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Autore: Enrychan    08/04/2010    3 recensioni
Ezio alzò lo sguardo al cielo notturno. «Le stelle sono limpide», disse. «E' una notte buona per una battaglia.»
«E per una promessa», aggiunse Antonio.
«Sì», disse Ezio. «Anche per una promessa.»
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Quando Ezio varcò il cancello del cortile del Palazzo della Seta era quasi il tramonto. Il sole calava lentamente sulle acque del golfo di Venezia, incendiandole di rosso e d'oro, e la laguna sembrava restare come sospesa nell'attesa della notte. Il vento di Bora che aveva soffiato fino a pochi minuti prima andava scemando, anch'esso placato dall'ora del riposo; ma sul canale su cui si affacciava il lato à mar del palazzo si udivano ancora lo scricchiolare delle caorline e delle peate che scivolavano sull'acqua spinte dai remi e il vociare degli operai che si affaccendavano a scaricare le ultime merci e derrate nei magazzini del piano terra.
Sullo scalone dell'entrata principale sostavano un paio di ladri della Gilda, a parlare fra di loro; Ezio calò il cappuccio per farsi riconoscere e loro sorrisero e accennarono a un breve inchino con il capo.
«Bentornato, Ezio», disse uno dei due, «è un bene che tu sia di nuovo a Venezia. Antonio sarà felice di vederti. Ghe zè brùte robe de 'ncò 'ntorno all'arzanàl!»
«Dove posso trovarlo?»
«Sarà nel suo nuovo studiolo» rispose. «Hai visto che meraviglia?», aggiunse poi, accennando all'edificio dietro di sé.
«Vi siete sistemati bene», commentò Ezio, e superò il portone spalancato, entrando nel cortile. Si guardò un attimo intorno prima di proseguire. L'ultima volta che era stato lì dentro aveva assassinato Emilio Barbarigo, e certo non si era curato di apprezzare l'architettura dell'edificio; ma ora che poteva osservare con calma, doveva ammettere che oltre ad un animo cinico e venale, i Barbarigo possedevano anche un indubbio gusto per le cose belle. Il cortile, di forma pressochè quadrata, era inondato dall'ultima luce del giorno, che colorava di rosa i marmi e le pietre bianchi. Il palazzo si innalzava su tre piani, e ognuno di essi si apriva in eleganti bifore e trifore ad arco acuto, che si inserivano incredibilmente bene nelle forme sobrie e rettilinee declinate dagli architetti fiorentini più in voga come messer Brunelleschi e messer Michelozzo, e davano loro una inconsueta parvenza orientaleggiante. Lungo il perimetro del tetto correva una balconata alla quale erano assicurati alcuni pali lignei orizzontali: l'ultima volta che Ezio li aveva visti, da lì pendevano gli stendardi con lo stemma di Emilio Barbarigo; ma erano stati rimossi senza essere sostituiti, per cui ora i pali si allungavano sul cortile come nude e rigide braccia.
Sul lato opposto all'entrata, addossata al muro esterno di uno dei due magazzini dove ancora lavoravano gli ultimi scaricatori, si apriva una grande scalinata che poi compiva un quarto di giro, conducendo al piano nobile. Ezio iniziò a salire i gradini. Non aveva ancora raggiunto il primo piano, che una delle due sentinelle alla porta era già entrata per avvisare Antonio, il quale lo raggiunse immediatamente sulla soglia. I suoi capelli neri cominciavano ad ingrigirsi sulle tempie, ma per il resto appariva in ottima salute, perfino forse un po' ingrassato dall'ultima volta che l'aveva visto. Ad Ezio fece stranamente piacere vedere che, nonostante la nuova posizione privilegiata assunta nell'ex casa di Emilio Barbarigo, il capo della Gilda vestiva ancora i modesti panni del ladro.
«Ezio! Bentornato, amico mio», esclamò stringendogli vigorosamente la mano. «Sono davvero contento che tu sia qui, c'è ancora bisogno di te.»
«Grazie Antonio», rispose Ezio. «Anch'io sono felice di essere tornato. Mi dispiace essere partito senza avvertire.»
«E' dispiaciuto più a noi, temo! Ma d'altronde non hai nessun tipo di contratto con la Gilda, quindi sei libero di andare e venire come ti pare.»
«E dal momento che ci sono...»
«...vedremo di fare uso del tuo talento, sì», concluse Antonio ridendo.
Nel frattempo lo stava conducendo attraverso i saloni del palazzo, e il rumore dei loro passi risuonava netto sui marmi del pavimento e rimbalzava sugli stucchi che decoravano le pareti e sui cassettoni decorati del soffitto. Ezio osservava il tutto camminando con la faccia rivolta verso l'alto.
«Non male, eh?» disse Antonio.
