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Autore: rupertgiles    13/08/2005    1 recensioni
Fece qualche passo in avanti, avvicinandosi al cancello che ne costituiva l’entrata. Lesse l’iscrizione sulla lastra di metallo che era affissa accanto al campanello.
CONSIGLIO.
Una sola parola, nessuna spiegazione. A quanto pare era gente che non amava sprecare troppo tempo in chiacchere.

[ NdAdmin: questo riassunto è stato modificato dall'amministrazione poichè non conteneva alcun accenno alla trama. L'autore è invitato a cambiarlo con uno di sua creazione. ]
Genere: Azione | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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“Diciassette anni…ho solamente diciassette anni” . Questa frase appariva e scompariva dalla mente del ragazzo similmente ad una luce al neon di un locale affollato. E quanto erano affollati i suoi pensieri! Eppure, dopo tante riflessioni, tanti discorsi che interminabilmente faceva con se stesso, alla fine ritornava sempre a quella considerazione, così banale eppure così significativa. “Ho solamente diciassette anni”. Quante volte aveva pensato, come tanti suoi coetanei, di essere oramai cresciuto, di essere indipendente, di avere la forza per affrontare ogni avversità che la vita gli avrebbe posto innanzi. Tuttavia, davanti a questa nuova tappa di quel lungo viaggio che è la vita, si sentiva spiazzato, non ancora pronto. L’edificio che aveva davanti era stato costruito, secondo gli storici, un centinaio di anni addietro, e lo stile era inconfondibilmente inglese. Si inseriva perfettamente nel quartiere a cui apparteneva tanto da risultare praticamente invisibile, indistinguibile dagli altri, almeno ad un osservatore frettoloso e distratto. Eppure per quel ragazzo quell’edificio avrebbe segnato tutto il corso della sua vita. Fece qualche passo in avanti, avvicinandosi al cancello che ne costituiva l’entrata. Lesse l’iscrizione sulla lastra di metallo che era affissa accanto al campanello. CONSIGLIO. Una sola parola, nessuna spiegazione. A quanto pare era gente che non amava sprecare troppo tempo in chiacchere. Non gli restava che entrare. Il cancello era, con sua sorpresa, semi aperto, così entrò silenziosamente fino ad arrivare ad un immenso portone di legno, sul quale erano intarsiate strane figure che avrebbero, agli occhi del ragazzo, potuto significare qualsiasi cosa. Era però convinto che, una volta uscito da questo posto, avrebbe saputo riconoscere ogni singola creatura che vi era rappresentata. Suo padre aveva provato, negli ultimi anni, a parlargli di demoni, vampiri, lupi mannari, e di tutti quegli strani fenomeni con i quali avrebbe dovuto fare i conti, ma il ragazzo era ancora un po’ scettico sulla loro effettiva esistenza. Era cresciuto sui libri di scuola, finendo l’istruzione superiore con il massimo dei voti e distinguendosi per la sua concentrazione ed intelligenza. Si vantava di essere una persona libera da superstizioni e fantasie occulte, insomma..con i piedi per terra. Sempre se si esclude qualsiasi tipo di mezzo volante..allora diventava entusiasta e poteva stare per ore a parlare di motori, leggi fisiche e disciplina militare. Il sogno della sua vita era sempre stato di diventare un pilota…ma ora vedeva tutti i suoi sogni infrangersi insieme alla nuova realtà che gli veniva mostrata. Lo aveva saputo sette anni prima, ma solo ora sentiva questo peso gravargli sulle spalle come un macigno: doveva diventare un Osservatore, come suo padre, e la madre di suo padre prima di lui. Sembrava una cosa di famiglia, una capacità che si trasmetteva attraverso il sangue di generazione in generazione. Dal canto suo ne avrebbe fatto volentieri a meno. Alzò la mano destra a sollevò il battente della porta per poi lasciarlo andare, aspettando che qualcuno venisse a rispondere all’eco basso e cupo che aveva provocato. La porta si aprì dopo qualche istante e da dietro di essa apparve un uomo sui trent’anni vestito in giacca e cravatta. Guardò il ragazzo impaurito che stava davanti a lui e sorrise:

- Benvenuto, Rupert Giles -

*

A bocca aperta Rupert si guardava intorno mentre insieme all’uomo attraversava i saloni di quell’edificio. Dall’esterno chiunque avrebbe giurato che si trattava di una casa come tutte le altre, ma l’interno era talmente ampio e decorato in maniera così magnificente che il giovane visitatore non potè fare a meno di sentirsi spiazzato. Non che quella situazione non riuscisse già a metterlo abbastanza a disagio, ma ora si sentiva davvero piccolo, insignificante, di fronte a tanto splendore. L’uomo si accorse dello stato d’animo del ragazzo e cominciò a parlare, sperando di spezzare la tensione che si era venuta a creare.

