Fanfic nata per la mailing list “Il tempio di Shun”, che ogni stagione prevede la composizione di una fanfic a tema. Il tema invernale era: una fiaba e questa è la mia interpretazione ^^
FIABA
-La melodia della vita-
Il ritorno della quiete
coincise con la disperazione insopprimibile di un popolo che aveva perso tutto;
in quell’isola sperduta nell’oceano la terra aveva tremato, l’inferno aveva
steso il proprio sudario di dolore e morte senza lasciare viva neanche la
speranza.
Troppe
bocche sotto ad occhi increduli vagavano, esprimendo i loro muti perché a
qualche annoiata divinità che non avrebbe risposto.
Numerosi
erano gli orfani rimasti senza niente, se non occhi per piangere e labbra per
implorare aiuto. Tra questi bambini c’era Amal, con il suo sguardo d’ambra
sognante, Amal che credeva alle favole che la mamma gli aveva raccontato fino a
poco tempo prima della tragedia, Amal convinto che i genitori non fossero
morti, ma che fossero stati accolti dalle creature del mare, mutandosi in
semidei.
Amal
aveva un fratello più grande, Rom, il quale sentiva sulle proprie spalle la
responsabilità di doversi occupare dell’unico congiunto rimastogli al mondo,
Rom che amava anche lui sognare un tempo, ma che credeva di dover crescere, di
dover dimenticare fantasticherie e favole, perché era necessario sopravvivere
all’orrore che la realtà aveva loro gettato in faccia nel giro di poche ore.
Doveva crescere, diventare cattivo per non soccombere e costringere Amal a fare
altrettanto.
Per
questo quando lo vedeva in riva al mare, lo sguardo fisso a contemplare quelle
profondità che non poteva realmente vedere e che lasciavano così via libera
all’immaginazione, lo richiamava con tono severo, intimandogli di restare con i
piedi per terra.
A
malincuore, Amal seguiva il fratello, ma voltandosi indietro ad ogni passo,
perché qualcosa dall’oceano lo chiamava, lo invitava a tornare. E lui tornava sempre e restava immobile
per ore, a contemplare ogni singolo flutto, mentre la spuma gentile, in un
monotono andirivieni, gli lambiva i piedi nudi, affondati nella sabbia.
Attendeva che la voce di una sirena gli portasse notizie dei
genitori e magari lo conducesse da loro.
***
Le mani nobili del biondo
aristocratico dispiegarono sul tavolo la carta geografica e un dito si posò in
un punto in cui l’azzurro dell’oceano dominava, apparentemente distante da ogni
minima parvenza di terra.
-L’isola
dovrebbe trovarsi qui; è talmente minuscola che non compare sulla carta e la
sua sventura è passata quasi inosservata all’attenzione del mondo civilizzato.
Ma tanti bambini sono rimasti orfani nel giro di pochi istanti e la missione
che ci siamo imposti dovrà condurci lì.
Il
volto bellissimo nei tratti fieri e delicati si sollevò, incrociando lo sguardo
del giovane dagli occhi bizzarri, con le loro sfumature rosate che facevano
pensare ad una forma di albinismo, confermata dal biondo singolare,
chiarissimo, quasi trasparente, dei capelli.
-Sei
pronto a partire, Sorrento?- gli chiese il nobile e l’albino annuì, con un
sorriso colmo di adorazione.
-Sì,
signor Julian; il mio flauto non desidera altro che mettersi al servizio di
quei bambini… e il mio cuore, così come il corpo, aspira unicamente a seguirla
ovunque lei voglia.
L’altro
lo scrutò qualche istante, incerto sul modo in cui avrebbe dovuto interpretare
quelle parole, ma infine scosse il capo, con un risolino rassegnato:
-Un
giorno, forse, riuscirò a cogliere quelle sfumature del tuo animo che ancora mi
sfuggono…
L’albino
chinò il capo, le palpebre un poco strette, un’espressione timida e triste che
si sciolse in un mesto sorriso.
