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Autore: LaMicheCoria    31/03/2010    6 recensioni
[Star Trek III - Alla Ricerca di Spock] Ricordo. Ma non ho nomi. Solo immagini confuse. Suoni sconnessi. Nulla più di questo.. Il Finale del film, visto con gli occhi di Spock.
Genere: Malinconico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: James T. Kirk, Spock
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Autore: Nemeryal
Fandom: Star Trek III: Alla Ricerca di Spock
Ambientazione: Tempio sul Monte Seleya
Personaggi: Kirk – Spock
Musica: //
Avvertimenti: OneShot
Note: Ma quanto è bello il finale di questo film? My God, spero di non essere andata OOC con Spock! Okay, non era mia intenzione fare una shonen Spirk. Però, boh..un po' lo sembra. Forse lo è. Forse è solo amicizia. Forse entrambe le cose. Forse un'amicizia talmente profonda da tramutarsi in amore, o forse qualcosa che trascende persino l'amore. Ai voi l'ardua sentenza.
Ringraziamenti:  A Silentsky per la pazienza, a Pimplemi_chan per il sostegno, ad Abdulla, Persefone Fuxia e Fange69 per le recensioni alla mia precedente Drabble. A ArysTheBigSquare per averla messa fra i preferiti, e a Fange69 per averla messa tra le ricordate.
Dedica: A chi se non a quelle due splendide compagne che ho la fortuna di avere e che mi hanno fatto conoscere il fantastico mondo di Star Trek?

 

Eppure so cosa dovrei ricordare..

 

La luce rossa di Vulcano è un bagliore soffuso che proviene dalle ampie finestre del Tempio: lame vermiglie scivolano lungo le pareti coprendo il pavimento come un velo sottile.
Posso sentire con chiarezza lo strusciare della veste bianca sul tappeto scarlatto, ne posso percepire la consistenza spugnosa sulle braccia ad ogni mio passo; nelle orecchie risuonano i respiri profondi dei presenti e, concentrandomi sui sensi appena ritrovati, anche i battiti ritmati di ogni cuore che palpita nella Sala.
È un suono costante, cadenzato, carico di attesa, come il fiato trattenuto degli umani che mi fissano mentre attraverso la lunga navata.
I loro occhi, poi, mi seguono, osservando ogni particolare della tunica bianca che mi cela alla vista; gli sguardi si posano su di me con insistenza, in silenzio mi pregano di calare il cappuccio, di mostrarmi ancora una volta, dimostrargli che sono ancora vivo.

 

Ma lo sono davvero?

 

Il mio cuore batte, il sangue scorre caldo nelle vene, i polmoni si riempiono di ossigeno e se ne liberano con ritmo costante; nella mia mente le definizioni di tutto ciò che esiste, tutto ciò che è logico si susseguono con ordine, incatenandosi l’una all’altra, senza fermarsi.

 

Eppure, non riesco a ricordare davvero ogni cosa..

 

Mi fermo a metà delle scale di marmo e alzo la testa, prima piegata, con gli occhi fissi sul pavimento per non incontrare lo sguardo di nessuno.

 

Non voglio incontrare gli occhi di nessuno di loro.
Non voglio scontrarmi col loro sguardo colmo di
Dolorosa attesa.

 

Mi fermo, perché sento uno sguardo che mi osserva con più prepotenza degli altri.
L’ho percepito non appena sono sceso dal piano sopraelevato dove ha avuto luogo la cerimonia del Far-tol-pan, ma era solo una sensazione in più dopo la nebbia nera in cui il mio katra si era nascosto, in attesa di riunirsi al suo corpo e risvegliarsi.
Ad ogni passo, ad ogni respiro, ad ogni battito, quegli occhi si sono fatti sempre più presenti, lo sguardo sempre più attento, sempre più..speranzoso.
Vorrei poter continuare per la mia strada, ma qualcosa mi trattiene.

 

Perché continui a fissarmi?

 

Devo sapere.

 

Ho bisogno di sapere.

 

E forse, allora, potrò andare avanti, senza voltarmi indietro.
Mi porto le mani ai bordi del cappuccio e lo stringo tra le dita: è l’unico muro che mi separa materialmente da loro.

 

L’ultimo muro, forse, che mi separa materialmente
Da voi
Dai vostri occhi
E dalla vostra attesa.

