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Autore: PerseoeAndromeda    28/03/2010    3 recensioni
Con un ritardo cosmico, un regalo di compleanno per Hyoga^^ Devo ringraziare la mia amica Charlie (qui Shun di Andromeda) per avermi suggerito l'idea e il mio amico Pisces Aphrodite per il betaggio^^ Hyoga si è dato il disegno... e si è messo in testa di creare il suo capolavoro;P Forse come genere avrei dovuto aggiungere il fluff ma non ho molta dimestichezza con il termine^^
Genere: Generale, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Andromeda Shun, Cygnus Hyoga
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La gomma passò per l’ennesima volta sul foglio bianco, ormai rovinato dalle cancellature impietose; il ragazzo che da ore tent

IL RITRATTO IDEALE

 

 

La gomma passò per l’ennesima volta sul foglio bianco, ormai rovinato dalle cancellature impietose; il ragazzo che da ore tentava di tracciare linee sul pezzo di carta sbuffò, nervoso.

“Come può risultare il suo candore in mezzo a questi segnacci neri?” pensò, decidendo di allontanare da sé il foglio. Non l’avrebbe gettato, per non sprecarlo, ma l’avrebbe conservato per ritrarre qualcosa di meno prezioso; Shun meritava di meglio, meritava una superficie immacolata com’era lui perché la sua bellezza spiccasse circondata solo dal bianco puro senza imperfezioni.

-Ma cosa mi sono messo in testa?- sbottò Hyoga spingendo indietro la sedia, con uno stridio fastidioso. Quindi si alzò, infilandosi le mani in tasca e camminò fino alla finestra aperta sul grande parco di Villa Kido, imbiancato da spruzzi di neve.

-Se solo potessi disegnare sulla neve…- mormorò, stringendo gli occhi ed assumendo un’espressione malinconica -ma forse non servirebbe a nulla, neanche il bianco della mia Siberia è così puro da dimostrarsi degno di lui…

Da quando ai sacri guerrieri era stata concessa un po’ di tregua, Hyoga si era ricordato di un’antica passione trasmessagli dalla madre nei primissimi anni della sua infanzia: il disegno. La memoria improvvisa di quelle giornate trascorse ad osservare la donna, che gli aveva dato la vita, mentre faceva scorrere la mano sul foglio, materializzando magie, lo aveva spinto a provare, spinto da un irrefrenabile istinto; e da quel giorno non era più riuscito a smettere. Aveva disegnato di tutto, piante, animali, ritratti, alla perenne ricerca di un’ispirazione unica, un’occasione adatta che accendesse nel suo animo la fiamma del capolavoro. Il capolavoro vivente nel mondo era Shun… ed il proprio capolavoro personale doveva essere un suo ritratto.

Ci provava da giorni ma, per quanto ci si impegnasse, la figura bidimensionale che si formava sulla carta, dal suo punto di vista non rendeva giustizia all’originale. Com’era possibile rendere, in pochi tratti, quanto di più meraviglioso ed incantato esisteva sulla terra?

Forse poteva sembrare, ad un occhio esterno, che l’animo innamorato lo facesse ragionare così, ma non ne era sicuro: chiunque, vedendo Shun, incontrandolo anche una sola volta nella vita, doveva ammettere che c’era qualcosa di speciale in lui, qualcosa che non poteva essere reso a parole, così come non poteva concentrarsi in un semplice disegno, per quanto ben fatto.

Sorrise tra sé, senza smettere di guardare fuori e scostandosi un ciuffo di capelli dalla fronte:

-Ma cosa avrà mai fatto quello stravagante esserino per ridurmi così?

Non sapeva trovare una risposta razionale: poteva solo sostenere di essere giunto ad un punto in cui il solo pensare rivolto a quei due occhi da cerbiatto lo faceva impazzire d’amore ed il cuore con un balzo gli saltava in gola fino a soffocarlo.

Un ticchettio leggero alla porta… solo una persona bussava così… l’avrebbe riconosciuto tra mille… e quel cuore che ormai aveva perso ogni difesa a causa dell’amore, prese a battere forte, tanto da fargli male.

-Avanti- disse con una dolcezza che per troppo non gli era appartenuta, forse parlò a voce troppo bassa, ma sapeva che chi stava dall’altra parte l’aveva udito, ormai si conoscevano così bene da intuire le reazioni l’uno dell’altro.

