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Autore: pizia    29/03/2010    1 recensioni
Sauron ha di nuovo l'Anello, ma qualcosa gli impedisce ancora di sferrare il suo attacco definitivo alla Terra di Mezzo
Genere: Drammatico, Avventura | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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- PROLOGO -

 

Fallimento.

Era l’unica parola che continuava a ritornare nella mente dell’elfo.

Era l’unica parola che l’acqua sussurrava scorrendo lenta tra i ciottoli levigati disseminati nel suo letto.

Era la sola parola che bisbigliavano i mallorn millenari che, come se fossero lacrime, cominciavano per la prima volta a perdere le loro foglie.

Anche il vento, infilandosi nelle stanze ormai vuote di Gran Burrone, piangeva il fallimento della Compagnia.

Elrond sospirò stancamente, guardando ciò che lo circondava con profonda malinconia.

Presto di tutto quello che aveva costruito non sarebbe rimasto più nulla.

Gli sembravano pochi anni da quando, sconfitto Sauron, si era ritirato lì, eppure era passata un’intera era...

Ricordava ancora come si era sentito quando era giunto in quei boschi: era amareggiato per il tradimento di Isildur, e aveva giurato che mai più avrebbe avuto a che fare con il mondo degli uomini, che avrebbe lasciato che si distruggessero da soli con le loro stesse mani. Ma quando aveva messo piede in quel piccolo bosco sperduto, aveva sentito il suo cuore alleggerirsi di tutte le pene e di tutte le fatiche. Quello era uno dei pochi posti che, nonostante tutto, Sauron non era riuscito a corrompere, a distruggere. Sentiva la pace scorrere tra gli alberi come linfa vitale e la tranquillità salire dalle pietre del terreno, e diffondersi ovunque.

Era capitato in quel bosco quasi per caso, alla ricerca di un posto in cui isolarsi da chi lo aveva tradito; era arrivato per caso a Gran Burrone, ma aveva immediatamente compreso che quella sarebbe stata la sua casa.

Non era riuscito tuttavia ad isolarsi, insieme ai suoi elfi, dal resto del mondo e non era nemmeno riuscito ad evitare di piangere per la morte del re degli uomini, anche se a condurlo alla morte era stata la sua stessa brama di potere. Una volta, in fondo erano stati amici... prima che l’Unico alienasse la sua mente e il suo spirito.

Non era riuscito ad estraniarsi, eppure aveva dimenticato: aveva conservato con cura ogni singolo frammento di Narsil, la lama che aveva separato l’Anello del Potere dal suo padrone, ma aveva dimenticato troppo in fretta che quel flagello abitava ancora nella Terra di Mezzo, nascosto da qualche parte in attesa di un occasione.

E ora l’anello era di nuovo nelle mani di Sauron: la loro sconfitta era giunta prima ancora che la guerra vera e propria cominciasse.

Aveva provato ad odiare l’hobbit che aveva fallito.

Aveva provato a dare a lui la colpa della distruzione che presto... troppo presto... si sarebbe abbattuta incontrastata sul loro mondo.

Aveva provato a ritenerlo responsabile di quella funesta riunione.

Ci aveva provato, eccome, m non ci era riuscito.

Quella piccola creatura, e i suoi amici con lei, aveva dimostrato un coraggio che mai avrebbe potuto credere di trovare in uno della sua razza.

Si era trovato invischiato suo malgrado in una storia troppo grande per lui, eppure non si era tirato indietro.

Nessuno gli aveva chiesto di portare l’anello sino al cuore di Mordor, e nessuno si era aspettato che si offrisse volontario per farlo, eppure il piccolo Frodo Baggins lo aveva fatto.

Avrebbe potuto tornare alla sua tranquilla Contea e attendere che altri, sicuramente più adatti di lui, adempiessero a quel gravoso compito e si opponessero all’Oscuro Signore; e invece si era assunto quel fardello, rinviando in quel modo di molto il fallimento di quella missione suicida.

Già, perché se Frodo non fosse andato a Mordor, qualcun altro avrebbe dovuto farlo al suo posto, e, chiunque fosse stato, questo qualcuno non avrebbe potuto resistere al potere dell’anello tanto a lungo quanto lo aveva fatto l’hobbit.