- Il mio nome è Quentin Travers, e sarò il tuo istruttore per tutto il tempo che passerai con noi. Sarà un percorso lungo e faticoso, ma conoscendo da tanti anni tuo padre sono sicuro che sarai all’altezza di questo compito. Nelle tue mani risiede una grande responsabilità, un giorno diventerai l’osservatore della Cacciatrice, e il destino del mondo dipenderà dalle tue scelte -

“Grandioso” pensò Rupert “proprio quello che mi serviva per rilassarmi, per non sentirmi sotto pressione”. Ora che Quentin aveva cominciato a parlare di ciò che lo attendeva, a Rupert vennero in mente un gran numero di domande, molte delle quali cercò di scacciare per paura di fare la figura dello stupido. Aveva sempre saputo tutto, aveva sempre studiato sui libri di scuola tutto ciò che nel mondo e del mondo era necessario sapere. E ora si trovava ad entrare in contatto con un mondo completamente nuovo che ignorava completamente e che, ammise, lo spaventava. Eppure una domanda continuava a premergli nelle tempie, soprattutto dopo quello che aveva appena sentito.

- Mi scusi, le posso fare una domanda? -

Quentin sorrise alla timidezza del ragazzo, e allora stesso tempo si stupì della sua compostezza ed educazione. Erano fuori dal normale per un ragazzo della sua età.

- Certo, Rupert. Ci sono moltissime cose che devi imparare e io, come ogni collega che qui incontrerai, sono qui per rispondere ai tuoi dubbi e alle tue perplessità. Cos’è che vuoi chiedermi? -

Rupert si fece coraggio.

- Ho sentito mio padre parlarne più di una volta, senza tuttavia mai spiegarmi di che cosa si tratti. Che cos’è una cacciatrice? -

Quentin non trattenne una risata sommessa. “Ha davvero ancora tante cose da imparare”. Ed ebbe un moto di affetto per quel giovane inglese scarno, con gli occhiali che continuavano a scivolargli sul naso, e che egli, ormai con un gesto istintivo, provvedeva ogni minuto a riportare nella corretta posizione. D’ora in avanti sarebbe stato come un secondo padre per lui, e anche lui sentiva il peso di questa responsabilità.

- Non una cacciatrice, ma la Cacciatrice. In ogni generazione nasce una Cacciatrice, la prescelta, una giovane donna nata con il potere e la forza di combattere i vampiri e le forze del male. E ogni Cacciatrice ha un Osservatore, il cui compito è di conoscere queste forze e prepararla ad affrontarle -

“Vampiri?Forze del male?” la testa di Rupert girava in maniera vorticosa lasciandogli una fastidiosa sensazione di nausea nello stomaco. Si rese conto che gli immensi saloni di poco prima erano ormai passati e che erano entrati in un lungo corridoio in cui si susseguivano numerose porte di acciaio. “Chissà dove stiamo andando”, si chiese. Poi Quentin arrestò il passo davanti ad una di queste porte. Su di essa c’era una targa d’ottone con sopra scritto il suo nome.

- Rupert Giles. Credo che il nostro primo incontro finisca qui. Questa sarà la tua stanza finchè rimarrai qui fra di noi. Puoi chiedere a me se hai bisogno di qualsiasi cosa -

Rupert annuì con il capo e guardò Quentin congedarsi di fretta, avendo chiaramente un impegno molto più importante che accogliere un novizio che non credeva nei demoni e che non sapeva nemmeno che cos’era, o meglio chi era la Cacciatrice. Aprì la porta della sua stanza ed accese la luce. Lo spazio era limitato e tutto ciò che trovò furono una scrivania, una sedia, una lampada, un letto e una libreria con sopra qualche vecchio volume con titoli strani in lingue che Rupert non aveva mai letto prima. Solo un volume sembrò attirare la sua attenzione. Lo prese e notò piacevolmente che era scritto il latino. “Ehi, finalmente qualcosa che so fare” ripose il libro al suo posto, con l’umore leggermente risollevato. Sulla scrivania vide una chiave, probabilmente la chiave della stanza. Confermò l’ipotesi inserendola nella serratura e chiudendosi all’interno. Si sdraiò poi sul letto, trovandolo più comodo di quanto si sarebbe aspettato. Si sentiva così solo. Non aveva incontrato nessuno a parte Quentin da quando era arrivato e sembrava che l’intero edifico fosse come disabitato. L’orologio che aveva al polso gli comunicava che erano le cinque del pomeriggio, e come ogni giorno in Inghilterra il sole cominciava a tramontare. Se solo avesse potuto parlare con qualcuno dei suoi amici, telefonare a casa per sentire come stavano i suoi genitori, qualunque cosa che lo aiutasse a sentirsi ancora parte del suo mondo. Non sapeva cosa lo aspettava, e l’incertezza del futuro faceva crescere l’ansia dell’attesa. Il silenzio quasi sacro che regnava in quel luogo non lo aiutava di certo. Mentre osservava le mura bianche che lo circondavano vide sulla parete di fronte a sé una croce. Era strano, perché non era un crocifisso: solamente una croce di legno. Un’altra domanda da fare a Quentin appena l’avesse reincontrato. Pian piano che i minuti passavano Rupert sentiva le palpebre abbassarsi e la stanchezza impossessarsi delle sue membra. Lo stress era stato eccessivo per la sua giovane mente e sentiva un estremo bisogno di riposo. Chiuse gli occhi e senza rendersene conto si addormentò.

