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Autore: PerseoeAndromeda    05/04/2010    1 recensioni
Una tragedia ha colpito due bambini, che credono di avere perso tutto. Una creatura giunge dal mare per tentare di lenire il loro dolore. Di scena Siren Sorrento, una breve apparizione di Julian e due personaggi di mia invenzione ^^
Genere: Triste, Malinconico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo Personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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FIABA

Fanfic nata per la mailing list “Il tempio di Shun”, che ogni stagione prevede la composizione di una fanfic a tema. Il tema invernale era: una fiaba e questa è la mia interpretazione ^^

 

 

FIABA

 

-La melodia della vita-

 

Il ritorno della quiete coincise con la disperazione insopprimibile di un popolo che aveva perso tutto; in quell’isola sperduta nell’oceano la terra aveva tremato, l’inferno aveva steso il proprio sudario di dolore e morte senza lasciare viva neanche la speranza.

Troppe bocche sotto ad occhi increduli vagavano, esprimendo i loro muti perché a qualche annoiata divinità che non avrebbe risposto.

Numerosi erano gli orfani rimasti senza niente, se non occhi per piangere e labbra per implorare aiuto. Tra questi bambini c’era Amal, con il suo sguardo d’ambra sognante, Amal che credeva alle favole che la mamma gli aveva raccontato fino a poco tempo prima della tragedia, Amal convinto che i genitori non fossero morti, ma che fossero stati accolti dalle creature del mare, mutandosi in semidei.

Amal aveva un fratello più grande, Rom, il quale sentiva sulle proprie spalle la responsabilità di doversi occupare dell’unico congiunto rimastogli al mondo, Rom che amava anche lui sognare un tempo, ma che credeva di dover crescere, di dover dimenticare fantasticherie e favole, perché era necessario sopravvivere all’orrore che la realtà aveva loro gettato in faccia nel giro di poche ore. Doveva crescere, diventare cattivo per non soccombere e costringere Amal a fare altrettanto.

Per questo quando lo vedeva in riva al mare, lo sguardo fisso a contemplare quelle profondità che non poteva realmente vedere e che lasciavano così via libera all’immaginazione, lo richiamava con tono severo, intimandogli di restare con i piedi per terra.

A malincuore, Amal seguiva il fratello, ma voltandosi indietro ad ogni passo, perché qualcosa dall’oceano lo chiamava, lo invitava a tornare. E lui tornava sempre e restava immobile per ore, a contemplare ogni singolo flutto, mentre la spuma gentile, in un monotono andirivieni, gli lambiva i piedi nudi, affondati nella sabbia.

Attendeva che la voce di una sirena gli portasse notizie dei genitori e magari lo conducesse da loro.

 

 

***

 

Le mani nobili del biondo aristocratico dispiegarono sul tavolo la carta geografica e un dito si posò in un punto in cui l’azzurro dell’oceano dominava, apparentemente distante da ogni minima parvenza di terra.

-L’isola dovrebbe trovarsi qui; è talmente minuscola che non compare sulla carta e la sua sventura è passata quasi inosservata all’attenzione del mondo civilizzato. Ma tanti bambini sono rimasti orfani nel giro di pochi istanti e la missione che ci siamo imposti dovrà condurci lì.

Il volto bellissimo nei tratti fieri e delicati si sollevò, incrociando lo sguardo del giovane dagli occhi bizzarri, con le loro sfumature rosate che facevano pensare ad una forma di albinismo, confermata dal biondo singolare, chiarissimo, quasi trasparente, dei capelli.

-Sei pronto a partire, Sorrento?- gli chiese il nobile e l’albino annuì, con un sorriso colmo di adorazione.

-Sì, signor Julian; il mio flauto non desidera altro che mettersi al servizio di quei bambini… e il mio cuore, così come il corpo, aspira unicamente a seguirla ovunque lei voglia.

