrittura più originale" al contest Chi è normale non ha molta fantasia - La storia più originale su EFP, indetto da Butterphil]
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Il bacio dell'aspide ~ la serie'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

 

Capitolo 5

Dalla parte sbagliata

 

 

- Scusami, Alberti. Ero rimasta a “stupide insinuazioni”. Poi un miagolio confuso. Cos’è questa specie… di teatrino? Me lo spieghi?

Lo apostrofi con voce piatta, frammenti di ghiaccio tra le parole.

Si è incazzata, Loria. Di nuovo. Ha risollevato il capo dalla cenere del sospetto razionalizzato.

E sarà un altro scontro tra statue di cemento armato. Nessuna sintesi chiarificatrice.

Il sovrano semi-spodestato e la piccola spia che non striscia nell’ombra ma, giorno dopo giorno, matura il colpo di Stato e non ne fa mistero.

Un istante. L’onda d’urto che si dissolve e trova il punto di stallo in due occhi scuri di collera che puntano su di lui.

Non ride, Alberti.

- Loria, che cazzo vuoi? Ti è partito l’embolo?

Calma. Non ha detto nulla. È un brusio indistinto e senza senso, granelli invisibili scagliati in faccia.

Niente gesti infantili o avventati, stavolta. Ragiona.

- Chiedigli. Scusa.

Attendi; non ti capaciti subito del gelo che scorre tra le labbra socchiuse, perché, dopo lo scatto iniziale, il morso di un infallibile autocontrollo è l’ultima cosa che ti saresti aspettata da te. E lui ti osserva come se avessi appena detto una bestemmia. Arriccia il naso.

- Non ci penso neanche!

- L’hai coperto d’insulti e insinuazioni assurde, e i tuoi cavalieri lì a darti manforte. Facile demolire qualcuno, così. Non ci sei andato neanche leggero. E… Derossi, poi. Se qualcuno qui si è bevuto il cervello, quello sei tu. Potevi fargli male, lo sai? Gli hai fatto male.

Un sospiro teatrale, gli occhi che puntano verso il cielo. Una risatina forzata che scalpita nel tentativo di minimizzare la questione.

- Allora il vostro è un chiodo fisso! Pensi proprio che sia colpa mia, Loria, se quel tuo amico gira talmente fatto da non accorgersi di una porta che gli si sta per spiaccicare sul muso? Non l’ho visto, maledizione! Poi c’è il signor Giuda… Dulcis in fundo – sguardo esasperato – Oh, finiamola così, davvero! E poi ci sei tu! Scusami, Elena, posso ridere? Ti senti così in gamba, a dar manforte ad arnesi simili? Mi complimento per il tuo salto di qualità. Fossi in te, preferirei continuare a far tappezzeria come hai sempre fatto, piuttosto che sputtanarmi dietro alle stronzate di un serpente a sonagli e un cannaiolo rosicone. Parere personale, eh.

Calma. Distogli lo sguardo, stavolta, deglutisci a fatica. Un nodo d’angoscia tenacemente aggrappato alla gola.

Calma. Procedere con metodo. Alberti è in pieno delirio o forse cova qualcosa. Ha capito che forse può giocarvi tutti e tre, e sta per sganciare la bomba. Perché nulla, dannazione, nulla è casuale. Non è casuale che lui tenesse la porta socchiusa, solo un istante prima, sbirciando e calcolando i tempi. Dispettucci degni di un bambino, e peccato che Alessandro Alberti non sia un bambino. Né, tanto meno, uno stupido.

Lascialo blaterare le sue invettive, ora. Attendi la seconda mossa. Se non potrai farne a meno, riservati la stoccata finale, perché è nella furia di una rissa verbale calcolata al millimetro che risiede il nocciolo di tutto ciò che ha fatto, calamitando l’attenzione su di sé e su Andrea.

E cos’è, poi, quella specie di cattivo presagio, non quantificabile, ma che ti si aggira nella testa come un ronzio di vespe?

Andrea ha lo sguardo basso e gli occhi lucidi che sprizzano collera, le guance in procinto di andarsene a fuoco sotto mille sguardi che lo denudano, e il silenzio che sa di piombo. Veleno che scivola giù dalle pareti.