*

Fu il rumore di qualcuno che bussava alla porta a risvegliarlo. Guardò l’orologio e notò che erano già le nove. Si sentiva meglio di quando era arrivato, e, nonostante il disorientamento, era affamato, e la fame scacciava per ora ogni altra preoccupazione. Aprì la porta e vide un giovane ragazzo con uno smagliante sorriso.

- E’ ora di cena. Non vorrai perderti la sontuosa cena del consiglio degli osservatori -

Il sarcasmo che Rupert avvertì fra le sillabe gli fece capire che non si sarebbe dovuto abituare a nessuna cena sontuosa.

- Dov’è la sala da pranzo? - chiese educatamente.

- Seguimi, te lo mostrerò -

Il ragazzo aveva i capelli corti e mori, e doveva essere più vecchio di Rupert di un paio d’anni. Rispetto a Quentin però, Rupert notò che aveva come una scintilla negli occhi, una grande energia che, nonostante l’atmosfera surreale del luogo, egli non si preoccupava a nascondere. Capì che aveva una personalità singolare, e decise che tutto sommato gli stava simpatico.

- Il mio nome è Rupert -

Il ragazzo lo guardò divertito.

- Sì, lo so, so leggere. Ce lo insegnano spesso qui -

Poi vide che Rupert lo guardava con uno sguardo interrogativo.

- Il mio nome è Ethan. Tanto piacere di conoscerti Rupert Giles - disse con un tono canzonatorio e gesti esagerati.

Rupert si sentì talmente in imbarazzo che non proferì più parola, finchè non raggiunsero una grande sala dove c’erano sei lunghi tavoli, con seduti uomini e donne intenti a mangiare. Silenzio, a parte qualche mesta conversazione qua e là.

- A questi vecchi secchioni non piace molto parlare - disse Ethan.

“Sì, ho notato” pensò Rupert. Si sedettero al primo tavolo dove trovarono due posti liberi. Rupert vide Quentin, e istintivamente abbassò il capo in segno di saluto e insieme di rispetto. Poi arrivò alle sue spalle Ethan che lo colpì con la mano aperta sulla schiena, tanto che il suono rieccheggiò nella stanza.

- Basta con i convenevoli, ho fame -

Ethan aveva già preso il vassoio con il cibo e si sedette cominciando a mangiare. Rupert stava ancora fissando Quentin che aveva un’espressione contrariata e preoccupata. Fece segno a Rupert che dopo avrebbe desiderato parlargli e Rupert fece cenno di sì con il capo. Poi prese anche lui un piatto di carne e si unì ad Ethan.

- Ethan, se posso chiedertelo, da quanto ti trovi qui? -

Ethan rispose mentre ancora stava masticando la sua cena.

- Un anno. E ne ho viste di cose ragazzi: demoni, vampiri, stregonerie. Qui si impara roba forte. Mio padre era una specie di lunatico, faceva parte di questa banda di occhialuti prima di restare ucciso da qualcosa -

Rupert era stupito, se non esterefatto, dalla mancanza di rispetto di Ethan nei confronti di questo mondo che lui ancora vedeva attraverso un vetro di cristallo. Il galateo che tutti seguivano, l’educazione a tavola, il silenzio e il tono di voce, persino l’eleganza dell’abbigliamento, sembravano cose che Ethan non conosceva, e se conosceva, non curava. Sprezzante delle regole, eppure dotato di un grande carisma. Rupert ne era allo stesso tempo affascinato e spaventato. Finirono la cena in silenzio come gli altri, e dopo i ragazzi più giovani furono costretti a lavare i piatti e le posate. Rupert notò che c’erano un altro paio di ragazzi che avevano più o meno l’età sua e di Ethan.

- Neanche fossimo i loro schiavi - si lamentò Ethan.