-Eppure…
non è difficile…- mormorò, ma il nobile già non poteva udirlo, gli aveva dato
le spalle e si era allontanato di qualche passo, le mani affondate nelle tasche
della giacca di pregiata fattura. Si era poi fermato accanto alla finestra
dalla quale era possibile ammirare il roccioso Cape Sounion, custode di
mitologiche credenze.
-Partiremo
stasera; vai a prepararti, amico mio, un lungo viaggio ci aspetta.
***
-Sei ancora lì a
fantasticare, Amal?
Il
bambino non si mosse quando udì la voce del fratello alle sue spalle, rimase
immobile, lo sguardo fisso sull’orizzonte di cielo e acqua.
-Il
mare li ha presi- si limitò a mormorare, quasi più a se stesso che in risposta
al richiamo -per cui loro, ora, fanno sicuramente parte del mare… sono lì
sotto… da qualche parte…
Un
ringhio aggressivo accompagnò il balzo che Rom fece per portarsi davanti al
bambino più piccolo; si chinò finché i loro visi non furono alla stessa
altezza, posandogli le mani sulle spalle, stringendo tanto da strappargli forti
tremiti e un gemito di dolore. Nel frattempo lo fissava con sguardo talmente
duro che Amal avrebbe desiderato scomparire; tentava di distogliere gli occhi,
invano, perché quelli di Rom inseguivano i suoi.
-Sono
morti, capisci? Li ha presi il mare, sì, perché c’è stato un maremoto e loro
sono affogati… affogati, sai cosa vuol dire?! Che forse, in fondo al mare, ci
sono solo i loro cadaveri, se qualche ondata non li ha sbattuti a marcire su
qualche spiaggia lontana!
-Smettila!-
lo pregò il fratellino, scotendo il capo e premendosi le mani sulle orecchie.
-Devi
crescere, Amal!
Il
più piccolo si divincolò e fuggì, lasciando il fratello a contemplare la sua
corsa con un misto di rabbia e tristezza.
Il
sole al tramonto stava tingendo di rosso il cielo e la superficie lievemente
increspata del mare, così calmo da far dubitare con decisione che, solo pochi
giorni prima, lì sotto si era celata la mostruosa origine della catastrofe.
Amal
era un puntino che quasi scompariva nella sanguigna immensità, i suoi piedi
nudi annaspavano nella sabbia bagnata e cedevole, lasciando al loro passaggio
tracce effimere che scomparivano ad ogni carezza delle onde.
Si
fermò quando il sole era ormai prossimo a scomparire oltre l’orizzonte e a suo
ricordo era rimasta qualche striscia rossa, come festoni colorati che
corteggiavano il cielo.
Si
chinò, le mani sulle ginocchia, respirando affannosamente per riprendere fiato,
quindi si voltò, in parte sperando che il fratello l’avesse seguito, perché
detestava quando restavano separati, stendendo tra loro una reciproca barriera
di incomunicabilità. Invece non c’era nessuno alle sue spalle, per quanto
lontano spingesse lo sguardo.
Sospirò,
chiudendo un attimo gli occhi, poi si lasciò cadere a terra, si sedette
raccogliendo le ginocchia al petto e nascose in esse il viso, lasciando via
libera ad un pianto silenzioso, accompagnato dal lieve sciacquio delle onde che
sembravano voler cullare la disperazione del bambino. Quelle stesse onde che,
nella più terribile giornata della sua breve vita, gli avevano portato via
tutto.
Al
loro canto si aggiunse un suono, appena udibile dapprima, poi sempre più
concreto; Amal non ci fece troppo caso inizialmente, interiorizzava la melodia
come una naturale componente di quel luogo ormai tinto dalla notte e adagiato
sotto un manto di stelle.
Infine
comprese e sollevò il viso; la luna si era alzata nel cielo, regina in mezzo
agli astri ed un delicato fascio di luce scendeva a lambire una figura che
sembrava danzare sui flutti mentre avanzava, come sorta dagli abissi remoti.
Quella
bellezza inumana spinse il piccolo incredulo a sgranare gli occhi, luccicanti
di pura meraviglia tra le perle di lacrime.
