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Autore: Lady Vivien    09/04/2010    1 recensioni
Prequel di 'The Satan Bitch'. Stéphan e Paul. Come è cominciato il loro amore. Perchè si tratta di questo, vero? Amore?
Genere: Romantico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Note dell’autrice: il successo che ha riscosso “The Satan Bitch” mi ha fatto pensare molto

Note dell’autrice: il successo che ha riscosso “The Satan Bitch” mi ha fatto pensare molto. E alla fine pensare troppo intensamente ad una cosa, non porta altro che guai. E continuando a pensare, la mia mente ha trovato un modo per legare le due storie. Non è necessario aver letto “The Satan Bitch” ma, essendo quella che segue, la spiegazione di come è nato il titolo, sarebbe carino se chi non l’avesse mai letta lo facesse.

Ho avuto un po’ di problemi con il lavoro del padre di Paul... è solo che io non la più pallida idea di come funzionino le ambasciate... quindi vi prego di lasciar correre, o magari istruirmi (nel caso in cui qualcuno fosse meglio informato).

Mi auguro sia all’altezza dell’originale, anche perché adoro questi due personaggi.

Il titolo è una canzone di Meds dei Placebo, che a modo loro mi hanno aiutata anche per questa seconda parte. Non sapevo che titolo mettere, poi in classe, diversi mesi fa, non avendo nulla di meglio da fare, ho scritto il testo di ‘Broken Promise’ e mi sono resa conto che era perfetta per la trama che avevo delineato nella mia mente. *aw* Anche uno dei personaggi porta il nome di una canzone dei Placebo, effettivamente non c’entra nulla con il testo, ma era perfetto per la personalità che avevo in testa.

Questo è stato il ‘parto’ più travagliato della mia vita. Quindi, spero che qualche lettore di buon animo si fermi dopo aver terminato la lettura e clicchi su: Vuoi inserire una recensione? Lo farete vero? *-*

Ora vi lascio. Enjoy It.

Baci, Lady Vivien

 

 

 

Disclaimer: i personaggi mi appartengono. I fatti e i suddetti personaggi non esistono, è stato creato tutto dalla mia perversa fantasia. Perciò riferimenti a fatti o persone realmente esistenti è puramente casuale. I riferimenti a Parigi sono fatti solo sulla mia ridotta conoscenza della città.

I diritti di Broken Promise sono dei Placebo o chi per loro.

 

 

 

 

 

Broken Promise

 

 

Finalmente ci rivediamo. Ci siamo conosciuti otto mesi fa e ci siamo potuti sentire solo su Messenger: oggi è solo la seconda volta che lo posso vedere e finalmente toccare. Non sono abituato a periodi così lunghi d’astinenza.

Da due mesi siamo fidanzati, purtroppo però, nell’ultimo periodo, lui si stava trasferendo qui a Parigi e ogni volta che avevamo un appuntamento lui non poteva prendere il treno, dovendo aiutare i suoi con la preparazione per il trasloco.

Finalmente oggi possiamo stare insieme, sono iniziate le vacanze e io sono riuscito a scappare dai miei impegni con una scusa, mentre lui ha semplicemente dovuto chiedere un po’ di meritata tranquillità. I suoi sanno che vogliamo stare insieme quel poco tempo che abbiamo a nostra disposizione.

Questi che sono appena passati, sono stati i mesi più difficili della mia vita, senza mai poterlo baciare o toccare. Appena l’ho visto alla stazione poco fa gli sono corso incontro e l’ho baciato con tutta la passione che ho, è stato il primo vero bacio che ci siamo scambiati, il primo faccia a faccia. In tutta la mia vita sono state poche le cose che ho desiderato così intensamente. Odio non poter fare sesso avendone la possibilità.

“Stéphan, i miei non ci sono, che ne dici di andare da me per stare un po’ da soli?” mi chiede subito con la sua voce roca, che è come un richiamo, mi strega e non riesco ancora a capacitarmene.

“Ma è ancora tutto in disordine, non vorrei disturbare!” gli dico preoccupato.

“Cosa? E io pensavo che ti avrebbe fatto piacere renderti utile e sistemare un po’ di cose per me!”

Lo guardo allibito, stando allo scherzo; non mi chiederebbe mai seriamente una cosa del genere. Almeno spero.

“Ok ok, ho capito: niente scherzi di questo genere con te” mi dice lui alzando le mani in segno di resa.

“Bravo, e comunque sì, mi farebbe piacere venire a casa tua, ma sei sicuro che non creo problemi?” continuo a chiedere educato.

“Smettila di dire sciocchezze. Non te l’avrei chiesto se fosse stato un problema. I miei non tornano fino a stasera, vorrei stare da solo con te”

“Va bene, andiamo. Anche io voglio stare da solo con te” gli dico, per baciarlo subito dopo sulla bocca con un insolito slancio d’amore.