L’altro lo scrutò qualche istante, incerto sul modo in cui avrebbe dovuto interpretare quelle parole, ma infine scosse il capo, con un risolino rassegnato:

-Un giorno, forse, riuscirò a cogliere quelle sfumature del tuo animo che ancora mi sfuggono…

L’albino chinò il capo, le palpebre un poco strette, un’espressione timida e triste che si sciolse in un mesto sorriso.

-Eppure… non è difficile…- mormorò, ma il nobile già non poteva udirlo, gli aveva dato le spalle e si era allontanato di qualche passo, le mani affondate nelle tasche della giacca di pregiata fattura. Si era poi fermato accanto alla finestra dalla quale era possibile ammirare il roccioso Cape Sounion, custode di mitologiche credenze.

-Partiremo stasera; vai a prepararti, amico mio, un lungo viaggio ci aspetta.

 

 

***

 

-Sei ancora lì a fantasticare, Amal?

Il bambino non si mosse quando udì la voce del fratello alle sue spalle, rimase immobile, lo sguardo fisso sull’orizzonte di cielo e acqua.

-Il mare li ha presi- si limitò a mormorare, quasi più a se stesso che in risposta al richiamo -per cui loro, ora, fanno sicuramente parte del mare… sono lì sotto… da qualche parte…

Un ringhio aggressivo accompagnò il balzo che Rom fece per portarsi davanti al bambino più piccolo; si chinò finché i loro visi non furono alla stessa altezza, posandogli le mani sulle spalle, stringendo tanto da strappargli forti tremiti e un gemito di dolore. Nel frattempo lo fissava con sguardo talmente duro che Amal avrebbe desiderato scomparire; tentava di distogliere gli occhi, invano, perché quelli di Rom inseguivano i suoi.

-Sono morti, capisci? Li ha presi il mare, sì, perché c’è stato un maremoto e loro sono affogati… affogati, sai cosa vuol dire?! Che forse, in fondo al mare, ci sono solo i loro cadaveri, se qualche ondata non li ha sbattuti a marcire su qualche spiaggia lontana!

-Smettila!- lo pregò il fratellino, scotendo il capo e premendosi le mani sulle orecchie.

-Devi crescere, Amal!

Il più piccolo si divincolò e fuggì, lasciando il fratello a contemplare la sua corsa con un misto di rabbia e tristezza.

Il sole al tramonto stava tingendo di rosso il cielo e la superficie lievemente increspata del mare, così calmo da far dubitare con decisione che, solo pochi giorni prima, lì sotto si era celata la mostruosa origine della catastrofe.

Amal era un puntino che quasi scompariva nella sanguigna immensità, i suoi piedi nudi annaspavano nella sabbia bagnata e cedevole, lasciando al loro passaggio tracce effimere che scomparivano ad ogni carezza delle onde.

Si fermò quando il sole era ormai prossimo a scomparire oltre l’orizzonte e a suo ricordo era rimasta qualche striscia rossa, come festoni colorati che corteggiavano il cielo.

Si chinò, le mani sulle ginocchia, respirando affannosamente per riprendere fiato, quindi si voltò, in parte sperando che il fratello l’avesse seguito, perché detestava quando restavano separati, stendendo tra loro una reciproca barriera di incomunicabilità. Invece non c’era nessuno alle sue spalle, per quanto lontano spingesse lo sguardo.

Sospirò, chiudendo un attimo gli occhi, poi si lasciò cadere a terra, si sedette raccogliendo le ginocchia al petto e nascose in esse il viso, lasciando via libera ad un pianto silenzioso, accompagnato dal lieve sciacquio delle onde che sembravano voler cullare la disperazione del bambino. Quelle stesse onde che, nella più terribile giornata della sua breve vita, gli avevano portato via tutto.

Al loro canto si aggiunse un suono, appena udibile dapprima, poi sempre più concreto; Amal non ci fece troppo caso inizialmente, interiorizzava la melodia come una naturale componente di quel luogo ormai tinto dalla notte e adagiato sotto un manto di stelle.

Infine comprese e sollevò il viso; la luna si era alzata nel cielo, regina in mezzo agli astri ed un delicato fascio di luce scendeva a lambire una figura che sembrava danzare sui flutti mentre avanzava, come sorta dagli abissi remoti.