E lui, troppo orgoglioso per non trattenere in punta di ciglia un torrente di lacrime furibonde, si morde il labbro, la voglia di saltare al collo del suo accusatore repressa in fondo al petto. Potrebbe scappare via e dar sfogo alla sua rabbia in maniera più igienica.

- Lo sai che non è così, Alessandro – sibila, la voce che non riesce a non tradire l’emozione – Ti ringrazio delle belle parole, se è ciò che pensi. Prova a pensare un po’ ai cazzi tuoi, d’ora in avanti, se non vuoi ritrovarti qualche escrescenza di troppo sulla faccia.

Un’occhiata reciproca che sgocciola disprezzo, soffocata nel silenzio palpitante che inonda l’intero corridoio nord. Passi ovattati, soffusi, attutiti sotto mille strati di nebbia, e il sospetto che prende vita.

Qualche spettatore nell’ombra e il vuoto intorno, in attesa della tragedia annunciata.

- Bravo, Nicoletti. Sei uno stronzo.

- E tu un voltagabbana del cazzo.

E infine lui, Gabriele, una macchia scura allungata a terra, contro il pavimento lucidato a specchio, infranta solo dal pallore del volto e dalla chiazza di sangue che spicca da lontano.

- Gabri, mi senti? – un pigolio confuso nel brusio che ti ottenebra la mente.

E, per un istante, la tentazione di scrollare i due contendenti dallo sguardo avvelenato e supplicarli di non far degenerare la situazione, trascurando il vero problema.

Anche Andrea è chino su di lui, il viso un’alchimia di rabbia, angoscia, imbarazzo. Senso di colpa impigliato alle palpebre.

- Gabri, apri gli occhi. Ti prego. Non… non è nulla – un sussurro, la mano che indugia quasi ossessiva sul volto immobile.

- Permettete? – Alberti s’infila di prepotenza nel varco fra te e Andrea.

Soprappensiero, esamina la figura stesa a terra quasi si trattasse di un animale esotico.

- Che diavolo vuoi, Alessandro?

- Andrea, non rompere le palle. Non… non l’ho fatto apposta! Devo firmarti una dichiarazione col sangue, perché tu e Loria mi crediate? Non devo scusarmi proprio con nessuno.

Con la tua coscienza, se proprio.

Distogliete entrambi lo sguardo, vibrazioni di collera contenute fra le labbra. Almeno ha la buona grazia di arrossire, Alberti, mentre si toglie d’impiccio, lui e la sua faccia di bronzo.

- Dicevo solo – prosegue con noncuranza – che… credo abbia battuto la testa quando è caduto. Se non riprende conoscenza nel giro di qualche secondo, io chiamo il 118. Non lo voglio sulla coscienza. Con tutta la roba che avrà mandato giù negli ultimi giorni, dev’essere stato il colpo di grazia. Mi meraviglio di voi, che vi ritenete suoi amici… Ignorare certi piccoli dettagli quasi di dominio pubblico!

- Chiudi quella boccaccia, Alberti! – è la lapidaria risposta di Andrea – Sei l’ultima persona che può venire qui e fare la morale. Non lo conosci, non sai un accidente. Piantala con queste stronzate a misura d’imbecille! Ricorda bene: i cazzi tuoi, Alberti. I fottutissimi cazzacci tuoi. Una volta in vita tua.

- Mah, contenti voi…

Una pausa soffocante, con te che ti limiti ad annuire in silenzio e a misurare la densità dell’aria. In attesa, ancora, di quel tassello che si rifiuta di combaciare, di lasciarsi catturare.

Poi la scossa improvvisa, una sferzata di consapevolezza. Un giro fulmineo di sguardi tra te e Andrea; e vedere i tuoi medesimi sospetti annidati nei suoi occhi, è una conferma che vale la pena considerare. Lo stesso sospetto inchiodato tenacemente al suo cervello.

Gabriele. Chiamo il 118. Con tutta la roba che si fuma, figurarsi se…

Alberti che giocherella con il cellulare come un’arma da avventare contro il nemico.

