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Autore: rhys89    02/04/2010    4 recensioni
Non sempre esiste un compromesso, nella vita. Ci sono sostanze che non possono uniformarsi, per quanto vicine esse siano.
Ed è inutile combattere: a volte bisogna solo rassegnarsi al fatto che il confine tra odio ed amore è più labile di quanto si possa pensare...
Perché con lui è sempre stato così: non possono esserci squallidi grigi, ma bianco e nero. Entrambi, insieme. Nessun compromesso, in nessun campo.
Genere: Introspettivo, Erotico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash, Yaoi | Personaggi: Mohinder Suresh, Sylar
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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Angolino dell'autrice


Salve gente!
Ebbene sì, ho deciso di invadere anche questo fandom (ovviamente con una slash ù.ù), giusto per mettermi un po' alla prova con dei personagi quasi impossibili da gestire. Al solito prego chiunque noti tracce di OOC di farmelo notare (ODIO l'OOC! è.é), e ringrazio in anticipo per eventuali citiche/commenti.
L'avviso di Spoiler! (che ho messo giusto per scrupolo) è dovuto alla localizzazione di questa one-shot nello spazio tra l'ultima puntata della seconda serie e la prima puntata della terza.
Premetto che io mi sono fermata qui, quindi il racconto non tiene in nessun modo conto degli eventi successivi al periodo indicato, ed evetuali riferimenti sono puramente casuali.
Un'ultima cosa: tutta la narrazione è esclusivamente vista dal POV di Mohinder.

Disclaimer: I personaggi di questa storia non mi appartengono e non ne detengo i diritti. Questo racconto non è stato scritto a scopo di lucro.

E con questo posso dire di aver finito...