Camminare per la strada con lui è una sensazione particolare. Mi sento osservato, ma non per il mio abbigliamento, il mio taglio di capelli, o per il mio portamento. La gente mi guarda perché sono accanto a lui, mi ritengono fortunato perché sono insieme ad un ragazzo troppo sexy per chiunque, ma non per me.

Prima di conoscere Paul, ho avuto solo storie di una notte. E questa è la prima volta che Paul e io passiamo del tempo soli in un luogo chiuso e appartato.

“Ti ricordi che giornata è stata il nostro primo incontro?” mi chiede improvvisamente, come se avesse afferrato i miei pensieri.

“Oh sì! Che fiasco. Sei venuto qui a Parigi per fare una visita all’ambasciata per il lavoro di tuo padre, o come dicesti tu per una scampagnata – una scampagnata in città dico io, poi - e invece ha piovuto tutto il giorno, costringendoci a stare al centro commerciale come due stupide liceali. E poi quando ha smesso siamo potuti uscire e stare con gli altri che ci aspettavano dal pomeriggio” ricordo io con un vago senso di nostalgia.

E lui ridacchia al sentirsi paragonare ad una stupida liceale.

 

Casa sua è veramente grande. Suo padre è l’ambasciatore belga, e si è appena trasferito qui a Parigi con tutta la famiglia, per mia fortuna aggiungerei.

Hanno preso un intero attico al centro della città, di cui non oso neanche pensare il prezzo. Solo che ora sono in pieno trasloco, e Paul mi ha già avvertito che troverò un po’ di disordine. Loro preferiscono portarsi dietro le loro cose, dicono che così hanno la sensazione di essere sempre nello stesso posto, a casa.

Prendiamo l’ascensore per evitare di fare i dieci piani che ci spetterebbero, ed arriviamo proprio davanti al portone del suo appartamento.

Apre la porta con delle chiavi nascoste in un angolo e mi fa entrare nella sua umile dimora, come l’ha scherzosamente rinominata lui. Sono senza parole, neanche se fosse stato un po' meno modesto le sue parole si sarebbero avvicinate alla realtà.

Un grande divano bianco troneggia al centro del salone ingombro di scatoloni. Quindi ci spostiamo cercando di evitarli, arrivando di fronte al divano.

“I letti però sono sistemati” mi assicura Paul guardandomi e accarezzandomi il torace. Le sue mani sono caldissime al di sopra della stoffa, le voglio sulla mia pelle.

Mi bacia e le nostre lingue trovano un nuovo modo di giocare, adoro il modo in cui mi permette di condurre. Poi sento finalmente scorrere le sue mani sulla mia pelle, le sento soffermarsi sui capezzoli per scendere poi verso il mio ombelico.

Mi spinge sul divano e rimane a guardarmi, quasi in attesa. Lo prendo per una mano avvicinandolo a me e in un dolce sussurro gli ordino: “Siediti”.

Mi guarda confuso, sicuramente ha notato la mia erezione - è fin troppo evidente con questi pantaloni attillati - eppure si siede al mio lato, permettendomi di inginocchiarmi a terra tra le sue gambe. Mi sporgo in avanti per slacciare i suoi jeans e li tiro giù assieme ai boxer, ma abbandono momentaneamente la sua erezione, chiedendogli un bacio, con le mani poggiate sulle sue ginocchia.

Lo prendo in mano ed inizio a baciarlo. Lo sento gemere e sento le sue mani sulla mia testa stringermi i capelli con forza. Continuo a leccarlo finchè non viene nella mia bocca, costringendomi ad ingoiare. Mi allontano pulendomi le labbra con il dorso della mano destra, e con l’altra incrocio le nostre dita, per dirgli: “Scopami senza pensare. Fammi godere il più bel momento della mia vita. Adesso”.

“Quanta intraprendenza!”

Io gli sorrido maliziosamente, e alzandomi slaccio lentamente i bottoni dei miei pantaloni, mentre lui si siede sul bordo del divano per avvicinarsi ulteriormente a me. Ma in quel momento sentiamo la serratura del portone scattare. Io lo guardo disorientato e lui mi risponde in labiale che sono i suoi, poi mi tira per un braccio giù sul divano e mi riabbottona velocemente i pantaloni. Si siede a gambe incrociate voltato verso di me con un cuscino sulle gambe, e io per nascondermi, tiro su le gambe, fin sotto il mento.

“Ragazzi, che fate a casa con questo bel tempo? E tu come stai Stéphan?” chiede premurosa sua madre, che mi ha sempre gentilmente risposto al telefono.

“Buongiorno signora, bene grazie! La vedo in forma” dico io, cercando di apparire il più educato possibile. E lei mi sorride amorevole, come solo le mamme sanno fare.