«Davvero.»
«Certo non abbastanza da impressionare qualcuno che venga dalla bella Firenze.»
«Non saprei, non sono particolarmente ferrato in materia. Dovresti chiedere a Leonardo.»
Antonio ridacchiò di nuovo e gli indicò con un cenno della mano la porta del suo studiolo. Quando entrarono, Ezio si meravigliò di quanto esso apparisse piccolo e spartano rispetto all'ostentazione a cui aveva assistito fino a poco prima. In qualche modo, gli ricordava l'interno della precedente base della Gilda dei ladri: pochi mobili, una scrivania semplice di legno al centro della stanza, un camino dove ardeva un fuocherello vivace. Le uniche concessioni al lusso erano due tavolette dipinte, una Madonna col Bambino e una Pietà, appese alle pareti.
«Sei sorpreso?» gli chiese Antonio intuendo i suoi pensieri.
«Non poi così tanto», rispose Ezio. «Ti si addice.»
«Questi li ho tenuti», disse Antonio accennando ai due dipinti. «Mi sembrano molto belli. Ma anche io non sono molto ferrato in matera artistica. Siediti, siediti! Ti verso da bere? Ho del Soave appena arrivato dalle colline dell'entroterra...»
«Niente alcolici, mio caro Antonio. Ho un paio di cose da fare questa notte, e come sai mi sposto sempre... a qualche metro da terra.»
«Ma certo», disse Antonio sorridendo e appoggiandosi alla scrivania. «Sempre di corsa, anche quando rivedi gli amici dopo tutti questi mesi.»
«Finché non avrò portato a termine gli obiettivi che conosci bene anche tu...»
«Naturalmente. Ecco perchè ti consiglio di non avere troppa premura e di aspettare qualche ora nei paraggi. I tuoi obiettivi potrebbero coincidere con i nostri, e stasera avremo un ospite che forse potrebbe darci una mano.»
«Capisco», disse Ezio incrociando le braccia. «Questi vostri obiettivi hanno per caso a che fare con l'arsenale?»
«Vedo che sei stato già informato.»
«Solo un accenno...»
In quel momento la porta si riaprì e comparve Rosa. Ezio non ebbe nemmeno il tempo di salutarla, che già gli aveva gettato le braccia al collo. «Ezio! Razza di stronzo! Mi hanno detto che eri tornato e sono corsa qui per vendicarmi, bastardo!» gridò, ma invece di vendicarsi gli schioccò un bacio sulla guancia. Ezio sorrise, ormai ampiamente abituato al linguaggio scurrile della donna, e ricambiò il bacio.
«Mi dispiace», le disse. «Avevo qualcosa da fare...»
«Andare a puttane, forse», rispose lei con un sorrisetto arguto. «Ti ci sei intrattenuto più del solito, bisogna dire.»
«No, veramente io...», cominciò Ezio. Poi sembrò ricordarsi della presenza di Antonio e si volse verso di lui, ma l'uomo stava sorridendo con indulgenza e una punta di malizia. Ezio tossì, vagamente imbarazzato.
«Scusate l'intrusione», disse Rosa, staccandosi da Ezio. «Voi due eravate certamente molto presi dalle vostre importanti discussioni da uomini.»
«Avevamo quasi finito, mia cara», disse Antonio. «Lascia che scambi ancora due parole con Ezio, poi te lo lascio.»
«Sicuro», rispose la ragazza uscendo, non prima però di avere sfiorato il dorso della mano di Ezio con le dita. Un contatto all'apparenza più innocente dell'abbraccio di poco prima, ma dal significato perfino più chiaro e univoco.
I due uomini tacquero finché la porta non si richiuse, poi Ezio riprese: «Siamo d'accordo. Tornerò qui tra un paio d'ore, mi presenterai il tuo ospite e mi darete le informazioni necessarie. Al resto penserò io.»
«Perfetto.»
Ezio si volse e fece per uscire a sua volta, ma Antonio lo trattenne. «Ezio», disse, «solo un'altra cosa. È semplice ma mi sta a cuore. Rosa è la persona che amo di più al mondo, e non c'è nessuno che io stimi più di quanto stimo te. Voglio che sia chiaro che se vorrete stare insieme, sarò il primo a esserne felice. Ma ti prego di una cosa: non metterle in pancia un bambino, finché non sarai sicuro di potertene occupare. Sono troppo vecchio e ho troppo da fare per crescere un altro marmocchio.»
Ezio sorrise con aria divertita. «Starò attentissimo», rispose, e uscì.