Tutto sommato Rupert si trovò d’accordo con lui. Quando finalmente finirono le pulizie erano già le undici passate. Si ricordò improvvisamente che Quentin aveva espresso il desiderio di parlargli, così chiese a Ethan dove poteva trovarlo.

- Non saprei, ma se vai nella biblioteca dovresti trovare qualche cervellone che lo sa -

Rupert lo guardò un po’ confuso.

- Seconda stella a destra poi sempre dritto. Sveglia! Basta seguire i cartelli. Biblioteca: sali le scale a destra in fondo al corridoio, poi seconda porta a sinistra -

Rupert ringraziò e camminò con passo veloce nella direzione indicatagli. Con suo stupore trovò subito la biblioteca e di nuovo rimase a bocca aperta. Era probabilmente la stanza più grande della casa e c’erano scaffali ovunque, ognuno pieno di volumi che era sicuro non avrebbe trovato in nessun altro posto. E nonostante l’ora tarda era decisamente affollata di uomini e donne di tutte le età, alcuni dei quali aveva visto a cena, altri che gli risultavano totalmente estranei. Vide un bancone e dietro un uomo che doveva essere il bibliotecario. Si avvicinò.

- Mi scusi, dove posso trovare Quentin Travers? -

Il bibliotecario gli sorrise.

- Tu devi essere Rupert Giles, il nuovo pupillo di Travers. Se vai sempre dritto fra quei due scaffali davanti a te e poi giri al quinto scaffale a destra dovresti trovarlo, assorto nella lettura come al solito -

Rupert trovò effettivamente Quentin che leggeva, ma appena egli si accorse della presenza del ragazzo, alzò gli occhi, appoggiò il libro e gli sorrise.

- Vieni, siediti qui accanto a me -

Rupert obbedì. Il libro che Quentin stava leggendo era pieno di illustrazioni interessanti e Rupert non potè trattenersi dall’allungare lo sguardo per saperne qualcosa di più. Quentin, compiaciuto, cominciò a spiegare.

- Il mondo, al contrario di quello che dicono le diverse religioni, non cominciò come un paradiso. Era il regno dei demoni, in poche parole la casa dell’Inferno. Tuttavia con il tempo le creature del male persero sempre più potere su questa dimensione, rifugiandosi in altri mondi paralleli, e cominciarono ad apparire anche degli esseri mortali, come ad esempio gli esseri umani -

Rupert ascoltava a bocca aperta, pendendo dalle labbra del suo maestro.

- L’ultimo demone a lasciare questo mondo si chiamava Kyra e aveva l’aspetto di una giovane donna. Ella morse un umano e mischiando il proprio sangue al suo diede origine alla stirpe delle creature che noi oggi chiamiamo vampiri -

Anche se non ci credeva, Rupert ammise che questa storia era estremamente interessante: non sarebbe stato troppo complicato studiare questo genere di cose. Esercitavano, anche se difficilmente ora l’avrebbe ammesso, un grande fascino su di lui. Soprattutto le informazioni riguardanti la stregoneria e l’occulto, avrebbe voluto saperne qualcosa di più. Se avesse imparato a controllare la propria impazienza era sicuro che prima o poi sarebbe stato ricompensato. Dopotutto non era qui per essere addestrato a diventare l’Osservatore della Cacciatrice, qualsiasi cosa questo significasse? Quentin intanto stava guardando Rupert che era assorto nei suoi pensieri, i quali tuttavia egli non riusciva ad indovinare. Era scetticismo quello che leggeva nei suoi occhi? Paura? Attrazione? In ogni caso lo aveva chiamato stasera per dirgli una cosa.

- Rupert, ho visto che hai conosciuto Ethan Rayne. E’ un ragazzo intelligente, però ha una disposizione d’animo nei confronti dell’occulto che non mi piace, né piace alla maggiorparte degli anziani Osservatori che presiedono al consiglio. Preferirei che tu non passassi troppo tempo con lui. Sei ancora inesperto e potresti essere facilmente condizionabile da un ragazzo più grande e più avanti negli studi -

Rupert ebbe un moto di disappunto. Lo stava trattando come un ragazzino. Aveva la piena padronanza di se stesso e delle sue decisioni, ed era benissimo capace di distinguere le persone giuste con cui fare amicizia e quelle da cui stare lontano. Inoltre Ethan era stato l’unico a farlo sentire a casa, nonostante i suoi modi stravaganti. No, l’osservazione di Quentin, notò Rupert, era davvero fuori luogo. Tuttavia non potè fare altro che annuire e dire che era stanco, e che avrebbe desiderato ritirarsi per andare a dormire.

