Capitolo
5
Dalla parte
sbagliata
- Scusami,
Alberti. Ero rimasta a “stupide insinuazioni”. Poi un miagolio confuso. Cos’è
questa specie… di teatrino? Me lo spieghi?
Lo apostrofi con
voce piatta, frammenti di ghiaccio tra le parole.
Si è incazzata,
Loria. Di nuovo. Ha risollevato il capo dalla cenere del sospetto
razionalizzato.
E sarà un altro
scontro tra statue di cemento armato. Nessuna sintesi
chiarificatrice.
Il sovrano
semi-spodestato e la piccola spia che non striscia nell’ombra ma, giorno dopo
giorno, matura il colpo di Stato e non ne fa mistero.
Un istante.
L’onda d’urto che si dissolve e trova il punto di stallo in due occhi scuri di
collera che puntano su di lui.
Non ride,
Alberti.
- Loria, che
cazzo vuoi? Ti è partito l’embolo?
Calma. Non ha
detto nulla. È un brusio indistinto e senza senso, granelli invisibili scagliati
in faccia.
Niente gesti
infantili o avventati, stavolta. Ragiona.
- Chiedigli.
Scusa.
Attendi; non ti
capaciti subito del gelo che scorre tra le labbra socchiuse, perché, dopo lo
scatto iniziale, il morso di un infallibile autocontrollo è l’ultima cosa che ti
saresti aspettata da te. E lui ti osserva come se avessi appena detto una
bestemmia. Arriccia il naso.
- Non ci penso
neanche!
- L’hai coperto
d’insulti e insinuazioni assurde, e i tuoi cavalieri lì a darti manforte. Facile
demolire qualcuno, così. Non ci sei andato neanche leggero. E… Derossi, poi. Se
qualcuno qui si è bevuto il cervello, quello sei tu. Potevi fargli male, lo sai?
Gli hai fatto male.
Un sospiro
teatrale, gli occhi che puntano verso il cielo. Una risatina forzata che
scalpita nel tentativo di minimizzare la questione.
- Allora il
vostro è un chiodo fisso! Pensi proprio che sia colpa mia, Loria, se quel tuo
amico gira talmente fatto da non accorgersi di una porta che gli si sta per
spiaccicare sul muso? Non l’ho visto, maledizione! Poi c’è il signor Giuda…
Dulcis in fundo – sguardo esasperato – Oh, finiamola così, davvero! E poi ci sei
tu! Scusami, Elena, posso ridere? Ti senti così in gamba, a dar manforte ad
arnesi simili? Mi complimento per il tuo salto di qualità. Fossi in te,
preferirei continuare a far tappezzeria come hai sempre fatto, piuttosto che
sputtanarmi dietro alle stronzate di un serpente a sonagli e un cannaiolo
rosicone. Parere personale, eh.
Calma. Distogli lo
sguardo, stavolta, deglutisci a fatica. Un nodo d’angoscia tenacemente
aggrappato alla gola.
Calma. Procedere
con metodo. Alberti è in
pieno delirio o forse cova qualcosa. Ha capito che forse può giocarvi tutti e
tre, e sta per sganciare la bomba. Perché nulla, dannazione, nulla è casuale.
Non è casuale che lui tenesse la porta socchiusa, solo un istante prima,
sbirciando e calcolando i tempi. Dispettucci degni di un bambino, e peccato che
Alessandro Alberti non sia un bambino. Né, tanto meno, uno
stupido.
Lascialo
blaterare le sue invettive, ora. Attendi la seconda mossa. Se non potrai farne a
meno, riservati la stoccata finale, perché è nella furia di una rissa verbale
calcolata al millimetro che risiede il nocciolo di tutto ciò che ha fatto,
calamitando l’attenzione su di sé e su Andrea.
E cos’è, poi,
quella specie di cattivo presagio, non quantificabile, ma che ti si aggira nella
testa come un ronzio di vespe?
Andrea ha lo
sguardo basso e gli occhi lucidi che sprizzano collera, le guance in procinto di
andarsene a fuoco sotto mille sguardi che lo denudano, e il silenzio che sa di
piombo. Veleno che scivola giù dalle pareti.