Paul, invece, non ha risposto alla sua domanda, anzi i suoi occhi sollecitano la madre a rispondere della sua presenza a casa in quel momento.

Lei risponde subito alla sua domanda non fatta: “Tranquillo amore, papà aveva scordato il portafoglio in camera, sono solo salita a prenderlo”.

 “Ok, allora noi andiamo in camera mia, vero?” afferma lui, di nuovo sorridente.

“Certo, come vuoi” rispondo io guardando però la madre, che si volta cercando di nascondere un sorriso avendo sentito le parole taciute dal figlio.

Mi sfiora la mano e ci alziamo. Senza guardarci ci dirigiamo verso la sua camera. Lui si ferma sulla soglia per farmi entrare e poi chiude a chiave la porta dietro di sé.

“Allora, dicevi?” mi chiede. È bellissimo mentre mi guarda in attesa, ma sarà ancora più bello quando sarò suo.

“Scopami fino a farmi male” mi fermo un attimo e poggiando il mio petto contro il suo continuo, piegando poi infantilmente la testa di lato: “Fammi piangere”.

Non mi risponde, continua semplicemente a guardarmi, poi mi afferra per i fianchi stringendomi a sé. Mi accarezza dolcemente la schiena, scendendo fino al mio sedere, che stringe con irruenza. Si stacca dalla porta e senza mai allontanarsi da me si sposta verso il letto. Mi bacia il collo, mi morde e mi lecca. Mi sfila la maglietta e inizia a baciarmi anche il petto, slacciandomi i pantaloni.

Io sfilo la sua maglietta e facendomi un poco indietro sbottono anche i suoi jeans, che riesco a togliere solo facendolo sdraiare, poi sfilo anche i miei e mi sdraio accanto a lui.

Paul infila la mano nei miei boxer e accarezzandomi mi chiede: “Così va bene?”

“No, voglio di più” sospiro voglioso al suo orecchio.

Sentendomi così sicuro, mi asseconda facendomi sdraiare, per togliermi i boxer e mettersi in ginocchio tra le mie gambe, poi toglie anche i suoi e si sdraia su di me, poggiando i gomiti sui cuscini per non pesarmi. Le nostre erezioni si scontrano e si allontanano seguendo i nostri abbracci e i nostri baci. Allaccio le gambe attorno la sua vita, per spingerlo fino alla mia apertura.

“Aspetta” mi dice lui, cercando di spostarsi.

“Ti ho chiesto di scoparmi. Fallo per favore, non resisto più” sussurro con le lacrime agli occhi. Credo di essere più convincente che mai con gli occhi lucidi e il respiro affannoso, perché si allontana per prendere una scatolina dallo zaino.

“Non speravo venissimo qui da me” afferma come per scusarsi di aver portato lubrificante e preservativi in giro tutto il giorno. Io sorrido e mi sistemo tra gli innumerevoli cuscini del suo letto. Si avvicina nuovamente e lo stringo con braccia e gambe. Lui invece si ferma con lo zaino in mano, e immobile come una statua cerca di percepire qualche piccolo rumore proveniente dal corridoio.

“Ragazzi io vado! Paul, se Stéphan vuole restare, è libero di farlo: io e papà torniamo stasera tardi” urla la madre, e senza aspettare una risposta va via.

Lui mi guarda e sembra volermi dire qualcosa, ma tace e io non riesco a chiedergli a cosa sta pensando. Sono figlio dei miei istinti e sentimenti, e tutto ciò di cui ho bisogno ora è sentirlo violentemente dentro di me, perché non esiste altro se non il nostro piacere.

Lascio sia Paul a lasciarmi cadere sul letto e sdraiarsi su di me. Vorrei lasciarlo libero di donarmi quel piacere speciale che gli ho chiesto, ma non sapendo stare fermo in attesa che le cose arrivino da sole, inizio a provocarlo per mettergli premura.

Le sue mani scorrono oscene sul mio cuore. Il suo desiderio indecente nella mia pelle.

 

Diverse ore dopo, mentre siamo decisamente stanchi e abbracciati sotto le coperte, lo sento sussurrarmi: “Vorrei che rimanessi a dormire qui... i miei torneranno molto tardi, dato che dovranno riprendere anche mia sorella. Ti va?”

“No, grazie. Penso sia meglio di no” rispondo io improvvisamente intimorito e a disagio. Non pensavo me l’avrebbe chiesto seriamente. Non me la sento proprio di fare colazione con tutta la sua famiglia, sarebbe una cosa troppo intima.

Per ora sto bene così. Finalmente siamo riusciti a fare l’amore, peccato solo abbia smesso.

Se mi avesse scopato tutta la notte, avrei pianto per il tormento.

Se mi avesse baciato fino all'alba, avrei perso la voce per i troppi orgasmi.