Continuate a fissarvi. Forse anche Andrea ha un vago sospetto sul perché di tutte quelle stranezze… Gabriele. Ed è quasi un grido all’unisono.

- No!

- Alessandro, lascia stare!

- Che cazzo vi prende ora? Non sto chiamando il boia. Si vede che non sta bene, no? Ha perso i sensi per la botta, e le porcherie che ha in circolo l’hanno buttato a terra. Male che vada gli ficcano un ago nel braccio, e domani è come nuovo. Se poi… Beh, se il signor Derossi ha qualcosa da nascondere, cazzi suoi. La salute è più importante, non credete? – un sorriso che gli taglia il volto da orecchio a orecchio.

Diabolico. Vuole combinargliela sotto il naso.

Le ciglia di Gabriele tremolano sotto la luce slavata di quel corridoio simile all’anticamera dell’inferno. Le palpebre dischiuse in un’espressione confusa, come un cadavere che riemerga per miracolo dalla tomba, la mano che corre a massaggiarsi distrattamente la faccia.

- Ehi… Va tutto bene?

- Eh? Io…

Gabriele si tira su a sedere. Un’occhiata ostile tra lui e Alberti, e il vago sentore di chi ha appena subodorato l’inganno ed elaborato una reazione immediata.

- Tutto bene, sì.

- Sicuro? Se è così, meglio per te – Alberti si stringe le braccia contro il petto, il volto indecifrabile – Se non vi dispiace, io torno a lezione… – azzarda un cenno con la mano e si allontana come un avvoltoio che scruta il suo futuro pasto.

Tolgo il disturbo. Va tutto bene. Tutto meravigliosamente bene.

 

* * *

 

- Che… ipocrita, lurido bastardo intrigante.

Siete lì, lontani da tutto, quattro pareti di un bianco che vira al grigiastro ricamate tutt’intorno. Al sicuro fra le mura di un’aula deserta, lontani da occhiate indiscrete, la testa fra le mani.

- Ti rendi conto, Loria?

Sospiri, i capelli ravviati all’indietro in un unico gesto nervoso, ben scandito.

- Pensi anche tu quello che penso io, Andrea?

- Spara.

- Seguimi. Se per una sciocchezza qualunque, Gabriele finisse su un letto del Pronto Soccorso… Insomma, un banale prelievo di sangue, e saltano fuori gli altarini.

- E quindi?

- Beh… La notizia in qualche modo girerebbe. E, una volta rientrato, avrebbe non pochi casini.

- Eppure c’è qualcosa che ancora non torna – Andrea si fissa la punta delle scarpe – Alessandro: cosa gli entrerebbe in tasca? Può sputtanare Gabriele o chicchessia come preferisce, con o senza letti del Pronto Soccorso, test del DNA e autopsie, e non mi pare si sia risparmiato. Può cavare il sangue dalle rape, se lo desidera, mettere in giro tutte le fesserie che gli dice il cervello, e aspettare che il veleno faccia effetto. No, forse non è neanche questo. La semplice soddisfazione di spaccargli il muso? Per quello che è successo in Aula Magna o altre cose che si è legato al dito. Perfetto, c’è riuscito. E adesso? Perché insiste?

Un sorrisetto sagace t’increspa le labbra.

- Andre, non fare il finto tonto. Hai capito: se Gabriele… o te, o un altro studente particolarmente… rinomato, promettente spina nel fianco di ogni arrampicatore che si rispetti, si beccasse un’espulsione fra capo e collo… Voilà: un rivale in meno per lui. Si libererebbe di una persona scomoda che per giunta non abbocca ai suoi giochi di prestigio.

- E brava Loria. Il discorso non sta molto in piedi, solo che, ecco… Può essere – volge lo sguardo, Andrea, la fronte corrugata – E tu, Gabriele, cosa… – azzarda.

Non risponde subito, lui. È scuro in viso, perso in complicate cogitazioni tra sé e il suo mondo.

- Ho mal di testa, Andrea. Che vuoi?