E lui, troppo
orgoglioso per non trattenere in punta di ciglia un torrente di lacrime
furibonde, si morde il labbro, la voglia di saltare al collo del suo accusatore
repressa in fondo al petto. Potrebbe scappare via e dar sfogo alla sua rabbia in
maniera più igienica.
- Lo sai che non
è così, Alessandro – sibila, la voce che non riesce a non tradire l’emozione –
Ti ringrazio delle belle parole, se è ciò che pensi. Prova a pensare un po’ ai
cazzi tuoi, d’ora in avanti, se non vuoi ritrovarti qualche escrescenza di
troppo sulla faccia.
Un’occhiata
reciproca che sgocciola disprezzo, soffocata nel silenzio palpitante che inonda
l’intero corridoio nord. Passi ovattati, soffusi, attutiti sotto mille strati di
nebbia, e il sospetto che prende vita.
Qualche
spettatore nell’ombra e il vuoto intorno, in attesa della tragedia
annunciata.
- Bravo,
Nicoletti. Sei uno stronzo.
- E tu un
voltagabbana del cazzo.
E infine lui,
Gabriele, una macchia scura allungata a terra, contro il pavimento lucidato a
specchio, infranta solo dal pallore del volto e dalla chiazza di sangue che
spicca da lontano.
- Gabri, mi
senti? – un pigolio confuso nel brusio che ti ottenebra la
mente.
E, per un
istante, la tentazione di scrollare i due contendenti dallo sguardo avvelenato e
supplicarli di non far degenerare la situazione, trascurando il vero
problema.
Anche Andrea è
chino su di lui, il viso un’alchimia di rabbia, angoscia, imbarazzo. Senso di
colpa impigliato alle palpebre.
- Gabri, apri gli
occhi. Ti prego. Non… non è nulla – un sussurro, la mano che indugia quasi
ossessiva sul volto immobile.
- Permettete? –
Alberti s’infila di prepotenza nel varco fra te e Andrea.
Soprappensiero,
esamina la figura stesa a terra quasi si trattasse di un animale
esotico.
- Che diavolo
vuoi, Alessandro?
- Andrea, non
rompere le palle. Non… non l’ho fatto apposta! Devo firmarti una dichiarazione
col sangue, perché tu e Loria mi crediate? Non devo scusarmi proprio con
nessuno.
Con la tua
coscienza, se proprio.
Distogliete
entrambi lo sguardo, vibrazioni di collera contenute fra le labbra. Almeno ha la
buona grazia di arrossire, Alberti, mentre si toglie d’impiccio, lui e la sua
faccia di bronzo.
- Dicevo solo –
prosegue con noncuranza – che… credo abbia battuto la testa quando è caduto. Se
non riprende conoscenza nel giro di qualche secondo, io chiamo il 118. Non lo
voglio sulla coscienza. Con tutta la roba che avrà mandato giù negli ultimi
giorni, dev’essere stato il colpo di grazia. Mi meraviglio di voi, che vi
ritenete suoi amici… Ignorare certi piccoli dettagli quasi di dominio
pubblico!
- Chiudi quella
boccaccia, Alberti! – è la lapidaria risposta di Andrea – Sei l’ultima persona
che può venire qui e fare la morale. Non lo conosci, non sai un accidente.
Piantala con queste stronzate a misura d’imbecille! Ricorda bene: i cazzi tuoi,
Alberti. I fottutissimi cazzacci tuoi. Una volta in vita
tua.
- Mah, contenti
voi…
Una pausa
soffocante, con te che ti limiti ad annuire in silenzio e a misurare la densità
dell’aria. In attesa, ancora, di quel tassello che si rifiuta di combaciare, di
lasciarsi catturare.
Poi la scossa
improvvisa, una sferzata di consapevolezza. Un giro fulmineo di sguardi tra te e
Andrea; e vedere i tuoi medesimi sospetti annidati nei suoi occhi, è una
conferma che vale la pena considerare. Lo stesso sospetto inchiodato tenacemente
al suo cervello.
Gabriele. Chiamo
il 118. Con tutta la roba che si fuma, figurarsi se…
Alberti che
giocherella con il cellulare come un’arma da avventare contro il
nemico.