Ritornò al portone principale e si fermò per un attimo a osservare l'esile figura di Rosa, che lo aspettava sulla scala, diversi gradini più in basso. Era voltata di spalle e da quella distanza pareva perfino più piccola e sottile, anche se Ezio non poteva escludere che fosse effettivamente dimagrita ancora dall'ultima volta che era stato a Venezia. I vestiti maschili sembravano essersi allargati intorno a lei. I capelli, neri e arruffati come il pelo di un gatto, le erano cresciuti fino sotto le strette spalle. Quasi senza volere, lo sguardo di Ezio scivolò rapidamente più in basso, seguendo la morbida curva dei fianchi e la forma rotonda del piccolo sedere. “Non metterle in pancia un bambino”, aveva detto Antonio. Per prima cosa Ezio avrebbe dovuto trovare il modo di resistere alla voglia di piegarla sul primo letto che avesse trovato. Rialzò il cappuccio sulla testa, raggiunse la ragazza e le posò un bacio sulla tempia. «Avevo qualcosa di importante da fare a Monteriggioni e a Firenze», disse. «E volevo farlo il prima possibile. Mi spiace di essere partito senza salutarti.»
Rosa gli rivolse un mezzo sorriso. Nelle ombre scure della sera veneziana, i suoi occhi chiari parevano neri e fondi come due pozzi di tenebra. «E cosa dovevi fare a Monteriggioni? Vedere una donna?», gli chiese con un tono che poteva essere sia serio sia canzonatorio. «O magari comprare questa bella armatura nera? È di un tipo che non ho mai visto qui.»
«Qualcosa del genere.»
«I ragazzi mi hanno detto che prima di sparire ti aggiravi nel sestriere di Castello, precisamente nei pressi della Visitazione. Non dovrebbe esserci niente di interessante in quella zona, ma è evidente che ci sfugge qualcosa.»
Ezio sorrise. «E' possibile.»
«D'accordo, tieniti i tuoi segreti, stronzo». Rosa lo prese per mano, intrecciando le proprie dita con le sue. «Avanti, vieni a salutare anche gli altri. Scommetto che si è già sparsa la voce che sei tornato.»
Ezio si lasciò condurre per mano in un lungo giro per il sestriere di Dorsoduro; spesso incontravano un gruppo di ladri della Gilda che sostavano agli angoli delle calli e sulla soglia dei locali e scambiavano con loro qualche parola. Quelli di loro che avevano partecipato all'attentato di Emilio Barbarigo rievocavano quella notte ingrandendo a dismisura i pericoli corsi, ridendo sguaiatamente e dandosi gomitate. Ezio rideva e scherzava a sua volta, ma l'unica cosa su cui era concentrata davvero tutta la sua attenzione era il flebile calore della mano di Rosa che riusciva ad attraversare lo spesso cuoio dei guanti e a giungere alla sua. Era dai tempi delle prime infatuazioni adolescenziali che non si sentiva così totalmente felice solo di tenere per mano la ragazza che amava.
Ad un tratto, uscendo da una calle, sbucarono in piazza San Marco. Nonostante Ezio conoscesse ormai discretamente Venezia, continuava a stupirlo la sua capacità di far perdere l'orientamento a chi non ne conoscesse ogni vicolo e ogni incrocio. In genere l'Assassino si spostava sui tetti, dove era più facile capire che direzione prendere; ma una volta a terra, gli era capitato più volte di ritrovarsi in un punto della città senza capire bene come ci fosse arrivato.
Dopo i primi momenti di euforia, accanto a lui Rosa era diventata improvvisamente silenziosa. Ezio ne spiò il viso pensoso e senza un particolare motivo ritornò con la mente al loro primo rapidissimo incontro, quando lei lo aveva urtato sfilandogli la borsa coi quattrini e lui l'aveva scambiata per un ragazzo e le aveva dato del coglione. Sembrava passata un'eternità da allora.
La vasta piazza era illuminata da fuochi lungo il perimetro ed era animata ancora da molte persone che andavano, venivano e si radunavano in gruppi a chiacchierare in un miscuglio eterogeneo di lingue e di dialetti. Ezio e Rosa passarono di fronte alla grande basilica: i mosaici dorati sulla facciata rilucevano alla luce delle fiamme e della luna. I due voltarono, costeggiando Palazzo Ducale, e si fermarono dinnanzi al molo. Molte gondole coperte e scoperte si dondolavano pigramente sull'acqua mossa dall'ultima coda della Bora. Rosa lasciò la mano di Ezio e si sedette su una panchina di pietra appartata. Ezio la imitò e rovesciò la testa all'indietro, mandando un sospiro che si condensò in una nuvoletta evanescente nell'aria della sera.
«Qui da voi fa ancora freddo. Giù è quasi primavera», considerò pensosamente, guardando il proprio fiato innalzarsi e scomparire.
«C'è qualche problema, Ezio?», gli chiese Rosa così, dal nulla.