- Certo, Rupert. Domattina dovrai svegliarti presto per cominciare le tue lezioni. Ci troveremo qui in biblioteca alle nove precise. Ti avverto che gli Osservatori non tollerano alcun ritardo. Diciamo che lo consideriamo come l’ottavo peccato capitale, ci siamo capiti? -

Il tono di Quentin era serio e il ragazzò annuì.

- Bene, ora puoi andare -

Rupert si guardò intorno una volta uscito dalla biblioteca, e corse in camera più veloce che potè. Era sicuro che fosse vietato correre per i corridoi, sempre per la storia del silenzio e cose di questo tipo. Le regole di questo posto però lo mettevano a disagio, cominciavano già ad andargli strette. Ethan era un ragazzo in gamba, anticonformista, brillante, sicuro di sé. Un po’ tutto ciò che Rupert avrebbe voluto essere. Era a Ethan che Rupert pensava quando finalmente cadde di nuovo nel mondo dei sogni.

*

Rupert trattenne uno sbadiglio e continuò ad ascoltare la voce di Quentin che, sempre con la stessa insopportabile cadenza, gli elencava i punti di forza e di debolezza di un vampiro.

- Ci sono vari modi per uccidere un vampiro: prima di tutto un paletto di legno nel cuore. Metodo efficace e poco dispersivo. Poi abbiamo il fuoco, la decapitazione, la luce del sole…Rupert, mi stai ascoltando? -

Lo sguardo di Rupert si era inconsapevolmente perso fuori dalle vetrate colorate della biblioteca, osservando un gruppo di ragazzi che si rincorrevano e sembravano divertirsi un mondo. ”La luce del sole…”. Si trovò ad invidiarli, ad invidiare la loro libertà, il loro poter decidere del proprio destino. Lui aveva un percorso ben preciso già disegnato davanti ai propri passi e non aveva nessuna possibiltà di sfuggirgli. Lo sguardo fisso di Quentin lo riportò bruscamente alla realtà.

- Sì, stava dicendo? -

Quentin tirò un sospiro.

- Rupert, ho bisogno della tua concentrazione. Quelle che ti sto insegnando sono le basi per tutte le conoscenze che seguiranno in futuro, e vorrei che avessi le idee chiare in proposito -

“Le idee chiare? Io ho le idee chiarissime. Come è chiaro che non esiste nulla di quello di cui stiamo parlando“ pensò Rupert.

- I vampiri possono venire allontanati tramite l’uso di croci o di acqua santa -

- E l’aglio? - intervenne Rupert, e dallo sguardo di Quentin chiaramente a sproposito.

- L’aglio, comunemente ricordato dagli scrittori gotici, come ad esempio Bram Stoker, è in realtà più una leggenda che qualcosa di concreto. - rispose con pazienza - Un’altra cosa importante da ricordare è che i vampiri non possono entrare in una casa o in un qualsiasi luogo privato senza essere stati precedentemente invitati a farlo da un abitante della stessa. Infine per rendere la propria vittima un vampiro non basta che egli succhi il suo sangue ma deve avvenire anche l’operazione opposta -

Rupert annuì. Continuava a pensare all’assurdità di tutto questo.

- Se mai incontrerò un vampiro me lo ricorderò - disse, più fra sé e sé che rivolgendosi ad un reale interlocutore.

- Sbaglio o non credi ad una parola di quello che ti sto dicendo? - chiese Quentin, finalmente comprendendo il problema del ragazzo.

Rupert espresse le sue perplessità.

- Penso solamente che, se i vampiri esistono davvero, come mai non ne ho mai incontrati prima? -

Il ragionamento non faceva una grinza, ma Quentin lo fissò con sguardo pieno di durezza.

- Perché hai avuto fortuna -

Rupert sentì un brivido scendergli lungo la schiena. Sicuramente Quentin stava solamente cercando di spaventarlo, e non si doveva lasciare suggestionare, doveva dimostrargli che era un ragazzo con la testa sulle spalle. L’insistere di Quentin sull’occulto però, dopo un pò cominciò a metterlo a disagio. Se era davvero convinto di quello che diceva, come mai non gli mostrava un vero vampiro, di quelli che vivono di notte e succhiano il sangue? Si ricordò di Ethan, della sua allegria e sfacciataggine, e non trattenne i suoi pensieri dal trasformarsi in parole.

- Allora mi mostri un vampiro! - disse, anche se un po’ timoroso, temendo la reazione del suo maestro.

Quella reazione non tardò ad arrivare. Quentin si alzò dalla sedia e lo guardò con rimprovero. Anche il suo tono di voce era leggermente più alto della norma.

- Rupert Giles, moderi la sua arroganza -

Rupert abbassò lo sguardo.

- Non credo che tu sia ancora pronto per incontrare un vampiro, e di certo passerà molto tempo ancora prima che tu lo sia, per cui controlla la tua curiosità ed esercita la più grande delle doti per un Osservatore: la pazienza -

Calò il silenzio, e dopo qualche secondo Rupert alzò lo sguardo e annuì. Quentin riprese a parlare.