Continuate a
fissarvi. Forse anche Andrea ha un vago sospetto sul perché di tutte quelle
stranezze… Gabriele. Ed è quasi un
grido all’unisono.
-
No!
- Alessandro,
lascia stare!
- Che cazzo vi
prende ora? Non sto chiamando il boia. Si vede che non sta bene, no? Ha perso i
sensi per la botta, e le porcherie che ha in circolo l’hanno buttato a terra.
Male che vada gli ficcano un ago nel braccio, e domani è come nuovo. Se poi…
Beh, se il signor Derossi ha qualcosa da nascondere, cazzi suoi. La salute è più
importante, non credete? – un sorriso che gli taglia il volto da orecchio a
orecchio.
Diabolico. Vuole
combinargliela sotto il naso.
Le ciglia di
Gabriele tremolano sotto la luce slavata di quel corridoio simile all’anticamera
dell’inferno. Le palpebre dischiuse in un’espressione confusa, come un cadavere
che riemerga per miracolo dalla tomba, la mano che corre a massaggiarsi
distrattamente la faccia.
- Ehi… Va tutto
bene?
- Eh?
Io…
Gabriele si tira
su a sedere. Un’occhiata ostile tra lui e Alberti, e il vago sentore di chi ha
appena subodorato l’inganno ed elaborato una reazione
immediata.
- Tutto bene,
sì.
- Sicuro? Se è
così, meglio per te – Alberti si stringe le braccia contro il petto, il volto
indecifrabile – Se non vi dispiace, io torno a lezione… – azzarda un cenno con
la mano e si allontana come un avvoltoio che scruta il suo futuro
pasto.
Tolgo il
disturbo. Va tutto bene. Tutto meravigliosamente bene.
* *
*
- Che… ipocrita,
lurido bastardo intrigante.
Siete lì, lontani
da tutto, quattro pareti di un bianco che vira al grigiastro ricamate
tutt’intorno. Al sicuro fra le mura di un’aula deserta, lontani da occhiate
indiscrete, la testa fra le mani.
- Ti rendi conto,
Loria?
Sospiri, i
capelli ravviati all’indietro in un unico gesto nervoso, ben
scandito.
- Pensi anche tu
quello che penso io, Andrea?
-
Spara.
- Seguimi. Se per
una sciocchezza qualunque, Gabriele finisse su un letto del Pronto Soccorso…
Insomma, un banale prelievo di sangue, e saltano fuori gli
altarini.
- E
quindi?
- Beh… La notizia
in qualche modo girerebbe. E, una volta rientrato, avrebbe non pochi
casini.
- Eppure c’è
qualcosa che ancora non torna – Andrea si fissa la punta delle scarpe –
Alessandro: cosa gli entrerebbe in tasca? Può sputtanare Gabriele o chicchessia
come preferisce, con o senza letti del Pronto Soccorso, test del DNA e autopsie,
e non mi pare si sia risparmiato. Può cavare il sangue dalle rape, se lo
desidera, mettere in giro tutte le fesserie che gli dice il cervello, e
aspettare che il veleno faccia effetto. No, forse non è neanche questo. La
semplice soddisfazione di spaccargli il muso? Per quello che è successo in Aula
Magna o altre cose che si è legato al dito. Perfetto, c’è riuscito. E adesso?
Perché insiste?
Un sorrisetto
sagace t’increspa le labbra.
- Andre, non fare
il finto tonto. Hai capito: se Gabriele… o te, o un altro studente
particolarmente… rinomato, promettente spina nel fianco di ogni arrampicatore
che si rispetti, si beccasse un’espulsione fra capo e collo… Voilà: un rivale in
meno per lui. Si libererebbe di una persona scomoda che per giunta non abbocca
ai suoi giochi di prestigio.
- E brava Loria.
Il discorso non sta molto in piedi, solo che, ecco… Può essere – volge lo
sguardo, Andrea, la fronte corrugata – E tu, Gabriele, cosa… –
azzarda.
Non risponde
subito, lui. È scuro in viso, perso in complicate cogitazioni tra sé e il suo
mondo.
- Ho mal di
testa, Andrea. Che vuoi?
- Oh, bentornato
fra i vivi, signor “mi faccio prendere in castagna, il mio regno per una
maledetta canna”. Hai capito le intenzioni di Alberti?