Quella bellezza inumana spinse il piccolo incredulo a sgranare gli occhi, luccicanti di pura meraviglia tra le perle di lacrime.

La creatura degli abissi aveva le braccia sollevate e le mani intente ad accarezzare un oggetto tenuto davanti alle labbra, un oggetto sul quale le stelle specchiavano il loro splendore. Amal sapeva riconoscere un flauto e quel flauto, in particolare, emanava incanto.

“O forse è il fatto che sto sognando a mostrarmi tutto in questo modo strano” rifletté nella sua semplicità di bambino fin troppo fantasioso.

La figura fatata avanzava, liberando intorno a sé un rincorrersi di note struggenti; Amal non aveva paura, anche se la vedeva sempre più vicina. Si alzò in piedi, gli occhi intensi mai apparsi così grandi, le labbra aperte senza che tuttavia articolassero un suono e attese. In un certo senso era impaziente, combattuto tra il desiderio di ascoltare ancora quella musica meravigliosa e quello di essere raggiunto dalla creatura del mare, di vedere cosa sarebbe successo quando il momento fosse arrivato.

Man mano che si avvicinava, poteva contemplarlo sempre meglio, i particolari si rendevano evidenti e confermò la prima impressione: non aveva mai visto niente di più bello. I capelli della creatura attingevano colore dalla luna, che giocava con quei fili sottili e lucenti, acconciati in un caschetto lievemente arricciato; anche la pelle, liscia e bianca, sembrava assorbire la tinta tenue del satellite terrestre. Il corpo era nudo, ad eccezione di un gonnellino sottile che avvolgeva i fianchi, modellando con grazia le forme sinuose. Il petto era maschile, ma Amal non osava conferire una sessualità definita ad un essere che non sembrava appartenere al mondo reale.

All’improvviso, quando era ormai a pochi passi, l’essere sollevò le palpebre e Amal non poté trattenere un lieve gemito: decisamente quegli occhi non appartenevano ad una creatura terrestre; possedevano sfumature straordinarie, dal rosa scuro al rosso intenso e, se i tratti e lo sguardo non avessero trasmesso una sublime gentilezza propria degli angeli, occhi simili accesi nella notte sarebbero apparsi di demone. Amal era consapevole di quanto potessero risultare ingannevoli le apparenze dell’occulto e quello forse era davvero un demone; nonostante tutto, però, continuava a non avere paura.

L’essere compì gli ultimi passi, fino a fermarsi davanti a lui, le onde che gli lambivano ormai solo le caviglie. La melodia cessò, le braccia del musico si abbassarono ed Amal si rese conto che lo stava fissando; gli sfuggì un piccolo singulto d’inquietudine, perché quegli occhi erano davvero strani, eppure ancora non tremò, non si spaventò, non fu tentato di indietreggiare, perché sotto quegli occhi si allargava il sorriso più dolce che mai gli fosse stato rivolto.

-Sei… una sirena?- osò chiedere, finalmente, ritrovando un briciolo di voce, per quanto sottile ed incerta.

Il sorriso della creatura si accentuò:

-Il mio nome è Siren Sorrento; quindi sì… in un certo senso, potrei essere definito una sirena.

La voce scese nel cuore del bambino simile a un canto, calda, avvolgente, confortante come un abbraccio.

-E… vivi nel mare?

-Ci ho vissuto tempo fa… sul fondo del mare… un luogo bellissimo, dove il cielo è fatto d’acqua e le creature degli abissi vivono seguendo il loro ordine armonico…

Lo sguardo vagò, come a voler abbracciare l’oceano e si fece, in qualche modo, più malinconico.

-Mi manca…

-Perché? Non vivi più lì?

-Ho fatto una scelta… quella di portare nel mondo, laddove è buio e disperazione, il dono della musica…

-Cosa ce ne facciamo del dono della musica?- sibilò aspramente qualcuno nell’oscurità -Se un buffone come te è davvero una creatura del mare, cosa a cui non credo affatto, come osi venire qui a decantarne la bellezza?!

