Note dell’autrice: il successo che ha riscosso “The
Satan Bitch” mi ha fatto pensare molto. E alla fine pensare troppo intensamente
ad una cosa, non porta altro che guai. E continuando a pensare, la mia mente ha
trovato un modo per legare le due storie. Non è necessario aver letto “The
Satan Bitch” ma, essendo quella che segue, la spiegazione di come è nato il
titolo, sarebbe carino se chi non l’avesse mai letta lo facesse.
Ho avuto
un po’ di problemi con il lavoro del padre di Paul... è solo che io non la più
pallida idea di come funzionino le ambasciate... quindi vi prego di lasciar
correre, o magari istruirmi (nel caso in cui qualcuno fosse meglio informato).
Mi auguro
sia all’altezza dell’originale, anche perché adoro questi due personaggi.
Il titolo
è una canzone di Meds dei Placebo, che a modo loro mi hanno aiutata anche per
questa seconda parte. Non sapevo che titolo mettere, poi in classe, diversi
mesi fa, non avendo nulla di meglio da fare, ho scritto il testo di ‘Broken
Promise’ e mi sono resa conto che era perfetta per la trama che avevo delineato
nella mia mente. *aw* Anche uno dei personaggi porta il nome di una canzone dei
Placebo, effettivamente non c’entra nulla con il testo, ma era perfetto per la
personalità che avevo in testa.
Questo è
stato il ‘parto’ più travagliato della mia vita. Quindi, spero che qualche
lettore di buon animo si fermi dopo aver terminato la lettura e clicchi su:
Vuoi inserire una recensione? Lo farete vero? *-*
Ora vi
lascio. Enjoy It.
Baci, Lady
Vivien
Disclaimer: i personaggi mi appartengono. I
fatti e i suddetti personaggi non esistono, è stato creato tutto dalla mia
perversa fantasia. Perciò riferimenti a fatti o persone realmente esistenti è
puramente casuale. I riferimenti a Parigi sono fatti solo sulla mia ridotta
conoscenza della città.
I diritti di Broken Promise sono
dei Placebo o chi per loro.
Broken
Promise
Finalmente
ci rivediamo. Ci siamo conosciuti otto mesi fa e ci siamo potuti sentire solo
su Messenger: oggi è solo la seconda volta che lo posso vedere e finalmente
toccare. Non sono abituato a periodi così lunghi d’astinenza.
Da due
mesi siamo fidanzati, purtroppo però, nell’ultimo periodo, lui si stava
trasferendo qui a Parigi e ogni volta che avevamo un appuntamento lui non
poteva prendere il treno, dovendo aiutare i suoi con la preparazione per il
trasloco.
Finalmente
oggi possiamo stare insieme, sono iniziate le vacanze e io sono riuscito a
scappare dai miei impegni con una scusa, mentre lui ha semplicemente dovuto
chiedere un po’ di meritata tranquillità. I suoi sanno che vogliamo stare
insieme quel poco tempo che abbiamo a nostra disposizione.
Questi
che sono appena passati, sono stati i mesi più difficili della mia vita, senza
mai poterlo baciare o toccare. Appena l’ho visto alla stazione poco fa gli sono
corso incontro e l’ho baciato con tutta la passione che ho, è stato il primo
vero bacio che ci siamo scambiati, il primo faccia a faccia. In tutta la mia
vita sono state poche le cose che ho desiderato così intensamente. Odio non
poter fare sesso avendone la possibilità.
“Stéphan,
i miei non ci sono, che ne dici di andare da me per stare un po’ da soli?” mi
chiede subito con la sua voce roca, che è come un richiamo, mi strega e non
riesco ancora a capacitarmene.
“Ma è
ancora tutto in disordine, non vorrei disturbare!” gli dico preoccupato.
“Cosa? E
io pensavo che ti avrebbe fatto piacere renderti utile e sistemare un po’ di
cose per me!”
Lo guardo
allibito, stando allo scherzo; non mi chiederebbe mai seriamente una cosa del
genere. Almeno spero.
“Ok ok,
ho capito: niente scherzi di questo genere con te” mi dice lui alzando le mani
in segno di resa.
“Bravo, e
comunque sì, mi farebbe piacere venire a casa tua, ma sei sicuro che non creo
problemi?” continuo a chiedere educato.
“Smettila
di dire sciocchezze. Non te l’avrei chiesto se fosse stato un problema. I miei
non tornano fino a stasera, vorrei stare da solo con te”
“Va bene,
andiamo. Anche io voglio stare da solo con te” gli dico, per baciarlo subito
dopo sulla bocca con un insolito slancio d’amore.
Camminare
per la strada con lui è una sensazione particolare. Mi sento osservato, ma non
per il mio abbigliamento, il mio taglio di capelli, o per il mio portamento. La
gente mi guarda perché sono accanto a lui, mi ritengono fortunato perché sono insieme
ad un ragazzo troppo sexy per chiunque, ma non per me.