La porta si schiuse con un lieve cigolio e la leggiadra figura di Shun scivolò nella stanza, lieve come una farfalla che si posava su un fiore. Teneva le braccia dietro la schiena e sul volto un timido sorriso, mentre gli occhi guardavano in basso; Hyoga notò anche un lieve rossore sulle guance il cui candore rivaleggiava con quello della neve fuori dalla finestra.

Anche Hyoga sorrise, nel salutarlo ed invitarlo ad entrare, a non restare sulla soglia, ostacolato dalla sua solita ritrosia.

-E’ che…- esordì finalmente Shun, senza riuscire a risollevare lo sguardo e le parole gli rimasero bloccate nella gola. Ma il suo sorriso si accentuò.

-Che cosa?- indagò Hyoga un po’ perplesso, un’inflessione di divertita tenerezza nella voce.

Dopo qualche istante in cui sembrava cercare il coraggio per parlare, Shun portò le braccia davanti a sé, le tese verso Hyoga, porgendogli l’oggetto che teneva stretto tra le dita; nel compiere quel gesto il volto scomparve abbassandosi di più e Hyoga poteva scorgere solo i capelli di quel bizzarro colore che comprendeva tutte le sfumature possibili dal rosso al castano chiarissimo, mentre dal ragazzino spaurito da se stesso si levava un’esclamazione nervosa:

-Buon compleanno, Hyokkun!

Il santo del Cigno schiuse le labbra, fissando, con un punto interrogativo dipinto in volto, il pupazzo a forma di orso bianco che ricambiava lo sguardo dai suoi occhi di vetro. Se n’era dimenticato: quel giorno era il suo compleanno. Ma Shun no, lui ricordava sempre tutto, laddove aveva la possibilità di donare un gesto d’amore ai propri affetti.

Dopo l’iniziale stupore, il sorriso ritornò sul volto di Hyoga: Shun era sempre in grado, tra l’altro, di scegliere il regalo giusto. Un orso polare… elemento integrante di quella sua terra lontana coperta dai ghiacci… Orsi polari che Cristal Saint spesso sceglieva come compagni d’addestramento improvvisati, ai quali Hyoga ed Isaac dovevano imparare a bloccare le zampe nel ghiaccio per salvarsi dall’aggressione. E poi scappare via in tempo, prima che riuscissero a liberarsi, perché quel che Cristal desiderava non era insegnare ai suoi ragazzi a far del male realmente ad altri esseri viventi senza che ce ne fosse reale necessità.

-Oh… Shun…- sussurrò Cygnus, prendendo tra le proprie mani il pupazzo, sottraendolo a quelle del piccolo compagno, evidentemente imbarazzatissimo. Le braccia del ragazzino ricaddero, il capo rimaneva abbassato ed affossato tra le spalle, i pugni si strinsero ai fianchi e si lanciò in un teso, frettoloso balbettio:

-Lo so… è stupido… ma a me piaceva e non sapevo cosa…

Hyoga posò l’orsacchiotto sulla scrivania, desideroso di avere le mani libere per cercare, con esse, il volto nascosto del compagno; le sue dita toccarono le guance morbide di Shun, lo forzarono dolcemente a sollevare il viso:

-Sei così dolce…

Finalmente poté incontrare i suoi occhi, di un verde marino così intenso e straordinario da volercisi perdere dentro, fino ad affogare. Smarrirsi totalmente in lui, questo desiderava Hyoga, nella loro consistenza acquosa a causa della commozione; era ingiusto, forse era crudele nei confronti di Shun, ma Cygnus non poteva fare a meno di pensare che quando quegli occhi si intridevano di lacrime diventavano ancora più splendidi nella loro magia. E il santo di Andromeda piangeva fin troppo facilmente, ogni emozione, positiva o negativa che fosse, si esprimeva con il pianto trasparente del sentimento sincero, senza inibizioni, né vergogna di mostrarsi, e per quel motivo il suo tesoro era tanto speciale e puro, per quel motivo Hyoga si sentiva tanto fortunato a costituire una parte fondamentale del cuore del piccolo amico.