- Oh, bentornato fra i vivi, signor “mi faccio prendere in castagna, il mio regno per una maledetta canna”. Hai capito le intenzioni di Alberti?

- Elena non sbaglia. Non troppo, almeno. Quello vuole confonderci le idee, non vuole buttarci a terra come birilli. E poi… dai, voleva farmela pagare – biascica di fretta, intento a tamponarsi la faccia, il naso insanguinato.

- Il discorso è anche un altro… – ha alzato la posta in gioco, Andrea.

E guarda verso di te, un’intesa muta impigliata al filo invisibile tra sguardo e sguardo. Attende, cerca il tuo consenso.

- Gabriele, sei un incosciente di proporzioni cosmiche. Se… se sei così convinto che quelli ti diano la caccia e aspettino un passo falso per farti le scarpe, con le buone o con le cattive… Mio Dio, dargli l’occasione è da idioti! Non hai cinque anni, maledizione! Non sei un bambino che pesta i piedi perché vuole le caramelle!

- Bravo, Andrea! – qualcosa, come uno strano luccichio nello sguardo, lascia intendere che riderebbe, Gabriele, se la faccia non gli facesse così male – Sei un vero amico. Come se non sapessi che sei stato tu a mettere in giro quelle voci su di me. Quando tu e Alberti eravate ancora fratelli di sangue.

Andrea trasale.

- Queste sono balle per metterci l’uno contro l’altro! Sono tutte balle. Dio, non lo capisci? Vogliono farci incartare con le nostre mani, come marionette ai loro comandi. E noi stiamo facendo il loro gioco. Io… non sono ogni giorno dietro ai cazzi tuoi. Dico solo che a vederti un giorno sì e l’altro pure andartene in giro con una faccia indescrivibile, ecco… Anche un cieco si porrebbe il dubbio.

Scuote il capo, Gabriele, manciate di silenzio brevi e concentrate, tensione in punta di dita. Sorride debolmente.

- Come no, Andrea. Dicevi di peggio, s’è per questo. Di molto peggio.

- Ascolta, Gabriele. I vecchi rancori non portano da nessuna parte. Non legarti al dito cose di cui non hai neanche la certezza.

- Beh… Il dubbio è legittimo.

- Bravo. È su questo che giocava il “signore” di poco fa, lo sai? Penso di averti già spiegato. Non capisco perché perdersi dietro recriminazioni assurde. Lo sai cosa penso, no?

- Naturalmente – ribatte Gabriele, sarcastico – Che ti faccio pena. Che ti reputi troppo in gamba. Che non ti prenderesti neanche il disturbo di considerarmi nemico, se qualche idiota non avesse messo in giro queste stronzate. E adesso vorresti stringere nuove alleanze, andare incontro alla tempesta e sorvolare su tutto ciò che dicevi una volta. Vuoi dimostrare che il tuo ascendente è così forte da poterti levare il capriccio di andare contro tutto e tutti, cambiare bandiera quando e come preferisci. È abbastanza? Se proprio vuoi saperlo, io raccolgo e porto a casa. E ti mando anche affanculo.

Indietreggia, Andrea, colpito al cuore dal fulmine vagante che fino a pochi secondi prima si era limitato a fendere l’aria. E poi, realizza.

- Ora ti calmi, Gabriele! Sei incazzato, okay; ce l’hai con me perché Alberti ha attaccato te per colpire me. E poi… c’è quella vecchia storia con Neri. È questo, vero? Perché non… non ci provi, almeno, a non pensarci più? Hai visto cos’è successo? Non ti sembro neppure un po’ più sopportabile, adesso che non sono più il membro onorario del trio Miracoli, ma uno che si è rotto il cazzo di assurde strategie per neutralizzare l’avversario? Guarda un po’, sono diventato Satana. Ho perso la posizione di comodo e non la rimpiango. Sei un po’ più convinto, adesso?

- Lasciar stare…? – un blocco di tristezza addensato in fondo alle pupille, come a impedirgli di aprire gli occhi e guardarlo in faccia senza quel moto di gelida rassegnazione – Dovrei… lasciar stare, io. Certo. Non pensarci più. Al fatto che preferisco far affidamento su Bin Laden, piuttosto che su di te?