Non avrebbe certo potuto farlo un nano, troppo sensibile alla bellezza di simili oggetti; men che meno avrebbe potuto farlo un uomo, questo era più che certo; ma Elrond dubitava che persino un elfo sarebbe stato in grado di adempiere a quel compito... dubitava persino di se stesso.

Galadriel aveva resistito quando Frodo glielo aveva offerto, ma in realtà la Dama di Lothlorien non era mai giunta a contatto con quel piccolo cerchietto di metallo; non lo aveva mai toccato, mai indossato, mai posseduto... Lo aveva solo visto, e già così superare la prova era stato difficile per lei... Se lo avesse anche solo sfiorato per qualche istante, tutto avrebbe potuto essere diverso... molto diverso...

No, nemmeno gli Elfi, pur essendo senza dubbio la razza meno esposta, erano immuni dal malefico potere dell’anello.

Solo quel piccolo, straordinario hobbit aveva potuto resistere fino a portare quasi a termine la sua missione, e sarebbe bastato solo un pizzico di fortuna in più ed ora Sauron sarebbe stato sconfitto per sempre, insieme al suo terribile gioiello.

Solo quando l’anello era stato tanto vicino al suo padrone era riuscito a sopraffare Frodo; solo sull’orlo delle fauci del Monte Fato Frodo aveva ceduto e si era rifiutato di separarsene.

Lo aveva infilato al dito per sfuggire all’attacco di Gollum e Sauron aveva saputo che ciò che più di ogni altra cosa bramava era molto più vicino di quanto pensasse...

Erano passati pochi istanti da quando Frodo aveva indossato l’anello e il Signore dei Nazgul era piombato sulla voragine del monte, ad una velocità innaturale; aveva spinto nella bocca del vulcano Gollum, mettendo fine a quella patetica esistenza sconvolta definitivamente dalla consapevolezza che ormai non avrebbe mai più recuperato il suo tesoro; aveva completamente ignorato le urla di Sam, che invano cercava di riportare il suo padrone al mondo reale. Si era semplicemente posato sulla stretta lingua di roccia che si spingeva fino al centro del cratere, esattamente di fronte al punto in cui Frodo era sparito quando aveva indossato l’anello.

Il Nazgul era l’unico che potesse vedere l’hobbit, o meglio, ne vedeva la proiezione nel mondo degli spiriti.

“Dammi l’anello Frodo Baggins...” aveva sibilato senza bisogno di muovere le labbra spettrali.

Lo sguardo dell’hobbit era fisso nel nulla, allucinato.

Sapeva di non essere più in grado di dominare il suo corpo e la sua mente, tanto da non riuscire nemmeno a voler togliersi l’anello dal dito. Sentiva, ovattate come se provenissero da un’altra dimensione, le parole di qualcuno che lo pregava di tornare indietro, qualcuno che lo chiamava per nome, qualcuno che sapeva cosa gli stava accadendo. Ma non riconosceva quella voce, anche se sentiva che avrebbe dovuto.

Le uniche cose di cui era distintamente consapevole erano il pulsare della vecchia ferita alla spalla, come se questa reagisse al richiamo dello spettro che aveva di fronte, e le parole dello spettro stesso.

“Dammi l’anello Frodo Baggins...” aveva detto di nuovo il Nazgul, allungando verso Frodo uno dei suoi bianchi artigli.

Fino a quel momento il solo pensiero di separarsi dall’anello era stato insopportabile per Frodo, e invece in quell’istante la sua mente non riusciva a trovare un solo motivo valido per cui non avrebbe dovuto affidare al quel mostro il suo fardello.

Sentiva l’anello pesante al suo dito... minacciava di trascinarlo con sé nel fuoco della terra...

Non voleva morire, non dopo aver resistito fino a quel punto.

L’unico pensiero coerente che la sua mente terrorizzata riusciva a formulare era: “Devo solo liberarmi dell’anello e tutto questo incubo sarà finito... potrò finalmente tornare a casa...”.

Immagini scomposte della Contea in fiamme e di Sam incatenato, erano tornate per un istante alla sua mente, frammenti di ciò che aveva visto nello specchio di Galadriel, ma, prigioniero nel mondo degli spiriti, Frodo non aveva riconosciuto né la sua casa né il suo migliore amico.

“L’anello!!!” aveva sibilato per la terza volta con rabbia la creatura che aveva di fronte, e se fino a quel momento le sue erano sembrate delle richieste questa volta era stato un ordine categorico.