- Elena non
sbaglia. Non troppo, almeno. Quello vuole confonderci le idee, non vuole
buttarci a terra come birilli. E poi… dai, voleva farmela pagare – biascica di
fretta, intento a tamponarsi la faccia, il naso
insanguinato.
- Il discorso è
anche un altro… – ha alzato la posta in gioco, Andrea.
E guarda verso di
te, un’intesa muta impigliata al filo invisibile tra sguardo e sguardo. Attende,
cerca il tuo consenso.
- Gabriele, sei
un incosciente di proporzioni cosmiche. Se… se sei così convinto che quelli ti
diano la caccia e aspettino un passo falso per farti le scarpe, con le buone o
con le cattive… Mio Dio, dargli l’occasione è da idioti! Non hai cinque anni,
maledizione! Non sei un bambino che pesta i piedi perché vuole le
caramelle!
- Bravo, Andrea!
– qualcosa, come uno strano luccichio nello sguardo, lascia intendere che
riderebbe, Gabriele, se la faccia non gli facesse così male – Sei un vero amico.
Come se non sapessi che sei stato tu
a mettere in giro quelle voci su di me. Quando tu e Alberti eravate ancora
fratelli di sangue.
Andrea
trasale.
- Queste sono
balle per metterci l’uno contro l’altro! Sono tutte balle. Dio, non lo capisci?
Vogliono farci incartare con le nostre mani, come marionette ai loro comandi. E
noi stiamo facendo il loro gioco. Io… non sono ogni giorno dietro ai cazzi tuoi.
Dico solo che a vederti un giorno sì e l’altro pure andartene in giro con una
faccia indescrivibile, ecco… Anche un cieco si porrebbe il
dubbio.
Scuote il capo,
Gabriele, manciate di silenzio brevi e concentrate, tensione in punta di dita.
Sorride debolmente.
- Come no,
Andrea. Dicevi di peggio, s’è per questo. Di molto peggio.
- Ascolta,
Gabriele. I vecchi rancori non portano da nessuna parte. Non legarti al dito
cose di cui non hai neanche la certezza.
- Beh… Il dubbio
è legittimo.
- Bravo. È su
questo che giocava il “signore” di poco fa, lo sai? Penso di averti già
spiegato. Non capisco perché perdersi dietro recriminazioni assurde. Lo sai cosa
penso, no?
- Naturalmente –
ribatte Gabriele, sarcastico – Che ti faccio pena. Che ti reputi troppo in
gamba. Che non ti prenderesti neanche il disturbo di considerarmi nemico, se
qualche idiota non avesse messo in giro queste stronzate. E adesso vorresti
stringere nuove alleanze, andare incontro alla tempesta e sorvolare su tutto ciò
che dicevi una volta. Vuoi dimostrare che il tuo ascendente è così forte da
poterti levare il capriccio di andare contro tutto e tutti, cambiare bandiera
quando e come preferisci. È abbastanza? Se proprio vuoi saperlo, io raccolgo e
porto a casa. E ti mando anche affanculo.
Indietreggia,
Andrea, colpito al cuore dal fulmine vagante che fino a pochi secondi prima si
era limitato a fendere l’aria. E poi, realizza.
- Ora ti calmi,
Gabriele! Sei incazzato, okay; ce l’hai con me perché Alberti ha attaccato te
per colpire me. E poi… c’è quella vecchia storia con Neri. È questo, vero?
Perché non… non ci provi, almeno, a non pensarci più? Hai visto cos’è successo?
Non ti sembro neppure un po’ più sopportabile, adesso che non sono più il membro
onorario del trio Miracoli, ma uno che si è rotto il cazzo di assurde strategie
per neutralizzare l’avversario? Guarda un po’, sono diventato Satana. Ho perso
la posizione di comodo e non la rimpiango. Sei un po’ più convinto,
adesso?
- Lasciar stare…?
– un blocco di tristezza addensato in fondo alle pupille, come a impedirgli di
aprire gli occhi e guardarlo in faccia senza quel moto di gelida rassegnazione –
Dovrei… lasciar stare, io. Certo. Non pensarci più. Al fatto che preferisco far
affidamento su Bin Laden, piuttosto che su di te?