Prima di
conoscere Paul, ho avuto solo storie di una notte. E questa è la prima volta
che Paul e io passiamo del tempo soli in un luogo chiuso e appartato.
“Ti
ricordi che giornata è stata il nostro primo incontro?” mi chiede
improvvisamente, come se avesse afferrato i miei pensieri.
“Oh sì!
Che fiasco. Sei venuto qui a Parigi per fare una visita all’ambasciata per il
lavoro di tuo padre, o come dicesti tu per una scampagnata – una scampagnata in
città dico io, poi - e invece ha piovuto tutto il giorno, costringendoci a
stare al centro commerciale come due stupide liceali. E poi quando ha smesso
siamo potuti uscire e stare con gli altri che ci aspettavano dal pomeriggio”
ricordo io con un vago senso di nostalgia.
E lui
ridacchia al sentirsi paragonare ad una stupida liceale.
Casa sua
è veramente grande. Suo padre è l’ambasciatore belga, e si è appena trasferito
qui a Parigi con tutta la famiglia, per mia fortuna aggiungerei.
Hanno
preso un intero attico al centro della città, di cui non oso neanche pensare il
prezzo. Solo che ora sono in pieno trasloco, e Paul mi ha già avvertito che
troverò un po’ di disordine. Loro preferiscono portarsi dietro le loro cose,
dicono che così hanno la sensazione di essere sempre nello stesso posto, a casa.
Prendiamo
l’ascensore per evitare di fare i dieci piani che ci spetterebbero, ed
arriviamo proprio davanti al portone del suo appartamento.
Apre la
porta con delle chiavi nascoste in un angolo e mi fa entrare nella sua umile
dimora, come l’ha scherzosamente rinominata lui. Sono senza parole, neanche
se fosse stato un po' meno modesto le sue parole si sarebbero avvicinate alla
realtà.
Un grande
divano bianco troneggia al centro del salone ingombro di scatoloni. Quindi ci
spostiamo cercando di evitarli, arrivando di fronte al divano.
“I letti
però sono sistemati” mi assicura Paul guardandomi e accarezzandomi il torace.
Le sue mani sono caldissime al di sopra della stoffa, le voglio sulla mia
pelle.
Mi bacia
e le nostre lingue trovano un nuovo modo di giocare, adoro il modo in cui mi
permette di condurre. Poi sento finalmente scorrere le sue mani sulla mia
pelle, le sento soffermarsi sui capezzoli per scendere poi verso il mio
ombelico.
Mi spinge
sul divano e rimane a guardarmi, quasi in attesa. Lo prendo per una mano
avvicinandolo a me e in un dolce sussurro gli ordino: “Siediti”.
Mi guarda
confuso, sicuramente ha notato la mia erezione - è fin troppo evidente con
questi pantaloni attillati - eppure si siede al mio lato, permettendomi di
inginocchiarmi a terra tra le sue gambe. Mi sporgo in avanti per slacciare i
suoi jeans e li tiro giù assieme ai boxer, ma abbandono momentaneamente la sua
erezione, chiedendogli un bacio, con le mani poggiate sulle sue ginocchia.
Lo prendo
in mano ed inizio a baciarlo. Lo sento gemere e sento le sue mani sulla mia
testa stringermi i capelli con forza. Continuo a leccarlo finchè non viene
nella mia bocca, costringendomi ad ingoiare. Mi allontano pulendomi le labbra
con il dorso della mano destra, e con l’altra incrocio le nostre dita, per
dirgli: “Scopami senza pensare. Fammi godere il più bel momento della mia vita.
Adesso”.
“Quanta
intraprendenza!”
Io gli
sorrido maliziosamente, e alzandomi slaccio lentamente i bottoni dei miei pantaloni,
mentre lui si siede sul bordo del divano per avvicinarsi ulteriormente a me. Ma
in quel momento sentiamo la serratura del portone scattare. Io lo guardo
disorientato e lui mi risponde in labiale che sono i suoi, poi mi tira per un
braccio giù sul divano e mi riabbottona velocemente i pantaloni. Si siede a
gambe incrociate voltato verso di me con un cuscino sulle gambe, e io per
nascondermi, tiro su le gambe, fin sotto il mento.
“Ragazzi,
che fate a casa con questo bel tempo? E tu come stai Stéphan?” chiede premurosa
sua madre, che mi ha sempre gentilmente risposto al telefono.
“Buongiorno
signora, bene grazie! La vedo in forma” dico io, cercando di apparire il più
educato possibile. E lei mi sorride amorevole, come solo le mamme sanno fare.
Paul,
invece, non ha risposto alla sua domanda, anzi i suoi occhi sollecitano la
madre a rispondere della sua presenza a casa in quel momento.
Lei
risponde subito alla sua domanda non fatta: “Tranquillo amore, papà aveva
scordato il portafoglio in camera, sono solo salita a prenderlo”.