La
creatura degli abissi aveva le braccia sollevate e le mani intente ad
accarezzare un oggetto tenuto davanti alle labbra, un oggetto sul quale le
stelle specchiavano il loro splendore. Amal sapeva riconoscere un flauto e quel
flauto, in particolare, emanava incanto.
“O
forse è il fatto che sto sognando a mostrarmi tutto in questo modo strano” rifletté nella sua semplicità di bambino fin troppo
fantasioso.
La figura fatata avanzava, liberando intorno a sé un rincorrersi di note struggenti; Amal non aveva paura, anche se la vedeva sempre più vicina. Si alzò in piedi, gli occhi intensi mai apparsi così grandi, le labbra aperte senza che tuttavia articolassero un suono e attese. In un certo senso era impaziente, combattuto tra il desiderio di ascoltare ancora quella musica meravigliosa e quello di essere raggiunto dalla creatura del mare, di vedere cosa sarebbe successo quando il momento fosse arrivato.
Man
mano che si avvicinava, poteva contemplarlo sempre meglio, i particolari si
rendevano evidenti e confermò la prima impressione: non aveva mai visto niente
di più bello. I capelli della creatura attingevano colore dalla luna, che
giocava con quei fili sottili e lucenti, acconciati in un caschetto lievemente
arricciato; anche la pelle, liscia e bianca, sembrava assorbire la tinta tenue
del satellite terrestre. Il corpo era nudo, ad eccezione di un gonnellino
sottile che avvolgeva i fianchi, modellando con grazia le forme sinuose. Il
petto era maschile, ma Amal non osava conferire una sessualità definita ad un
essere che non sembrava appartenere al mondo reale.
All’improvviso,
quando era ormai a pochi passi, l’essere sollevò le palpebre e Amal non poté
trattenere un lieve gemito: decisamente quegli occhi non appartenevano ad una
creatura terrestre; possedevano sfumature straordinarie, dal rosa scuro al
rosso intenso e, se i tratti e lo sguardo non avessero trasmesso una sublime
gentilezza propria degli angeli, occhi simili accesi nella notte sarebbero
apparsi di demone. Amal era consapevole di quanto potessero risultare
ingannevoli le apparenze dell’occulto e quello forse era davvero un demone;
nonostante tutto, però, continuava a non avere paura.
L’essere
compì gli ultimi passi, fino a fermarsi davanti a lui, le onde che gli
lambivano ormai solo le caviglie. La melodia cessò, le braccia del musico si
abbassarono ed Amal si rese conto che lo stava fissando; gli sfuggì un piccolo
singulto d’inquietudine, perché quegli occhi erano davvero strani, eppure
ancora non tremò, non si spaventò, non fu tentato di indietreggiare, perché
sotto quegli occhi si allargava il sorriso più dolce che mai gli fosse stato
rivolto.
-Sei…
una sirena?- osò chiedere, finalmente, ritrovando un briciolo di voce, per
quanto sottile ed incerta.
Il
sorriso della creatura si accentuò:
-Il
mio nome è Siren Sorrento; quindi sì… in un certo senso, potrei essere definito
una sirena.
La
voce scese nel cuore del bambino simile a un canto, calda, avvolgente,
confortante come un abbraccio.
-E…
vivi nel mare?
-Ci
ho vissuto tempo fa… sul fondo del mare… un luogo bellissimo, dove il cielo è
fatto d’acqua e le creature degli abissi vivono seguendo il loro ordine
armonico…
Lo
sguardo vagò, come a voler abbracciare l’oceano e si fece, in qualche modo, più
malinconico.
-Mi
manca…
-Perché?
Non vivi più lì?
-Ho
fatto una scelta… quella di portare nel mondo, laddove è buio e disperazione,
il dono della musica…
-Cosa
ce ne facciamo del dono della musica?- sibilò aspramente qualcuno nell’oscurità
-Se un buffone come te è davvero una creatura del mare, cosa a cui non credo
affatto, come osi venire qui a decantarne la bellezza?!