- Cosa ti costa?
– è quasi una supplica.
- No, tranquillo:
non mi costa niente. È tutto a posto, come vuoi tu… Nicoletti parla e il mondo si piega! –
una risata isterica prontamente schermata col dorso della mano – Del resto, me
lo sono solo ritrovato in quel posto
perché tu, Andrea, andavi a letto col professore. Tanto per farla breve. E oltre
al danno, la beffa, i tuoi insulti che hanno fatto praticamente il giro
dell’istituto, quando ho tentato di chiederti spiegazioni.
- Cosa avresti
detto al mio posto, Gabriele? Io non… non ho fatto nulla, te lo giuro. Erano… Dovevano restare due cose assolutamente
indipendenti e separate. La mia carriera non aveva nulla a che fare con… tutto
il resto. Con la mia vita privata. Come puoi pensare di aver perso l’occasione
per cause extra di cui ero all’oscuro anch’io? Perché, santo Dio, non è così,
Gabriele!
- Non dipendeva
da te… Non l’hai fatto apposta: naturalmente. Però ti sei procacciato in
silenzio tutti i vantaggi che sapevi
di poter procacciarti, e solo schioccando le dita. Ed io sono rimasto
fregato.
- Non è così.
Neri mi aveva giurato che il suo giudizio sarebbe stato assolutamente
imparziale. Mi aveva garantito totale professionalità. E così è stato: il fatto
che… che fossimo stati insieme, non aveva nulla a che vedere con il resto. Anche
se avesse scelto me. Maledizione, Gabriele! C’era un’intera commissione; Neri
valeva il peso di un voto, e anche se avesse voluto, gli sarebbe stato difficile
imporre la sua volontà, perché era già ai ferri corti con mezza commissione. Ma
tu sei venuto da me, sei partito in quarta e mi hai detto di tutto. E sono state
botte da orbi, come puoi immaginare.
- È lecito
pensare che Neri o chi per lui abbia corrotto gli altri commissari? Che abbia
pilotato i giochi a favore del suo pupillo? Se ricordi, ti avevo solo chiesto
che cazzo di accordi sottobanco ci fossero stati dietro la fantomatica
scelta.
- Beh, darmi
della “puttana” in diretta non è proprio una cortese richiesta, non credi? Quando ti
ho risposto che evidentemente ero piaciuto al professore, e che se eri stato
sbattuto fuori, io proprio non sapevo che farci, mi hai risposto che a Neri non
piacevo io, ma gli piaceva scoparmi. E forse lo pensi ancora, che sia andata
così. Ti ringrazio per l’alta considerazione.
- La tua
responsabilità è al cinquanta per cento. Tu sapevi e te ne sei stato zitto a
raccogliere i frutti: come darti torto? Del resto, non ero che un rosicone del
cazzo che ogni tanto tira fuori qualche visione. No?
- Ed io il capo
dei leccaculo raccomandati, oltre che puttaniere da strapazzo. Neanche tu sei
stato tenero con me. Vorrei solo capire perché dai retta alle puttanate di
Alberti e non mi lasci spiegare.
- Non c’è niente
da spiegare, Andrea – un velo d’amarezza davanti agli occhi, un sentore di
attesa.
Si tira su in
piedi, lo sguardo fisso davanti a sé.
- Gabri, aspetta…
– Andrea ha gli occhi lucidi, le ciglia palpitanti.
Si osserva
intorno, smarrito. E cerca ancora una volta il tuo appoggio, il tuo assenso, la
voce un pigolio tremolante incollato alla gola che non vuol saperne di formulare
un concetto logico con cui tradurre la morsa che stringe lo
stomaco.
Ha paura
dell’esito della discussione, Andrea. Per la prima volta, di fronte ai tuoi
occhi non è che un concentrato di rimpianti, di dubbi, d’incertezze che
minacciano di sciogliersi in un torrente di lacrime. È solo e allo
stremo.
- Andre… –
sospiri.
Pensi sia
arrivato il momento di far da paciere, veste quanto mai insolita e improvvisata.
Non sarà mai la scelta giusta. Ficcare ancora una volta il naso in questioni che
non ti riguardano.