“Ok, allora noi andiamo in camera mia, vero?”
afferma lui, di nuovo sorridente.
“Certo,
come vuoi” rispondo io guardando però la madre, che si volta cercando di
nascondere un sorriso avendo sentito le parole taciute dal figlio.
Mi sfiora
la mano e ci alziamo. Senza guardarci ci dirigiamo verso la sua camera. Lui si
ferma sulla soglia per farmi entrare e poi chiude a chiave la porta dietro di
sé.
“Allora,
dicevi?” mi chiede. È bellissimo mentre mi guarda in attesa, ma sarà ancora più
bello quando sarò suo.
“Scopami
fino a farmi male” mi fermo un attimo e poggiando il mio petto contro il suo
continuo, piegando poi infantilmente la testa di lato: “Fammi piangere”.
Non mi
risponde, continua semplicemente a guardarmi, poi mi afferra per i fianchi
stringendomi a sé. Mi accarezza dolcemente la schiena, scendendo fino al mio
sedere, che stringe con irruenza. Si stacca dalla porta e senza mai
allontanarsi da me si sposta verso il letto. Mi bacia il collo, mi morde e mi
lecca. Mi sfila la maglietta e inizia a baciarmi anche il petto, slacciandomi i
pantaloni.
Io sfilo
la sua maglietta e facendomi un poco indietro sbottono anche i suoi jeans, che
riesco a togliere solo facendolo sdraiare, poi sfilo anche i miei e mi sdraio
accanto a lui.
Paul
infila la mano nei miei boxer e accarezzandomi mi chiede: “Così va bene?”
“No,
voglio di più” sospiro voglioso al suo orecchio.
Sentendomi
così sicuro, mi asseconda facendomi sdraiare, per togliermi i boxer e mettersi
in ginocchio tra le mie gambe, poi toglie anche i suoi e si sdraia su di me,
poggiando i gomiti sui cuscini per non pesarmi. Le nostre erezioni si scontrano
e si allontanano seguendo i nostri abbracci e i nostri baci. Allaccio le gambe
attorno la sua vita, per spingerlo fino alla mia apertura.
“Aspetta”
mi dice lui, cercando di spostarsi.
“Ti ho
chiesto di scoparmi. Fallo per favore, non resisto più” sussurro con le lacrime
agli occhi. Credo di essere più convincente che mai con gli occhi lucidi e il
respiro affannoso, perché si allontana per prendere una scatolina dallo zaino.
“Non
speravo venissimo qui da me” afferma come per scusarsi di aver portato
lubrificante e preservativi in giro tutto il giorno. Io sorrido e mi sistemo
tra gli innumerevoli cuscini del suo letto. Si avvicina nuovamente e lo stringo
con braccia e gambe. Lui invece si ferma con lo zaino in mano, e immobile come
una statua cerca di percepire qualche piccolo rumore proveniente dal corridoio.
“Ragazzi
io vado! Paul, se Stéphan vuole restare, è libero di farlo: io e papà torniamo
stasera tardi” urla la madre, e senza aspettare una risposta va via.
Lui mi
guarda e sembra volermi dire qualcosa, ma tace e io non riesco a chiedergli a
cosa sta pensando. Sono figlio dei miei istinti e sentimenti, e tutto ciò di
cui ho bisogno ora è sentirlo violentemente dentro di me, perché non esiste
altro se non il nostro piacere.
Lascio
sia Paul a lasciarmi cadere sul letto e sdraiarsi su di me. Vorrei lasciarlo
libero di donarmi quel piacere speciale che gli ho chiesto, ma non sapendo
stare fermo in attesa che le cose arrivino da sole, inizio a provocarlo per
mettergli premura.
Le sue
mani scorrono oscene sul mio cuore. Il suo desiderio indecente nella mia pelle.
Diverse
ore dopo, mentre siamo decisamente stanchi e abbracciati sotto le coperte, lo sento
sussurrarmi: “Vorrei che rimanessi a dormire qui...
i miei torneranno molto tardi, dato che dovranno riprendere anche mia
sorella. Ti va?”
“No,
grazie. Penso sia meglio di no” rispondo io improvvisamente intimorito e a
disagio. Non pensavo me l’avrebbe chiesto seriamente. Non me la sento proprio
di fare colazione con tutta la sua famiglia, sarebbe una cosa troppo intima.
Per ora
sto bene così. Finalmente siamo riusciti a fare l’amore, peccato solo abbia
smesso.
Se mi
avesse scopato tutta la notte, avrei pianto per il tormento.
Se mi
avesse baciato fino all'alba, avrei perso la voce per i troppi orgasmi.
Avrei
voluto mi facesse suo per sempre, non essere trattato solo come una puttana.
Ma sono
stato io a presentarmi così, ora devo solo imparare a giocare con queste carte.