Dalle
ombre della notte si fece avanti un ragazzino alto e magro, vagamente
somigliante ad Amal, ma meno innocente nello sguardo furioso e precocemente
indurito. Amal tremò, il sorriso di Siren scomparve e i suoi occhi strani si
fecero tristi.
-Rom…-
mormorò Amal, la voce arrochita.
Il
ragazzino così interpellato si avvicinò un po’ di più ma, anziché rispondere al
fratello, si rivolse ancora contro Siren, i pugni stretti lungo i fianchi, il
tono furente che a fatica controllava:
-Il
mare è un mostro, è nemico degli abitanti della terra, è un maledetto
traditore, perché finché gli va ci sostiene poi, in pochi istanti, si riprende
tutto e anche più di quel che ci ha dato!
Siren
ritrovò in qualche modo la forza di rigenerare il proprio bel sorriso e tentò
di trasmettere comprensione guardando quel bambino arrabbiato e infelice:
-Non
hai pensato che, forse, non è tutta colpa del mare? Che le cose non sono così
scontate come l’apparenza ci mostra? Non hai pensato che, forse, sia la terra
intera ad essere giunta all’esasperazione?
-Non
tentare di convincermi con questa tua falsa dolcezza, se davvero vieni dal mare
non puoi che essere un traditore anche tu! Gli ingannatori sanno mascherarsi
bene!
-Io
capisco come ti senti… davvero…- Rispose Siren senza perdere il controllo, ma
neanche la parvenza di lacrime che scintillò nei suoi occhi riuscì a sciogliere
la scorza che Rom aveva eretto intorno al proprio cuore. Il ragazzo fece un
altro passo, afferrò Amal per un braccio e lo strattonò, facendolo urlare di
dolore, con l’evidente scopo di allontanarlo dalla creatura del mare:
-Lo
so cosa hai in mente! Vuoi sfruttare l’ingenuità di mio fratello per ingannare
anche lui, approfittando dei suoi sciocchi sogni, così lo prenderai e lo
porterai nel mare, togliendomi per sempre anche lui!
Rom
non se ne era reso conto, ma la sua rabbia si era sciolta in lacrime, le prime
lacrime piante dal giorno della tragedia; Amal lo scrutava, profondamente
colpito e anche Siren continuava a guardarlo, con un’espressione che, in un
certo qual modo, sembrava paterna. Il tono si fece più carezzevole che mai nel
ribattere all’ultima parte della sfuriata:
-Vedi?
A me sembra che anche tu, adesso, stia credendo ai sogni… gli stessi sogni di
tuo fratello tra l’altro. E’ solo diverso il modo in cui li affrontate.
Rom
sussultò; il suo sguardo era pieno di sospetto e diffidenza, ma non trovava,
evidentemente, alcuna parola adatta per replicare.
-Stai
credendo in me quale creatura del mare, stai ammettendo che, forse, i sogni di
tuo fratello non sono poi così campati in aria…
Rom
tremò, i pugni si strinsero convulsamente, lo sguardo fuggì e ormai non provava
più a trattenere il pianto.
-Anche
se fosse- balbettò -Non voglio che lui ci creda… perché non c’è niente di
buono… se è vero che i nostri genitori li ha presi il mare… perché dovremmo
essere contenti di questo?
Al
piccolo essere umano colmo di rabbia si andava sostituendo, pian piano, un
bambino indifeso e disperato, in cerca di spiegazioni che lo aiutassero ad
affrontare un dramma troppo immenso e difficile per lui.
Siren
fece qualche passò, si chinò davanti ai due bambini che, in quel momento, lo
videro umano, come loro; quella vicinanza stava disgregando la magia ma, al
tempo stesso, lo rendeva più vivo e rassicurante alle loro percezioni, seppur
non meno bello.
-Tu
sei umano- mormorò Rom fissandolo.