E Alberti…
Alberti ha ottenuto almeno parte di ciò che voleva: schierarvi l’uno contro
l’altro, creare l’occasione di conflitto tra i suoi polli.
- È vero tutto
questo? – prosegui, un groppo alla gola.
Andrea è un
fascio di nervi prossimo all’esplosione.
- Sì. È vero. Ma
sì, dai, non fingere con me: ti saranno arrivate le voci. Io… – china lo
sguardo, una confessione che costa più di mille spilli arroventati sulla schiena
nuda – Ho avuto una relazione con Neri. Ho avuto accesso di diritto a quella
fottuta selezione. Ma giuro su quanto ho di più caro, che non c’è nessun legame
tra le due cose. Non che io sappia o che abbia cercato di provocare. Sarebbe
stato impossibile per Neri prostituire ai suoi voleri un’intera commissione con
idee discordi. È… del tutto fuori questione.
- Hai sentito,
Gabriele? Costa davvero tanto provare a dargli fiducia?
Sorride appena,
Gabriele, un’occhiata indecifrabile, sospesa. Amareggiata. Forse vorrebbe
esserne capace, di fidarsi. Tenta di ripulirsi alla meno peggio l’alone di
sangue che gli si allarga sulla parte bassa della faccia. È stanco, Gabriele.
Stanco di quella pantomima.
- Lo senti come
parla adesso? Non è proprio il discorso che mi ha propinato quel giorno. Perché
era gasato al massimo, portato in trionfo dai suoi vecchi compagni: poteva pure
prendersi il lusso di umiliare l’avversario. Qual è il tuo problema, Nicoletti?
Hai una doppia personalità?
- Mi dispiace,
Gabriele – un soffio appena percettibile, le labbra arricciate a contenere un
singulto isterico – Io… mi dispiace. Per questo… sì. Mi dispiace aver usato
quelle parole, anche se il concetto era simile. Ho sbagliato a dar carta bianca
ad Alberti e agli altri, al loro elitarismo di comodo. Ho sbagliato tutto, okay.
Vuoi farmelo pesare in eterno? Ho sbagliato. Credevo di non fare niente di male,
invece non era così, stavo sul carro sbagliato. Vuoi fustigarmi per questo? Vuoi
un esempio tangibile del fatto che non sono come loro? Ho conosciuto Loria: se
davvero fossi stato chiuso a riccio, a seguire ciecamente il loro pensiero, non
le avrei dato mezza possibilità, perché lei a loro non piaceva. Se avessi
seguito quella scia, mi sarei blindato nelle mie posizioni, capisci? Mi sarei
negato centinaia di occasioni per il semplice fatto che loro non le ritenevano degne di
attenzione; non avrei conosciuto ciò che stava fuori della loro ottica. Mi sarei
precluso occasioni, amicizie. E poi magari constringermi, in un secondo momento,
ad abbracciare qualcosa che non mi sarebbe piaciuto. È
abbastanza?
- Gabriele, dai,
basta musi storti! – sei in mezzo a loro, in bilico fra l’incudine e il
martello, avvocato di quelle cause perse, degne di una chance immaginaria – Non
lo vedi? – accenni al volto congestionato di Andrea, in procinto di cedere – Si
è umiliato, denudato. Ti ha chiesto scusa. Cos’altro pretendi, per potergli
credere? Che si metta il cilicio?
- Beh, non so se
denudarsi di fronte a Neri sia stato altrettanto spiacevole – incalza Gabriele,
tagliente, sprofondato fino agli occhi in un fiele in cui forse non vorrebbe
indugiare neanche lui.
È solo che non
può rimangiarsi in un battito di ciglia ciò che ha appena detto, per due
lacrimucce e qualche scusa mormorata con voce tremante. Troppo fottutamente
orgoglioso per non mantenere almeno per un po’ il ruolo di quello che vuol
vedere il sangue… Anche se del sangue non gli è mai importato un
accidente.
- Stai
esagerando, Derossi. Non merita questo trattamento. Sai una cosa? La pensavo
esattamente come te. Nicoletti, ma sì: il fighettino con l’ego alle stelle,
troppo superbo per fraternizzare con i comuni mortali; il raccomandato, l’amico
che conta tra quelli che contano, il principe incontrastato. E adesso, cos’è
quello che vedevi come un concentrato di negatività? È una persona come te. Che
sbaglia, dà fiducia alle persone sbagliate, va nel pallone, ma sa anche compiere
delle scelte.