Perché è questo che voglio. Perché non posso evitare di appartenergli anima e
corpo. Perché ancora non sapevo che qualcosa si stava rompendo. Perché la
bellezza è ciò che continua a spingerci per questa strada tortuosa. Perché sono
la sua puttana e lui è il mio inconsapevole Satana privato. Perché lui è la mia
dannazione ed io sarò suo finchè le fiamme continueranno a bruciare queste mie
lacrime celate.
Pensando
tutto ciò mi trovo a sussurrare un “Ti prometto che sarò solo e soltanto la tua
puttana, ti rimarrò accanto, almeno finchè mi vorrai, sono tuo in ogni modo”
“Io non
rimarrò qui a lungo, presto o tardi mio padre ripartirà e io lo seguirò. Non ho
scelta” sento rispondere tristemente Paul. Non riesco a replicare, mi manca
l’aria a questo suo inaspettato cinismo, quindi cerco di deviare il discorso e,
controvoglia, porto via con me le coperte dal letto e gli dico: “Ok, allora
vado”.
“Dove vai
in giro da solo a quest’ora di notte?” mi chiede apprensivo.
“A
prendere la metro, nulla di più semplice e-”
“Pericoloso”
aggiunge lui.
“Io
pensavo a comodo, dato che abito proprio vicino la mia fermata” rispondo
beffardo, continuando a cercare tutti i miei indumenti.
“Anche
questo è vero, ma al contrario, come hai visto prima, casa mia è più distante
dalla fermata della metro, e sai che non ti posso accompagnare!”
Tutta
questa premura è strana e poco confortevole. Mi rende solo più deciso ad
andarmene, come del resto le parole che le seguono.
“Prendi
questi e torna a casa in taxi” mi dice infatti, porgendomi delle banconote.
Poi
qualcosa mi spinge ad osservare la sua espressione, dandomi la possibilità di
capire la sua preoccupazione e non un desiderio di offesa con l’offerta di quei
soldi.
Eppure
non me la sento di accettarli, dopo quello che gli ho detto poco fa, in un
certo modo mi renderebbe tale a tutti gli effetti.
“Prendili,
tanto tu sei solo e soltanto mio,
qualunque cosa tu sia o pretenda di essere” mi dice alzandosi e stringendomi i
soldi tra le mani, senza abbracciarmi, per potermi guardare negli occhi.
***
Paul ha
ormai sistemato tutta la sua roba e in ogni momento libero è stato con me,
sempre qui a casa mia. Ora dobbiamo solo trovare la voglia di vestirci e uscire.
Sto così bene sdraiato sul suo petto a fumare e a cantare. Ma i miei amici non
mi vedono da dieci giorni e sono più che desiderosi di rincontrare Paul. Se non
esco da questo letto ora che ci sto pensando, credo che non lo faremo di nostra
spontanea volontà. E allora sì che non riuscirò a spezzare da solo questo
circolo vizioso.
Chissà
perché quando ho bisogno degli slip non li trovo mai. Odio doverli cercare nel
caos della stanza, quando non ricordo neanche dove possano essere finiti.
“Se
cercavi questi...” mi chiama Paul per lanciarmeli subito dopo.
“Grazie.
Ma penso che tu debba pensare ai tuoi. È veramente ora di uscire di nuovo” dico
io cercando di sollecitarlo.
“I miei
sono lì vicino a te”
“E dove
precisamente?” chiedo io non notando nulla di simile ai suoi boxer intorno a
me.
“Qui” e
dicendolo mi fa cadere sul letto, per baciarmi e tirar fuori da sotto le
lenzuola i suoi boxer, “Visto che erano vicino a te?”
“Vestiti,
hai avuto il tuo tempo” sorrido, riprendendolo nell’inutile tentativo di
mettergli fretta.
“Ok.
Posso usare il bagno vero?” ridacchia.
“Sì sì”
Senza
aggiungere altro, se ne va in bagno, lasciandomi solo a rifare il letto. In
pochi minuti sono vestito e la stanza è il solito regno del caos. Devo solo
sistemarmi i capelli.
Diversi
minuti dopo torna in camera più bello di come potrà mai essere con i vestiti
addosso. Mi sembra diverso rispetto a questa mattina, non mi sembrano gli
stessi vestiti quelli che ha indosso. E i suoi occhi mi faranno impazzire prima
o poi, ha un modo tutto suo di guardarmi e io non riesco a non perdermi quando
sembro essere l’unica cosa desiderabile al mondo.
Cerco di
allontanare il pensiero da lui, specchiandomi un’ultima volta.
Usciamo
dal portone del mio palazzo e siamo subito in mezzo la gente. Adoro il mio quartiere,
qui la solitudine del silenzio è introvabile. Parigini e turisti si avvicendano
in queste strade, e io che amo la confusione non potrei esserne più contento.