 

Mi volto e li vedo, tutti, che cercano il mio sguardo, con le labbra contratte e negli occhi la speranza, la comprensione, il dolore.
I volti di questi uomini e queste donne sembrano nascosti da un velo di nebbia, i loro tratti mi sono familiari, ma nessun nome li accompagna.

 

Non ancora almeno.

 

Mi volto e scendo le scale in silenzio e ai suoi occhi si aggiungono quelli degli altri umani e della Vulcaniana che li accompagna.
La osservo e per alcuni istanti lei sostiene il mio sguardo, per poi abbassare il viso, memore del mio sangue bollente, del Pon Farr che mi ha aiutato a superare.

 

“Tu ti fidi di me, vero?”

 

Posso ancora sentirne la voce incrinata da una sottile preoccupazione, gli occhi scuri sgranati e il tocco delicato delle dita sulla mia pelle.

E ancora continui a fissarmi.

 

 

Passo oltre e i miei occhi si scontrano con un sorriso divertito, posandosi su labbra sottili, tese sotto un folto paio di baffi.
Posso quasi vedere gli anni scorrere indietro su quel volto, restituendomi l’immagine di un uomo giovane, coi capelli scuri e la divisa scarlatta, chino su un pannello di controllo. Nelle narici l’odore acre del fumo dei motori, misto al profumo pungente dell’alcool.
Scotch whisky. Whiskey Scozzese
Ma ancora nulla, i miei ricordi non sono altro che immagini sfuocate, suoni privi di voce e volti senza nome.

 

Smettila di fissarmi.

 

Occhi scuri e pelle bruna, una voce che si alza suadente accompagnata dal suono vellutato di una lira vulcaniana.
Questo rievoca la donna che mi fissa con le labbra increspate in un sorriso speranzoso, trattenuto a stento; se mi concentro su queste sfumatura, riesco quasi a vederla, le unghie lunghe e curate, un auricolare metallico all’orecchio, il corpo minuto fasciato da una divisa rossa.

 

Fissami, osservami pure,
ma io non riesco comunque a ricordare.

 

La voce di lei si dilata, fino ad assumere un timbro più basso nella mia mente, un tono marcato da un pesante accento alleggerito dal tempo. Un viso e degli occhi che mi fanno ricordare un tempo lontano, mi fanno tornare in mente un giovane ufficiale fin troppo legato alla sua patria e talmente impulsivo da ingaggiare una rissa con un gruppo di Klingon che avevano avuto la sfrontatezza di insultare l’Astronave e il suo Capitano.
E accanto a quest’uomo dai capelli castani, un altro con gli occhi dal taglio allungato mi osserva senza parlare, cercando di mantenere un’espressione neutra sul viso invecchiato.
Ancora un’immagine, un fioretto che sibila, fendendo l’aria, e la stessa mano che ne stringeva l’impugnatura ora pronta a tracciare sullo schermo di un computer nuove rotte, nello spazio infinito.

 

Se di loro ricordo appena questo
Cosa potrei ricordare di te?

 

Occhi azzurri e voce dura, burbera, dal sarcasmo tagliente come una lama.
Il mio katra ha trovato in questa mente svelta e pronta un rifugio sicuro dove poter attendere di essere riunito a me.
Ho viaggiato nella sua mente, ho intrecciato i miei pensieri coi suoi, fino a fonderli completamente: io ero lui e lui era me, e allo stesso tempo eravamo ognuno se stesso e nessuno. Ho visto la sua storia, ho sentito le sue emozioni, ho pianto le sue lacrime amare, ho riso della sua roca risata e ho corrugato di rabbia la sua fronte ampia, inarcato il suo sopracciglio nella perplessità.
So molto più di quest’uomo che degli altri, forse più di se stesso, più di quanto lui possa immaginare, ma il suo nome mi sfugge, lo collego a stento a battute e opinioni, riconciliazioni e litigi.
E, non so perché, anche a qualcosa che ha a che fare con le mie orecchie e col mio sangue.

 

Nemmeno lui ricordo.
Lui, con cui ho condiviso me stesso
In modo molto più profondo di chiunque altro.
Quali memorie, allora, mi legano a te?

 

Potrei voltarmi, tornare indietro, senza voltarmi verso di lui.
Ma non posso, non  riesco.
È il suo volto, il suo sguardo ad impedirmi di lasciare alle spalle un passato che non riesco a ricordare.
Sono cauto nell’avvicinarmi e non c’è logica in questo comportamento, in tutta questa attenzione nell’andare verso un perfetto sconosciuto che dovrei conoscere perfettamente.