«No. Perché?», rispose lui voltandosi a guardarla.
«Non so. Stasera mi sei sembrato meno brillante del solito. Più distante.»
“Quando parlano dell'intuito femminile...” pensò Ezio, ma non glielo disse. «Tra qualche giorno sarà il mio compleanno.»
«Davvero?», esclamò Rosa sorridendo. «E' fantastico! Tanti auguri!»
«Lo trovi fantastico?» Ezio allungò le gambe, come cercando una posizione più comoda. «Sono passati dieci anni da quando mio padre e i miei fratelli sono morti. Dieci anni passati a dare la caccia ai resposabili della loro morte, perchè tutti quanti dovevano pagare per ciò che avevano fatto. E adesso sono così vicino a raggiungere questo obiettivo... e così lontano da capire perchè questo è accaduto.»
Rosa esitò un attimo, poi disse: «Magari non te ne accorgi nemmeno, Ezio, ma le cose qui sono molto migliorate grazie a quello che tu hai fatto.»
La ragazza si sporse verso di lui e lo baciò sulle labbra. Il loro primo bacio fu rapido e leggero come il tocco di una farfalla. «Il tuo regalo di compleanno.»
«Mi è piaciuto», disse Ezio allungandosi a sua volta verso di lei e accarezzandole una guancia. «Posso averne ancora?»
Lei rise e iniziò a dire qualcosa, ma la voce le si spense quasi immediatamente sulle labbra di Ezio. Il secondo bacio iniziò simile al primo, dolce e delicato. Rosa lasciò che fosse Ezio a condurre e lui decise di prendersela con calma. Ci avevano girato intorno per anni, non avrebbe avuto senso affrettarsi proprio in quel momento. A pensarci bene, viste le abitudini di Ezio nei rapporti con l'altro sesso, era quasi straordinario che per tutto quel tempo non l'avesse neanche mai toccata. Era passato da una donna all'altra in relazioni che erano durate al massimo qualche giorno, e ogni volta, come la punta di grafite di un compasso, era tornato da lei, il suo punto fermo. Mentre la baciava si rese conto che aveva avuto tante donne e non ne aveva amata nessuna, a parte lei. Provare un unico amore così assoluto era destabilizzante, rischiava di riscrivere da capo la sua scala dei valori. Per un attimo ripensò a suo padre, che baciava sempre sua madre prima di affrontare la notte nei panni dell'Assassino. Gratitudine e vertigine. Era questo che provava?
Ezio approfondì il bacio e Rosa emise un lieve mugolio di soddisfazione. Ad un tratto la ladra gli prese la mano destra e l'appoggiò sul proprio seno: non era grande, ma rotondo e morbido. Nonostante lo strato di cuoio e quello di tessuto grezzo che separava la propria pelle dalla sua, Ezio avvertì chiaramente il piccolo rilievo del capezzolo e tanto bastò per provocargli un principio di erezione. A fatica e con rimpianto, si costrinse a interrompere il bacio e a staccarsi da Rosa. Lei gli indirizzò uno sguardo tra il deluso e l'interrogativo.
«Cosa c'è, sei imbarazzato?», gli chiese sorridendo maliziosamente. «Al Palazzo della Seta ci sono sempre troppi ficcanaso, ma se vuoi potremmo andare alla vecchia sede. Non ci passa quasi più nessuno. Certo il mio letto non sarà confortevole come quello della tua villa giù in Toscana...»
«Ci resto sempre così poco, a Monteriggioni, che non ho neanche ben presente come sia il mio letto.»
«Meglio così. Niente paragoni.»
«Non è una buona idea, tesoro.»
All'ulteriore resistenza di Ezio, Rosa si rabbuiò. «Fino a un momento fa mi sembravi abbastanza entusiasta di quell'idea.»
Ezio sorrise e le passò una mano nella chioma ribelle. «Lo sarei ancora, a dire il vero. Ma ho appena promesso ad Antonio di non metterti incinta. Dice di sentirsi troppo vecchio e troppo indaffarato per crescere un altro marmocchio. Non mi sembra proprio una mossa geniale affrettarsi a correre il rischio...»
Rosa non potè trattenere una mezza risata e scosse la testa. «Ti ha detto così?»
«Testuali parole. E poi...»
“E poi non ti amo solo per ciò che hai in mezzo alle gambe, e non ho aspettato anni solo per scoparti sopra un letto di pagliericcio.” Ma tutto questo Ezio decise di tenerlo per sé.
Rosa sembrò rimanere in attesa del resto della frase per una manciata di secondi. «Beh, allora sposiamoci» concluse infine, con il tono con cui si proporrebbe di andare a fare una passeggiata. Ezio restò letteralmente senza parole.