Sulla
metro incontriamo Marine e Ariane, che mi salutano con indifferenza, come se ci
fossimo visti solo poche ore prima. A Paul invece riservano più attenzioni dato
che si è finalmente trasferito qui e io di conseguenza non posso più manipolare
il suo tempo a mio piacimento.
Dato che la nostra assenza non è passata
inosservata, ora che siamo qui ci mettono al centro dell'attenzione
approfittando della nostra presenza.
Le
ragazze non riescono a starmi lontane, mi vedono così femminile, che sono
subito intorno a me alla ricerca di particolari, chi per possibili racconti,
chi per possibili disegni, chi per rinfacciare qualcosa ai fidanzati troppo
distanti. Paul invece è attorniato dai ragazzi, che vedendolo come il nuovo
arrivato, subito abbandonato dal compagno, cercano di farlo sentire il più
possibile a suo agio.
Quanto lo
vorrei qui e adesso!
Ma questi
sono i nostri amici, i miei amici. Non posso criticarli o allontanarli in
nessun modo. Sono coloro che mai mi giudicherebbero per un mio desiderio. Sono
coloro che mi accolgono anche dopo giorni di silenzio. Sono coloro che mi
accettano con un sorriso nonostante i diverbi causati dal mio brutto carattere.
Sono coloro che non mi nasconderebbero mai nulla. Sono coloro che mi raccontano
i movimenti e i sorrisi dei miei occhi.
I
lampioni si accendono. La gente inizia ad affacciarsi dai ponti per osservare
il tramonto. Qui non si è mai da soli, soprattutto l'estate, per me, è come
stare a casa.
E tra di
noi l'alcool inizia a passare di mano. Le bottiglie si susseguono nel rosso del
tramonto per terminare solo nel nero più totale della notte.
C'è chi si
isola nel buio per confidare. Altri si allontanano per poter condividere
confidenze di altro genere.
E lui è
così lontano che vorrei non vederlo. Perché non l’ho mai sentito veramente mio.
Non siamo mai stati insieme in Paradiso. Paul non vuole entrare realmente nel
mio profondo, così da poter essere esclusivamente mio.
Ma sarò
capace di averlo completamente. Sarà lui a volermi così.
Ovviamente,
mentre io sono perso nei miei pensieri, gli altri cercano di coinvolgermi nei
loro discorsi, riuscendo a rubarmi solo qualche monosillabo.
Paul si
avvicina e mi abbraccia da dietro, baciandomi la mascella. Una mano sul mio
cuore, l’altra vicino il mio inguine. Entrambe a rubare qualcosa di mio, come
il suo respiro sulla mia guancia, che porta via il mio.
“Paul, mi
prometti che guarderai solo me e non toccherai altri come stai toccando ora
me?” gli sussurro all’orecchio.
In
risposta sospira e sorridendo agli altri ci allontaniamo un poco, sempre
abbracciati.
Mi tiene
stretto e mi fa poggiare la schiena contro un lampione.
“Stéphan,
è da quando sono arrivato che mi dici cose del genere, perché vuoi farti male?
Perché non ti basta avermi come mi hai ora?”
“Perché
ogni volta che mi tocchi ti porti via un pezzo di me” rispondo io in un sospiro
strozzato.
“Non
posso prometterti che non lo farò ancora. E non posso prometterti che guarderò
solo te” mi dice guardandomi negli occhi “lo sai che non posso!”
“Ok, se
non vuoi dirlo non fa niente. Capisco”. Non è vero. Non capisco. Mi hai chiesto
di stare insieme, ma non vuoi farmi promesse fondamentali. Ne sento il bisogno
solo ora che sono con te.
“Sicuro?”
mi chiede, afferrandomi le spalle. E io scuoto affermativamente la testa, per
cercare di nascondere le lacrime. Ma ovviamente non ci riesco, sono troppo
prevedibile.
“Cazzo”.
Non dice altro, mentre mi abbraccia e mi bacia i capelli.
“Scusa”
mi sento in dovere di dire, cercando di arginare altre lacrime deluse.
“Forse
non posso prometterti che guarderò solo te... ma sicuramente sono solo tuo.
Questo sì che posso dirtelo. È una certezza”
E mi
sorride, di quel sorriso sicuro che riserva ai grandi momenti. E a me viene da
ridere, la luce artificiale della città che mi avvolge nel suo sterile
abbraccio.
“Ehi,
ragazzi... avete finito di amoreggiare?” si informa Ariane “Marine dice che possiamo
andare a casa sua questa notte... venite?”
“Certo
che veniamo” risponde Paul per entrambi, mentre io mi stringo a lui per essere
baciato subito dopo.
“Andiamo!
Che magari ci rimediano anche un materasso” scherza, mordendomi il labbo
inferiore.
Torniamo
dagli altri e lui mi mette il braccio destro sulle spalle, accarezzandomi le
spalle con le dita, finchè non alzo la mano destra per intrecciare le dita con
le sue. L’altra mano sul suo sedere.