Senza quasi accorgersene l’hobbit aveva portato la sua mano sinistra a stringere la destra, al cui anulare bruciava l’anello di Sauron. Ormai il peso e il calore erano insopportabili...

Lentamente si era sfilato l’anello dal dito e, un attimo prima di tornare nel mondo reale, lo aveva consegnato nella mano del Nazgul. Un istante dopo era crollato, nuovamente visibile, nel punto stesso in cui era riapparso, portandosi le mani alle orecchie per non sentire l’urlo di trionfo del Nazgul.

Quest’ultimo non aveva perso tempo, librando in volo il suo infernale destriero, diretto alla torre in cui il suo aguzzino lo attendeva: forse anche per lui l’agonia era finita.

Non appena il Nazgul aveva nuovamente lasciato libero il passaggio, Sam si era precipitato sul corpo immobile del suo padrone, piangendo come un bambino e chiamandolo per nome.

Poi tutto aveva cominciato a tremare: forse era il potere di Sauron finalmente ricongiunto al suo anello che poteva scuotere la terra fin nelle più remote profondità, o forse era la terra stessa che, presagendo tutto ciò che sarebbe accaduto ora che il male non aveva più ostacoli, aveva deciso di porre da sola fine alle sue sofferenze.

Sam non si era fatto prendere dal panico: si era caricato sulle spalle il suo padrone, proprio come fino ad allora aveva portato pentole e provviste. Aveva corso nella maniera più veloce che le sue corte gambe gli avevano permesso, sentendo la terra sgretolarsi pochi passi dietro di lui. Aveva sentito dietro di sé il cuore della terra rivoltarsi, e il calore crescere a dismisura, e per questo aveva preso a correre ancora più velocemente. Non voleva che il suo buon padron Frodo dovesse morire anche lui tra le fiamme del Monte Fato...

Aveva camminato per più di due mesi interi, quasi senza mai fermarsi per riposarsi e mangiando ciò che trovava mentre camminava. Non conosceva la via del ritorno, ma la forza della disperazione guidava i suoi passi. Sapeva che Gran Burrone era, ancora una volta, l’unica speranza per il suo padrone, e a Gran Burrone era deciso a tornare.

Aveva raggiunto la sua metà solo pochi giorni prima, e farsi spiegare l’accaduto non era stato facile per il re degli Elfi.

Ora era ancora lì, nella piccola stanza dove Frodo Baggins dormiva un sonno innaturale popolato da incubi paurosi. Il suo corpo non era ferito, non gravemente almeno, ma il suo spirito si era spinto troppo in là sulla via aperta dalla ferita alla spalla.

“Non guarirà mai del tutto” aveva detto Gandalf a proposito, ed ora Elrond temeva che per il coraggioso hobbit non ci fosse molto da fare: nemmeno la medicina elfica poteva curare lo spirito delle creature. L’unico che forse poteva fare qualcosa per aiutarlo era proprio Sam, ma questo il re degli Elfi non lo aveva detto all’hobbit distrutto: non c’era bisogno di caricarlo di un nuovo, così pesante fardello, anche perché, pur ignorando di poter fare qualcosa, lui sarebbe comunque sempre rimasto vicino al suo padrone.

Elrond scosse di nuovo la testa, incapace di immaginare sino in fondo quello che sarebbe successo ora.

Appena Sam aveva riportato Frodo a Gran Burrone, aveva indetto un altro consiglio, per cercare di organizzare un nuovo esercito che, come era già successo, si opponesse di nuovo a Sauron.

Sapeva benissimo che non sarebbe servito a nulla, dato che Sauron non avrebbe commesso di nuovo gli stessi errori del passato, e dato anche il fatto che ora non potevano più contare nemmeno sull’appoggio di Isengard.

La torre era stata distrutta, ma Saruman il Bianco si era dileguato e quasi sicuramente stava ora facendo alla torre di Barad-dur quello che non poteva più fare a Isengard.

Quella del Fosso di Helm sarebbe probabilmente stata l’unica battaglia che avrebbero vinto in quella guerra senza speranza.

L’unica cosa che risollevava un po’ il morale del re era il sapere il suo popolo, e soprattutto sua figlia, al sicuro al di là del mare.