- Cosa ti costa? – è quasi una supplica.

- No, tranquillo: non mi costa niente. È tutto a posto, come vuoi tu… Nicoletti parla e il mondo si piega! – una risata isterica prontamente schermata col dorso della mano – Del resto, me lo sono solo ritrovato in quel posto perché tu, Andrea, andavi a letto col professore. Tanto per farla breve. E oltre al danno, la beffa, i tuoi insulti che hanno fatto praticamente il giro dell’istituto, quando ho tentato di chiederti spiegazioni.

- Cosa avresti detto al mio posto, Gabriele? Io non… non ho fatto nulla, te lo giuro. Erano… Dovevano restare due cose assolutamente indipendenti e separate. La mia carriera non aveva nulla a che fare con… tutto il resto. Con la mia vita privata. Come puoi pensare di aver perso l’occasione per cause extra di cui ero all’oscuro anch’io? Perché, santo Dio, non è così, Gabriele!

- Non dipendeva da te… Non l’hai fatto apposta: naturalmente. Però ti sei procacciato in silenzio tutti i vantaggi che sapevi di poter procacciarti, e solo schioccando le dita. Ed io sono rimasto fregato.

- Non è così. Neri mi aveva giurato che il suo giudizio sarebbe stato assolutamente imparziale. Mi aveva garantito totale professionalità. E così è stato: il fatto che… che fossimo stati insieme, non aveva nulla a che vedere con il resto. Anche se avesse scelto me. Maledizione, Gabriele! C’era un’intera commissione; Neri valeva il peso di un voto, e anche se avesse voluto, gli sarebbe stato difficile imporre la sua volontà, perché era già ai ferri corti con mezza commissione. Ma tu sei venuto da me, sei partito in quarta e mi hai detto di tutto. E sono state botte da orbi, come puoi immaginare.

- È lecito pensare che Neri o chi per lui abbia corrotto gli altri commissari? Che abbia pilotato i giochi a favore del suo pupillo? Se ricordi, ti avevo solo chiesto che cazzo di accordi sottobanco ci fossero stati dietro la fantomatica scelta.

- Beh, darmi della “puttana” in diretta non è proprio una cortese richiesta, non credi? Quando ti ho risposto che evidentemente ero piaciuto al professore, e che se eri stato sbattuto fuori, io proprio non sapevo che farci, mi hai risposto che a Neri non piacevo io, ma gli piaceva scoparmi. E forse lo pensi ancora, che sia andata così. Ti ringrazio per l’alta considerazione.

- La tua responsabilità è al cinquanta per cento. Tu sapevi e te ne sei stato zitto a raccogliere i frutti: come darti torto? Del resto, non ero che un rosicone del cazzo che ogni tanto tira fuori qualche visione. No?

- Ed io il capo dei leccaculo raccomandati, oltre che puttaniere da strapazzo. Neanche tu sei stato tenero con me. Vorrei solo capire perché dai retta alle puttanate di Alberti e non mi lasci spiegare.

- Non c’è niente da spiegare, Andrea – un velo d’amarezza davanti agli occhi, un sentore di attesa.

Si tira su in piedi, lo sguardo fisso davanti a sé.

- Gabri, aspetta… – Andrea ha gli occhi lucidi, le ciglia palpitanti.

Si osserva intorno, smarrito. E cerca ancora una volta il tuo appoggio, il tuo assenso, la voce un pigolio tremolante incollato alla gola che non vuol saperne di formulare un concetto logico con cui tradurre la morsa che stringe lo stomaco.

Ha paura dell’esito della discussione, Andrea. Per la prima volta, di fronte ai tuoi occhi non è che un concentrato di rimpianti, di dubbi, d’incertezze che minacciano di sciogliersi in un torrente di lacrime. È solo e allo stremo.

- Andre… – sospiri.

Pensi sia arrivato il momento di far da paciere, veste quanto mai insolita e improvvisata. Non sarà mai la scelta giusta. Ficcare ancora una volta il naso in questioni che non ti riguardano.