Abbassò il volto, dalla sua altezza di fronte alla quale Shun sembrava davvero minuscolo e, senza togliere le mani dalle sue guance, posò le labbra su quelle del ragazzino; questi assecondò il bacio chiudendo gli occhi ed abbandonandosi totalmente, senza neanche tentare di arginare le lacrime che avevano cominciato a scendere lungo le gote ancora di bimbo.

Più tardi erano sdraiati fianco a fianco sul letto di Hyoga; non avevano fatto l’amore, si erano limitati a scambiarsi tenerezze, il peluche a forma di orso schiacciato in mezzo a loro, conteso, mentre chiacchieravano pacatamente di tante cose, della loro vita tanto dura, del loro amore che consolava entrambi.

Poi, mentre scendeva la sera, Shun fu il primo ad addormentarsi; non si erano resi conto delle ombre che si allungavano all’interno della stanza. Avevano passato a letto l’intera giornata, completamente ignari del mondo al di fuori, il mondo ignaro di loro e raramente si erano sentiti così bene.

Hyoga rimase sveglio per un po’, ad osservare il suo bell’addormentato che poggiava la testa contro il suo petto, tenendo l’orsacchiotto stretto sul cuore; Cygnus ridacchiò lievemente, pensando che il ragazzino avesse fatto anche un regalo a se stesso con quel pupazzo morbido quanto lui.

Infine, cullato dal tenero respiro del compagno, dalla rilassatezza che il contatto con colui che era diventato quanto di più prezioso avesse al mondo gli procurava, si decise a chiudere gli occhi, sprofondando in un sonno profondo, il braccio allungato a circondare le spalle sinuose di Shun, che si agitò un po’, borbottando qualcosa di incomprensibile mentre Hyoga si stringeva più a lui, ma senza svegliarsi. La finestra rimase aperta in quella notte d’inverno, ma nessuno di loro due sentì freddo, Hyoga perché abituato a climi peggiori, Shun perché protetto da un caldo abbraccio d’amore.

 

 

 

***

 

 

Si svegliò quando il primo raggio di sole entrò dalla finestra; l’aria era ancora fredda, ma quel barlume tiepido lasciava prevedere che la neve non avrebbe resistito per molto. Si immalinconì: stava meglio se c’era la neve, si sentiva un poco più a casa, quella casa alla quale non tornava da mesi, perché il suo ruolo di guardia del corpo della Dea lo spingeva a non allontanarsi e, forse, soprattutto perché aveva trovato l’amore… e certo non se la sentiva di spingere Shun a lasciare tutti gli altri fratelli per partire con lui. Shun non era fatto per la Siberia, Shun doveva avere tutti loro intorno, Ikki-Niisan soprattutto, che si era deciso a mettere finalmente radici laddove si trovava il fratellino.

Hyoga era perfettamente consapevole che lui ed Ikki amavano Shun allo stesso modo, così come era perfettamente consapevole di non poter chiedere al santo di Andromeda di scegliere: aveva già sofferto troppo nella vita, il suo cuore delicato aveva subito troppe ferite. Non si poteva pretendere di spezzarlo definitivamente, obbligandolo a rinunciare ad una parte fondamentale di esso, perché il cuore innamorato di Shun era inesorabilmente diviso, nessuno di loro aveva altra scelta.

Lo cercò, la prima cosa che aveva bisogno di vedere era il viso dell’amato, per fugare quella sensazione di vuoto che lo colse improvvisamente. E non appena ebbe strappato del tutto i sensi al sonno, comprese il motivo di tale sensazione: nel letto accanto a lui non c’era nessuno, Shun doveva essersi svegliato prima per poi alzarsi, con la sua solita delicatezza, facendo attenzione a non disturbare chi gli stava accanto.

“Però avrei preferito che mi svegliasse… e che non mi lasciasse solo così” pensò imbronciato, offeso come un bambino abbandonato dalla mamma.

Mise i piedi a terra, godendo del vento frizzante che, dalla finestra aperta, giungeva fino a lui, stirò le membra irrigidite dall’aver condiviso il suo letto ad una sola piazza con un’altra persona, ma quel fastidio muscolare non lo irritava affatto, era un prezzo da pagare più che equo in cambio della vicinanza di Shun. Si infilò una vestaglia prima di uscire dalla stanza, in modo da non mostrarsi nudo a chiunque avrebbe potuto incrociare, prese con sé i vestiti, quindi si recò fino al bagno che si trovava al piano dei dormitori, condivisi con i fratelli. Ricordò che una volta, quando lui ed altri novantanove bambini, la maggior parte dei quali scomparsi durante l’addestramento, vivevano lì tutti insieme, dovevano condividere le stanze e non potevano permettersi di averne una a testa.