«Tu hai ormai trent'anni, e neanche io sono più una ragazzina», proseguì la ladra guardando un punto innanzi a sé e sporgendo leggermente le labbra, come se stesse seguendo dei calcoli mentali molto precisi. «La maggior parte delle persone della nostra età sono già sposate da un pezzo, con figli. Sposiamoci. Dimostrerai che hai intenzioni serie, faremo l'amore quanto ci pare e avremo dei bambini, a cui Antonio sarà felice di fare da nonno, ci scommetto.»
Ezio scoppiò a ridere. «Questa si chiama fretta», disse. «Non credo che sarei un buon marito.»
«Non credo che sarei una buona moglie», gli rispose lei.
«Vedi? Tutto è contro di noi.»
«Soprattutto il fatto che non s'è mai visto un rampollo di nobile casata sposarsi con la figlia di una baldracca.»
Ezio alzò gli occhi al cielo con aria da martire. «Maremma!», proruppe, «Ohcché te tu c'hai le 'he'he?»
La ragazza ridacchiò. «Che cosa?»
«Lascia stare.»
«In sostanza, non ti piaccio a sufficienza.»
«Se mai è il contrario.»
Rosa gli rivolse uno sguardo diffidente.
«Tesoro», riprese Ezio abbassando la voce, «sulla mia lista i nomi si sono molto ridotti. Come ti dicevo, sono vicino alla fine di una guerra cominciata dieci anni fa. Ma quelli che restano sono nomi importanti. E l'ultimo di essi è quello del figlio di puttana che ora siede sul soglio di Pietro.»
La gente attorno a loro si era ormai ridotta molto di numero, e gli scuri di molte finestre erano stati sbarrati. Dalle locande e dai bordelli giungeva un baccano attutito dalla distanza, e la basilica di San Marco a poche decine di metri da loro risuonava al suo interno di un monotono salmodiare in latino. Rumori vicini, che sembravano però appartenere a un mondo diverso, lontano, altro.
Nonostante il buio, Ezio vide gli occhi di Rosa sgranarsi nell'espressione di chi non voleva credere alle proprie orecchie. «Borgia è coinvolto nella congiura?»
«No. Borgia l'ha organizzata. Dovrà pagarne il prezzo sulla mia lama», rispose Ezio alzandosi in piedi. «Ed ora capisci bene che non posso mettere l'anello al dito di una donna, sapendo che potrei farne una vedova il giorno dopo.»
Rosa abbassò lo sguardo. «Lo capisco.»
Il volto di Ezio, che si era indurito per qualche istante al pensiero del pontefice, si sciolse di nuovo in un tenero sorriso. «Ma voglio che tu sappia che se mai dovessi sposarmi, sei l'unica donna che vorrei al mio fianco.»
Rosa sorrise a sua volta, ma il suo sorriso fu velato di tristezza. «E' ora di tornare» disse. Sulla strada del ritorno, non prese la mano di Ezio nemmeno una volta.
La notte era ormai inoltrata quando furono di nuovo davanti al Palazzo della Seta. Rosa lo accompagnò fino al cortile, poi si fermò con Stefano e un gruppo di altri ladri mentre lui proseguiva salendo la scala principale. Sulla sommità della scala trovò due armigeri al posto delle sentinelle della Gilda che aveva incontrato prima: erano molto imponenti, e l'armatura scintillante alla luce della luna dava loro un che di sinistro, ma non si mossero nemmeno quando Ezio passò in mezzo a loro per entrare. Ezio rifece la strada che aveva già compiuto un paio di ore prima. Trovò la porta dello studiolo aperta; ai lati stavano altri due soldati in armatura, anch'essi immobili come statue.
“Chiunque sia quest'ospite, certo vuole essere ben protetto”, pensò Ezio. All'interno della stanza, la sagoma familiare di Antonio si stagliava contro la luce proveniente dal caminetto, al quale era appoggiato col gomito, in atteggiamento rilassato. Stava conversando con una persona che gli dava le spalle e sembrava molto concentrata nell'osservazione della tavoletta della Pietà appesa al muro. La sua figura era piuttosto bassa, ma compensava in larghezza quello che gli mancava in altezza. Ciò che attirò l'attenzione di Ezio fin dal primo sguardo fu il cappello a punta, in porpora e oro, che lo sconosciuto portava sul capo. C'era in Venezia una sola persona autorizzata a portare un accessorio simile...
«Ah, eccoti qui, Ezio», disse Antonio non appena lo vide entrare. Anche l'ospite si voltò verso di lui: la carnagione pallida accesa di rosso per il riflesso del fuoco, un naso adunco, delle labbra sottili, una lunga barba candida e soprattutto due piccoli occhi scuri, nei quali ad Ezio parve di afferrare una luce strana. «Ti stavamo aspettando. Ti presento il nostro più importante alleato: il doge Agostino Barbarigo. Serenissimo Principe, questi è Ezio Auditore, fiorentino. La sua famiglia è sempre stata in ottimi rapporti con quella dei Medici.»
