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Autore: MrEvilside    02/04/2010    11 recensioni
[Movieverse: Alice in Wonderland di Tim Burton]
« Cappellaio, che cosa è successo alle altre Alice? »
« Le altre Alice? »
« Sì, quelle che credevate fossero me. Sono tornate a casa? »
« Io... non me lo ricordo ».
Genere: Dark, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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I can’t remember
[I don’t want to]

« Cappellaio, che cosa è successo alle altre Alice? »
« Le altre Alice? »
« Sì, quelle che credevate fossero me. Sono tornate a casa? »
« Io… non me lo ricordo ».

Il Cappellaio osserva, assorto, il suo riflesso torbido ed indistinto sulla superficie scura del the che riempie la tazzina.
I suoi occhi verdi sono velati d’una sfumatura vacua, le labbra sono socchiuse, i lineamenti costretti in un’espressione tesa ed al contempo vuota. Persino i suoi capelli, solitamente d’un vivido arancio, sembrano scuriti dalla concentrazione.
È strano, il Cappellaio, quando riflette.
Non capita spesso, ma quando avviene l’intero SottoMondo preferisce voltarsi dall’altra parte, perché un Cappellaio Matto che si sforza di formulare un pensiero logico non ha senso nemmeno in quell’universo di matti.
« Qualcosa non va, Cappellaio? » miagola la voce morbidamente profonda dello Stregatto.
È l’unico che osa apparire al Cappellaio quando pensa.
Il Cappellaio solleva la testa, batte le palpebre, lo guarda e poi guarda il mondo tutt’attorno come se si fosse svegliato da un sogno. Infine, con gli occhi che per metà vedono ancora l’illusione tessuta dalla mente assopita ed il tono ingenuamente esitante d’un bambino che ha avuto un incubo, chiede: « Che cosa è successo alle altre Alice? Io non riesco a ricordarlo… »
« Le Alice sbagliate? » dice lo Stregatto. Si sdraia supino nell’atmosfera, stiracchia le zampe con placida lentezza e finalmente replica: « Non è necessario che lo ricordi. In fondo, abbiamo trovato quella giusta ».
« Sì, ma… » Il Cappellaio non sa che cosa dire, non sa come pensare, non l’ha mai imparato – pensare è da persone sane e, si sa, che i migliori sono i matti. « Sono tornate a casa, vero? »
« Beh, no » sbadiglia lo Stregatto. « Devi aver sofferto davvero tanto per ognuna di loro, Cappellaio, se non ne ricordi nessuna » commenta, con quel suo serafico sogghigno dipinto sul muso.
Il Cappellaio chiude gli occhi, si massaggia le tempie.
Il Leprotto Marzolino gli scaglierebbe contro l’intero vassoio del the, se lo vedesse in quello stato così assorto, così non matto.
E poi, d’improvviso, il Cappellaio guarda in su, verso lo Stregatto. « Stregatto, loro…? »
Dove poco prima lo Stregatto galleggiava, tuttavia, adesso v’è solo il cielo.
Lo sguardo del Cappellaio gronda terrore e sofferenza, ora, le labbra tremano, i lineamenti si contorcono in un’espressione triste. I capelli sembrano accasciarsi cupamente sulle spalle.
E, innanzi a sé, non vede più la tavolata apparecchiata per il festino del the: distintamente, quasi che le avesse davanti per davvero, vede le quattro Alice sbagliate.
Al contrario di tutti gli altri abitanti di SottoMondo, il Cappellaio ha provato a dare fiducia ad ognuna di loro, sperando che fosse la Alice giusta.
E gli si è spezzato il cuore, quando la prima Alice è stata divorata dal Grafobrancio – di lei non è rimasto che un cadavere immerso in una lugubre pozza di sangue; quando alla seconda Alice è stata tagliata la testa – e poi il capo reciso è rotolato ai suoi piedi: gli occhi vitrei hanno incrociato i suoi, accusatori; quando la terza Alice, piccola quel tanto che bastava per poter viaggiare sul suo cappello, è stata inavvertitamente schiacciata dal Fante di Cuori mentre tentava di avvicinarsi alla spada Bigralace – non ha sentito le sue ossa spezzarsi, ma quel suono continua a echeggiare nella sua mente; e quando infine la quarta Alice, che più d’ogni altra avrebbe potuto essere quella vera, è stata divorata dal Ciciarampa – il Cappellaio ha pianto ed è caduto in ginocchio accanto a quella che era poco più d’una bambina con addosso un’armatura che avrebbe potuto essere il costume per una festa in maschera.
Ricorda nitidamente adesso, il Cappellaio, ciò che ha voluto dimenticare per non soffrire più.
E ricorda che, ogniqualvolta una Alice gli ha posto quella stessa domanda – e le altre? –, si è ricordato e di nuovo ha preferito dimenticare.
Insinua una mano nella giacca variopinta ed estrae un orologio dal taschino.
Sempiternamente immobile, la lancetta segna le cinque.
Il Cappellaio ripone l’orologio, si alza in piedi e socchiude la bocca.
« È l’ora del the! » esclama, battendo le mani e sorridendo.
E la chiave gira nella serratura della Porta dei Ricordi, mettendo a tacere per la quarta volta le voci di memorie troppo sane perché un Cappellaio Matto voglia ascoltarle.
  
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