Avrei voluto mi facesse suo per sempre, non essere trattato solo come una puttana.

Ma sono stato io a presentarmi così, ora devo solo imparare a giocare con queste carte. Perché è questo che voglio. Perché non posso evitare di appartenergli anima e corpo. Perché ancora non sapevo che qualcosa si stava rompendo. Perché la bellezza è ciò che continua a spingerci per questa strada tortuosa. Perché sono la sua puttana e lui è il mio inconsapevole Satana privato. Perché lui è la mia dannazione ed io sarò suo finchè le fiamme continueranno a bruciare queste mie lacrime celate.

Pensando tutto ciò mi trovo a sussurrare un “Ti prometto che sarò solo e soltanto la tua puttana, ti rimarrò accanto, almeno finchè mi vorrai, sono tuo in ogni modo”

“Io non rimarrò qui a lungo, presto o tardi mio padre ripartirà e io lo seguirò. Non ho scelta” sento rispondere tristemente Paul. Non riesco a replicare, mi manca l’aria a questo suo inaspettato cinismo, quindi cerco di deviare il discorso e, controvoglia, porto via con me le coperte dal letto e gli dico: “Ok, allora vado”.

“Dove vai in giro da solo a quest’ora di notte?” mi chiede apprensivo.

“A prendere la metro, nulla di più semplice e-”

“Pericoloso” aggiunge lui.

“Io pensavo a comodo, dato che abito proprio vicino la mia fermata” rispondo beffardo, continuando a cercare tutti i miei indumenti.

“Anche questo è vero, ma al contrario, come hai visto prima, casa mia è più distante dalla fermata della metro, e sai che non ti posso accompagnare!”

Tutta questa premura è strana e poco confortevole. Mi rende solo più deciso ad andarmene, come del resto le parole che le seguono.

“Prendi questi e torna a casa in taxi” mi dice infatti, porgendomi delle banconote.

Poi qualcosa mi spinge ad osservare la sua espressione, dandomi la possibilità di capire la sua preoccupazione e non un desiderio di offesa con l’offerta di quei soldi.

Eppure non me la sento di accettarli, dopo quello che gli ho detto poco fa, in un certo modo mi renderebbe tale a tutti gli effetti.

“Prendili, tanto tu sei solo e soltanto mio, qualunque cosa tu sia o pretenda di essere” mi dice alzandosi e stringendomi i soldi tra le mani, senza abbracciarmi, per potermi guardare negli occhi.

 

 

 

                                                                   ***

 

 

 

Paul ha ormai sistemato tutta la sua roba e in ogni momento libero è stato con me, sempre qui a casa mia. Ora dobbiamo solo trovare la voglia di vestirci e uscire. Sto così bene sdraiato sul suo petto a fumare e a cantare. Ma i miei amici non mi vedono da dieci giorni e sono più che desiderosi di rincontrare Paul. Se non esco da questo letto ora che ci sto pensando, credo che non lo faremo di nostra spontanea volontà. E allora sì che non riuscirò a spezzare da solo questo circolo vizioso.

Chissà perché quando ho bisogno degli slip non li trovo mai. Odio doverli cercare nel caos della stanza, quando non ricordo neanche dove possano essere finiti.

“Se cercavi questi...” mi chiama Paul per lanciarmeli subito dopo.

“Grazie. Ma penso che tu debba pensare ai tuoi. È veramente ora di uscire di nuovo” dico io cercando di sollecitarlo.

“I miei sono lì vicino a te”

“E dove precisamente?” chiedo io non notando nulla di simile ai suoi boxer intorno a me.

“Qui” e dicendolo mi fa cadere sul letto, per baciarmi e tirar fuori da sotto le lenzuola i suoi boxer, “Visto che erano vicino a te?”

“Vestiti, hai avuto il tuo tempo” sorrido, riprendendolo nell’inutile tentativo di mettergli fretta.

“Ok. Posso usare il bagno vero?” ridacchia.

“Sì sì”

Senza aggiungere altro, se ne va in bagno, lasciandomi solo a rifare il letto. In pochi minuti sono vestito e la stanza è il solito regno del caos. Devo solo sistemarmi i capelli.

Diversi minuti dopo torna in camera più bello di come potrà mai essere con i vestiti addosso. Mi sembra diverso rispetto a questa mattina, non mi sembrano gli stessi vestiti quelli che ha indosso. E i suoi occhi mi faranno impazzire prima o poi, ha un modo tutto suo di guardarmi e io non riesco a non perdermi quando sembro essere l’unica cosa desiderabile al mondo.

Cerco di allontanare il pensiero da lui, specchiandomi un’ultima volta.

Usciamo dal portone del mio palazzo e siamo subito in mezzo la gente. Adoro il mio quartiere, qui la solitudine del silenzio è introvabile. Parigini e turisti si avvicendano in queste strade, e io che amo la confusione non potrei esserne più contento.

