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Autore: bluemary    28/03/2010    2 recensioni
Riflessioni dietro un paio di lenti scure.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Albert Wesker
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Uovo n°17

(Prompt: Fragile e Wesker)

Sunglasses

Wesker amava i suoi occhiali da sole. Erano il marchio distintivo della sua persona, almeno quanto il fisico atletico e muscoloso, i capelli biondi perfettamente pettinati all’indietro in ogni occasione –fosse questa un normale briefing, uno scontro mortale con le peggiori creature della Umbrella, un duello con i rimanenti membri della S.T.A.R.S.- e i guanti di pelle che non si toglieva nemmeno durante i pasti.
Se li sistemò meglio sul naso, in un movimento troppo rapido per essere percepito ad occhio nudo.
Anche se adesso erano un lusso necessario per nascondere ciò che era diventato, li indossava regolarmente da prima che il virus di William gli mutasse il colore delle iridi e la forma della pupilla, e perfino in quei suoi ultimi anni da umano non gli erano mai serviti per nascondere le proprie emozioni: per quello bastava la sua totale impassibilità, che gli aveva permesso di volta in volta di fare con successo il doppio e il triplo gioco.
No, le lenti scure con cui fissava il mondo erano lo schermo necessario tra lui stesso e le altre persone, tra la propria ambizione priva di incertezze e l’altrui imperdonabile debolezza; lo infastidiva vedere la miseria degli esseri umani, le vite patetiche di quelli che nemmeno durante la sua adolescenza era mai riuscito a considerare suoi pari: erano troppo facili da spezzare, fisicamente o mentalmente, troppo stupidi o vigliacchi, troppo fragili per meritarsi l’esistenza sul suo stesso pianeta.
Quasi i suoi pensieri si fossero concretizzati, l’improvviso schianto alla sua destra gli fece voltare lo sguardo, senza che il suo passo rallentasse o cambiasse ritmo; a quanto pareva un furgoncino aveva tamponato una moto e adesso il giovane pilota giaceva a terra in una pozza di sangue, con la testa orfana del casco attraversata da un ampio squarcio, mentre le persone attorno a lui vagavano come inutili formiche impazzite. Curvò appena le labbra in una smorfia sprezzante, dinanzi a quell’ennesima prova che avesse ragione –non che ne avesse davvero bisogno-, sentendo il cuore del ferito rallentare istante dopo istante e poi fermarsi inesorabilmente, ucciso più dal panico dei suoi inetti soccorritori che dall’incidente in sé.
Da dietro gli occhiali da sole, le sue iridi rosse scivolarono sul corpo privo di vita del ragazzo con la stessa impassibile indifferenza che aveva riservato al suo mentore morente, quel lontano giorno in cui, assieme a William, lo aveva ucciso.
Gli umani erano così fragili.
   
 
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