Buona lettura a tutti! ^_^

Ossimoro

Quando lo vedi in piedi sulla porta dello studio di Isaac - il tuo laboratorio, ormai - sai che dovresti essere scioccato da quella visita inaspettata, ma il battito del tuo cuore è troppo regolare per qualcuno che è stato colto di sorpresa. E lo sa anche lui.
«Ti sento tranquillo, Mohinder. Cos’è, mi stavi forse aspettando?» Ti dice infatti, con voce suadente.
Gli concedi un mezzo sbuffo divertito.
«A quanto pare sei guarito.» Commenti, senza rispondere alla sua domanda.
Non ce n’è bisogno, comunque. Il ghigno sadico che compare sul suo volto ne è la prova lampante.
Si stacca dallo stipite a cui era rimasto appoggiato finora e cammina lento verso di te, senza mai staccarti gli occhi di dosso.
Ti muovi anche tu, verso la tua scrivania, cercando di essere il più naturale possibile.
Ed è sorprendente quanta calma tu riesca a mantenere, considerando che hai un pazzo assassino dotato di superpoteri a poco più di tre metri di distanza. Ti ritrovi a benedire qualunque Dio esistente abbia almeno fatto in modo che Molly questa volta fosse a casa, al sicuro.
«Come mai sei di nuovo qui?» Chiedi, non tanto per sapere la risposta - quella la immagini già - quanto per coprire il rumore del cassetto che stai aprendo.
«Volevo ringraziarti, Mohinder. In fondo è solo merito tuo se sono di nuovo speciale.» Sussurra, fermandosi a pochi passi da te.
Puoi sentire il suo sguardo bruciare sulla tua schiena, e per un istante ti chiedi se per caso quello non sia uno dei tanti poteri che ha rubato agli altri heroes.
E l’istante dopo ti dai dell’idiota per un pensiero tanto stupido.
Intanto Sylar ha ripreso a parlare, e tu ne approfitti per tirare fuori la pistola da sotto alcune scartoffie.
«È stata una vera fortuna che tu avessi già pronta la cura, non credi?» Ti domanda con finta nonchalance, e anche se sai che vuole soltanto provocarti non riesci a mantenere il tuo proverbiale sangue freddo.
«Quella dose era per Niki, bastardo!» Urli mentre ti volti a fronteggiarlo, puntandogli contro l’arma con mano leggermente tremante - dopotutto tu non sei un assassino - ma comunque ben salda. Sai che quello è poco più di un giocattolo se paragonato alle enormi capacità dell’uomo che ti sta di fronte, ma c’è una possibilità - infima, vero, ma c’è - che il suo sia soltanto un bluff, che in realtà il virus che lo infettava non sia ancora guarito del tutto.
Che lui sia - in qualche modo - vulnerabile.
Ma poi Sylar scoppia a ridere - quella risatina condiscendente, tipica di chi sa di essere superiore - e tu capisci che, davvero, non hai speranze. Ma non abbassi il braccio.
«Andiamo, Mohinder. Non potresti uccidermi nemmeno se lo volessi sul serio.» Dice lui, ghignando divertito.
Deve essere veramente spassosa la situazione, sono secoli che non lo vedevi ridere così tanto. Sono anche secoli che non lo vedevi e basta, - se escludiamo quella breve visita in cui ti ha presentato Maya - ma questa è un’altra storia.
«E chi ti dice che io non voglia ucciderti?» Insinui, cercando di imitare il suo tono sarcastico.
«Non hai ancora premuto il grilletto.»
Semplice, lapidario. E soprattutto vero.
Ti dici che dovresti farlo, che in fondo non sarebbe un’azione tanto terribile, che molte vite sarebbero risparmiate se la sua venisse meno.
Ma poi ti rendi conto che sarebbe inutile, che lo sparo rischierebbe soltanto di far intervenire altre persone - altre vittime innocenti - senza riuscire nemmeno ad avvicinarsi a quel volto arrogante.
È questa la spiegazione - logica e razionale, proprio come piace a te - che ti dai, quando sbuffi rassegnato e lasci cadere la Beretta.
Non fai nemmeno in tempo a sentire il tonfo del metallo sul pavimento dello studio che ti ritrovi attaccato al muro, i polsi immobilizzati ai lati della testa e le gambe rigide come assi di ferro.
Dannata telecinesi.
Sylar ti guarda dal centro della stanza - non si è mosso di un solo centimetro - ed ha ancora quel ghigno divertito sulle labbra.
Sai che potrebbe ucciderti in un istante. Lo sai con la stessa precisione con cui sai che non lo farà. Non questa volta.
Ma poi lui si avvicina, e la tua fredda logica comincia a vacillare.
Quando, dopo quella che ti pare un’eternità, senti il suo respiro sul viso, ormai hai detto addio ad ogni tipo di raziocinio, troppo debole per combattere allo stesso tempo i suoi poteri ed il tuo inconscio.
Sei quasi sicuro che ti abbia detto qualcosa - un’altra frecciatina, senza dubbio - ma sei troppo concentrato sulle sue mani per rispondergli a tono.
Quelle dannatissime mani, che più di una volta si sono sporcate del sangue di innocenti. E che adesso vagano sotto la tua maglietta, accarezzando e graffiando la pelle sempre più calda del tuo corpo traditore, mentre lingua e denti si prendono cura del tuo collo.
Senti distintamente il tuo cuore accelerare i battiti ad ogni suo tocco, e ti odi per non riuscire a fermarlo. Ti odi per essere così succube di quel bastardo, ma soprattutto odi lui. Lui e quel sadico piacere che prova nel farti impazzire.
Ti mordi le labbra a sangue per non emettere alcun suono, ma un gemito frustrato riesce comunque a raggiungere le sensibili orecchie del tuo torturatore, quando scende ad accarezzarti tra le gambe.
Sylar ridacchia piano contro il tuo orecchio, provocandoti un lungo brivido che - ne sei certo - non passerà inosservato. Non da lui.
«Sei un po’ teso, Mohinder. Vuoi una mano per rilassarti?»
Gran figlio di puttana.
«F-fottiti.» Ti costringi a rispondere, con quel poco fiato che ti è rimasto in gola.
«Veramente preferirei fottere te.» Sussurra malizioso, a due centimetri dal tuo viso.
E qualunque cosa tu avessi in mente di replicare viene spazzata via dalle dita che ti stringono con forza il cavallo dei pantaloni, facendoti gridare di sorpresa e di dolore.