Si lavò velocemente, si vestì ed andò a bussare alla porta di Shun; da tempo non riusciva a stare troppo a lungo lontano da lui.

Nessuno rispose; evidentemente il santo di Andromeda era sceso ai pieni inferiori o forse era uscito. Prima di scendere a propria volta, fece nuovamente tappa nella propria stanza per prendere gli ormai inseparabili fogli da disegno, insieme a una gomma e ad una matita, quindi si rimise in caccia, sperando che l’agognata preda non si fosse rifugiata in un luogo troppo irraggiungibile.

Non incontrò anima viva prima di raggiungere il giardino, i fratelli che abitavano come lui alla tenuta dei Kido dovevano essere impegnati in faccende che li tenevano chiusi da qualche parte oppure in giro per la città; probabilmente Shiryu dormiva ancora o era concentrato su qualche studio nella vasta biblioteca del palazzo, per Jabu era prevedibilmente troppo presto e con ogni probabilità si stava attardando nel mondo dei sogni. Alcuni di loro, tra i quali proprio Shun, erano abituati a fare una corsa prima di colazione.

“Avrebbe potuto chiedermi se volevo andare con lui” rifletté, una mano affondata nelle tasche, mentre l’altra mano era stretta sul materiale da disegno ormai diventato quasi un’appendice del suo corpo.

Dopo pochi passi, il suo volto fu rischiarato da un sorriso; davanti a lui, appollaiato sotto un albero, se ne stava semisdraiato Shun, la testa poggiata su un cuscinetto di terra libero dalla neve che doveva essergli sembrato particolarmente comodo, il braccio languidamente abbandonato sull’addome, chiaramente addormentato.

Dopo l’attimo di piacevole sorpresa, Hyoga fu colto dalla preoccupazione: quello sciocchino del fratello era uscito a passeggiare nella neve e poi, del tutto incurante della cappa ancora rigida di gelo, si era appisolato senza sicuramente fare un grosso favore al suo corpo. Tra l’altro era sempre stato abbastanza freddoloso, nonostante le dure esperienze l’avessero condotto spesso in luoghi proibitivi dal punto di vista climatico e il suo corpo dall’apparenza fragile fosse, in realtà, abbastanza temprato.

Il santo del Cigno si avvicinò, notando così che Shun era stato abbastanza previdente da vestirsi con una giacca pesante e non era una cosa tanto scontata, dato che il piccolo Andromeda tendeva, non così raramente, a trascurare certi dettagli, perso nel suo mondo di sogni e ricordi com’era sempre.

Si mise seduto al suo fianco, senza distogliere lo sguardo dal bell’addormentato e senza abbandonare il sorriso che gli solcava il volto, come se stesse contemplando la più bella delle divinità.

Senza pensarci tenne in una mano il foglio e nell’altra la matita, la punta cominciò a correre sulla superficie lievemente porosa; Hyoga non guardava il foglio, teneva lo sguardo fisso sul suo tesoro e la matita sembrava lavorare da sola, senza incertezze né blocchi. Ogni tratto usciva dalla punta morbido e sicuro, leggiadro in ogni ciocca di capelli e in ogni sfumatura delle ciglia chiuse.

La mano si fermò solo dopo parecchi minuti di silenzioso raccoglimento, interrotto soltanto da qualche fruscio e qualche rumore distante reso ovattato dall’atmosfera creata dal manto di neve che tutto attutiva e avvolgeva come in una nube. La matita scivolò via dalle dita e rotolò sul foglio, fino a perdersi da qualche parte, a terra, senza che il proprietario ci facesse troppo caso; neanche allora Hyoga aveva distolto lo sguardo dal candido viso dell’amato, ancora non aveva smesso di sorridere, il cuore intriso di felicità perché, in quel momento, accarezzato dal sonno gentile, Shun appariva tranquillo, sereno, come solitamente non riusciva ad essere del tutto e Hyoga lo sapeva, per quanto il ragazzino più piccolo facesse di tutto per celare il proprio tormento interiore.