- Oggi pomeriggio vorrei che provassi un po’ di esercizio fisico. Niente di eccessivamente impegnativo, solo un esame della tua preparazione atletica. Un Osservatore guida la Cacciatrice che lo difende, ma deve anche essere in grado di difendere se stesso, all’occorrenza -

Si dipinse sul volto di Rupert un espressione di orrore. Esercizio fisico? Lui? Il re degli sfaticati? Era sempre stato bravissimo a leggere, scrivere, studiare, imparare a memoria qualsiasi cosa gli capitasse sotto mano, ma quando si trattava di fare un’attività che superasse la fatica di una passeggiata, il suo corpo e la sua mente si rifiutavano di collaborare. Eppure sapeva che Quentin aveva ragione: al massimo avrebbe piantato qualche paletto di legno nel cuore di un paio di manichini di pezza. Era sempre meglio di niente, e lo avrebbe aiutato a scaricare lo stress nervoso che si stava accumulando nei suoi arti.

- Sempre qui in biblioteca? - chiese Rupert guardandosi intorno un po’ disorientato.

- No, c’è una palestra al piano di sotto che utilizziamo appositamente per gli addestramenti. Io ho un impegno, per cui ci sarà uno dei miei colleghi ad illustrarti cosa devi fare. Mi raccomando, comportati come si addice ad uomo -

Rupert gonfiò un po’ il petto. Un uomo: non lo era ancora, ma qui, insieme a questi vecchietti con gli occhiali, lo sarebbe diventato. Improvvisamente non seppe se esserne contento o inorridito. Torno nella sua stanza, e vi trovò Ethan appostato accanto alla porta chiusa.

- Novellino, com’è andato il primo giorno di lezione? -

- Divertente, anche se studiamo tutte queste cose, poi sembra che non ci permettano di verificarle sul campo. Cosa me ne faccio di sapere come uccidere un vampiro, se poi non mi si presenta l’occasione per farlo? -

Ethan sorrise maliziosamente.

- E chi ti dice che non possiamo crearcela noi questa occasione? -

Rupert lo guardò con aria interrogativa. Non capiva dove l’amico volesse arrivare. Certo non c’erano vampiri nascosti nell’edificio…almeno così credeva. Lo sguardo di Ethan però lo convinse che non pensava di rimanere all’interno dell’edificio.

- I vampiri agiscono di notte. Tutto quello che dobbiamo fare è uscire di qui con tutto il materiale necessario e girare per la città aspettando che siano loro a trovare noi. Piano semplice e a livello scarso di pericolo. Che ne dici piccolo? -

Odiava sentirsi chiamare piccolo. Anche se Ethan era più grande di lui non aveva il diritto di deriderlo a quel modo. Gli avrebbe dimostrato che non aveva paura, che era più coraggioso di quanto si aspettasse. Non avrebbe permesso che Ethan lo considerasse un vigliacco. Ethan lo sapeva, e rise fra sé e sé.

*

Il giovane Osservatore che Rupert aveva innanzi, apparecchiato con polsiere, parastinchi, protezione al tronco, era decisamente differente da qualsiasi Osservatore avesse incontrato il giorno precedente. I capelli erano scuri e pettinati scompostamente, gli occhi verdi brillavano su quel volto giovanile. Doveva avere anche lui una trentina d’anni, eppure Rupert avrebbe detto che ci fossero secoli di differenza fra lui e Quentin. Era arrivato di corsa, cinque minuti in ritardo rispetto all’orario prestabilito, con un sorriso stampato sulla faccia.

- Piacere, Rupert. Scusa per il ritardo. Io sono Logan. Logan McStiller. Mi occupo principalmente della preparazione atletica degli osservatori -

Rupert era a bocca aperta. Niente occhiali, jeans attillati e una camicia bianca lasciata aperta nei due bottoni superiori. Questo luogo e i suoi abitanti riuscivano ogni minuto di più a sorprenderlo.

- Sei..anche tu un Osservatore? - chiese Rupert titubante.