E Alberti… Alberti ha ottenuto almeno parte di ciò che voleva: schierarvi l’uno contro l’altro, creare l’occasione di conflitto tra i suoi polli.

- È vero tutto questo? – prosegui, un groppo alla gola.

Andrea è un fascio di nervi prossimo all’esplosione.

- Sì. È vero. Ma sì, dai, non fingere con me: ti saranno arrivate le voci. Io… – china lo sguardo, una confessione che costa più di mille spilli arroventati sulla schiena nuda – Ho avuto una relazione con Neri. Ho avuto accesso di diritto a quella fottuta selezione. Ma giuro su quanto ho di più caro, che non c’è nessun legame tra le due cose. Non che io sappia o che abbia cercato di provocare. Sarebbe stato impossibile per Neri prostituire ai suoi voleri un’intera commissione con idee discordi. È… del tutto fuori questione.

- Hai sentito, Gabriele? Costa davvero tanto provare a dargli fiducia?

Sorride appena, Gabriele, un’occhiata indecifrabile, sospesa. Amareggiata. Forse vorrebbe esserne capace, di fidarsi. Tenta di ripulirsi alla meno peggio l’alone di sangue che gli si allarga sulla parte bassa della faccia. È stanco, Gabriele. Stanco di quella pantomima.

- Lo senti come parla adesso? Non è proprio il discorso che mi ha propinato quel giorno. Perché era gasato al massimo, portato in trionfo dai suoi vecchi compagni: poteva pure prendersi il lusso di umiliare l’avversario. Qual è il tuo problema, Nicoletti? Hai una doppia personalità?

- Mi dispiace, Gabriele – un soffio appena percettibile, le labbra arricciate a contenere un singulto isterico – Io… mi dispiace. Per questo… sì. Mi dispiace aver usato quelle parole, anche se il concetto era simile. Ho sbagliato a dar carta bianca ad Alberti e agli altri, al loro elitarismo di comodo. Ho sbagliato tutto, okay. Vuoi farmelo pesare in eterno? Ho sbagliato. Credevo di non fare niente di male, invece non era così, stavo sul carro sbagliato. Vuoi fustigarmi per questo? Vuoi un esempio tangibile del fatto che non sono come loro? Ho conosciuto Loria: se davvero fossi stato chiuso a riccio, a seguire ciecamente il loro pensiero, non le avrei dato mezza possibilità, perché lei a loro non piaceva. Se avessi seguito quella scia, mi sarei blindato nelle mie posizioni, capisci? Mi sarei negato centinaia di occasioni per il semplice fatto che loro non le ritenevano degne di attenzione; non avrei conosciuto ciò che stava fuori della loro ottica. Mi sarei precluso occasioni, amicizie. E poi magari constringermi, in un secondo momento, ad abbracciare qualcosa che non mi sarebbe piaciuto. È abbastanza?

- Gabriele, dai, basta musi storti! – sei in mezzo a loro, in bilico fra l’incudine e il martello, avvocato di quelle cause perse, degne di una chance immaginaria – Non lo vedi? – accenni al volto congestionato di Andrea, in procinto di cedere – Si è umiliato, denudato. Ti ha chiesto scusa. Cos’altro pretendi, per potergli credere? Che si metta il cilicio?

- Beh, non so se denudarsi di fronte a Neri sia stato altrettanto spiacevole – incalza Gabriele, tagliente, sprofondato fino agli occhi in un fiele in cui forse non vorrebbe indugiare neanche lui.

È solo che non può rimangiarsi in un battito di ciglia ciò che ha appena detto, per due lacrimucce e qualche scusa mormorata con voce tremante. Troppo fottutamente orgoglioso per non mantenere almeno per un po’ il ruolo di quello che vuol vedere il sangue… Anche se del sangue non gli è mai importato un accidente.

- Stai esagerando, Derossi. Non merita questo trattamento. Sai una cosa? La pensavo esattamente come te. Nicoletti, ma sì: il fighettino con l’ego alle stelle, troppo superbo per fraternizzare con i comuni mortali; il raccomandato, l’amico che conta tra quelli che contano, il principe incontrastato. E adesso, cos’è quello che vedevi come un concentrato di negatività? È una persona come te. Che sbaglia, dà fiducia alle persone sbagliate, va nel pallone, ma sa anche compiere delle scelte.