 

Eppure so cosa dovrei ricordare.

 

-Mio padre dice che sei sempre stato mio amico..- rimango distante da lui, dai suoi occhi che scivolano su ogni particolare del mio viso, come se stesse cercando di vedere in me una persona di cui porto solo l’aspetto –Che sei tornato per me-
-Tu avresti fatto lo stesso- risponde piano, ostentando una sicurezza che non vedo nel suo sguardo. Sembra avere paura di una mia possibile reazione.

Che reazione ti aspetti, da me?

 

Alzo la testa, aggrottando le sopracciglia.
Non capisco il motivo della sua risposta, il gesto che ha compiuto.
In esso, non vedo alcuna logica.

 

Ma la logica conta per te?

 
-Dimmi, perché lo hai fatto?- sento la mia voce tremare impercettibilmente, quasi  temessi che questa mia domanda lo potesse ferire ancora di più.
Perché lui porta il peso e il dolore di ferite profonde, e non mi riferisco certo al taglio scarlatto che gli percorre la fronte sudata.
Percepisco una terribile perdita dentro di lui. Anzi, due.
Due come i visi che si affacciano nel suo sguardo cupo.

 

E il mio, è uno di quelli.
Mi chiedo..
Anche nel mio sguardo appaiono visi
Dimenticati
Oppure
I miei occhi non sono altro
Che specchi freddi e vuoti?

 

Rimane in silenzio per qualche istante, come se stesse cercando di rendermi comprensibile la sua risposta.
Sembra quasi abituato a dover tradurre in logica l’emotività umana. Ha forse cercato di farlo in più occasioni, con me?
-Perché le esigenze di uno- comincia con un breve sospiro –Contano più di quelle dei molti-

 

“Non si addolori, Ammiraglio.
È la logica.
Le esigenze dei molti
Contano più di..”
“Di quelle dei pochi”
“O di uno”

 

Abbasso il viso e torno fissarlo per un attimo, prima di voltarmi di nuovo indietro.
È stato mio amico, mio padre aveva ragione, allora. C’era davvero un legame che andava oltre ai doveri di un Primo Ufficiale nei confronti del suo Capitano.
Ma amici, perché? Cosa è successo per farci divenire tali?
Quali episodi abbiamo condiviso perché il rapporto professionale fra un superiore e il suo diretto sottoposto si tramutasse in..amicizia?
Ora, nella mia mente, non si susseguono più ragionamenti logici, formule e definizioni, ma solo domande e facce prive di volto che si accavallano l’una sull’altra, mescolandosi e confondendosi.
Ogni passo che compio per tornare alla scalinata è un battito mancato a causa del suo sguardo ancora fisso sulla mia schiena.

 
Smettila di fissarmi.
So chi sei
Ma non lo ricordo.

 

Mi fermo di nuovo, incapace di proseguire.
Ancora una volta, i miei occhi incontrano i suoi, sgranati per l’incredulità e macchiati da una stilla di amarezza.
Faccio per raggiungerlo, ma mi blocco.

 

Perché temo il tuo sguardo?
Perché ho paura di quello che potrei ricordare?

 

-E dimmi, ti prego- la mia voce trema, in essa si coglie tutta la preoccupazione per la domanda che sto per fare. Anzi, per la risposta che potrò ricevere.
Perché nei segni sul suo viso ho scorto immagini sfumate del mio passato, dentro il suo sguardo ho colto visioni fugaci di ricordi che non posso, non voglio perdere. –Io sono stato sempre tuo amico?-

 

“Io sono stato
E sarò sempre
Tuo amico…”

 
Sgrana gli occhi per la sorpresa, come non si aspettasse una domanda del genere da me.
Forse deve ancora comprendere che io non sono chi lui crede che io sia.
Ne ho l’aspetto, la voce, i gesti.
Ma non ho ricordi di quello Spock che lui ha conosciuto.
Quello Spock era suo amico.

 

Ma io?

 

Io che non ho ricordi, io che non ho memoria, io che non ho passato.

 

Io sono davvero sempre stato

Tuo amico?

