Sangue odiato.
I tacchi
delle scarpe battevano fastidiosamente sugli scalini di pietra, riempiendo col
loro rumore il silenzio della scalinata. Camminava con una mano lungo il muro, osservando
con aria poco fiduciosa gli scalini lisciati e arrotondati da secoli di
passaggi. Nell’altra mano reggeva una lampada a petrolio che mandava una
luce tremolante sulle scale, facendo apparire ancora più spettrali le
pietre crepate e le catene appese qua e là.
Si morse
un labbro, girando uno stretto angolo e ritrovandosi in un’ampia sala di
pietra grigia. Si frugò in tasca, estraendone un mazzo di chiavi e
portandole controluce per sceglierne una.
S
avvicinò a una porta di legno dalla puzza di marcio, infilando la chiave
nella toppa e ascoltando quella sorta di grido di dolore che il vecchio
meccanismo arrugginito faceva a ogni giro di chiave.
Aprì
la porta, lasciando che il rumore della serratura fosse sostituito dal
raschiare dei cardini ormai sul punto di sbriciolarsi. Poggiò la
lanterna in un piccolo spazio all’interno del muro, facendo così
in modo che la luce inondasse la stanza.
-
Sveglia.- disse tirando una pedata a una delle sbarre di ferro. – Sono
sveglio. - latrò una voce dal fondo della cella, nell’angolo in
cui la luce incerta della lampada non riusciva ad arrivare.
- Allora
avvicinati. - disse – Non riesco a vederti se stai là.
L’uomo
si alzò lentamente, muovendo i passi strascicati con un gran clangore di
catene fino alle sbarre.
- Bene.
Ora ti vedo. - Natal sorrise, osservando la figura di Antonio davanti a se.
Allungò una mano attraverso le sbarre, afferrando la catena che lo
spagnolo aveva attorno al collo, tirandolo contro le sbarre. Sorrise ancora di
più quando Antonio si lamentò per il contatto fra le fredde
sbarre e il volto piagato. Natal osservò con attenzione i lividi
violacei che si espandevano sul viso abbronzato di Antonio. Allungò la
mano, carezzando leggermente la guancia scavata.
- Come
stai oggi, España?- domandò scivolando con il palmo sul suo
volto. Antonio guardò in silenzio quelle iridi nere – Male. -
disse – Fa male. - Natal annuì come sovrappensiero.
-
Sì.- disse – Sì, capisco. Ma non ti preoccupare,
España, finirà tutto presto.
Antonio
strinse i denti - Ya tú sabes.- disse Natal continuando a
sorridere.
- Tu non
lo sai.- latrò Antonio – Tu non lo conosci il mio dolore. Tu non
potrai mai provarlo. Tu non potrai mai conoscerlo.
Natal si
morse un labbro, assumendo un’aria assorta - Sí, sí, tú tienes razón.- disse poi
– Ma in fondo non ne sento il bisogno. Insomma, a cosa mi serve il
dolore?
- Il tuo dolore.- Antonio chiuse gli occhi e
li riaprì – Ti servirebbe a capire il dolore della tua gente. Ma tu non capisci.- Antonio
sospirò affranto, poggiando la fronte contro una sbarra – Tu non
puoi capire. Nessuno di voi capirà mai. Non siete nati per capire.
- Forse
hai ragione.- disse Natal – Ma allora per cosa siamo nati?
Antonio
scrollò le spalle – Per uccidere, credo. Per far capire al mondo
l’errore che abbiamo commesso. Per essere odiati, credo.- Natal
annuì – Forse hai ragione.-
Natal
lasciò la catena, facendola cozzare contro le sbarre – Forse siamo
solo qui per far vedere a quei grandi paesi cosa succede quando
c’è la guerra. Cosa succede quando ci si odia.
Natal cominciò
a camminare avanti e indietro per la sala, mentre Antonio si sedeva sul
pagliericcio del pavimento. – Ma allora, qualcuno si ricorderà di
noi? Perché è molto importante che qualcuno si ricordi di noi,
che qualcuno ci tenga vivi, perché altrimenti spariremmo, vero? Non
voglio sparire. Voglio esistere, io.-
Spagna
lo guardò storto – E perché mai dovresti voler esistere?
Perché uno qualunque di voi dovrebbe voler esistere? Siete delle povere
creature nate dalle idee pazze di uomini pazzi. -
Natal lo
guarda in silenzio. La luce della lampada illumina il suo volto e nel suo
tremolare rende quel bel viso dagli zigomi alti una strana maschera
dall’aria macabra.
- Hai
ragione. Ma perché non dovremmo avere sogni, noi?- domandò
trascinando una vecchia sedia di legno fino alle sbarre – Sai qual
è il sogno della bella Bérénice? O quello del niño
Carlo? O il mio?-, Natal giocherellò con il mazzo di chiavi – Non
lo conosco. - disse Antonio –E non me ne importa nulla, in fondo credo
che non ne importerà nulla a nessuno quando morirete.
- Il
sogno della bella Bérénice è di vivere su una collina.
Vuole una collina che si butta sul mare o su un lago, con l’erba verde
smeraldo che finisce proprio dove inizia l’acqua azzurra. Vuole stare per
l’eternità su una collina d’erba verde, guardando
l’acqua azzurra di un lago e leggendo Sant’Agostino.- disse Natal,
ignorando le parole di Antonio – Il sogno del niño Carletto
è di diventare adulto e forte e poter lasciare la sua terra. Vuole
rifugiarsi da qualche parte in Germania, magari in un villaggio di contadini.
