La
sua vita stava finendo,
lentamente si spegneva come una candela consumata. Aveva vissuto
talmente a
lungo che la sua anima era ormai preparata al vuoto. Non aveva paura.
Perché
averne? Accoglieva la morte come un sereno riposo, una fine del suo
eterno pensare
e della sua sofferenza
.
Finalmente non si sarebbe più
sentito imprigionato nel suo corpo, che negli ultimi
cent’anni l’aveva tradito,
incatenato, portato quasi alla pazzia. Avrebbe smesso di soffrire per
la morte
delle persone che aveva amato, avrebbe finito di desiderare la morte
del
tiranno e non avrebbe visto il tramonto della sua razza.
L’unico suo dispiacere
era Glaedr: avrebbe resistito alla perdita di parte della sua
identità, avrebbe
trovato la forza per ricominciare? Si rispose di sì solo per
non sentirsi
egoista.
Quanto
gli sarebbe piaciuto
credere in un regno dopo la morte, così avrebbe rivisto
almeno i suoi cari
trucidati durante la distruzione di Luthivira: i suoi amici di
infanzia, i suoi
genitori… e lei,Erivanna, l’amore di una vita
intera. Il suo rimpianto più
grande era lei, era diventato cieco e nel suo imbelle egoismo
l’aveva portata
con sè, a conoscere le persone con cui era cresciuto. Poi
quando era giunta la
notizia che Galbatorix aveva manifestato le sue intenzioni era accorso
ad
Ilirea, sicuro che lì fosse al sicuro ma un distaccamento di
Urgali capitanati
da uno dei tredici rinnegati era entrato nella città, aveva
ucciso ogni essere
vivente nel raggio di chilometri. Tutto quello che era rimasto quando
lui era
tornato consisteva in case fatiscenti, bruciate e cadaveri. Di Erivanna
non
c’era traccia. In un istante il suo mondo era andato in
frantumi. L’unica cosa
per cui aveva vissuto era la vendetta , solo la disperazione lo guidava.
Grazie al cielo
c’era Glaedr: il drago gli
aveva ridato una parte di vita, anche se da quel momento
l’espressione di
dolore, tristezza e malinconia non se ne era più andata dal
suo volto.
Era diventato Osthato
Chethowä: il Saggio
Dolente.
Erivanna,
il suo pensiero non gli
aveva dato tregua, non l’aveva mai abbandonato. Era
così giovane, ingenua,
innamorata…e di lui, cosa impensabile. Innamorata di un uomo
che aveva
cinquecento anni più di lei…Eppure si era fidata,
non aveva mai dubitato di
lui, delle sue scelte, del suo giudizio. Le sue ultime parole erano
state “Mi
fido di te, Oromis”. Non avrebbe mai dovuto fidarsi, mai: era
colpa sua se era
morta! Se fosse rimasta a Doru Areaba o se fosse venuta con lui ad
Ilirea si
sarebbe salvata o…
Era
solo colpa sua e di questo
non si dava pace.
Glaedr
era preoccupato: sapeva da
tempo che presto il suo Cavaliere sarebbe morto ma faceva fatica ad
accettarlo.
Aveva perso tutta la sua razza e ora anche parte della sua
identità sarebbe
scemata via, spazzata dal destino.
Meno
male che c’era il futuro:
un nuovo Cavaliere e un altro drago...