Dalle ombre della notte si fece avanti un ragazzino alto e magro, vagamente somigliante ad Amal, ma meno innocente nello sguardo furioso e precocemente indurito. Amal tremò, il sorriso di Siren scomparve e i suoi occhi strani si fecero tristi.

-Rom…- mormorò Amal, la voce arrochita.

Il ragazzino così interpellato si avvicinò un po’ di più ma, anziché rispondere al fratello, si rivolse ancora contro Siren, i pugni stretti lungo i fianchi, il tono furente che a fatica controllava:

-Il mare è un mostro, è nemico degli abitanti della terra, è un maledetto traditore, perché finché gli va ci sostiene poi, in pochi istanti, si riprende tutto e anche più di quel che ci ha dato!

Siren ritrovò in qualche modo la forza di rigenerare il proprio bel sorriso e tentò di trasmettere comprensione guardando quel bambino arrabbiato e infelice:

-Non hai pensato che, forse, non è tutta colpa del mare? Che le cose non sono così scontate come l’apparenza ci mostra? Non hai pensato che, forse, sia la terra intera ad essere giunta all’esasperazione?

-Non tentare di convincermi con questa tua falsa dolcezza, se davvero vieni dal mare non puoi che essere un traditore anche tu! Gli ingannatori sanno mascherarsi bene!

-Io capisco come ti senti… davvero…- Rispose Siren senza perdere il controllo, ma neanche la parvenza di lacrime che scintillò nei suoi occhi riuscì a sciogliere la scorza che Rom aveva eretto intorno al proprio cuore. Il ragazzo fece un altro passo, afferrò Amal per un braccio e lo strattonò, facendolo urlare di dolore, con l’evidente scopo di allontanarlo dalla creatura del mare:

-Lo so cosa hai in mente! Vuoi sfruttare l’ingenuità di mio fratello per ingannare anche lui, approfittando dei suoi sciocchi sogni, così lo prenderai e lo porterai nel mare, togliendomi per sempre anche lui!

Rom non se ne era reso conto, ma la sua rabbia si era sciolta in lacrime, le prime lacrime piante dal giorno della tragedia; Amal lo scrutava, profondamente colpito e anche Siren continuava a guardarlo, con un’espressione che, in un certo qual modo, sembrava paterna. Il tono si fece più carezzevole che mai nel ribattere all’ultima parte della sfuriata:

-Vedi? A me sembra che anche tu, adesso, stia credendo ai sogni… gli stessi sogni di tuo fratello tra l’altro. E’ solo diverso il modo in cui li affrontate.

Rom sussultò; il suo sguardo era pieno di sospetto e diffidenza, ma non trovava, evidentemente, alcuna parola adatta per replicare.

-Stai credendo in me quale creatura del mare, stai ammettendo che, forse, i sogni di tuo fratello non sono poi così campati in aria…

Rom tremò, i pugni si strinsero convulsamente, lo sguardo fuggì e ormai non provava più a trattenere il pianto.

-Anche se fosse- balbettò -Non voglio che lui ci creda… perché non c’è niente di buono… se è vero che i nostri genitori li ha presi il mare… perché dovremmo essere contenti di questo?

Al piccolo essere umano colmo di rabbia si andava sostituendo, pian piano, un bambino indifeso e disperato, in cerca di spiegazioni che lo aiutassero ad affrontare un dramma troppo immenso e difficile per lui.

Siren fece qualche passò, si chinò davanti ai due bambini che, in quel momento, lo videro umano, come loro; quella vicinanza stava disgregando la magia ma, al tempo stesso, lo rendeva più vivo e rassicurante alle loro percezioni, seppur non meno bello.

-Tu sei umano- mormorò Rom fissandolo.