- Ho l’esame la prossima settimana - disse Logan orgoglioso - e spero, una volta arrivata e passata l’agonia, di poterti finalmente rispondere di sì. Sono dieci anni che studio per raggiungere questo traguardo, e ora sono terrorizzato di non riuscire a farcela -

Rupert sorrise. I dubbi, le paure, la frustrazione che sentiva provenire da Logan erano esattamente ciò che egli stesso provava. Si sentì un po’ meno solo. Poi ripensò a quello che Logan aveva accennato. “Dieci anni? Il corso per Osservatori dura dieci anni?”, era stupefatto. Di certo c’erano molte cose da imparare sul mondo dell’occulto, ma non avrebbe mai pensato di impiegarci un lasso di tempo così esteso. Vide passare davanti a sé dieci anni chiuso in questo posto e si sentì venire meno le forze. Ripensò alla proposta che Ethan gli aveva fatto poche ore prima per quella sera stessa. “Alle otto davanti al portone secondario”, si ripetè, sempre che lo avesse trovato. Aveva bisogno di movimento, e soprattutto di prendere una boccata d’aria fuori da questo posto che odorava di vecchi libri. Ritornò alla realtà e vide Logan davanti a sè, pronto per cominciare l’addestramento.

- Allora cominciamo? - disse Logan.

- Sono pronto - disse sicuro.

Poi riflettè un istante.

- Che cosa devo fare? -

- Attaccami - lo incitò Logan - prendi quel paletto e prova a colpirmi al cuore. Non ti preoccupare, non puoi ferirmi, sono completamente al sicuro con questa protezione indosso -

Nonostante la protezione Rupert non era troppo convinto di quello che avrebbe dovuto fare. Prese il paletto che aveva ai piedi e strinse la presa…poi lo guardò meglio, lo girò dalla parte giusta, e alzò lo sguardo verso l’avversario. Era una situazione a dir poco ridicola. Era davanti ad un uomo vestito in modo esilarante, e lo avrebbe colpito con un paletto di legno.

- Forza, Rupert. Non pensare e agisci -

Rupert avanzò e provo goffamente a colpirlo. Logan fermò facilmente il braccio di Rupert e con uno sgambetto lo fece cadere a terra. Cominciò a ridere. “Io non mi sto divertendo”, pensò Rupert. Logan lo incitò a provare nuovamente. Anche stavolta sbagliò il bersaglio, ma riuscì a rimanere in piedi. “E’ già una buona cosa”, ammise con sé stesso. Dopo una mezz’ora Rupert aveva il fiato corto e il braccio che stringeva il paletto gli doleva. Logan invece saltellava davanti a lui eccitato.

- Scusa, credo di aver bisogno di una pausa - disse Rupert.

Logan si calmò e assunse un’espressione più seria.

- Hai ragione, forse sto esagerando. Sei appena arrivato, abbiamo tempo per metterti in forma. Forza e resistenza, sono le doti che devi sviluppare. E non dimenticare la destrezza -

Rupert annuì mentre cercava di riprendere fiato.

- Qui tutti ti insegneranno che la cosa pù importante è il sapere. Tuttavia anche la condizione fisica è importante, serve a dare forza alla mente, le fa da supporto. Non è solo questione di sapere o no difendere se stessi. E’ un imparare a conoscersi meglio. Ti prometto che ti tornerà utile -

Logan sorrise dolcemente al ragazzo, e Rupert sorrise a sua volta. Forse questo Logan era un po’ fuori dalla norma, ma non era certo come Ethan. Possedeva una grande dolcezza e rispetto, e capì che era una persona su cui poteva contare. Rupert guardò l’orologio. Erano le otto meno un quarto. Si alzò di scatto e raccolse le sue cose.

- Devo andare, è molto tardi - disse.

- Certo. Ci vediamo domani pomeriggio. Stessa ora stesso posto, continueremo i nostri allenamenti - rispose Logan, un po’ insospettito dall’improvvisa fretta del ragazzo.

- Ok, grazie. A domani -

Rupert corse più veloce che potè nonostante la stanchezza che sentiva nelle gambe dopo lo pseudo-combattimento che aveva tenuto con Logan. Trovò il portone secondario, e dopo pochi secondi arrivò anche Ethan con un borsone sulla spalla. Rupert lo guardò in modo strano.

- Tutto ciò che ci potrebbe occorrere per affrontare un vampiro. - disse Ethan - Andiamo, dobbiamo essere nuovamente al Consiglio per mezzanotte -

I due giovani Osservatori uscirono nella notte chiudendo silenziosamente il portone dietro di sé.

*

- Ho freddo - disse Rupert.

Era già un’ora che stavano aspettando, nascosti dietro ad un cassonetto della spazzatura, che un vampiro si facesse vivo. Rupert si sedette per terra, la schiena contro al muro, sospirando. Era chiaro che non avrebbero incontrato nessun demone, per lo meno non quella sera.

- Smettila di frignare e aspetta - ribattè Ethan, la sua espressione chiaramente delusa.