Sulla metro incontriamo Marine e Ariane, che mi salutano con indifferenza, come se ci fossimo visti solo poche ore prima. A Paul invece riservano più attenzioni dato che si è finalmente trasferito qui e io di conseguenza non posso più manipolare il suo tempo a mio piacimento.

Dato che la nostra assenza non è passata inosservata, ora che siamo qui ci mettono al centro dell'attenzione approfittando della nostra presenza.

Le ragazze non riescono a starmi lontane, mi vedono così femminile, che sono subito intorno a me alla ricerca di particolari, chi per possibili racconti, chi per possibili disegni, chi per rinfacciare qualcosa ai fidanzati troppo distanti. Paul invece è attorniato dai ragazzi, che vedendolo come il nuovo arrivato, subito abbandonato dal compagno, cercano di farlo sentire il più possibile a suo agio.

Quanto lo vorrei qui e adesso!

Ma questi sono i nostri amici, i miei amici. Non posso criticarli o allontanarli in nessun modo. Sono coloro che mai mi giudicherebbero per un mio desiderio. Sono coloro che mi accolgono anche dopo giorni di silenzio. Sono coloro che mi accettano con un sorriso nonostante i diverbi causati dal mio brutto carattere. Sono coloro che non mi nasconderebbero mai nulla. Sono coloro che mi raccontano i movimenti e i sorrisi dei miei occhi.

I lampioni si accendono. La gente inizia ad affacciarsi dai ponti per osservare il tramonto. Qui non si è mai da soli, soprattutto l'estate, per me, è come stare a casa.

E tra di noi l'alcool inizia a passare di mano. Le bottiglie si susseguono nel rosso del tramonto per terminare solo nel nero più totale della notte.

C'è chi si isola nel buio per confidare. Altri si allontanano per poter condividere confidenze di altro genere.

E lui è così lontano che vorrei non vederlo. Perché non l’ho mai sentito veramente mio. Non siamo mai stati insieme in Paradiso. Paul non vuole entrare realmente nel mio profondo, così da poter essere esclusivamente mio.

Ma sarò capace di averlo completamente. Sarà lui a volermi così.

Ovviamente, mentre io sono perso nei miei pensieri, gli altri cercano di coinvolgermi nei loro discorsi, riuscendo a rubarmi solo qualche monosillabo.

Paul si avvicina e mi abbraccia da dietro, baciandomi la mascella. Una mano sul mio cuore, l’altra vicino il mio inguine. Entrambe a rubare qualcosa di mio, come il suo respiro sulla mia guancia, che porta via il mio.

“Paul, mi prometti che guarderai solo me e non toccherai altri come stai toccando ora me?” gli sussurro all’orecchio.

In risposta sospira e sorridendo agli altri ci allontaniamo un poco, sempre abbracciati.

Mi tiene stretto e mi fa poggiare la schiena contro un lampione.

“Stéphan, è da quando sono arrivato che mi dici cose del genere, perché vuoi farti male? Perché non ti basta avermi come mi hai ora?”

“Perché ogni volta che mi tocchi ti porti via un pezzo di me” rispondo io in un sospiro strozzato.

“Non posso prometterti che non lo farò ancora. E non posso prometterti che guarderò solo te” mi dice guardandomi negli occhi “lo sai che non posso!”

“Ok, se non vuoi dirlo non fa niente. Capisco”. Non è vero. Non capisco. Mi hai chiesto di stare insieme, ma non vuoi farmi promesse fondamentali. Ne sento il bisogno solo ora che sono con te.

“Sicuro?” mi chiede, afferrandomi le spalle. E io scuoto affermativamente la testa, per cercare di nascondere le lacrime. Ma ovviamente non ci riesco, sono troppo prevedibile.

“Cazzo”. Non dice altro, mentre mi abbraccia e mi bacia i capelli.

“Scusa” mi sento in dovere di dire, cercando di arginare altre lacrime deluse.

“Forse non posso prometterti che guarderò solo te... ma sicuramente sono solo tuo. Questo sì che posso dirtelo. È una certezza”

E mi sorride, di quel sorriso sicuro che riserva ai grandi momenti. E a me viene da ridere, la luce artificiale della città che mi avvolge nel suo sterile abbraccio.

“Ehi, ragazzi... avete finito di amoreggiare?” si informa Ariane “Marine dice che possiamo andare a casa sua questa notte... venite?”

“Certo che veniamo” risponde Paul per entrambi, mentre io mi stringo a lui per essere baciato subito dopo.

“Andiamo! Che magari ci rimediano anche un materasso” scherza, mordendomi il labbo inferiore.