Non mi
avrà fatto la promessa della mia vita, ma almeno ho qualcosa.
***
È un mese
che Paul non fa che scoparmi e ricoprirmi di regali. Sembra che stia cercando
di farsi perdonare per la Non-Promessa. Non sono mai stato sfiancato come in queste
ultime settimane.
Così oggi
mi sono concesso questa giornata in libertà con Ariane, François e Désirée.
“Come mai
la coppia d’oro non è insieme oggi?” chiede maliziosa Ariane.
“Oggi
aveva da fare con i suoi. Mica potevo stargli tra i piedi”
Gli altri
sorridono e per fortuna lasciano cadere l’argomento boyfriends, dedicandosi
completamente allo shopping e alle chiacchiere annesse. Una volta stanchi di
spendere soldi ce ne andiamo verso Montmartre: ci sono colori e rumori stupendi
per le foto di Ariane.
I vicoli
sono stretti e in salita, una tortura per la coppia più pigra del mondo, che ci
precede lamentandosi blandamente. Si limitano a camminare e a baciarsi, mentre
io e Ariane ci guardiamo attorno, alla ricerca di qualcosa. Forse sarebbe stato
meglio se non avessi proposto ad Ariane di cercare una luce particolare da
fotografare. Probabilmente sarebbe stato meglio se fosse stata lei la prima a
guardare in questo vicolo.
“Stéphan?
Perché ti sei fermato?” mi chiede Ariane, venendomi vicina. È meglio non
rispondere. Potrei far finta di non essere stato qui oggi. E...
“Paul e
Julien” sibila lei incredula.
E allora
mi rendo veramente conto di ciò che ho davanti. Paul è veramente appoggiato al
muro, con Julien che lo tocca e lo bacia sul collo. Ariane non mi dice nulla,
si limita solo a mettermi un braccio sulle spalle per raggiungere François e
Désirée che si sono fermati più avanti all’ombra di un albero.
Il resto
del pomeriggio passa apaticamente. Ovviamente cerco di non dar a vedere che sto
male, ma Ariane lo sa e quindi non riesce a far finta di nulla. Quando ci
salutiamo ci teniamo stretti per un tempo infinito, noi che non ci abbracciamo
mai.
Vado in
camera mia senza mangiare. È inutile. Non serve neanche spogliarsi. Mi lascio
cadere sul letto e provo a dormire. Ma ovviamente non possono lasciarmi in
pace. Qualcuno deve per forza cercarmi. Prendo il cellulare e dopo aver scorso
il messaggio lo lancio verso la finestra. Non può far finta di nulla in questo
modo! Assolutamente non può pensare che io sia così stupido. Deve solo stare
attento a non farsi cogliere in fallo un’altra volta.
Non ho
più avuto sentore di possibili incontri tra i due, ma ho notato che Julien è un
po’ strano in quest’ultimo periodo. E io non so più come comportarmi con lui.
Invece Paul è sempre lo stesso. Da quando è ricominciata scuola mi viene a
prendere e poi mi porta a casa sua. Sua mamma è sempre discreta e ci lascia il
nostro spazio. Sua sorella invece è una piccola ed invadente peste. Vuole
sempre stare con noi.
Quando
siamo soli, Paul non mi stacca mai le mani di dosso e quando siamo con gli
altri mi rimane sempre vicino. Non si era mai comportato così. Forse è meglio
che parli con lui. Magari si sono visti solo quella volta. E non si sono
neanche spinti oltre. Devo concedergli il beneficio del dubbio. In fondo non ho
più visto sguardi o carezze fugaci che potessero tradirli, come quel giorno a
Montmartre.
Ma Ariane
ha cambiato il suo atteggiamento verso Julien e Paul, e tutti hanno capito che
c’è qualcosa che non va. Ariane è sempre
così gentile con tutti! Non posso neanche chiederle di non trattarli
diversamente dal solito, non mi darebbe mai ascolto. E questo perché magari
avevo visto bene in quel vicolo.
Devo
andare a parlare con lui. Mi aveva detto che avrebbe fatto tardi perché era indaffarato
con i suoi... Come quel giorno. E come ogni volta che non siamo usciti insieme!
Mi alzo e
scusandomi con François lo vado a cercare.
Non devo
fare molta strada per trovarlo. Ma preferirei non essermi mai alzato. Altro che
genitori, sono settimane che fingo di non vedere, ed eccoli qui. Proprio dove
tutti potrebbero trovarli. Come se io non esistessi e non lo stessi aspettando.
Julien
appoggiato al tronco di un albero con gli occhi chiusi e l’espressione
estasiata e Paul addosso a lui, i corpi così vicini che le mani non si vedono.