Non era stato semplice convincere Arwen a lasciare la Terra di Mezzo: solo in quei momenti in cui la giovane si ostinava a rifiutare quell’ipotesi si era pienamente reso conto di quanto avesse sottovalutato l’amore che la legava ad Aragorn... I suoi occhi erano colmi solo dell’immagine del ramingo mentre la nave salpava silenziosa dai Porti Grigi. Per un attimo Elrond aveva temuto che la ragazza si gettasse in acqua pur di ritornare dal suo amore impossibile e mortale...

Alla fine però il senso del dovere aveva prevalso: le aveva affidato la guida del suo popolo fino a quando anche lui non avesse potuto finalmente raggiungere le terre immortali, e lei gli aveva promesso che lo avrebbe condotto sano e salvo fino a quei luoghi di pace.

Ora però Elrond dubitava che il giorno in cui avrebbe abbandonato la Terra di Mezzo sarebbe mai arrivato.

L’anello era perso, ed egli sapeva che, nonostante tutto quello che si era ripromesso e nonostante il fatto che ormai il tempo degli Elfi fosse finito, non sarebbe riuscito ad impedirsi di impugnare di nuovo il suo arco e la sua spada per tornare a combattere, e probabilmente a morire, ancora una volta al fianco degli uomini.

“Non devi perdere la speranza, signore di Gran Burrone...” disse una voce soave, eterea tanto da sembrare quasi irreale, alle sue spalle.

Elrond si voltò e si trovò di fronte la dama degli Elfi di Lothlorien.

“Già una volta Sauron è stato sconfitto, ma se combatteremo senza speranza nel cuore non ci sarà nessuna possibilità di vittoria questa volta...”.

Elrond sospirò: “La speranza aveva già abbandonato queste terre prima ancora che Sauron ritrovasse l’anello... e ora che i due sono riuniti...”.

“Ti sbagli Elrond. La speranza abita ancora la Terra di Mezzo e combatte per non essere sopraffatta...” rispose dolcemente Galadriel. “Tu stesso gli hai dato il nome che porta...”.

Per qualche istante il re di Gran Burrone non comprese le parole enigmatiche dell’altro elfo, ma quando il loro significato fu chiaro alla sua mente, scosse di nuovo la testa sospirando: “Aragorn è solo un uomo...”.

“Anche Isildur lo era...” ribatté Galadriel.

“Appunto!” esclamò Elrond, quasi con rabbia. “Anche Isildur era un uomo, e se non fosse stato per lui ora non ci ritroveremmo di nuovo sull’orlo del baratro. Non è il sangue di Isildur che gli scorre nelle vene che renderà Aragorn un uomo migliore...” e questa volta era solo l’amarezza ad albergare nelle parole del padre di Arwen.

“Un tempo non la pensavi così... Un tempo avevi fiducia in lui... Tu stesso l’hai chiamato Estel... Tu stesso hai visto in lui la speranza di questo mondo... Cosa è cambiato ora?”.

“Ora ho paura Galadriel...” ammise Elrond in un sospiro. “Ho paura per il mondo che amo, ho paura per me stesso... ho paura per colui che ho cresciuto come un figlio...”.

L’elfo si interruppe un attimo, come per mettere ordine nella sua mente.

“So che è più che degno della mia fiducia e del mio rispetto, e so che lui non è Isildur... Ma so anche che basterebbe un nonnulla a spezzarlo... a spezzare l’ultima possibilità che ci resta... e di certo lo sa anche Sauron...”.

Il primo a sorprendersi per quelle affermazioni fu Elrond stesso: era la prima volta che consapevolmente temeva per Aragorn come un padre avrebbe temuto per il proprio figlio, ma si rese presto conto che quei sentimenti albergavano inconsapevolmente nel suo cuore già da tanto, tantissimo tempo.

Galadriel non disse nulla, perfettamente consapevole del turbamento che agitava l’animo di Elrond.

Si limitò ad avvicinarsi a lui, e gli pose una mano sulla spalla: “Il suo compito è duro e gravoso, ma lui è pronto. Forse ora non se ne rende conto nemmeno lui, ma quando verrà veramente il momento egli saprà quello che deve fare. Le speranze che riponi in lui e negli amici che gli sono accanto non sono speranze mal riposte”.

Un sorriso stanco ma sincero fu la risposta di Elrond.

“Benvenuta a Gran Burrone, Dama Galadriel di Lothlorien”.

  
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