Ezio si inchinò. «Sono onorato di fare la vostra conoscenza, mio signore», disse, mentre nella sua mente si affollavano numerose domande, la più pressante delle quali era “Cosa viene a fare un Barbarigo nella tana del lupo?”
«Non c'è bisogno di presentazione per un nome come quello degli Auditore», disse il doge sorridendo, ma il tono suonò ambiguo alle orecchie di Ezio.
«Le mie condoglianze... per vostro fratello», aggiunse l'Assassino, studiando di sottecchi le reazioni del suo ospite. E quando i loro occhi si incontrarono di nuovo, fu certo che il suo interlocutore sapeva perfettamente a chi si doveva la morte di Marco Barbarigo.
«Grazie», rispose Agostino, accarezzandosi la folta barba bianca. «E' stata una perdita molto dolorosa e un grave lutto per tutta la mia famiglia, recentemente funestata da una lunga serie di disgrazie». Il principe di Venezia fece una pausa, come per aspettare che la frecciata andasse a segno, poi riprese: «Bisogna dire che io e mio fratello negli ultimi tempi non eravamo in ottimi rapporti. Le sue idee erano un po' troppo... radicali, per i miei gusti. Si era lasciato plagiare da persone che volevano approfittare della sua posizione per perseguire i loro loschi piani. Un errore che io non ho intenzione di commettere.»
«Situazione spiacevolissima quella che si venne a creare in Senato qualche tempo prima della morte di vostro fratello», intervenne Antonio.
«Spiacevole davvero», rispose Agostino Barbarigo. «D'altro canto, chi non ha mai avuto divergenze con i propri fratelli?»
Ezio si rese conto di essere stato coinvolto a sua insaputa in una congiura nella congiura, di cui non aveva avuto il benché minimo sospetto; e il pensiero certo non gli fece troppo piacere. Ma decise che per ora avrebbe retto il gioco di Antonio.
Il doge guardò Ezio con aria arguta e accennò con la testa al dipinto della Pietà che stava osservando prima che l'Assassino facesse il suo ingresso nello studiolo. «Il nostro Bellini», disse. «Come lo trovate, messer Auditore? Mi sembra al pari con i vostri messer Filipepi e messer Bigordi. Forse anche con l'eccellente messer Leonardo.»
Ezio fece uno sforzo di memoria. «Noi li si chiama Botticelli e Ghirlandaio», disse. «Non saprei. Mi sembrano... diversi». Non riusciva a capire perchè, appena saputo che proveniva da Firenze, tutti quanti iniziassero a parlargli di arte e di artisti; cose di cui era sommamente ignorante.
Il doge emise un risolino simile al gracchiare di un corvo. «Diversi! Senza dubbio!», esclamò. «Sapete, messer Ezio, ho da poco commissionato un grande paliotto a messer Bellini, da mettere nella sala dello Scudo a palazzo Ducale», aggiunse con tono svagato. «Un bel dipinto con la Madonna, e nostro Signore Gesù Cristo infante, sant'Agostino, san Marco e, naturalmente, Agostino Barbarigo. Ed ho chiesto a messer Giovanni che a intercedere per me di fronte a Nostra Signora sia san Marco
Ezio restò in silenzio per un attimo, poi le sue labbra si piegarono in un cinico sorriso. «La politica si fa anche con i quadri.»
Agostino lanciò ad Antonio un'occhiata soddisfatta, e il capo della Gilda gliene rimandò una che diceva: “Vedete bene che non esageravo sul conto del ragazzo”. «Venite», disse poi, «Abbiamo molto di cui discutere. E staremo più comodi seduti.»
Nel salone adiacente era stato acceso un grande camino, ed accanto ad esso qualcuno aveva provveduto a preparare tre comode sedie rivestite in seta damascata e un tavolino, posto nel mezzo, dov'era stata lasciata aperta una mappa di Venezia. Non appena si furono sistemati, Ezio introdusse l'argomento che gli interessava maggiormente: dove si nascondesse Silvio Barbarigo.
«Il vostro problema è anche nostro, messer Ezio», affermò Agostino con aria grave, quasi non stesse parlando di un suo congiunto.
«L'abbiamo localizzato per te», disse Antonio. «Per qualche tempo è rimasto nascosto a radunare le forze rimaste; e, detto in tutta sincerità, ci è sfuggito proprio nel momento in cui era più debole e vulnerabile. Sappiamo che ora è rintanato nell'arsenale, e la cosa non è positiva né per te né per noi.»