Faccio
per voltarmi, distrutto, ma il fruscio delle foglie sotto i miei piedi mi
tradisce. Paul si gira e vedendomi si allontana di scatto da Julien. Io in
risposta mi appoggio con la schiena all’albero più vicino e li incoraggio:
“Perché smettere proprio ora... sembrate così affiatati!”
Ma la mia
voce mi tradisce e Paul ne approfitta per provare a scusarsi. Certo lui non sa
che li ho già visti.
“Non
toccarmi. Non ti voglio” gli dico allontanando il suo braccio e tornando
indietro.
“Stéphan,
devi capi-” mi insegue la sua voce. Non posso credere che sta veramente per
usare delle patetiche scuse: “Devo capire? Io non devo capire proprio nulla!
Sei tu che eri qui con lui. Sei tu che devi capire che d’ora in poi devi starmi
lontano. Non ce la faccio”.
Ariane mi
vede tornare con l’aria di uno che sta per esplodere e, intuendo ciò che è
successo, mi lascia in pace e fa in modo che gli altri facciano lo stesso.
Julien invece non ha capito niente, perché corre verso di me e inizia a
scusarsi e a parlare stupidamente, mentre io lo ascolto impassibile. Poi gli
dico: “Ok, tranquillo, non ti preoccupare. Ma per un po’ è meglio se non ti fai
vedere in giro e non mi parli”. Per fortuna la mia voce non ha esitato, altrimenti
sarebbero stati guai.
Lo guardo
per diverso tempo, e quando capisce che parlavo sul serio si allontana
piangendo silenziosamente. Paul, che ci ha seguiti, se ne accorge e lo stringe,
non viene a parlare con me.
Mi rendo
conto che gli altri non hanno capito niente, e forse è il caso di chiarire le
idee a tutti.
Mi alzo e
avvicinandomi a loro sibilo furioso: “Ok, avete deciso allora”. Qualcuno prova
a fermarmi, ma io non mi lascio neanche toccare. Passando accanto a loro dico:
“Non sei stato onesto” e sorrido amaramente, fiero di me.
Paul
prova a seguirmi e ad abbracciarmi e allora non resisto: “Abbiamo giocato e ora
ti sei stufato. Va bene. Almeno ora lasciami stare!”
Paul si
accorge che gli altri si stanno avvicinando per le mie urla, così mi lascia
stare e mi permette di andar via.
Mi
incammino verso casa per poter comprare una birra e sedermi su un muretto
vicino Notre-Dame, sulla Senna.
Il
tramonto qui a Notre-Dame è sempre stupendo, con qualsiasi tempo. I giochi di
luce su questa pietra sono favolosi. E poi è così affollato che nessuno pensa a
me seduto qui sotto da solo. Ma non riesco a stare solo per molto tempo.
“Ti avevo
detto di lasciarmi in pace o sbaglio?” domando.
“Giusto,
non posso neanche più venire qui adesso”. Certo, come se non lo avessi saputo
che sarei venuto qui. Sarei dovuto andare altrove, ho sbagliato io.
“E allora
non ti voltare. Voglio solo parlarti” mi dice ancora con il fiatone.
“Non ti
voglio ascoltare” ribadisco lapidario.
“Ok, in
questo caso va’ via. Perché io mi siederò proprio qui e parlerò”.
Penso che
non potrei essere più sgomento. Se non mi alzo sarà come dire che lo perdono a
prescindere. Devo almeno alzarmi. Alzati Stéphan. Inutile parlare con te. Sei
sempre il solito testardo e remissivo.
Immagino
il sorriso triste sul viso di Paul, mentre si siede qui dietro di me e inizia a
parlare: “Ariane mi ha detto che ci hai visti tre settimane fa. Non avrei
voluto farti stare male”.
“Avevi
promesso”
“Lo so.
Sono imperdonabile. Però non coinvolgere Julien, ci sta male anche lui. Sono
solo io il colpevole, e non ho scuse. Non pretendo neanche che tu capisca.
Sappi solo che ti voglio bene. Davvero”.
E
dicendolo si sporge per baciarmi la nuca e carezzarmi la guancia. Non appena
sente le lacrime si avvicina e mi stringe, venendo a sedersi proprio dietro di
me. Troppo vicino, con troppa intensità. Provo a liberarmi e capisco che
sarebbe troppo facile. Continua a non volermi costringere a rimanere qui. Così
mi appoggio al suo petto e giro il viso per guardarlo.
“Sono un idiota.
Non dovrei stare qui con te così”
“Lo so.
Non dovresti. Soprattutto se non vuoi perdonarmi” mi dice con la voce sempre
più triste.
“È
inutile. Ti desidero troppo” sorrido sprezzante io evitando di guardarlo.
Ma lui mi
gira il volto e mi bacia incurante della scomodissima posizione in cui ci
troviamo.
Potei
stare così per giorni. Tanto ormai è ovvio che non ho orgoglio e che mi farei
fare qualsiasi cosa da lui. Mi lascia e prende l’Heineken dalle mie mani.