Torniamo dagli altri e lui mi mette il braccio destro sulle spalle, accarezzandomi le spalle con le dita, finchè non alzo la mano destra per intrecciare le dita con le sue. L’altra mano sul suo sedere.

Non mi avrà fatto la promessa della mia vita, ma almeno ho qualcosa.

 

 

 

                                                                   ***

 

 

 

È un mese che Paul non fa che scoparmi e ricoprirmi di regali. Sembra che stia cercando di farsi perdonare per la Non-Promessa. Non sono mai stato sfiancato come in queste ultime settimane.

Così oggi mi sono concesso questa giornata in libertà con Ariane, François e Désirée.

“Come mai la coppia d’oro non è insieme oggi?” chiede maliziosa Ariane.

“Oggi aveva da fare con i suoi. Mica potevo stargli tra i piedi”

Gli altri sorridono e per fortuna lasciano cadere l’argomento boyfriends, dedicandosi completamente allo shopping e alle chiacchiere annesse. Una volta stanchi di spendere soldi ce ne andiamo verso Montmartre: ci sono colori e rumori stupendi per le foto di Ariane.

I vicoli sono stretti e in salita, una tortura per la coppia più pigra del mondo, che ci precede lamentandosi blandamente. Si limitano a camminare e a baciarsi, mentre io e Ariane ci guardiamo attorno, alla ricerca di qualcosa. Forse sarebbe stato meglio se non avessi proposto ad Ariane di cercare una luce particolare da fotografare. Probabilmente sarebbe stato meglio se fosse stata lei la prima a guardare in questo vicolo.

“Stéphan? Perché ti sei fermato?” mi chiede Ariane, venendomi vicina. È meglio non rispondere. Potrei far finta di non essere stato qui oggi. E...

“Paul e Julien” sibila lei incredula.

E allora mi rendo veramente conto di ciò che ho davanti. Paul è veramente appoggiato al muro, con Julien che lo tocca e lo bacia sul collo. Ariane non mi dice nulla, si limita solo a mettermi un braccio sulle spalle per raggiungere François e Désirée che si sono fermati più avanti all’ombra di un albero.

Il resto del pomeriggio passa apaticamente. Ovviamente cerco di non dar a vedere che sto male, ma Ariane lo sa e quindi non riesce a far finta di nulla. Quando ci salutiamo ci teniamo stretti per un tempo infinito, noi che non ci abbracciamo mai.

Vado in camera mia senza mangiare. È inutile. Non serve neanche spogliarsi. Mi lascio cadere sul letto e provo a dormire. Ma ovviamente non possono lasciarmi in pace. Qualcuno deve per forza cercarmi. Prendo il cellulare e dopo aver scorso il messaggio lo lancio verso la finestra. Non può far finta di nulla in questo modo! Assolutamente non può pensare che io sia così stupido. Deve solo stare attento a non farsi cogliere in fallo un’altra volta.

 

Non ho più avuto sentore di possibili incontri tra i due, ma ho notato che Julien è un po’ strano in quest’ultimo periodo. E io non so più come comportarmi con lui. Invece Paul è sempre lo stesso. Da quando è ricominciata scuola mi viene a prendere e poi mi porta a casa sua. Sua mamma è sempre discreta e ci lascia il nostro spazio. Sua sorella invece è una piccola ed invadente peste. Vuole sempre stare con noi.

Quando siamo soli, Paul non mi stacca mai le mani di dosso e quando siamo con gli altri mi rimane sempre vicino. Non si era mai comportato così. Forse è meglio che parli con lui. Magari si sono visti solo quella volta. E non si sono neanche spinti oltre. Devo concedergli il beneficio del dubbio. In fondo non ho più visto sguardi o carezze fugaci che potessero tradirli, come quel giorno a Montmartre.

Ma Ariane ha cambiato il suo atteggiamento verso Julien e Paul, e tutti hanno capito che c’è qualcosa che non va. Ariane è sempre così gentile con tutti! Non posso neanche chiederle di non trattarli diversamente dal solito, non mi darebbe mai ascolto. E questo perché magari avevo visto bene in quel vicolo.

Devo andare a parlare con lui. Mi aveva detto che avrebbe fatto tardi perché era indaffarato con i suoi... Come quel giorno. E come ogni volta che non siamo usciti insieme!

Mi alzo e scusandomi con François lo vado a cercare.

Non devo fare molta strada per trovarlo. Ma preferirei non essermi mai alzato. Altro che genitori, sono settimane che fingo di non vedere, ed eccoli qui. Proprio dove tutti potrebbero trovarli. Come se io non esistessi e non lo stessi aspettando.

Julien appoggiato al tronco di un albero con gli occhi chiusi e l’espressione estasiata e Paul addosso a lui, i corpi così vicini che le mani non si vedono.