«Rintanato?», intervenne di nuovo il doge. «Volete dire che ha occupato l'arsenale. E con duecento uomini, nientemeno.»
«Siete voi il doge», disse Ezio. «Comandate loro di deporre le armi.»
«Non stiamo parlando dell'esercito di Venezia. Questi sono mercenari al servizio di Silvio e certo non rispettano l'autorità dogale. Il mio ordine cadrebbe nel vuoto, anzi, forse peggiorerebbe le cose. In questo momento lui controlla l'arsenale, il cuore militare e commerciale della città, e dispone praticamente di un intero esercito.»
«Allora ne serve uno anche a me.»
«Sapevo che lo avresti detto», rispose Antonio. «Devi cercare un uomo di nome Bartolomeo d'Alviano. Lui e i suoi odiano Silvio. La sua residenza è qui, nel distretto militare, a sud dell'arsenale».
Indicò col dito una zona sulla mappa, ed Ezio la esaminò con attenzione, memorizzandola. «Va bene, andrò a trovarlo», disse infine.
«Purtroppo non è così semplice, messer Ezio», disse Agostino. «A quanto pare, gli uomini di d'Alviano hanno fatto resistenza, ma sono stati dispersi. Il loro stesso capo è stato fatto prigioniero, e questa è l'ultima notizia che abbiamo avuto di lui; per quanto ne sappiamo, potrebbe anche essere morto.»
«Non ne saremo mai sicuri finchè qualcuno non andrà ad accertarsene e, se lui è ancora vivo, a liberarlo», disse Ezio. «Sono abituato a muovermi senza attirare l'attenzione: non mi sarà troppo difficile.»
«Allora entrerai di nascosto nel distretto militare, cercherai Bartolomeo e, se è ancora vivo, lo libererai», disse Antonio. «Poi voi due radunerete i suoi uomini e attaccherete Silvio.»
«Se non dovessi trovarlo o fosse già morto, cercherò di farlo da solo.»
«Quando attaccherete, accendete un fuoco d'artificio», aggiunse il doge. «Comanderò anche ai miei uomini di venire a dare il loro supporto per liberare l'arsenale.»
Ezio annuì. «Siamo d'accordo, allora. Procederò stanotte stessa.»
Tutti e tre si alzarono e uscirono, discutendo ancora brevemente lungo il cammino per dare gli ultimi ritocchi al piano appena concepito. I due armigeri all'interno e i due all'esterno si mossero per la prima volta da che Ezio li aveva visti, per seguire prontamente il principe di Venezia.
Mentre attraversavano il cortile scoperto del Palazzo della Seta, Ezio individuò la figura di Rosa in un angolo, insieme ad un gruppo di membri della Gilda. Stava ridendo per una pesante battuta in dialetto che uno di loro aveva appena fatto, ma appena i loro sguardi si incrociarono il riso sembrò morirle sulle labbra.
«Scusatemi un momento», disse Ezio ai due uomini al suo fianco, e si avvicinò alla ragazza. Lei lo guardò con aria interrogativa. In silenzio, l'Assassino si levò il guanto dalla mano sinistra e lo porse a Rosa. L'espressione perplessa di quest'ultima mutò quasi all'istante e divenne quasi incredula.
«Ma, Ezio...», balbettò, senza osare prendere ciò che le veniva offerto.
«Volevi un impegno», disse dolcemente lui. «Eccolo... se lo desideri ancora».
Rosa esitò un momento, esterefatta, poi annuì con la testa e prese il guanto dalla mano di Ezio. «Lo desidero eccome, razza di bastardo», rispose trionfante.
«Ritorno presto», disse l'Assassino.
«Ti aspetto». La ladra sorrise. «Ma vedi di muovere il culo.»
Ezio si volse e tornò dai suoi due ospiti; anch'essi stavano sorridendo, con l'aria di chi la sa lunga, ma non commentarono.
I tre uscirono dal Palazzo della Seta; quando furono sullo scalone, il primo a rompere il silenzio fu il doge. «Oggi il vento ha spazzato tutte le nubi», disse. «E' una bella notte.»
Ezio alzò lo sguardo al cielo notturno. «Le stelle sono limpide», disse. «E' una notte buona per una battaglia.»
«E per una promessa», aggiunse Antonio.
«Sì», disse Ezio. «Anche per una promessa.»





 


Note (in ordine rigorosamente sparso)


Su Ezio (e il matrimonio). Punto uno: in realtà qui Ezio non dovrebbe avere trent'anni, ma ventotto. Mi piaceva l'idea di aumentargli l'età per dare meglio l'idea dell'intera giovinezza spesa a caccia degli assassini di suo padre. Punto due: sono perfettamente consapevole che “Ezio” e “matrimonio” sono due parole che insieme fanno a pugni, ma la fangirl impazzita che c'è in me ignorerà la cosa. Mi piace pensare che si sposi, e che magari poi ogni tanto gli capiti di cornificare la moglie. Giusto perchè il carattere è il carattere e a trent'anni non si cambia più.X°D


Sul titolo. “Per spatam et wantonem” si riferisce al rituale nuziale longobardo, che implicava per l'appunto spada e guanto.