- La fai facile,
Loria. Non è come dici. Accoglieresti a braccia aperte qualcuno che ti ha
disprezzato e umiliato ogni singolo istante, per il piacere di trovarsi nella
posizione di chi può farlo? Di chi si è finto tuo amico per poi mollarti con un
calcio nel culo, appena ha capito che quelli che gli convenivano erano altri, un
nido di vipere pronte a sputare sentenze?
- No, Gabriele.
Non è il vostro caso. Era confuso, non sapeva di chi fidarsi; ha perso
l’orientamento. Adesso però ha capito qual è il gioco che vale la pena di
giocare.
- Grazie, Elena –
riprende Andrea, tirando su col naso – Gabriele… Se mi disprezzi fino a questo
punto, mi spieghi perché hai impedito ad Alberti di farmi a pezzi, quando aveva
tutta l’intenzione di picchiarmi? Mi spieghi perché da qualche settimana a
questa parte sopporti di starmi vicino a lezione?
Tace, Gabriele.
Colpito come da un dardo in piena fronte.
- Non lo so,
Nicoletti. So solo che… non mi andava. Tutto qui.
- Che cosa non ti
andava?
- Non volevo che
Alberti ti picchiasse. Non quella prima e unica volta che ti ho visto usare il
cervello e dire qualcosa che pensi veramente, non la solita brodaglia precotta
che tutti ritengono giusta.
- Grazie,
Derossi. E scusa… per tutto.
- Non esagerare
però
- No, lasciami
finire! Erano secoli che volevo ringraziarti per aver… preso le mie difese
nonostante tutto. Mi dispiace per averti trascinato dentro questo casino. Mi
dispiace che ne abbia pagato le spese anche tu, che ti sia preso quella
maledetta porta in faccia al posto mio. No, non esagero, ti giuro, potrei
romperti le scatole in eterno, finché non ti deciderai a darmi una fottuta
“seconda possibilità” – pausa imbarazzata; Andrea sembra una mina pronta a
esplodere – E se posso… Quelle dannate canne, Dio mio, buttale al cesso! Hai
capito: Alberti stavolta l’aveva architettata bella pesante. Vogliono farti
buttare fuori e hanno trovato un pretesto. E tu non darglielo, il pretesto,
stattene tranquillo per un po’! Lo sai che cosa rischi? Di cadere nella loro
trappola. È chiaro o devo rigirartela ancora?
- No, non è
necessario. Chi sei per venire da me e fare la mammina
premurosa?
Andrea solleva
gli occhi al cielo, esasperato.
- Sono un
rompicazzo: è il mio nuovo mestiere. Il rompicazzo ufficiale che tutto vede e
nulla tiene a freno; Rompicazzo sarà il mio secondo nome. Almeno, male che vada,
potrò dimostrarti di non essere un deficiente che se la fa sotto.
Contento?
- È una recita,
per caso? O ci credi davvero? Non devi dimostrarmi niente. Cerca prima di tutto
di dimostrarlo a te stesso, che questo non è il tuo ennesimo, patetico
voltafaccia.
- No, perché ho
nulla da guadagnare e tutto da perdere, se ci pensi. Sono tornato studente di
serie B, comune mortale, e pure vagamente sfigato. E non mi sono mai sentito
meglio. Posso dire quello che voglio senza pormi il problema né farmi
condizionare da stupide chiacchiere e diktat friggi-cervello. Cosa vuoi di
più?
- Niente, Andrea.
È un problema tuo – Gabriele si decide a riportare finalmente lo sguardo su di
lui, un barlume d’indulgenza.
- No, è anche un problema tuo. Perché,
casualmente, da questo momento i nostri obiettivi coincidono. Mi perdoni,
adesso?
China il viso a
terra, Gabriele, lo sguardo combattuto; una venatura malinconica a impedirgli il
famoso salto nel buio. Concedergli la sua fiducia.
Intercetta il tuo
sguardo, in cerca di un segnale tangibile.