Faccio per voltarmi, distrutto, ma il fruscio delle foglie sotto i miei piedi mi tradisce. Paul si gira e vedendomi si allontana di scatto da Julien. Io in risposta mi appoggio con la schiena all’albero più vicino e li incoraggio: “Perché smettere proprio ora... sembrate così affiatati!”

Ma la mia voce mi tradisce e Paul ne approfitta per provare a scusarsi. Certo lui non sa che li ho già visti.

“Non toccarmi. Non ti voglio” gli dico allontanando il suo braccio e tornando indietro.

“Stéphan, devi capi-” mi insegue la sua voce. Non posso credere che sta veramente per usare delle patetiche scuse: “Devo capire? Io non devo capire proprio nulla! Sei tu che eri qui con lui. Sei tu che devi capire che d’ora in poi devi starmi lontano. Non ce la faccio”.

Ariane mi vede tornare con l’aria di uno che sta per esplodere e, intuendo ciò che è successo, mi lascia in pace e fa in modo che gli altri facciano lo stesso. Julien invece non ha capito niente, perché corre verso di me e inizia a scusarsi e a parlare stupidamente, mentre io lo ascolto impassibile. Poi gli dico: “Ok, tranquillo, non ti preoccupare. Ma per un po’ è meglio se non ti fai vedere in giro e non mi parli”. Per fortuna la mia voce non ha esitato, altrimenti sarebbero stati guai.

Lo guardo per diverso tempo, e quando capisce che parlavo sul serio si allontana piangendo silenziosamente. Paul, che ci ha seguiti, se ne accorge e lo stringe, non viene a parlare con me.

Mi rendo conto che gli altri non hanno capito niente, e forse è il caso di chiarire le idee a tutti.

Mi alzo e avvicinandomi a loro sibilo furioso: “Ok, avete deciso allora”. Qualcuno prova a fermarmi, ma io non mi lascio neanche toccare. Passando accanto a loro dico: “Non sei stato onesto” e sorrido amaramente, fiero di me.

Paul prova a seguirmi e ad abbracciarmi e allora non resisto: “Abbiamo giocato e ora ti sei stufato. Va bene. Almeno ora lasciami stare!”

Paul si accorge che gli altri si stanno avvicinando per le mie urla, così mi lascia stare e mi permette di andar via.

Mi incammino verso casa per poter comprare una birra e sedermi su un muretto vicino Notre-Dame, sulla Senna.

Il tramonto qui a Notre-Dame è sempre stupendo, con qualsiasi tempo. I giochi di luce su questa pietra sono favolosi. E poi è così affollato che nessuno pensa a me seduto qui sotto da solo. Ma non riesco a stare solo per molto tempo.

“Ti avevo detto di lasciarmi in pace o sbaglio?” domando.

“Giusto, non posso neanche più venire qui adesso”. Certo, come se non lo avessi saputo che sarei venuto qui. Sarei dovuto andare altrove, ho sbagliato io.

“E allora non ti voltare. Voglio solo parlarti” mi dice ancora con il fiatone.

“Non ti voglio ascoltare” ribadisco lapidario.

“Ok, in questo caso va’ via. Perché io mi siederò proprio qui e parlerò”.

Penso che non potrei essere più sgomento. Se non mi alzo sarà come dire che lo perdono a prescindere. Devo almeno alzarmi. Alzati Stéphan. Inutile parlare con te. Sei sempre il solito testardo e remissivo.

Immagino il sorriso triste sul viso di Paul, mentre si siede qui dietro di me e inizia a parlare: “Ariane mi ha detto che ci hai visti tre settimane fa. Non avrei voluto farti stare male”.

“Avevi promesso”

“Lo so. Sono imperdonabile. Però non coinvolgere Julien, ci sta male anche lui. Sono solo io il colpevole, e non ho scuse. Non pretendo neanche che tu capisca. Sappi solo che ti voglio bene. Davvero”.

E dicendolo si sporge per baciarmi la nuca e carezzarmi la guancia. Non appena sente le lacrime si avvicina e mi stringe, venendo a sedersi proprio dietro di me. Troppo vicino, con troppa intensità. Provo a liberarmi e capisco che sarebbe troppo facile. Continua a non volermi costringere a rimanere qui. Così mi appoggio al suo petto e giro il viso per guardarlo.

“Sono un idiota. Non dovrei stare qui con te così”

“Lo so. Non dovresti. Soprattutto se non vuoi perdonarmi” mi dice con la voce sempre più triste.

“È inutile. Ti desidero troppo” sorrido sprezzante io evitando di guardarlo.

Ma lui mi gira il volto e mi bacia incurante della scomodissima posizione in cui ci troviamo.

Potei stare così per giorni. Tanto ormai è ovvio che non ho orgoglio e che mi farei fare qualsiasi cosa da lui. Mi lascia e prende l’Heineken dalle mie mani.