-Sì… sono umano… ma non ho mentito quando ho sostenuto di conoscere gli abissi del mare, di esserci vissuto, di averli amati. Non ho mentito neanche quando mi sono definito, in parte, sirena…

-Ci stai ancora prendendo in giro…

Siren scosse il capo, pacatamente:

-E’ l’ultima cosa che vorrei. Non sono un essere perfetto, come voi ho tante incertezze, non posso darvi sicurezza alcuna. Ma su una cosa sono sicuro: i sogni non sono falsità, le favole possono raccontare verità… e quel che è accaduto qui, non è colpa del mare…

Fu interrotto da un’esclamazione di Amal, che aveva adocchiato qualcosa, poco distante, qualcosa che le onde avevano spinto a riva, qualcosa che luccicava alla luce della luna come un oggetto prezioso. Siren si alzò, mentre il bambino correva verso quella nuova scoperta e, quando la raggiunse, il suo volto si fece triste.

Si trattava di un pesce, in fin di vita se non già morto, una visione di morte pur nella sua estrema bellezza; Siren si chinò accanto al bambino.

-Prendilo in mano- gli ordinò con dolcezza.

Amal, un po’ titubante, obbedì e sollevò il pesce, con delicatezza estrema, quasi temendo di romperlo.

-Adesso restituiscilo al mare; potrebbe ridargli la vita, sai? E magari tramutarlo in sirena…

-Ancora frottole?- brontolò Rom che assisteva alla scena da qualche passo di distanza.

Nel rispondere con un sorriso sereno, Siren rivolse il proprio sguardo al mare:

-E’ una delle mie poche certezze assolute…

Vi era tanta sincerità in quell’asserzione che Rom non osò ribattere e la sua espressione mutò, mentre continuava a scrutare quello strano giovane, dal solito atteggiamento sospettoso ad un vivo stupore. Nel frattempo, Amal aveva fatto qualche passo, l’acqua del mare gli avvolgeva le ginocchia, si chinò, adagiò il suo prezioso fardello tra i flutti e attese che un’onda gentile giungesse a sottrarglielo dalle mani, con la cura che avrebbe infuso in quell’abbraccio liquido un genitore amorevole.

-Il mare si è ripreso un suo figlio- sussurrò Siren, gli occhi palesemente umidi di commozione.

Rom, senza quasi rendersene conto, come rapito da un potere arcano, si affiancò a Siren ed assistette all’incontro tra Amal e gli spiriti del mare con il rispetto che avrebbe rivolto ad un sacro rituale. Qualcosa era accaduto dentro di lui, una pietra intorno al suo cuore si era spezzata e la falla così provocata lasciava entrare sensazioni nuove, struggenti, dolorose e bellissime a un tempo. Sussultò un poco quando percepì la mano di Siren che si posava sulla sua spalla ma non mutò la direzione del proprio sguardo e non si ritrasse.

-Io non so dire a te ed a tuo fratello se i vostri genitori sono diventati creature del mare… ma so che niente muore per sempre… loro sono ancora qui, tra noi, insieme a voi, nello spirito di questo universo che tutto avvolge e l’armonia che detta le leggi di morte e rinascita è assolutamente pura e perfetta, come la musica del mio flauto… tutto è armonia, la vita non esiste senza la morte, ma la morte è solo preludio ad un’altra vita.

Qualche istante di silenzio, poi un lieve singhiozzo, seguito da una domanda pronunciata dalle labbra tremanti di Rom:

-Suoneresti… ancora qualcosa?

Il sorriso di Siren si accentuò, non disse nulla ma sollevò le braccia e cominciò a soffiare nel flauto e subito ricominciò la magia. Rom chiuse gli occhi, ogni cosa intorno a lui scomparve, era entrato a far parte del tutto universale; accolse con gioia l’abbraccio cosmico e riconobbe ben note sensazioni in quella stretta. Gli sfuggì un lieve mormorio:

-Mamma… papà…

Si lasciò cullare, Amal era vicino a lui, ogni creatura dell’universo era lì: niente moriva, nessuno scompariva dal mondo, ma veniva inglobato nel flusso eterno della vita.

 

 

 

 

 

 

 

   
 
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