Come
posso resistergli? Lo voglio troppo e forse neanche tanto sanamente. Posso
anche continuare a soffrire. Basta che continui a desiderarmi.
“Dormi da
me stanotte?” sento la mia voce come se appartenesse ad un altro.
“Se è
quello che vuoi veramente” e alza le spalle sorridendo, come se non fosse
successo nulla. Come se stessi piangendo all’uscita del cinema e non per lui.
Scuoto
affermativamente la testa. Che altro potrei fare? E prendendolo per mano mi
incammino verso casa, mentre lui fa delle telefonate.
Una volta
finito di parlare con i suoi, continua a tenermi la mano in silenzio fino al
portone del mio palazzo. Mi appoggio al legno e mi lascio baciare. La sua bocca
rude e le sue mani impazienti sui miei jeans, incurante dei passanti.
Mi lascio
mordere, ma poi gli dico: “Fai piano”.
Forse le
mie lacrime gli fanno pena. “Sei mio. Sei la mia puttana”.
“Non
farmi ancora male” lo prego.
“Non l’ho
mai fatto” mi dice per poi aumentare la pressione della sua mano sul cavallo
dei miei pantaloni.
Così apro
freneticamente il portone e corro su per le scale, fermandomi solo dopo aver
chiuso a chiave anche la porta della mia camera.
Mi
spoglio e mi avvicino con l’intenzione di farmi scopare nel più totale silenzio
delle parole, ma alla fine non resisto: “Quante volte l’avete fatto?”
Paul
rimane zitto senza smettere di guardarmi, ma non accetterò silenzi in risposta
alle mie domande: “Allora?”
“Ci siamo
visti una decina di volte” mi dice distogliendo lo sguardo.
Quindi lo
mordo sul collo, facendogli male, per non piangere.
“Come
l’avete fatto? E dove?”
Devo
incalzarlo per avere queste risposte che non voglio, ma alla fine le ottengo, e
lo mordo di nuovo.
Lo sento.
Vorrebbe gettarmi sul letto e salirmi sopra. Invece mi accarezza la schiena, mi
bacia sul mento, sul collo, sul petto, per poi inginocchiarsi.
Il sesso
è veramente un ottimo modo per dimenticare le cose. Posso solo amarlo in questo
momento. Anche se mi ha consapevolmente fatto male. E forse proprio per questo
mi lascio baciare e toccare. E proprio perché non posso fare a meno di lui lo
lascio salire su di me. Mi tocca, mi spoglia e mi penetra. Ma non smette di
baciarmi e mi fa piangere. Nessuno mi è mai stato così vicino. Finalmente ha
capito quello che volevo da lui.
Riesce
anche a farmi urlare l’orgasmo.
Bacia le
mie guance umide e si sdraia accanto a me senza lasciarmi andare. Voglio
andarmene da questo letto. Non possiamo stare così vicini. Mi farà perdere la
testa di nuovo. Capirà che so che è questo il mio posto. Devo alzarmi. No, non
devo. Va bene se rimaniamo sdraiati nudi e vicini. Anche se questo silenzio è
opprimente.
“Fra
qualche settimana mio padre deve andare negli Stati Uniti per un incontro.
Andrò con lui”
Riesco
solo a dire: “Ok”
“Non
starò via molto. Giusto il tempo di fare il turista e di riprendermi dal
jet-lag”
“Fai come
ti pare. Non mi devi più spiegazioni” rispondo io sempre più piccato dalla sua
voglia di parlare.
“Giusto.
Non più. Beh... allora te lo dico solo a titolo informativo, così quando
partirò qualcuno lo saprà” spiega poggiando la testa sulla mano, per guardarmi
meglio.
“Quando
tornerò...” e sento i suoi occhi scaldarmi la parte sinistra del corpo “Sarai
ancora qui?”
Farei
qualsiasi cosa per starti vicino. Ma non posso dirtelo. Ora devo solo respirare
profondamente e dire la cosa giusta: “Dovrei?”
“No...”
ride sarcastico “Ma potresti. Ti voglio veramente”
“Non lo
so”
“Va
bene.... se è così è inutile che io resti ancora a disturbarti”
Finalmente.
Mi ha liberato. Ora posso alzarmi e chiudermi in bagno. Ho bisogno di una
doccia calda per scaricare tutta questa tensione.
Magari lo
troverò ancora sul letto. E si scuserà per tutto ciò che ha distrutto e resterà
con me.
Apro
piano la porta per controllare, ma è ovvio che se n’è andato. La camera è così
silenziosa senza il suo respiro.
Mi sdraio
ancora bagnato sulle lenzuola disfatte e trovo un foglietto sul cuscino che
usava sempre lui.
À Paris je
suis à toi.*
Prendo il
foglietto dal letto e lo attacco allo specchio.
Ora devo
solo andare avanti. Da solo.
Fin
*A Parigi sono tuo.