- La fai facile, Loria. Non è come dici. Accoglieresti a braccia aperte qualcuno che ti ha disprezzato e umiliato ogni singolo istante, per il piacere di trovarsi nella posizione di chi può farlo? Di chi si è finto tuo amico per poi mollarti con un calcio nel culo, appena ha capito che quelli che gli convenivano erano altri, un nido di vipere pronte a sputare sentenze?

- No, Gabriele. Non è il vostro caso. Era confuso, non sapeva di chi fidarsi; ha perso l’orientamento. Adesso però ha capito qual è il gioco che vale la pena di giocare.

- Grazie, Elena – riprende Andrea, tirando su col naso – Gabriele… Se mi disprezzi fino a questo punto, mi spieghi perché hai impedito ad Alberti di farmi a pezzi, quando aveva tutta l’intenzione di picchiarmi? Mi spieghi perché da qualche settimana a questa parte sopporti di starmi vicino a lezione?

Tace, Gabriele. Colpito come da un dardo in piena fronte.

- Non lo so, Nicoletti. So solo che… non mi andava. Tutto qui.

- Che cosa non ti andava?

- Non volevo che Alberti ti picchiasse. Non quella prima e unica volta che ti ho visto usare il cervello e dire qualcosa che pensi veramente, non la solita brodaglia precotta che tutti ritengono giusta.

- Grazie, Derossi. E scusa… per tutto.

- Non esagerare però

- No, lasciami finire! Erano secoli che volevo ringraziarti per aver… preso le mie difese nonostante tutto. Mi dispiace per averti trascinato dentro questo casino. Mi dispiace che ne abbia pagato le spese anche tu, che ti sia preso quella maledetta porta in faccia al posto mio. No, non esagero, ti giuro, potrei romperti le scatole in eterno, finché non ti deciderai a darmi una fottuta “seconda possibilità” – pausa imbarazzata; Andrea sembra una mina pronta a esplodere – E se posso… Quelle dannate canne, Dio mio, buttale al cesso! Hai capito: Alberti stavolta l’aveva architettata bella pesante. Vogliono farti buttare fuori e hanno trovato un pretesto. E tu non darglielo, il pretesto, stattene tranquillo per un po’! Lo sai che cosa rischi? Di cadere nella loro trappola. È chiaro o devo rigirartela ancora?

- No, non è necessario. Chi sei per venire da me e fare la mammina premurosa?

Andrea solleva gli occhi al cielo, esasperato.

- Sono un rompicazzo: è il mio nuovo mestiere. Il rompicazzo ufficiale che tutto vede e nulla tiene a freno; Rompicazzo sarà il mio secondo nome. Almeno, male che vada, potrò dimostrarti di non essere un deficiente che se la fa sotto. Contento?

- È una recita, per caso? O ci credi davvero? Non devi dimostrarmi niente. Cerca prima di tutto di dimostrarlo a te stesso, che questo non è il tuo ennesimo, patetico voltafaccia.

- No, perché ho nulla da guadagnare e tutto da perdere, se ci pensi. Sono tornato studente di serie B, comune mortale, e pure vagamente sfigato. E non mi sono mai sentito meglio. Posso dire quello che voglio senza pormi il problema né farmi condizionare da stupide chiacchiere e diktat friggi-cervello. Cosa vuoi di più?

- Niente, Andrea. È un problema tuo – Gabriele si decide a riportare finalmente lo sguardo su di lui, un barlume d’indulgenza.

- No, è anche un problema tuo. Perché, casualmente, da questo momento i nostri obiettivi coincidono. Mi perdoni, adesso?

China il viso a terra, Gabriele, lo sguardo combattuto; una venatura malinconica a impedirgli il famoso salto nel buio. Concedergli la sua fiducia.

Intercetta il tuo sguardo, in cerca di un segnale tangibile.