-Sì…
sono umano… ma non ho mentito quando ho sostenuto di conoscere gli abissi del
mare, di esserci vissuto, di averli amati. Non ho mentito neanche quando mi
sono definito, in parte, sirena…
-Ci
stai ancora prendendo in giro…
Siren
scosse il capo, pacatamente:
-E’
l’ultima cosa che vorrei. Non sono un essere perfetto, come voi ho tante
incertezze, non posso darvi sicurezza alcuna. Ma su una cosa sono sicuro: i
sogni non sono falsità, le favole possono raccontare verità… e quel che è
accaduto qui, non è colpa del mare…
Fu
interrotto da un’esclamazione di Amal, che aveva adocchiato qualcosa, poco
distante, qualcosa che le onde avevano spinto a riva, qualcosa che luccicava
alla luce della luna come un oggetto prezioso. Siren si alzò, mentre il bambino
correva verso quella nuova scoperta e, quando la raggiunse, il suo volto si
fece triste.
Si
trattava di un pesce, in fin di vita se non già morto, una visione di morte pur
nella sua estrema bellezza; Siren si chinò accanto al bambino.
-Prendilo
in mano- gli ordinò con dolcezza.
Amal,
un po’ titubante, obbedì e sollevò il pesce, con delicatezza estrema, quasi
temendo di romperlo.
-Adesso
restituiscilo al mare; potrebbe ridargli la vita, sai? E magari tramutarlo in
sirena…
-Ancora
frottole?- brontolò Rom che assisteva alla scena da qualche passo di distanza.
Nel
rispondere con un sorriso sereno, Siren rivolse il proprio sguardo al mare:
-E’
una delle mie poche certezze assolute…
Vi
era tanta sincerità in quell’asserzione che Rom non osò ribattere e la sua
espressione mutò, mentre continuava a scrutare quello strano giovane, dal
solito atteggiamento sospettoso ad un vivo stupore. Nel frattempo, Amal aveva
fatto qualche passo, l’acqua del mare gli avvolgeva le ginocchia, si chinò,
adagiò il suo prezioso fardello tra i flutti e attese che un’onda gentile
giungesse a sottrarglielo dalle mani, con la cura che avrebbe infuso in
quell’abbraccio liquido un genitore amorevole.
-Il
mare si è ripreso un suo figlio- sussurrò Siren, gli occhi palesemente umidi di
commozione.
Rom,
senza quasi rendersene conto, come rapito da un potere arcano, si affiancò a
Siren ed assistette all’incontro tra Amal e gli spiriti del mare con il
rispetto che avrebbe rivolto ad un sacro rituale. Qualcosa era accaduto dentro
di lui, una pietra intorno al suo cuore si era spezzata e la falla così
provocata lasciava entrare sensazioni nuove, struggenti, dolorose e bellissime
a un tempo. Sussultò un poco quando percepì la mano di Siren che si posava
sulla sua spalla ma non mutò la direzione del proprio sguardo e non si
ritrasse.
-Io
non so dire a te ed a tuo fratello se i vostri genitori sono diventati creature
del mare… ma so che niente muore per sempre… loro sono ancora qui, tra noi,
insieme a voi, nello spirito di questo universo che tutto avvolge e l’armonia
che detta le leggi di morte e rinascita è assolutamente pura e perfetta, come
la musica del mio flauto… tutto è armonia, la vita non esiste senza la morte,
ma la morte è solo preludio ad un’altra vita.
Qualche
istante di silenzio, poi un lieve singhiozzo, seguito da una domanda
pronunciata dalle labbra tremanti di Rom:
-Suoneresti…
ancora qualcosa?
Il
sorriso di Siren si accentuò, non disse nulla ma sollevò le braccia e cominciò
a soffiare nel flauto e subito ricominciò la magia. Rom chiuse gli occhi, ogni
cosa intorno a lui scomparve, era entrato a far parte del tutto universale;
accolse con gioia l’abbraccio cosmico e riconobbe ben note sensazioni in quella
stretta. Gli sfuggì un lieve mormorio:
-Mamma…
papà…
Si
lasciò cullare, Amal era vicino a lui, ogni creatura dell’universo era lì:
niente moriva, nessuno scompariva dal mondo, ma veniva inglobato nel flusso
eterno della vita.