Come posso resistergli? Lo voglio troppo e forse neanche tanto sanamente. Posso anche continuare a soffrire. Basta che continui a desiderarmi.

“Dormi da me stanotte?” sento la mia voce come se appartenesse ad un altro.

“Se è quello che vuoi veramente” e alza le spalle sorridendo, come se non fosse successo nulla. Come se stessi piangendo all’uscita del cinema e non per lui.

Scuoto affermativamente la testa. Che altro potrei fare? E prendendolo per mano mi incammino verso casa, mentre lui fa delle telefonate.

Una volta finito di parlare con i suoi, continua a tenermi la mano in silenzio fino al portone del mio palazzo. Mi appoggio al legno e mi lascio baciare. La sua bocca rude e le sue mani impazienti sui miei jeans, incurante dei passanti.

Mi lascio mordere, ma poi gli dico: “Fai piano”.

Forse le mie lacrime gli fanno pena. “Sei mio. Sei la mia puttana”.

“Non farmi ancora male” lo prego.

“Non l’ho mai fatto” mi dice per poi aumentare la pressione della sua mano sul cavallo dei miei pantaloni.

Così apro freneticamente il portone e corro su per le scale, fermandomi solo dopo aver chiuso a chiave anche la porta della mia camera.

Mi spoglio e mi avvicino con l’intenzione di farmi scopare nel più totale silenzio delle parole, ma alla fine non resisto: “Quante volte l’avete fatto?”

Paul rimane zitto senza smettere di guardarmi, ma non accetterò silenzi in risposta alle mie domande: “Allora?”

“Ci siamo visti una decina di volte” mi dice distogliendo lo sguardo.

Quindi lo mordo sul collo, facendogli male, per non piangere.

“Come l’avete fatto? E dove?”

Devo incalzarlo per avere queste risposte che non voglio, ma alla fine le ottengo, e lo mordo di nuovo.

Lo sento. Vorrebbe gettarmi sul letto e salirmi sopra. Invece mi accarezza la schiena, mi bacia sul mento, sul collo, sul petto, per poi inginocchiarsi.

Il sesso è veramente un ottimo modo per dimenticare le cose. Posso solo amarlo in questo momento. Anche se mi ha consapevolmente fatto male. E forse proprio per questo mi lascio baciare e toccare. E proprio perché non posso fare a meno di lui lo lascio salire su di me. Mi tocca, mi spoglia e mi penetra. Ma non smette di baciarmi e mi fa piangere. Nessuno mi è mai stato così vicino. Finalmente ha capito quello che volevo da lui.

Riesce anche a farmi urlare l’orgasmo.

Bacia le mie guance umide e si sdraia accanto a me senza lasciarmi andare. Voglio andarmene da questo letto. Non possiamo stare così vicini. Mi farà perdere la testa di nuovo. Capirà che so che è questo il mio posto. Devo alzarmi. No, non devo. Va bene se rimaniamo sdraiati nudi e vicini. Anche se questo silenzio è opprimente.

“Fra qualche settimana mio padre deve andare negli Stati Uniti per un incontro. Andrò con lui”

Riesco solo a dire: “Ok”

“Non starò via molto. Giusto il tempo di fare il turista e di riprendermi dal jet-lag”

“Fai come ti pare. Non mi devi più spiegazioni” rispondo io sempre più piccato dalla sua voglia di parlare.

“Giusto. Non più. Beh... allora te lo dico solo a titolo informativo, così quando partirò qualcuno lo saprà” spiega poggiando la testa sulla mano, per guardarmi meglio.

“Quando tornerò...” e sento i suoi occhi scaldarmi la parte sinistra del corpo “Sarai ancora qui?”

Farei qualsiasi cosa per starti vicino. Ma non posso dirtelo. Ora devo solo respirare profondamente e dire la cosa giusta: “Dovrei?”

“No...” ride sarcastico “Ma potresti. Ti voglio veramente”

“Non lo so”

“Va bene.... se è così è inutile che io resti ancora a disturbarti”

Finalmente. Mi ha liberato. Ora posso alzarmi e chiudermi in bagno. Ho bisogno di una doccia calda per scaricare tutta questa tensione.

Magari lo troverò ancora sul letto. E si scuserà per tutto ciò che ha distrutto e resterà con me.

Apro piano la porta per controllare, ma è ovvio che se n’è andato. La camera è così silenziosa senza il suo respiro.

Mi sdraio ancora bagnato sulle lenzuola disfatte e trovo un foglietto sul cuscino che usava sempre lui.

 

 

À Paris je suis à toi.*

 

 

Prendo il foglietto dal letto e lo attacco allo specchio.

Ora devo solo andare avanti. Da solo.

 

 

 

 

 

Fin

 

 

 

 

 

 

*A Parigi sono tuo.

 

 

  
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