Anche tu te lo sei chiesto. Troppe volte: vale la pena accettare Andrea Nicoletti, il suo cervello pensante e la sua leggendaria lingua tagliente: lingua ben decisa, stavolta, ad agire di proprio conto, senza bandiere né fili invisibili né padroncini subdoli in jeans firmati, e senza fare sconti di simpatia a nessuno? Vale la pena accettare la profferta d’amicizia a scatola chiusa?

Annuisci: è troppo presto per dire addio a quel sogno con la mente libera e il cuore leggero. Per provare a esistere davvero, senza paletti né assurdi timori a fungere da sipario.

Immobile, segui il movimento incerto della mano di Gabriele che indugia a mezz’aria, incerta, per poi posarsi su Andrea e sfiorargli dolcemente una ciocca di capelli, scostandogliela dal viso. Sorridi, attendi l’atto finale per mettere un punto fermo e ricominciare a respirare.

- Andre. Mi fido. Ci proverò, almeno.

Ammicca con gli occhi stanchi, Andrea, un luccichio di lacrime che, annidato in qualche anfratto nascosto, sfugge al suo controllo. È come annaspare sulla lama di un rasoio e ritrovarsi da un momento all’altro scaraventato di sotto, confuso sui propri passi e poi giù, verso il buio e l’ignoto, senza pensieri.

Accenna solo a un timido sorriso e gli si getta al collo, una reazione simile a un pianto liberatorio che a stento riesce a soffocare, la faccia premuta contro la maglietta di Gabriele. Le dita intrecciate alle tue, possessive, in cerca di conforto, pronte a stringersi come tenaglie.

Chiudi gli occhi: sembra piccolo, adesso, una cosetta minuscola e sussultante addossata a un Derossi che mai come in quel momento sembra sovrastarlo; Derossi e il suo metro e ottanta e le sue spalle larghe, ossute. Lo osservi. Ha un aspetto notevole, più che avvenente; bello, se non fosse per quell’aria perennemente emaciata a scavargli le orbite, le palpebre sottili incassate in un’espressione guardinga, febbrile.

- Grazie, Gabri. Io… io non… – Andrea affonda con il viso fra le pieghe della maglia di Gabriele, tra lacrime e stropicciamenti assortiti.

E poi nient’altro. Solo un mormorio non facilmente decifrabile, parole che sfumano troppo in fretta e un fugace sollievo, tra una lacrima confusa in un singulto e un abbraccio che gronda gratitudine.

Per te non sarà un problema giocare da quella parte: ci sei sempre stata e, stavolta, adori il solo fatto di starci a pieno diritto. Dalla parte sbagliata. Attivamente, stavolta, come un fascio di nervi pronto a esplodere di energia, come miriadi di particelle impazzite.

 

 

 

 

 

 

*Si avvicina con fare vagamente furtivo*

Buonasera a tutti!

Ebbene sì, a quasi un anno di distanza dall’ultimo aggiornamento di questa storia, in effetti la distanza un po’ si sente. La genesi di questa storia è strana: oltre ad essere molto intima e molto “sentita” da parte mia, frammenti di vissuto, di fantasie, di riflessioni, di sensazioni (particolare ampiamente colto dalla mia carissima Witch, che ringrazio tantissimo per i commenti! ?), conta anche un percorso insolito: nasce a fine gennaio dell’anno scorso quale strascico di un sogno dal forte impatto che mi aveva lasciato addosso una sorta di “risposta”, una sensazione un po’ strana ma positiva; viene poi interrotta a maggio dell’anno scorso, causa difficoltà nella prosecuzione, nonché ripresa della stesura di Noir Trésor… E poi, inaspettatamente, a distanza di otto mesi (che volete che sia…), precisamente a metà febbraio di quest’anno, arriva miracolosamente l’illuminazione, e torno ad innamorarmi di questa storia momentaneamente archiviata.

Comunque sia, non prometto rapidità negli aggiornamenti, perché conosco la mia incostanza dai risvolti tragicomici; auguro soltanto una buona lettura, con la speranza di leggere un po’ le vostre impressioni.

Alla prossima!^^

 

 

   
 
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: Cassandra Morgana