Anche tu te lo
sei chiesto. Troppe volte: vale la pena accettare Andrea Nicoletti, il suo
cervello pensante e la sua leggendaria lingua tagliente: lingua ben decisa,
stavolta, ad agire di proprio conto, senza bandiere né fili invisibili né
padroncini subdoli in jeans firmati, e senza fare sconti di simpatia a nessuno?
Vale la pena accettare la profferta d’amicizia a scatola
chiusa?
Annuisci: è
troppo presto per dire addio a quel sogno con la mente libera e il cuore
leggero. Per provare a esistere davvero, senza paletti né assurdi timori a
fungere da sipario.
Immobile, segui
il movimento incerto della mano di Gabriele che indugia a mezz’aria, incerta,
per poi posarsi su Andrea e sfiorargli dolcemente una ciocca di capelli,
scostandogliela dal viso. Sorridi, attendi l’atto finale per mettere un punto
fermo e ricominciare a respirare.
- Andre. Mi fido.
Ci proverò, almeno.
Ammicca con gli
occhi stanchi, Andrea, un luccichio di lacrime che, annidato in qualche anfratto
nascosto, sfugge al suo controllo. È come annaspare sulla lama di un rasoio e
ritrovarsi da un momento all’altro scaraventato di sotto, confuso sui propri
passi e poi giù, verso il buio e l’ignoto, senza pensieri.
Accenna solo a un
timido sorriso e gli si getta al collo, una reazione simile a un pianto
liberatorio che a stento riesce a soffocare, la faccia premuta contro la
maglietta di Gabriele. Le dita intrecciate alle tue, possessive, in cerca di
conforto, pronte a stringersi come tenaglie.
Chiudi gli occhi:
sembra piccolo, adesso, una cosetta minuscola e sussultante addossata a un
Derossi che mai come in quel momento sembra sovrastarlo; Derossi e il suo metro
e ottanta e le sue spalle larghe, ossute. Lo osservi. Ha un aspetto notevole,
più che avvenente; bello, se non
fosse per quell’aria perennemente emaciata a scavargli le orbite, le palpebre
sottili incassate in un’espressione guardinga, febbrile.
- Grazie, Gabri.
Io… io non… – Andrea affonda con il viso fra le pieghe della maglia di Gabriele,
tra lacrime e stropicciamenti assortiti.
E poi
nient’altro. Solo un mormorio non facilmente decifrabile, parole che sfumano
troppo in fretta e un fugace sollievo, tra una lacrima confusa in un singulto e
un abbraccio che gronda gratitudine.
Per te non sarà
un problema giocare da quella parte: ci sei sempre stata e, stavolta, adori il
solo fatto di starci a pieno diritto. Dalla parte sbagliata. Attivamente,
stavolta, come un fascio di nervi pronto a esplodere di energia, come miriadi di
particelle impazzite.
*Si avvicina
con fare vagamente furtivo*
Buonasera a
tutti!
Ebbene sì, a
quasi un anno di distanza dall’ultimo aggiornamento di questa storia, in effetti
la distanza un po’ si sente. La genesi di questa storia è strana: oltre ad
essere molto intima e molto “sentita” da parte mia, frammenti di vissuto, di
fantasie, di riflessioni, di sensazioni (particolare ampiamente colto dalla mia
carissima Witch, che ringrazio
tantissimo per i commenti! ?), conta anche un percorso insolito: nasce a fine
gennaio dell’anno scorso quale strascico di un sogno dal forte impatto che mi
aveva lasciato addosso una sorta di “risposta”, una sensazione un po’ strana ma
positiva; viene poi interrotta a maggio dell’anno scorso, causa difficoltà nella
prosecuzione, nonché ripresa della stesura di Noir Trésor… E poi,
inaspettatamente, a distanza di otto mesi (che volete che sia…), precisamente a
metà febbraio di quest’anno, arriva miracolosamente l’illuminazione, e torno ad
innamorarmi di questa storia momentaneamente archiviata.
Comunque sia,
non prometto rapidità negli aggiornamenti, perché conosco la mia incostanza dai
risvolti tragicomici; auguro soltanto una buona lettura, con la speranza di
leggere un po’ le vostre impressioni.
Alla
prossima!^^