Dice sempre che sono i contadini tedeschi la vera radice della razza ariana.
Buffo che uno come il niño parli di razza ariana, eh?- sorrise come se
lo trovasse davvero buffo, ma Antonio rimase freddo – Io invece voglio andare
a coltivare. Già, voglio coltivare delle arance. I pomodori non mi sono
mai piaciuti, sai?- Antonio lo guardava in silenzio, senza rispondere. Natal
sorrise al vuoto – Voglio passare la mia vita sotto il sole, con le
fronde degli alberi che mi fanno ombra e l’odore di terra e arance.
Magari anche qualche pianta di limoni. Mi piace il giallo. A te piace il
giallo?
Spagna
non rispose. Natal si coprì il viso con le mani singhiozzando –
Che faccio, Antonio? Eh? Che faccio? Non voglio morire. Non voglio. Eppure tu
non muori ancora. Io ti picchio, ti macello, ti sparo, ti violento e tu nulla,
resti là come uno scheletro murato dietro una parete. Perché non
muori, eh? Perché sei ancora vivo?
Antonio
abbassò il capo, osservando le pietre irregolari sotto il pagliericcio
– Perché non mi arrendo. – disse quasi con calma –
Perché non posso arrendermi né morire. Ho vissuto troppo tempo
per farmi uccidere da te, Hermanito .
A Natal
sfuggì un altro singhiozzo – Non verseresti il mio sangue, eh,
Hermano? Non verseresti il tuo stesso sangue, eh?- Antonio alzò il capo
– L’odiato sangue di un bastardo lo verso volentieri.- disse. Natal
si scoprì il viso, mostrando gli occhi asciutti. Prese una seconda
chiave dal mazzo, infilandola quasi con rabbia dentro la toppa. Antonio fece un
salto indietro, cercando di evitare l’abbattersi della porta sul suo
viso. Natal lo allontanò con un calcio, buttandosi contro di lui.
Antonio
lo fissò – Hai ragione, il mio sangue è diverso dal tuo,
Hermano.- sentì i denti di Natal affondare malamente nel suo collo e poi
le sue labbra succhiare con forza le gocce di sangue che stillavano dai
segni dei denti.
- Il tuo
è buono, Hermano.
Antonio
aveva un’immagine fissa di Natal. Non era un’immagine buona (non
aveva immagini buone o belle di Natal, solo brutte) ma per lo meno era decente.
Aveva la
fotografia mentale di quando Natal lo violentava, stringendo i suoi polsi
contro il pavimento freddo e artigliandolo sulle cosce. Aveva l’immagine
fissa di Natal che lo guardava ansimando come una bestia, insultandolo,
mordendolo.
Aveva
l’immagine di quando Natal si bloccava e lo guardava in silenzio,
togliendogli la mano dal fianco e ne carezzava una guancia. Di quando scoppiava
a piangere quasi senza motivo, forse perché aveva visto qualcosa nei
suoi occhi o magari per un vero dolore.
Allora
lasciava i suoi polsi e si lasciava cadere sul suo petto magro, il corpo scosso
dai singhiozzi. Lo trovava tenero in quel momento. Forse era per il suo
complesso del fratello, o forse per vero affetto o per vera pietà che in
quel momento non lo picchiava come meritava ma lo abbracciava, carezzandone i
capelli ribelli.
Ricordava
come Natal singhiozzasse debolmente “Hermano” come in una
preghiera. Ricordava tutti i suoi “perdóneme” detti fra gli
“Hermano”.
Ricordava
di aver pianto anche lui, qualche volta, per quell’ingrato fratello dal
sangue bastardo che sarebbe morto presto lasciandolo solo per l’ennesima
volta.
Natal
l’aveva guardato. L’aveva guardato tra le lacrime, senza perdere il
sorriso (quel sorriso stupido che lo faceva somigliare così tanto a
lui), l’aveva anche chiamato, ma non ne era sicuro perché in quel
momento erano in tanti a chiamarlo. L’aveva visto trascinato via dalla
folla, l’aveva sentito gridare disperato, aveva visto il suo bel corpo
smembrato volare dal recinto dei tori di quella Plaza de Toros dove tante volte
l’avevano osannato tra i panni rossi e le vesti splendenti del matador.
Ma,
forse per il suo complesso del fratello, forse per vero affetto o per semplice
pietà, nella notte Antonio aveva raccolto quei pochi e tristi resti e li
aveva seppelliti sotto un albero d’arance.
-Non
è il campo dei tuoi sogni.- disse buttando la terra sulla buca –
Ma è sempre meglio dello sterco di toro.
Se non
l’avesse trovato macabro e inquietante avrebbe potuto giurare che Natal
l’aveva ringraziato, da sottoterra.
A.Corner___
Ho ben
poco da dire ù.ù
Solito
link: link.
Natal
è l’incarnazione del regime franchista, potremmo dire. Bhe,
sì, dai che lo è.
Antonio
lo apostrofa come “di sangue bastardo” perché non lo
considera totalmente spagnolo. Più che altro Natal ha in se sangue
italiano, spagnolo e forse un pizzico di sangue tedesco.
Traduzioni:
Hermano: fratello.
Hermanito: fratellino.
Ya tú
sabes: tu sai come facciamo.
Sí,
sí, tú tienes razón: sì,
sì, tu hai ragione.
Perdóneme: perdomani.