Sulla datazione. Ho immaginato la vicenda nei primi mesi del 1487, per fare in modo che rispettasse in modo per lo meno almeno accettabile le tempistiche originali del gioco (in realtà questa parte si ambienta nel 1486, appena eletto doge Agostino Barbarigo). Questa scelta crea un problema con la datazione del paliotto Barbarigo, qui nominato, che l'artista cominciò a dipingere solo l'anno successivo. Ma non è poi così improbabile, visto che nel 1483 il Palazzo Ducale era stato devastato da un incendio, e in quegli anni Giovanni Bellini era molto occupato a ripristinare le “pitture di historie” iniziate lì dal fratello Gentile...


Sul guanto. Nel 1400/1500 la consegna del guanto era considerata un impegno solenne (in questo caso, di matrimonio); meglio se fatta alla presenza di testimoni (ecco spiegato il comportamento di Ezio). So perfettamente che nessuna delle tenute del nostro, né quella normale né quella nera da Maestro Assassino, prevedono due guanti, ma uno solo, e che la mano sinistra è scoperta. Qui sono andata di fantasia per un motivo molto semplice: non potevo fargli donare a Rosa il guanto della mano destra perchè esso fa parte integrante del meccanismo della lama nascosta. Ecco perchè ho inventato un altro guanto, quello sinistro, ed ecco perchè lui le consegna questo e non l'altro (in genere veniva offerto il guanto destro perchè era la mano destra che significava fedeltà; ma la regola non era ferrea, per cui va bene anche così).


Sulla congiura nella congiura. Questa è un'invenzione mia, che nel gioco non c'è. L'ho costruita sulla base di due considerazioni: la prima, che mi sembrava inverosimile la reazione di Agostino Barbarigo nel gioco (sa che Ezio e Antonio sono responsabili degli assassinii dei suoi parenti e si allea con loro? E si reca personalmente e spensieratamente nella loro base?); la seconda, che la storia degli screzi tra lui ed il precedente doge, Marco Barbarigo, è vera. Quindi ho immaginato che Agostino puntasse al dogado e avesse sostenuto nell'ombra l'attentato ai danni del fratello. In realtà credo che Marco sia morto di morte naturale e di sicuro il povero Agostino non c'entra nulla.


Sui dialetti. Com'è noto, l'italiano allora non esisteva, soprattutto nel parlato. Ezio si esprimeva con ciò che di più simile all'italiano ci fosse all'epoca, ossia il fiorentino, che sarebbe stato poi adottato come lingua nazionale; ma c'è da credere che un toscano che giungeva per la prima volta a Venezia facesse fatica a capire tutto quello che sentiva (comunque qui Ezio frequenta Venezia da anni, quindi è plausibile che ormai capisca il dialetto locale). Il fatto che ci si intenda così perfettamente suona un po' falso. D'altro canto, scrivere dialoghi tutti in lingua veneta (e fiorentina, nel caso di Ezio) era assurdo; però un accenno volevo inserirlo. Ringrazio Zen per il suggerimento nel caso della frase in veneto (ma se dovesse passare qualche veneziano e inorridire per eventuali errori, non esiti a correggermi X°D); sì, lo so che sono veneta io pure, ma non sono capace di parlare il mio dialetto!;_; Per la frase in dialetto fiorentino di Ezio, ho consultato il mitico “Vohabolario del Vernaholo fiorentino”... e già che c'ero ci sono morta dalle risate. Ve lo consiglio caldamente!*_*b Anche in questo caso, dovesse passare un fiorentino e inorridire, mi corregga pure.


Su Leonardo. Nel gioco viene nominato Leonardo, come se Antonio lo conoscesse. In realtà questo non è possibile perché Leonardo passerà per Venezia solo attorno al 1500. All'epoca dei fatti, si trovava a Milano. In questo ho seguito il gioco, che è (spero consapevolmente) errato.


Sul Palazzo della Seta. Un mistero eleusino. Ho fatto qualche ricerca (solo su internet, s'intende), e non ho trovato nessun Palazzo della Seta a Venezia. Quindi mi sono dovuta basare solo sui miei ricordi di gioco e sulla fantasia.


Sul compasso. La similitudine del compasso che ho usato per l'amore di Ezio per Rosa non è mia. Chi sa da dove l'ho scopiazzata? :D

   
 
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