“Aspetto, aspetto”, pensò Rupert, ancora più scettico di quanto era prima di lasciare il Consiglio. Si guardò intorno: la strada dove si erano accampati era una delle più malfamate della città. Dall’altra parte del vicolo poteva vedere l’entrata di un locale notturno, e davanti ad essa un uomo della stazza di un rinoceronte che doveva essere il buttafuori. Lungo la via che avevano percorso poco prima avevano incrociato un gran numero di ragazzi che si drogavano per le strade, e ragazze seminude che senz’altro stavano vendendo il loro corpo in cambio di denaro. “Le bestie sono gli esseri umani”, aveva pensato allora Rupert, “non abbiamo bisogno di altri demoni”. L’orologio da polso del ragazzo segnava le undici meno un quarto e cominciava davvero a scendere la tipica umidità inglese. Avrebbe fatto meglio a restare nel dormitorio, a quest’ora probabilmente sarebbe stato nel suo letto a riposare le membra dopo l’addestramento del pomeriggio.

- Possiamo andare? - chiese Rupert guardando Ethan.

- Non ancora, sono sicuro che manca poco - rispose l’amico.

Rupert si alzò ed uscì dal loro nascondiglio.

- Senti, sono già due ore che siamo qui e non c’è stata l’ombra non solo di un vampiro, ma nemmeno di un gatto randagio. Credi che ne valga ancora la pena? -

Non fece in tempo a finire la frase che sentì due braccia muscolose stringergli il collo e sollevarlo da terra. Non riuscì a voltarsi per vedere il suo aggressore, ma il ringhio che poteva udire non era certo di natura umana. Cominciò ad avere paura. Ethan, uscito da dietro il cassonetto, era immobile davanti a lui con un espressione di terrore dipinta sul volto. Poteva vedere in faccia l’uomo che aveva aggredito Rupert. Non era un uomo, aveva gli occhi gialli, la pelle dura e grinzosa intorno alle tempie, i denti affilati che spuntavano oltre le labbra. Non ne aveva mai visto uno così da vicino, ma avrebbe giurato che si trattasse di un vampiro.

- Ethan.. - riuscì a dire Rupert, che si sentiva mancare il respiro -Ethan, la borsa -

Ethan si risvegliò dallo shock e prese a rovistare nella borsa che aveva portato con sé. Trovo un barattolo trasparente che a Rupert sembrò pieno d’acqua e lo gettò addosso al nemico. Il barattolo si infranse, e l’acqua finì sul suo volto, sfrigolando come olio che frigge sui fornelli. Il vampiro lasciò la presa quanto bastò perché Rupert si divincolasse e si unisse terrorizzato a Ethan. Prese un paletto da dentro la borsa e lo alzò contro il demone.

- Cosa facciamo Ethan? - disse Rupert.

“Scappare sarebbe una soluzione più che accettabile”, pensò l’altro.

- Attaccalo! - lo incitò Ethan mentre si rifugiava dietro alle spalle del compagno.

Attaccarlo? E come? Non era nemmeno riuscito a colpire Logan poche ore prima, e Logan era stato lì apposta per farsi colpire. Di certo questo vampiro non sarebbe stato troppo contento di farsi uccidere. “Non ho altra scelta” si disse e attaccò. Il vampiro schivò il paletto e scaraventò lontano Rupert con un pugno, con una facilità tale che avresti detto avesse scaraventato via un bambino. Poi si avvicinò a Ethan che indietreggiava balbettando. Rupert era indolenzito e sentiva un rivolo di sangue scendergli dal sopracciglio destro ed entrargli nell’occhio. Vedendo però l’amico in difficoltà, riuscì con difficoltà ad alzarsi e arrivò alle spalle del mostro. Giusto in tempo perché Ethan non venisse morso, Rupert piantò il paletto nella schiena del vampiro, che si immobilizzò per poi dissolversi in polvere. “Sembra che io l’abbia colpito al cuore”, pensò, senza sentire nessuna soddisfazione in ciò che aveva appena fatto.

- Addio vampiraccio - disse Ethan baldanzoso.

Rupert gli lanciò un occhiataccia.

- Non guardarmi così novellino, ti ho salvato la vita! -

Rupert annuì senza controbattere. In quindici minuti erano di nuovo al Consiglio. Avevano corso stavolta, ma quando arrivarono al portone secondario si immobilizzarono. Ora, sopravvissuti ad un vampiro, dovevano riuscire a tornare nelle loro camere senza essere scoperti. Stranamente, quando entrarono, per tutta la via verso il dormitorio non incrociarono nessuno. Quando Rupert richiuse la porta dietro di sé tirò un sospiro di sollievo. Si buttò sul letto senza cambiarsi di vestito e gettò una nuova occhiata alla croce sulla parete. Ora sapeva a cosa serviva. E sapeva che tutto ciò di cui suo padre gli aveva sempre parlato esisteva, ed era là fuori pronto ad aspettarlo. Ora aveva visto.

  
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