Un leggero tremito delle ciglia preannunciò il graduale ritorno dal mondo dei sogni, accompagnato da un brivido che scosse le membra apparentemente magre, ma in realtà armoniose nella muscolatura modellata con grazia sotto gli abiti un po’ ingombranti.

-Lo sapevo che avresti sentito freddo al risveglio - brontolò Hyoga sostituendo al sorriso un’espressione severa - Sei un incosciente!

Gli occhi si aprirono con più decisione, mentre il ragazzino ebbe un moto di autentica sorpresa.

-Hyokkun!- esclamò, sollevandosi velocemente fino a mettersi seduto, probabilmente imbarazzato per essere stato colto in quella situazione bizzarra.

Infatti distolse quasi subito lo sguardo, le gote erano arrossate come spesso accadeva a Shun nei momenti di maggiore vergogna o incertezza:

-Mi sono addormentato senza accorgermene… era tutto così bello, silenzioso… quasi magico… non ho potuto fare a meno di abbandonarmi al sogno e…

-E ti sei messo a sognare davvero- ridacchiò Hyoga, concludendo in nome dell’amico quel discorso pronunciato in un sussurro insicuro e sottile.

Senza sollevare lo sguardo, il santo di Andromeda si lasciò andare ad un sorriso disarmante, tenero, che fece accelerare il battito del cuore di Hyoga; il santo del Cigno non poté trattenersi dal sollevare una mano fino a posarla tra i riccioli d’oro rossiccio dell’amato, affondando nella loro soffice consistenza e strappando al fratellino un sospiro di beatitudine.

Crogiolandosi in quella carezza, Shun sollevò il viso e chiuse gli occhi, come in estasi, quindi si lasciò scivolare di lato, fino a posare una guancia sulla spalla di Hyoga. Questi, dal canto suo, seguiva, rapito, ogni movimento del suo cucciolo dagli occhi verdi, con lo stesso incanto che gli avrebbe trasmesso l’ammirare le evoluzioni di un angelo; vide gli occhi dalle lunghissime ciglia schiudersi appena, poi spalancarsi una volta che lo sguardo incrociò il foglio ancora sul grembo di Hyoga.

Seguì un’esclamazione di sorpresa e le mani eleganti del ragazzino si avventarono con fin troppa foga sull’album da disegno, tanto che Hyoga gli prese il polso con una certa fermezza:

-Piano! Non sai quante settimane mi ci sono volute per dare forma al mio capolavoro?

-Ma… sono io?- mormorò Shun incredulo, la mano a mezz’aria, non osando più sfiorare il foglio.

-Guarda che puoi toccarlo- lo incoraggiò Hyoga -Solo… con delicatezza…

Allora Shun sollevò piano il foglio, affondò lo sguardo in ogni singola linea, gli occhi luccicanti per la commozione:

-Mi hai fatto… davvero bello… sono così insignificante al confronto di questo ritratto…

-Tra tutte le sciocchezze che potevi dire, questa è la più colossale.

Senza lasciarlo finire, Shun distolse gli occhi dal disegno per affondarli in quelli di Hyoga, sorridendo come solo lui sapeva fare:

-Vedendo questo ritratto mi rendo conto che devi amarmi… solo gli occhi di un innamorato avrebbero potuto migliorare a tal punto l’originale.

Stanco di ascoltare quelle che per lui erano assurdità rasentanti l’eresia, Hyoga circondò con le proprie mani le guance di Shun, cogliendolo alla sprovvista e costringendolo a guardarlo fissamente:

-Lo sai perché questo ritratto ci ha messo tanto per vedere la luce?

Andromeda sbatté un poco le palpebre, non disse nulla, ma sul suo volto vi era una domanda inespressa, così Hyoga continuò:

-Perché non è possibile riprodurre su un semplice pezzo di carta la tua essenza… perché tu sei troppo bello… bello nel corpo perché in esso si rispecchia la tua anima…

Shun sussultò, un piccolo singulto, lieve come uno squittio uscì dalle sue labbra appena aperte, gli occhi si accesero di miriadi di luci simili a stelle.

-Questo intendevo- sussurrò Hyoga... ed il suo volto si chinò a posare un bacio sulle labbra dolcissime.

 

 

 

   
 
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