 
-Sì..- fa un passo verso di me –Sì, Spock!-
A quel nome, a quel tono concitato, a quell’esclamazione in cui si mescolano sorpresa, incredulità e paura, un lampo mi sfreccia nella mente.
Un frammento di specchio su cui posso vedere la mia mano poggiata su un pannello di vetro, e la sua, oltre di esso, che cerca di toccarla, incurante del muro che ci divide.
Riesco a ricordare il pericolo, la consapevolezza di essere l’unico a poter fare qualcosa, sebbene il prezzo da pagare fosse la mia vita.
Ma se quelle degli altri potevano essere salve, allora non aveva alcuna importanza.

 

“Ma morirà!”
“Capitano, è inutile..
È già morto”

-E la Nave..è fuori pericolo?-
-Tu hai salvato la Nave!- le sopracciglia scure sono aggrottate, un muto “Ricorda!” lampeggia nei suoi occhi, come una preghiera –Non ricordi niente?-

 

Ricordo.
Ma non ho nomi.
Solo immagini confuse.
Suoni sconnessi.
Nulla più di questo..

 
Abbasso lo sguardo.
Tutto intorno a me tace.
Il silenzio scivola fuori e dentro al mio corpo, al mio animo.
Il tempo si ferma, in attesa di una mia mossa.
Potrei voltami, calarmi il cappuccio sul viso e lasciare lì tutto loro, dimenticando definitivamente un passato che non riesco a ricordare e cominciare un nuovo futuro.
Una vita lontano dagli umani, da tutto ciò che essi avrebbe potuto, un tempo, rappresentare per me; invecchiare su Vulcano, senza vedere mai più questi volti sconosciuti, senza dover essere costretto a combattere con  l’amarezza di non aver memoria di nessuno di loro.
Potrei costruirmi un futuro anche senza un passato.
Avrei la mia logica, le mie definizioni.
Non mi servirebbe altro per ricominciare.

Eppure..

 

La realtà si scompone in minuscole schegge di vetro, e ognuna di loro racconta senza parlare una storia diversa, che solo io posso vedere, che solo io posso comprendere.
Vedo lo spazio nero attorno a me, sento lo scalpiccio affrettato lungo corridoi bianchi, fisso una luce blu elettrico provenire da un piccolo schermo sotto il mio viso, nelle orecchie stride il segnale di  allarme, davanti ai miei occhi sfilano armi, umanoidi e alieni sconosciuti, percepisco il debole suono di una risata, un commento sarcastico, le mie dita scivolano sul bordo freddo di un tricorder, e la risata si fa sempre più forte, fino a quando non mi riempie la mente, vibra dentro di essa, dentro di me.

 

E ad ogni passo

Colgo qualcosa di più

Grazie a quella risata.

 

Ora gli sono vicino, posso cogliere ogni particolare del suo viso, ogni riflesso nei suoi occhi stupiti.

 

Ma in realtà vedo quel volto di nuovo
Giovane e sorridente
Quegli occhi socchiusi
Nel fragore di una risata.

 

Schiudo le labbra per parlare, e a quel gesto il suo sguardo schizza impazzito da una parte all’altra del mio viso, la bocca aperta, ma incapace di dire qualsiasi cosa.

 

E la nebbia si alza nella mia mente
Come uno scuro sipario.

 

-Jim- dico esitante, lasciando che il nome scivoli lento sulle mie labbra, in modo da poterne analizzare ogni suono con l’attenzione che merita.
Come se ogni lettera portasse con sé un ricordo diverso, che si intreccia col seguente fino a diventare una trama continua, completa, logica.

 

E basta questo.
Solo questo.

 

-Il tuo nome..è Jim- annuisco mentre lo dico, sebbene la mia voce risulti ancora incerta, quasi non fossi sicuro, quasi avessi paura di sbagliare.
Il tuo viso si illumina lentamente, mentre prendi coscienza di quello che ho appena detto.

 

Hai visto?

 

-Sì-
E sorridi, come su quei frammenti di specchio che devo, ho bisogno di ricomporre.
Forse, il tuo sorriso è ancora più..pieno di quello che i miei ricordi mi restituiscono.
Irrigidisco la schiena, cercando di dissimulare tutto l’orgoglio umano che si cela dietro questo gesto.

 

Alla fine vi ho ritrovato.
Ti ho ritrovato.
Hai visto?
Mi sono ricordato di te,
Th’y’la,
Amico mio.

 

   
 
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