Ti divincoli disperato per cercare di sfuggire a quella morsa, ed è soltanto quando la stretta si trasforma in un massaggio altrettanto violento ma decisamente più piacevole che, finalmente, senti la presa che ti immobilizzava allentarsi fino a scomparire.
Potresti fare - o tentare di fare - di tutto, adesso, ma l’unica cosa che riesci a concepire è che vuoi fargli del male. E non importa come.
Cerchi di tirargli i capelli - come facevi un tempo - ma sono troppo corti.
E intanto quelle sensazioni - così scomode, così sbagliate - si fanno sempre più insistenti, e tu soffochi l’ennesimo lamento mordendo con rabbia il suo labbro inferiore.
Avverti in bocca il sapore ferroso del suo sangue, e la cosa più sconvolgente è che non ti disgusta, ti eccita. E di nuovo dai la colpa a lui, - al mostro che è - per quello in cui ti trasformi quando siete insieme.
Lo senti tendersi ancora nel ghigno sadico di poco prima, per poi staccarsi da te ed osservarti per un lungo momento, immobile.
Lecca lentamente le stille rosse uscite dalla piccola ferita senza distogliere lo sguardo dal tuo, che segue quei movimenti come ipnotizzato.
Poi la tua attenzione sale sui suoi occhi, sul luccichio inquietante che li anima.
E una parte di te vorrebbe che l’attesa si prolungasse all’infinito, l’altra che invece si concludesse all’istante, e tu non sai più nemmeno cosa sperare.
L’unica certezza, al momento, è quella luce. Perché ogni tua singola cellula sa cosa significa: la fine dei giochi.
È per questo che non sei affatto sorpreso di ritrovarti con la fronte contro il muro che pochi secondi prima era alle tue spalle, né ti sorprende sentire qualcuno - che di certo non sei tu - armeggiare rabbiosamente con la cintura dei tuoi pantaloni.
E quando senti le sue mani afferrarti saldamente per i fianchi nudi, l’unica cosa che puoi fare è stringere i denti. Ed aspettare.
Solo il tuo grandissimo orgoglio ti impedisce di urlare quando Sylar entra deciso in te, senza alcun riguardo.
Quello e il respiro che ti si è bloccato in gola, stravolto da emozioni troppo intense per un uomo solo. Come ogni maledettissima volta.
Perché con lui è sempre stato così: non possono esserci squallidi grigi, ma bianco e nero. Entrambi, insieme. Nessun compromesso, in nessun campo.
E quando dà la prima spinta è dolore lancinante e piacere immenso. È dannatamente sbagliato e fottutamente eccitante. È caldo e freddo, è dolce e amaro ed è un sacco di altre cose che ti fanno girare la testa, mentre l’assassino di tuo padre - e di un sacco di altra gente - si muove dietro di te, con te, dentro di te.
Non sai più dove ti trovi, non hai più il senso del tempo, lottando per riuscire a trattenere almeno un grammo d’aria nei polmoni in fiamme.
E intanto Sylar ti bacia, ti morde, ti tocca, ti prende.
Ti tratta come una bambola di pezza, ma ora come ora non te ne potrebbe fregare di meno. Non mentre i tuoi gemiti si fanno più forti, le sue spinte più profonde e, poco dopo, raggiungete l’apice. Insieme.
Ti appoggi alla parete per riprendere fiato e lo senti accasciarsi sulla tua spalla e fare altrettanto.
Rimanete immobili alcuni minuti, senza parlare. Del resto non avete niente da dirvi.
Quando il respiro è regolarizzato quasi del tutto Sylar si stacca da te, e sei finalmente libero di sistemarti.
Non ti volti, non ancora, e dentro di te speri che lui ne approfitti per uscire dalla stanza, lasciandoti così. Senza risposte a domande che non vuoi farti.
Ma, una volta trovato il coraggio di girarti, scopri che invece l’uomo che più odi al mondo è ancora a neanche un passo da te, e ti sta guardando.
Ricambi perplesso quello sguardo intenso, chiedendoti cosa altro possa volere da te.
Sai bene che la tua curiosità prima o poi ti caccerà nei guai, - lo ha già fatto in passato, o non saresti in quella situazione - ma non puoi trattenerti dall’essere affascinato dal grande mistero che avvolge quello strano individuo, pazzo ma geniale, che continua ad osservarti come se non ti avesse mai visto. Sei uno scienziato, dopotutto.
È per questo, forse, che non ti scosti quando lui si avvicina di nuovo a te, bloccandoti ancora contro il muro alle tue spalle, con la stessa forza di prima.
“Dio, devi essere davvero frustrato!”
Questo è ciò che vorresti dirgli, perché - davvero - non può volerlo rifare sul serio. Non è umano, ecco.
E vorresti davvero lanciargli quella frecciatina, - l’unica vera arma che potrai mai usare contro di lui - ma non lo fai.
Non puoi farlo, perché la tua bocca è coperta dalla sua.
Sgrani gli occhi a quel gesto, - a dir poco inaspettato - senza avere altra reazione.
Lo senti indugiare piano sulle tue labbra, con una dolcezza che è decisamente fuori luogo in quella situazione.
Perché è soprattutto la violenza dei vostri contatti che riesce a mettere a tacere la tua coscienza. Perché il vostro è solo uno sfogo fisico, perché non c’è altra ragione per cui tu debba stargli vicino, perché altrimenti tutto quello dovrebbe avere un nome che non sei disposto a pronunciare.
Ma poi lui ti cinge la vita, e tu decidi che, in fondo, non t’importa. Che vadano tutti a fanculo.
Fanculo l’Impresa, fanculo tuo padre, fanculo pure il tuo stramaledetto orgoglio.
Chiudi gli occhi, e gli lasci approfondire il bacio.
Un bacio lento, languido.
Un bacio come quelli che ti dava durante il vostro viaggio, quando eravate solo Mohinder e Zane - e poco importa che quello non fosse il suo vero nome, era perfetto lo stesso.
Gli allacci le braccia intorno al collo e lo senti stringerti ancora di più a sé, mentre il suo sapore ti invade la mente e tutto intorno perde di significato.
Ma non si può sfuggire alla realtà, lo sapete entrambi.
E quando vi staccate basta un solo sguardo per capire che siete tornati: siete di nuovo Sylar e il dottor Suresh. Siete di nuovo nemici.
«Ti ucciderò, prima o poi.» Gli dici col fiato corto.
«Se sarai ancora vivo.» Ti risponde con un sorriso sadico.
   
 
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